MAGGIE'S FARM

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THE BUFFALO SPRINGFIELD

 



 

Stephen Stils (3 gennaio 1945): chitarra, voce
Neil Young (12 novembre 1945): chitarra, piano, voce
Richie Furay (9 maggio 1944): chitarra, voce
Bruce Palmer (1946): basso
Dewey Martin (30 settembre 1942): batteria, voce




Buffalo Springfield
Il country-rock della West Coast
di Tommaso Franci

Costruita attorno all'asse Stills-Young, la formazione californiana riuscì a esprimere nel modo più originale e innovativo l'anima tradizionalista country-folk .
Nel 1966 il rock non si era ancora affermato. Dopo la rivoluzione rock n'roll, in America non ci si era ancora affrancati dal riflusso acustico-folk del Greenwich Village newyorkese guidato da Bob Dylan. In Inghilterra intanto si faceva rhythm and blues (Rolling Stones), facendolo passare per novità.
 

La British Invasion del '65 consistette nel dilagare in America di complessi inglesi che riproponevano essenzialmente le melodie dei vocal-group degli anni 40 e 50, dando vita a una sorta di "rock n'roll soft", che in realtà era stato reso operativo in America diversi anni prima: il suo autore era stato infatti Buddy Holly e da questo si era trasmesso ai Beach Boys, che ne avevano ricavato la loro surf-music. Da questi ai Byrds il passo è breve, se vi si aggiunge la componente country tradizionalmente americana. I Byrds portarono il rock n'roll-soft e corale dei Beach Boys sulle tematiche e movenze esistenziali del country-blues americano: ossia misero una chitarra elettrica in mano a Dylan (precisamente al festival di Newport - il 26 luglio 1965).
Poi, il 1966. Bisognava speculare sulla capacità di farsi portavoce dei problemi della vita e dell'esistenza da parte di questa chitarra elettrica. E nel 1966 propose tematiche esistenziali il movimento psichedelico; che non a caso si servì (fin dai Charlatans, nel '65) di una chitarra elettrica per esprimerle. Siamo a un passo dal rock del 1967 - che però in gran parte si affrancherà dal mondo degli hippie.

Nel 1966, a un passo dal rock, in piena era psichedelica (è di quest'anno la "Summer of love"), ma ben radicato nella tradizione più reazionaria, si colloca il fenomeno dei Buffalo Springfield (Los Angeles, 1966-1968). Nel 1966 i Byrds sono al loro terzo album; i 13th Floor Elevator rappresentano la frangia più alternativa (non solo geograficamente: erano texani) al movimento psichedelico di San Francisco che aveva finito per coinvolgere anche gli stessi Byrds e che di lì a poco avrebbe visto nascere le stelle di Jefferson Airplane prima e Grateful Dead poi. Ma il 1966 era anche l'anno dei Beach Boys ("Pet Sounds") oltre che di Frank Zappa ("Freak Out").
Mentre, con la psichedelia, nasceva l'acid-rock (dall'idea di creare una musica come sottofondo per i party di Lsd) e si inaugurava l'era delle jam-session, un altro consistente filone della musica popolare americana restava legato alla tradizione, pur essendo prossimo alla psichedelia per l'uso della chitarra elettrica.
Per ora, occupandoci dei Buffalo Springfield, ci occuperemo di quel consistente filone tradizionale che è presupposto essenziale del rock.

I Buffalo Springfield furono un gruppo country-folk che suonò con strumenti poi propri del rock (chitarra e basso elettrici, batteria), armonie da vocal-group (e così - o a più voci - cantate). Il vecchio vino dei Byrds in botti nuove. Soprattutto: Nashville a Los Angeles, come voleva il revival o "old-time music" dell'epoca (Grateful Dead, Creedence Clearwater Revival, Flying Burrito Brothers). Il country-rock californiano diventerà commerciale tra fine 60 e inizio 70; con i Buffalo Springfield siamo invece alla sua origine.
I Buffalo Springfield non sono propriamente un gruppo, ma - come e forse in misura maggiore dei Byrds - una congrega di cantautori che con tale marchio pubblicano i loro brani.
 

Stephen Stills (Texas, 1945) professionista dall'età di quindici anni, è un cantante, compositore, chitarrista e bassista. Dopo New York (al Greenwich Village formò nel 1964-65 gli Au Go Go Singers, con Richie Furay) e il Canada (dove conobbe Young), ventenne, formò a Los Angeles - dove decisa emergeva la comunità folk-rock - i Buffalo Springfield dei quali fu il leader. Dal 1968 è attivo nei Crosby, Stills & Nash (and Young) - un ex-Byrds, un ex-Buffalo Springfield, un ex-Hollies. Tra il 1970 e il 1972, i suoi progetti folk/soft-rock (uno di questi a nome Manassas: supergruppo con l'ex-Byrds e Flying Burrito Brothers Chris Hilmann e grandi session-man come Paul Harris; gli altri due album sono zeppi di ospiti celeberrimi: Jimi Hendrix, Eric Clapton, più il solito entourage di folk-singer).
 

Neil Young (Canada, 1945) dai tempi del college suonava, come tanti della sua età, folk nelle coffeehouse (dove incontrò i giovani Joni Mitchell e Stephen Stills). Il suo primo gruppo furono gli Squires (1962-1965), tra il folk e la surf music (del '63 il singolo "Aurora/The Sultan", primo brano di Young). Quindi (1966), sempre in Canada, i Mynah Birds (con Bruce Palmer). Causa l'insuccesso dei singoli, Young e Palmer presero - come tanti altri loro coetanei: forse tutti - la via di Los Angeles. Sciolti i Buffalo Springfield, Young, dal 1969 a oggi, ha pubblicato 32 album solisti che lo hanno fatto da una parte uno dei più grandi folk-singer e cantautori di sempre, dall'altra uno dei più influenti e sensibili cantanti e chitarristi rock (la sua chitarra distorta ha posto le premesse, con quella di Reed, per il successivo "noise": dall'80 a oggi l'espediente più in voga della musica rock), genere del quale è tra i massimi fautori e interpreti. Innumerabili le collaborazioni - quelle con Crosby, Stills & Nash ('70, '71, '74, '88, '98, '99) e con i Pearl Jam ('95) le più pubblicizzate. Ma ogni album di Young è una collaborazione e non tanto per gli ospiti che vi appaiono sempre, ma per il fatto che questi determinano uno dei due toni fondamentali di Young (il country/folk e il rock). I Crazy Horse, ad esempio, non furono semplicemente il gruppo-spalla di Young, ma il mezzo (talora causa) con cui Young fece e definì il suo grande hard-rock.
 

Dewey Martin (Canada, 1942) batterista dai 13 anni, fattosi le ossa con Roy Orbison e gli Everly Brothers nella capitale tradizionale del country (resa tale da nomi come Hank Williams, Johnny Cash), Nashville, era a Seattle nel 1964 coi Sir Raleigh and the Coupons - gruppo che faceva cover stile British Invasion. Quindi nei Sons of Adam, nei Modern Folk Quartet e nei Dillards (importante gruppo bluegrass). Dopo lo scioglimento dei Buffalo Springfield, Martin cercò varie volte e a vario titolo di rievocarne le gesta - ma basti pensare che a metà anni 70 era ridotto al lavoro di meccanico d'automobili.
Il passaggio di Martin da Nashville a Los Angeles è emblematico. A metà anni 60, infatti, vi fu un folk-revival che vide le nuove generazioni (le chitarre elettriche di Los Angeles - città che dai Byrds ai Grateful Dead divenne la scuola del revival) riappropriarsi della loro musica atavica (rappresentata appunto da Nashville). Come si vede, tutto questo non può dirsi rock.
 

Bruce Palmer (Canada, 1946), come il compagno Young, fu membro effettivo dei Buffalo Springfield solo per il primo album, essendo, all'altezza del secondo, già in rotta col gruppo - e preso da vari problemi di droga. Diversamente da Young, Palmer non dette suoi brani ai Buffalo Springfield, sebbene con le sue linee di basso incoraggiasse il lato più rock di un gruppo quasi tutto incentrato - per volere di Stills - sul country-folk. Jim Messina - membro esterno e factotum del gruppo - sostituiva all'occorrenza Palmer. Nel 1971 con "The Cycle Is Complete" lasciò la sua altra e pressoché unica testimonianza in campo musicale: opera di pochi brani lunghissimi (e tutto fuorché rock) dedicata ai trip da Lsd.
 

 

Richie Furay (Ohio, 1944) è il terzo compositore e membro portante - nonché chitarrista e cantante - dei Buffalo Sprinfield, ai quali si unì dopo aver militato a New York con Stills negli Au Go Go Singers. Sempre a Los Angeles formò i Poco, gruppo soft-rock attivo dal 1968 al 1984, insieme a Jim Messina.

Jim Messina (Texas, 1947) è un cantante, compositore, chitarrista (dall'età di 5 anni), bassista e produttore. Compare come bassista dei Buffalo Springfield nel primo e nel terzo album; di quest'ultimo fu il principale artefice, nel senso che lo produsse e mise parzialmente assieme a gruppo già sciolto. Poi è nei Poco con Richie Furay. Vi rimase per i primi tre album (1969-1971). Quindi si unì a Kenny Loggins (7 album dal 1970 al 1976).

Buffalo Springfield (1966), 12 brani, 33 minuti. No. 80 Pop Albums.
Stephen Stills: Guitar, Keyboards, Vocals
Neil Young: Guitar, Harmonica, Piano, Vocals
Richie Furay: Guitar, Guitar (Rhythm), Vocals
Douglas Hastings: Guitar, Vocals
Jim Messina: Bass, Vocals
Dewey Martin: Drums
Bruce Palmer: Bass
Charles Greene: Producer
Brian Stone: Producer
Il primo album dei Buffalo Sprinfield è tanto distante dall'estetica odierna da risultare un ascolto addirittura imbarazzante o ridicolo - soprattutto per via di un canto tra il vocal-group e il soul. L'atmosfera è descrivibile come un country-pop elettrico/acustico intriso di fatalismo, epos, magniloquenza e pessimismo. Abbiamo dei Byrds senza i loro sperimentalismi, ma con un tono cupo più marcato. Si tratta di 7 composizioni di Stills (quasi tutte mediocri ma nessuna inascoltabile o del tutto priva di spunti influenti) e di 5 di Young (almeno 2 capaci di giustificare e dare un senso a un'operazione altrimenti poco ammissibile).
"For What It's Worth" (Stills) [- 2:37] (No. 7 Pop Singles) è un ottimo, tenue e raffinato tappeto sonoro, purtroppo deturpato da ingenui gargarismi Merseybeat.
"Go and Say Goodbye" (Stills) [- 2:23] potrebbe essere dei Byrds: pare un sostenuto country suonato dai Beatles. Se la musica può essere interessante (un country pur sempre avveniristico) e l'esecuzione ottima, ci pensa la solita voce compiaciuta e riverberata - e così voluta - a sciupare tutto (o a elevarlo a estetica kitsch).
"Sit Down, I Think I Love You" (Stills) [- 2:34] dice tutto nel titolo, "Hot Dusty Roads" (Stills) [- 2:51] prova col blues, "Everybody's Wrong" (Stills) [- 2:29] è l'epos del folk elettrico, "Leave" (Stills) [- 2:45] è un rhythm and blues teso e proto hard-rock (influenzerà segnatamente i Jefferson Airplane), "Pay the Price" (Stills) [- 2:36] è, con la precedente, e in un tono più medio, il più significativo contributo di Stills (roba da ispirare Cat Stevens come Lou Reed e - nel ritornello - addirittura certo metal).
"Nowadays Clancy Can't Even Sing" (Young) [- 3:28] è il primo capolavoro di Young: con un esistenzialismo capace di trascinare e giustificare gli espedienti musicali country-pop che - per quanto mirabili - rimangono confinati nel puro mezzo espressivo. "Flying on the Ground Is Wrong" (Young) [- 2:43] non prova nemmeno ad accostarvisi e torna - impeccabilmente - alla musica pop di almeno vent'anni prima (es. Bing Crosby). "Do I Have to Come Right Out and Say It" (Young) [- 3:06], a metà strada tra le due prove precedenti, non trova ragione d'essere. "Burned" (Young) [- 2:18] è tra i pezzi - relativamente - duri dell'album: tra country e Kinks; lontanissimo dai risultati del futuro Young per quanto ne tinteggi l'orizzonte. "Out of My Mind" (Young) [- 3:09] è l'altro capo d'opera: basta la liquida chitarra d'apertura e chiusura per sentirsi rimescolate le midolla; nemmeno la retorica del ritornello strappalacrime a più voci - quintessenza dell'estetica del tempo - ne pregiudica l'effetto.
Pur quasi completamente privo di brani memorabili, quest'album mantiene tutta la sua importanza storica per singoli aspetti, specie di natura tecnica. E se già i Byrds - e altri - erano arrivati alla fusion country/folk-chitarra elettrica da una parte (il country-rock) e vocal-group o pop-chitarra elettrica (o strumentazione rock) dall'altra, eravamo comunque agli inizi. Sebbene in un anno cambi tutto; sebbene l'esordio dei Buffalo Springfield sia inferiore ai lavori più importanti del '66 - basti il nome dei 13th Floor Elevator.
Nel 1973 - a country-rock ampiamente saturato - l'album tornerà in classifica (n. 10): si cercavano i progenitori dei vari Eric Andersen, Carole King, James Taylor, Joni Mitchell.
 

Buffalo Springfield Again (1967) 10 brani, No. 44 Pop Albums.
Stephen Stills: Organ, Guitar, Piano, Guitar (Rhythm), Keyboards, Vocals, Producer
Neil Young: Guitar, Harmonica, Vocals, Producer
Richie Furay: Guitar, Guitar (Rhythm), Vocals, Producer
Bruce Palmer: Bass
Dewey Martin: Drums
Jack Nitzsche: Keyboards, Piano (Electric), Producer
Don Randi: Piano
James Burton: Dobro, Guitar
Charlie Chin: Banjo
Jim Fielder: Bass
Bob West: Bass
L'età media dei Buffalo Springfield è di 22 anni quando offrono quello che unanimamente la critica ha considerato e non si può che considerare il loro capolavoro. Durante la registrazione del disco - che così risulta una compilation più che un album - Young e Palmer - legati anche dai problemi di droga - lasciano una prima volta il gruppo.
"Mr. Soul" (Young) [- 2:35] è una versione western di Satisfaction - vedi il riff della chitarra -; "A Child's Claim to Fame" (Furay) [- 2:09], col dobro hooks di James Burton, se non altro si appaga del suo trasognare riflessivo alla Byrds; "Everydays" (Stills) [- 2:38] sterza per atmosfere jazz (squarciate da una distorsione della chitarra) ed è un primo capolavoro; "Expecting To Fly" (Young) [- 3:39] (No. 98 Pop Singles), pezzo barocco di psichedelia e surrealismo, non convince appieno; "Bluebird" (Stills) [- 4:28] (No. 58 Pop Singles) vivacizza in un hard-folk l'economia dell'album e, a forza di espedienti (la voce ora soul ora dream-pop, i numeri delle chitarre su tutti i fronti, la ritmica jazz), sembrerebbe impreziosirlo anche: infine va elevato a capolavoro per la sua statura d'avanguardia (si veda i cambi di tempo). "Hung Upside Down" (Stills) [- 3:24], con la sua poderosa tessitura, dimostra come l'album sia di Stills e Furay (anzi, rappresenta i loro risultati migliori) e non di Young: qui Stills addirittura fa il Tim Buckley (peccato solo per i coretti veniali: d'altra parte ci vuole un Buckley per non necessitarne) e impazzisce (un unicum per lui) nel finale urlato.
"Sad Memory" (Furay) [- 3:00] potrebbe essere per Frank Sinatra e delinea le coordinate dell'impianto presente: a Stills l'avanguardia e le sonorità dure, a Young le epopee magniloquenti, a Furay le canzonette intimistiche. "Good Time Boy" (Furay) [- 2:11] anticipa il country-rock dei Poco con fiati, strascichi blues e soul alla Joe Cocker: qui il tutto riesce e in modo assai esagitato (con tanto di urla e ritmo galoppante). "Rock & Roll Woman" (Stills) [- 2:44] (No. 44 Pop Singles) è tutto tranne che rock: sembrano i Beatles in un film di Leone a fischiettare Morricone; vi sono poi una caterva di arditi esperimenti che dimostrano come, se l'avanguardia del primo album era l'associazione country e rock, quella del presente è - quasi senza rock - pura e a sé stante. Perché non si dice mai, ma Buffalo Springfield Again è un album di avanguardia, e non rock. Ci vuole "Broken Arrow" (Young) [- 6:13] per tornare nel circo rock. Ma solo per un momento: dall'avvio iniziale hard e live si passa a un surrealistico collage (strutturalmente tra Zappa e Cooper, di fatto influenzato dagli esperimenti dei Byrds), con tamburi, archi, tastiere, silenzi e parole al vento. Questo è il brano meno rock, meno folk e meno country di Young.
Buffalo Springfield Again avrebbe dovuto (e tutt'ora dovrebbe) scandalizzare e sconcertare come forse non ha fatto. Altro che folk o country o rock! Questa è avanguardia e i vari stili sono mezzi! Buffalo Springfield Again sembra essere stato composto da un gruppo di marziani pazzi, come Buffalo Springfield da un circolo di nonni.

Nel '67, nell'anno dell'esplosione del rock (Velvet Underground, Doors, Jimi Hendrix, Jefferson Airplane, Pink Floyd), i Buffalo Springfield (che avevano portato al rock) si mettono già dalla parte antitetica dell'avanguardia (Red Crayola, Captain Beefheart, Frank Zappa, Tim Buckley).

Last Time Around (1968) 12 brani, No. 42 Pop Albums
Stephen Stills: Guitar, Keyboards, Vocals
Neil Young: Guitar, Harmonica, Vocals
Richie Furay: Guitar, Vocals
Dewey Martin: Drums
Jim Messina: Bass, Vocals, Producer, Engineer
Questo è l'album più significativo dei Buffalo Springfield nel senso che ne connota l'operare come - con relativa eccezione per il primo album - personaggi che individualmente pubblicavano brani sotto l'egida di un gruppo. Jim Messina e Richie Furay nel '68 si ritrovarono con 3 brani di Young e 5 di Stills - oramai entrambi fuori dal gruppo, mentre Palmer non vi aveva più fatto ritorno. Aggiunse una composizione Messina, 3 Furay e il tutto fu pubblicato.
 

Last Time Around segna tutto sommato un passo indietro. Dall'avanguardia alla reazionarietà. Lo testimonia "On The Way Home" (Young) [- 2:25] (No. 82 Pop Singles), pletorico e inutile power-country a più voci. "It's So Hard To Wait" (Furay/Young) [- 2:03] riparte invece dai Jefferson Airplane della Slick più Nico (più genuflessa), e riesce nel suo minimalismo sussurrato a farsi apprezzare. "Pretty Girl Why" (Stills) [- 2:24] continua appropriatamente e positivamente sulla linea degli esperimenti (adesso latineggianti e sulla linea di Tim Buckley). "Four Days Gone" (Stills) [- 2:53] conferma la solidità dell'artigianato di Stills (vedi gli arrangiamenti impeccabili e non invadenti), ma inizia a far dubitare che si tratti di artigianato appunto (esperimenti fine a se stessi) e non di arte: dovrebbe questa, infatti, essere una confessione (alla Traffic) e non si capisce del tutto cosa confessi. "Carefree Country Day" (Messina) [- 2:35] è un inaspettato bijou tenue tenue di cui si ricorderà ampiamente il Lou Reed più giocherellone (quello che rifà il music-hall). "Special Care" (Stills) [- 3:30] è ancora una miniera da cui i posteri attingeranno - brano lineare e potente, ritmato e cantato come un country aspro (Traffic); le tastiere infine invadono l'insieme.
Last Time Around è tutt'altro che un lavoro raffazzonato e approssimativo. Tali brani lo dimostrano. "In the Hour Of Not Quite Rain" (Callen/Furay) [- 3:45] è eseguito da un'orchestra e potrebbe (relativamente) essere una versione maschile di Nico: cupo, trascendentale e senza età (nemmeno un briciolo di rock). "Questions" (Stills) [- 2:52] è un acid-rock esemplare (ancora da evidenziare il tono simile ai Traffic); "I Am A Child" (Young) [- 2:15] conferma invece che l'ispirazione country e politically-correct-oriented di Young ancora proprio non funziona del tutto. Tuttavia Young compie un grande passo avanti - se non altro formale: vedi la freschezza e corposità del tutto - quel passo che gli consentirà, di lì a breve, l'esordio da solista.
"Uno Mundo" (Stills) [- 2:00] è una clamorosa (e non bella) world-music che anticipa ampiamente Peter Gabriel da una parte e Paul Simon dall'altra ("Graceland"). Stills, tra il '67 ed il '68 almeno, è artista di avanguardia, non un folksinger. "Merry-Go-Round" (Furay) [- 2:02] e "Kind Woman" (Furay) [- 4:10] sono scialbi riempitivi degni del loro autore.
 

Rimasti soli, Messina e Furay, non ebbero nient'altro di più naturale da fare che ribattezzare il proprio operato: nascevano i Poco.

Tutti e tre i lavori dei Buffalo Springfiled sono fondamentali. Il primo per il country-rock, il secondo per l'avanguardia e il terzo per l'avanguardia nel rock. E come classici devono considerarsi



Una freccia spezzata: la fugace avventura dei Buffalo Springfield
di Junio C. Murgia
“Buffalo Springfield Again”, cantava Neil Young su “Silver And Gold”, in uno sfogo di nostalgia canaglia agli inizio di questo secolo. Con le reunion di gruppi storici e non ormai fuori controllo, sembrava che anche il leggendario gruppo californiano potesse tornare insieme, ma il buon Neil ebbe la saggezza di confinare nei suoi labirinti lirici tale amarcord, e di non barattare la sacralità di quell’ epopea per un po’ di fama spiccia.
Già, perché i Buffalo Springfield sono stati indiscutibilmente uno dei protagonisti più significativi della sfavillante stagione westcoastiana, benché la loro parabola sia stata relativamente breve, e abbia funto da trampolino di lancio per le brillanti prosecuzioni dei più talentuosi tra i suoi membri. Una manciata di album sono stati però sufficienti a rilasciare nell’ assolata aria californiana magici brandelli musicali.
Il gruppo si forma a Los Angeles nel 1965. I canadesi Neil Young e Bruce Palmer, arrivati in California assieme a una manciata di amici hippy a bordo di una Pontiac adibita a carro funebre, ritrovano nella città del sole lo spaccone texano Stephen Stills, col quale avevano bazzicato nei locali folk di Toronto, e con gli innesti di Richie Furay e Dewey Martin il gruppo è praticamente fatto. La ragione sociale è scelta in onore di una macchina escavatrice testimone del fatale ritrovo.
La scena del Golden State è particolarmente feconda all’epoca: il lascito della British Invasion è ormai stato metabolizzato, i Byrds stanno scuotendo la tradizione folk elettrificando le canzoni di Bob Dylan, i Beach Boys si accingono a creare il modello definitivo di armonie vocali e perfezione pop mentre da San Francisco si avverte l’epicentro tellurico del montante sisma psichedelico.
Trovando un assetto stabile con la duttile sezione ritmica composta da Palmer al basso e da Martin alla batteria, e con un trio di cantanti-chitarristi composto da Young, Stills e Furay, i Buffalo si tuffano a capofitto nel magma sonoro del periodo, alla ricerca di una propria peculiare cifra stilistica: una ricercata commistione in grado di superare le barriere del folk-rock per esplorare lidi di volta in volta acidi, estatici e cupi, con un sound dinamico e melodicamente incisivo che si regge sulla dirompente personalità di Stills e sulla introversa e diamantina vena di Neil Young: una dicotomia in sede di songwriting che porterà a risultati splendidi.
 

Dopo un periodo passato a farsi le ossa in vari concerti (anche di spalla ai Byrds), nel 1966 arriva il debutto omonimo. Un album che in qualche frangente paga pegno alla giovane età dei suoi autori, ma già comunque in grado di imporre il marchio di fabbrica della band: armonie vocali da favola, intrecci chitarristici taglienti e pastosi (ad esempio in “Go and say goodbye”, country-rock futuristico che batte i Byrds sul loro stesso terreno), una maestria già notevole nell’ampliare il canovaccio folk con influenze latine e jazz ( “Everybody’s wrong”), o di costruire stralunati ed accattivanti slanci onirici ( “Flying on the ground is wrong”). Benché spesso oscurato dal giogo dell’amico-rivale Stills, anche Young inizia a emanciparsi in autore di vaglia: “Nowaydays Clancy can’t even sing ” in particolare è il primo capolavoro del Canadese ( cantata però da Furay): la storia di una ragazza afflitta da sclerosi multipla, resa con una maturità sorprendente in un nevrotico caleidoscopio di emozioni ( alienazione, rifiuto, speranza) dilatato da una miscela che alterna sapientemente sontuose accelerazioni, echi spagnoleggianti e allucinazioni pop. Una pietra d’angolo per il suono westcoastiano, una sicura influenza ad esempio per i Love di “Forever Changes”, album alla cui stesura Young tra l’altro avrebbe brevemente partecipato.
Manca però a “Buffalo Springfield” un brano di punta, in grado di lasciare cinicamente il segno. A questo viene incontro il contesto storico dell’ epoca. Nel Novembre 1966 i malcontenti giovanili per l’escalation americana in Vietnam iniziano a dilagare, e gli
scontri tra poliziotti e manifestanti nel Sunset Strip ispirano a Stephen Stills la composizione di una riflessiva ballata in merito: “For what it’s worth”.
Chi non l’ha mai sentita almeno una volta, tra film come “Forrest Gump”, “Nato il 4 Luglio” e un qualsiasi documentario sui favolosi Sixties? “ There’s something happening here/ what it is ain’t exactly clear…”. Tanto il brano sintetizza in 150 secondi il sound dei Buffalo (un maligno e circolare riff acustico di sapore bluesy che deflagra nel celebre ritornello), tanto cattura felicemente lo spirito turbolento del periodo, il chiedersi appunto “per cosa vale la pena”?, rivolto sia all’establishment che ai rivoltosi, con un’inquietudine tipica di buona parte della gioventù americana prima del 68. Versi come “ Paranoia strikes deep /Into your life it will creep /It starts when you're always afraid /You step out of line, the man come and take you away ” illustrano bene il concetto e catapultano in un baleno i Buffalo Springfield nell’immaginario collettivo.
“For what it’s worth” viene subito inserita come traino all’album di debutto, e ormai Stephen è sempre più leader. La partecipazione al Festival di Monterey certifica la centralità dei nostri nella scena californiana, benché in tale occasione Young venga sostituito da David Crosby dopo l’ennesima lite con Stills.
 

L’uomo dell’Ontario torna nei ranghi per la registrazione del nuovo album. Nonostante le bizzarrie di cavallo pazzo Neil e i problemi di droga e visto dello scoppiato Palmer, il capolavoro è nell’aria e infatti “Buffalo Springfield Again”, uscito nel dicembre 1967, è tra gli apici artistici di quell’irripetibile anno. Le dieci composizioni qui presenti da un lato metabolizzano le esperienze precedenti, e dall’altra sfuggono a qualsiasi semplicistica definizione, anche in ambito westcoastiano. Dalle cangianti armonie flower power della celeberrima “Rock and roll woman” (l’ acme compositivo di Stephen) alle ruvide pistolettate western di “Mr. Soul” (cinica e toccante auto-confessione di Neil), dal vibrante canto libero di “Bluebird” ( con intermezzo dal sapore latino di Stills da brividi) alle stupefacenti congerie di acide intuizioni tra blues e jazz di “Hung upside down” e “Everydays” alla rarefatta nenia agreste di “A child’s claim to be free” (il miglior pezzo di Furay), è quasi sempre il texano a condurre le danze. Neil riesce però a rubargli la scena con due arzigogolati numeri psichedelici, registrati con l’ausilio del produttore Jack Nitzche, noto come “Phil Spector in acido”, col quale Neil collaborerà in seguito su “Harvest”, senza eguagliare tuttavia tali vette.
Il passo lento e malinconico di “Expecting to fly” si regge su celestiali orchestrazioni e su divagazioni lisergiche, forgiando un archetipo basilare del pop, a partire da tutti i gruppi indie neo-psycho ( Grandaddy, Mercury Rev, Flaming Lips).
“Broken arrow” inaugura invece la peculiare epica americana di Young, in una frenesia iridescente in cui si rincorrono gli spettri dell’american dream e i tormenti del canadese, giostrati magistralmente dal suo inconfondibile falsetto. Questa sublime composizione pianistica, intervallata da bizzarri campionamenti per sfociare in una coda zappiana, suggella alla perfezione il disco, e con esso di fatto l’avventura dei Buffalo.
Il 1968 è infatti l’anno della dissoluzione, prima Bruce Palmer viene rimpiazzato da Jim Messina, e poi i contrasti tra Young e Stills portano all’inevitabile scioglimento. Esce quindi “Last Time Around”, epitaffio in cui svettano due ballate younghiane – “On the way home” e “I am a child – che col loro nitore acustico prefigurano uno dei lati più felici della sua futura carriera solista, ma che non aggiunge granché alla leggenda. Sulla quale cala il sipario dopo l’ultimo concerto alla Long beach Arena il 5 maggio.
Stills a quel punto afferma il suo talento di strumentista nelle Supersessions con Al Kooper e Mike Bloomfield , quindi si unisce a Crosby e Nash in tempo per cogliere l’oceanica acclamazione della Woodstock generation, cooptando l’anno dopo lo stesso Neil in modo da litigare e rincorrersi artisticamente come ai bei tempi.
L’uomo dell’Ontario a sua volta incide un album solista poco fortunato ( benché splendido),e poi troverà l’alchimia perfetta con una garage band losangelina che ribattezzerà Crazy Horse. Neil ìilluminerà i freddi anni ‘70 in molteplici sfaccettature – l’armonia dell’onda hippie, il dolore e le illusioni spezzate negli abissi di droga e morte, la rinascita con la tempesta di feedback di “Rust Never Sleeps”– per arrivare con invidiabile smalto fino ai giorni nostri, mentre il fuoco creativo di Stephen si spegnerà inesorabilmente. Meno memorabili le tracce lasciate dagli altri membri.
Furay e Messina formeranno i Poco, brillante combo country rock laddove lo svitato Palmer darà alle stampe un unico lavoro, “The Cycle Is Complete”: perla nera plasmata da una apocalittica e pazzesca psichedelia, estratta da una convulsa e pirotecnica jam con membri dei Kaleidoscope (USA), un album tanto morbosamente bello quanto ingiustamente dimenticato, per poi tornare nell’oblio, fino alla morte avvenuta qualche anno fa.
Cosa rimane dei Buffalo Springfield, oggi? Il lascito di un gruppo eclettico e irruento, visionario e incantevole, epitome della concezione del rock come sturm und drang del XX secolo. Cinque musicisti figli di un’epoca irripetibile e capaci di tracciare sentieri sonori che non cessano di illuminare chiunque ancora ci si addentri.
 

1966 Secondo le cronache i Buffalo Springfield nascono il 3 marzo a Los Angeles, su impulso di Stephen Stills. La sigla è quella di una macchina schiacciasassi dell'iconografia western. In giugno esordisco no all'Hollywood BowI, di spalla ai Rolling Stones; il mese successivo inaugurano la carriera discografica con una canzone di Neil Young, Nowadays Clancy Can't Even Sing. 1967 Già nel primo album, con sette brani firmati da Stills e cinque da Young, è evidente l'acceso dualismo artistico e personale tra i due leader, destinato a perdurare a lungo, fino all'interno del supergruppo CSN&Y. Qualche settimana dopo, Stills scrive For What Is Worth (n.7 USA), splendida ballata che diventa subito uno dei grandi inni della generazione dei fiori e lancia la band nel variegato universo del folk rock americano (sarà aggiunta nelle successive edizioni del primo album). STAMPEDE è il titolo previsto del secondo album, rimasto però inedito. Nonostante il buon successo, il gruppo vive in una malcelata precarietà, segnata da frequenti avvicendamenti, e con Young sempre più spesso assente (al Festival di Monterey lo sostituisce David Crosby). Dopo due altre canzoni di Stills su 45 giri, Bluebird e Rock & Roll Woman, Young ritorna per le registrazioni di AGAIN, portando con sé tre brani importanti come Mr. Soul, Expecting To Fly e Broken Arrow. 1968 Le tensioni tra i due leader portano allo scioglimento ufficiale. Jim Messina, già tecnico del suono di AGAIN, si incarica di assemblare vari scarti di studio (tra i quali On The Way Home e I AmA Child, di Young) per un terzo album, LAsT TIME AROUND. A quella data Stilis è già impegnato con Al Kooper e Mike Bloomfield nella celebre SUPERSESSION (sarà poi con Crosby e Nash); Young sta registrando il suo primo album da solista; Furay e Messina hanno formato i Poco; Martin pubblica un disco a suo nome e gira in concerto usurpando il nome del gruppo; Palmer pubblica lo splendido THE CYCLE IS COMPLETE (Verve), irripetibile incursione nei territori di certo folk esotico free,form. 1985-1988 Palmer e Martin girano i circuiti nostalgici americani a capo dei Buffalo Springfield Revisited, che si fanno vedere di tanto in tanto anche negli anni successivi, soprattutto nei casinò di LasVegas. La band originale partecipa invece alle celebrazioni per il quarantesimo anniversario della Atlantic, nel 1988. 2001 Dopo lunga attesa e molti ripensamenti vede la luce un bel cofanetto retrospettivo, 4 CD con l'opera omnia del gruppo e molti inediti.


Buffalo Springfield, la band del compressore stradale

di Gianni Lucini

Il 3 marzo 1966 a Los Angeles nascono i Buffalo Springfield. La band unisce musicisti dalle esperienze più varie ed è destinata a lasciare un segno profondo nella storia del rock. Ne fanno parte tre chitarristi ricchi di talento e di idee come Stephen Stills e Richie Furay, provenienti dal gruppo folk degli Au Go Go Singers e il canadese Neil Young dei Mynah Birds, da cui proviene anche il bassista suo connazionale Bruce Palmer. La formazione è completata da un altro canadese: il batterista Dewey Martin già con i Dinah. In un primo momento al gruppo si era unito anche il bassista Ken Koblun, ma la sua collaborazione era durata lo spazio di un respiro. Da tempo Stills e Furay inseguivano l'idea di mettersi insieme a Young, ma per varie ragioni il canadese si era sempre sottratto agli impegni. La leggenda racconta che, proprio quando i due chitarristi, rotti i ponti con il loro gruppo, stavano ormai pensando a una soluzione diversa, Neil Young li avesse raggiunti a Los Angeles viaggiando in autostop e compiendo l'ultimo tratto di strada a bordo di un carro funebre. Leggende a parte il 3 marzo 1966 il gruppo è ormai una realtà, anche se non ha un nome. La soluzione è presto trovata. In una pausa della riunione costitutiva, Furay si alza per sgranchirsi le gambe e osserva fuori dall'appartamento gli operai di un cantiere stradale. Accanto a loro c'è un compressore che reca sul fianco il nome della ditta produttrice: Buffalo Springfield. Lo propone ai compagni che accettano. Nasce così uno dei più gruppi più amati dal movimento hippy. Una serie di concerti al fianco dei Byrds e regolari quanto affollate esibizioni al "Whisky a go go" sul Sunset Strip di Los Angeles li imporranno all'attenzione dei produttori più svegli e intuitivi. I primi a occuparsi di loro saranno Charlie Green e Brian Stone, il manager di Sonny & Cher. I due garantiranno alla band un contratto con la Atlantic e, soprattutto, un anticipo di ben dodicimila dollari. Nell'estate del 1966 i Buffalo Springfield pubblicheranno il loro primo singolo Nawadays Clancy can't even sing, un brano scritto da Neil Young che verrà censurato per il testo. Non otterrà grandi risultati commerciali, ma contribuirà a far conoscere la band fuori dai confini della California Sarà l'inizio di una breve ma intensa produzione che farà del gruppo uno dei principali artefici del progressivo spostamento del folk verso i suoni elettrici e aggressivi del country rock.