MAGGIE'S FARM

sito italiano di BOB DYLAN

 

TOGETHER THROUGH LIFE

 

Bill Flanagan intervista Bob Dylan

D: Questo nuovo album mi ricorda molto la casa discografica Chess degli anni ’50. Quel sound è nato per caso mentre suonavi o l’avevi già in mente?

R: E’ vero che certi pezzi hanno quel tipo di feeling ma forse perché sono stati suonati in una certa maniera…

D: Ti piace quel tipo di sound?

R: Certo, mi piace molto. I sound della Chess Records oppure della Sun Records credo che siano il mio suono preferito per un disco.

D: Cosa ti piace di quel suono?

R: Mi piace l’atmosfera, l’intensità… il sound è pulito. Si sentono forza e “suspence”… l‘intera vibrazione sembra partire dalla mente, è viva. È tutta lì. Ti rimane in testa come un mal di denti!

D: Pensi che i Chess Brothers sapessero cosa stavano facendo?

R: Oh, certo, come non potevano saperlo? Però non credo sapessero che stavano facendo la storia.

D: Hai mai incontrato Howlin’ Wolf ? Muddy Waters?

R: Ho visto Wolf esibirsi un paio di volte ma non l’ho mai incontrato. Muddy lo conoscevo un pochino.

D: Credo che un sacco di uomini saranno in grado di identificarsi con la canzone “My Wife’s Home Town”, hai mai avuto problemi con i tuoi parenti a causa di una canzone?

R: No, veramente no. L’unica persona che potrebbe avere qualcosa da dire su quel pezzo l’ha apprezzato molto. Comunque la canzone va presa come un complimento.

D: Durante le cene coi parenti ti è mai capitato che qualcuno venisse da te e ti chiedesse di scrivere una canzone appositamente per loro?

R: Beh, si, la moglie di un mio zio mi chiedeva sempre “Bobby, quando scriverai una canzone su di me?...così posso sentirla sulla radio?”. Mi faceva sentire a disagio.

D: Come ne uscivi?

R: Io dicevo “l’ho già fatta, zia, è che non ascolti le stazioni radio giuste!”.

D: Hai un’immagine chiara in testa di dove esattamente queste canzoni hanno luogo? Dove si trova il tipo in “Life is hard” quando canti quella canzone?

R: Beh, il film è un tipo di viaggio che parte da Kansas City e finisce a New Orleans. Il tipo probabilmente si trova lungo quella strada.

D: Il film?

R: Esatto.

D: Giusto. Hai menzionato qualcosa a riguardo prima, come sei stato coinvolto nel progetto?

R: Il regista francese Olivier Daham si è messo in contatto con me chiedendomi di comporre la canzone per il film che stava scrivendo e girando.

D: E quando è stato?

R: Non ricordo esattamente. Era l’anno scorso.

D:Cosa hai trovato interessante di questo film? Credo che ti chiedano cose del genere molto spesso…

R: Avevo visto un film fatto da lui, quello sulla cantante francese Edith Piaf, e mi è piaciuto molto.

D: Di cosa parla questo film?

R: E’ una specie di viaggio. Un viaggio per ritrovarsi. È ambientato nel sud degli Stati Uniti.

D: Chi sono i protagonisti?

R: Quando stavamo parlando non sapevo chi ci sarebbe stato. Credo Forest Whitaker e Renee Zellweger siano i protagonisti ora.

D: E voleva che tu facessi la colonna sonora?

R: Si. Non è stato troppo specifico, l’unica cosa di cui aveva bisogno per certo era una ballata che potesse cantare il protagonista verso la fine del film, e quella canzone è “Life is hard”.

D: Allora tutte le canzoni di questo nuovo disco sono state scritte per il film?

R: Beh, no, veramente no. Abbiamo iniziato con Life Is Hard e poi tutta la registrazione ha cominciato ad avere la sua direzione.

D: Il nuovo album è molto diverso da Modern Times, che è stato un successo mondiale. Sembra che ogni volta che hai un grande successo, la volta dopo cambi le cose completamente…perché non cerchi di sfruttare un po’ di più quel genere?

R: Credo che l’abbiamo sfruttato il più possibile nell’ultimo disco. Abbiamo prosciugato il genere. Tutte le canzoni di Modern Times sono state scritte e eseguite al massimo delle possibilità, così avevano un po’ di tutto. Queste nuove canzoni hanno una connotazione più romantica.

D: In che modo?

R: Queste canzoni non hanno lo stesso scopo. Quelle di Modern Times hanno modernizzato il mio repertorio e la luce puntava in una certa direzione. Devi sempre avere in mente un certo target di audience, altrimenti non ha senso.

D: Cosa intendi con questo?

R: Non sembrava esserci nessun consenso generale tra i miei ascoltatori. Alcuni preferivano le mie prime canzoni, altri le seconde, altri il periodo cristiano, altri quello post-colombiano, altri quello pre-raffaellita. Altri ancora le canzoni degli anni ’90. Io vedo che alla mia audience di oggi non importa particolarmente di che periodo siano le mie canzoni, ma sentono stile e sostanza in una maniera più viscerale e gli va bene così. Le immagini non danno fastidio a nessuno. Tipo, se c’è un astrologo con una fedina penale sporca in una delle mie canzoni, questo non fa pensare a nessuno che la razza umana sia spacciata! Le immagini sono prese per quel che sono e questo mi ha fatto sentire più libero.

D: In che modo?

R: Beh, ad esempio, se ci sono ombre e fiori e zone paludose in una composizione, quello è ciò che sono nella loro essenza. Non c’è mistificazione, questo è un modo di spiegarlo.

D: Come una locomotiva? Un paio di stivali? Un bacio o la pioggia?

R: Giusto. Tutte quelle cose sono ciò che sono, o pezzi di ciò che sono. E’ il modo in cui le sposti che le fa funzionare.
 

D: C’è molta violenza in queste canzoni: avvisi chiunque vada a Houston di tenere ben salda la pistola nella fondina, qualcun altro ha addosso l’arma del sabato sera in JOLENE, c’è uno spietato assassino che terrorizza la città in IT’S ALL GOOD e la donna in MY WIFE’S HOME TOWN sta per far sì che il cantante ammazzi qualcuno. Secondo te inserire della violenza in una canzone alza la posta?

R: In che senso?

D: Fa della canzone una cosa più rischiosa?

R: Beh, no. Il punto principale è far sapere le cose senza arrabbiarsi. Io credo che qualsiasi cosa sia lì è giustificata. Queste cose si scelgono attentamente.

D: Hai lavorato in molte aree diverse ultimamente. Il tuo libro è stato un best-seller, hai recitato in un film, “Theme Time Radio Hour” è molto popolare e hai esibito le tue opere d’arte. La tua musica risente di questo lavorare in diversi campi mediatici?

R: Credo che se succede, succede l’inverso.

D: Con Chronicles ha funzionato così?

R: Beh, sì. Chronicles ha il suo proprio ritmo. E credo che questo venga fuori dalle canzoni.

D: Cosa mi dici della tua arte?

R: E’ stata una cosa improvvisa, non calcolata. Ho sempre disegnato e dipinto, ma fino a poco fa nessuno si era mai interessato. Non c’è mai stato alcun supporto.

D: E ora?

R: Beh, ho avuto una mostra in un museo, sono associato ad una galleria di Londra, e ci sarà probabilmente un’altra mostra di lavori nuovi nel 2010 in un altro museo europeo. Ora faccio fatica a stare al passo. Mi hanno commissionato dei dipinti e vogliono che lavori con il ferro e il piombo.

D: Come trovi i tuoi soggetti?

R: Io disegno ciò che mi interessa e poi lo dipingo. File di case, acri di frutteti, linee di tronchi d’albero, può essere qualsiasi cosa. Posso prendere un cesto di frutta e trasformarlo in un dramma di vita e morte. Le donne sono figure di potere e le ritraggo in questo modo. Posso trovare gente da dipingere in comunità di case mobili. Potrei anche dipingere gente borghese. Non sto cercando di fare un commento sociale o soddisfare il punto di vista di qualcuno e posso trovare materiale ovunque. Credo che questo venga fuori in qualche modo dal mondo folk in cui sono cresciuto.

D: Mettiamo che ti svegli e sei in una stanza di hotel a Wichita e guardi fuori dalla finestra. Una bambina sta camminando lungo i binari del treno, trascinando una grande statua di Buddha in un carretto di legno e c’è un cane con tre zampe che la segue. Vai a prendere la chitarra o il tuo blocchetto da disegno?

R: Oh, wow. Dipende da molte cose. L’ambiente, principalmente; ad esempio che tipo di giornata è. È una giornata senza nuvole, dal cielo blu-grigio o sembra che stia per piovere? Una bambina che trascina un carro con dentro una statua? Probabilmente lo metterei per ultimo. Il cane con tre zampe, che tipo? Un cocker, un bulldog, un retriever? Questo farebbe la differenza. Ci dovrei pensare. Dipende da che angolo sto osservando il tutto. Secondo piano, terzo piano, ottavo piano, non lo so. Forse vorrei scendere laggiù. Anche i binari del treno, dovrei trovare un modo per connettere tutti gli elementi. Credo che comincerei a pensare se tutto ciò è un presagio o un segno premonitore di qualcosa.

D: Un giovane che volesse far carriera nel mondo artistico e incontrare molte donne, dovrebbe imparare a dipingere o a suonare la chitarra?

R: Probabilmente nessuna delle due. Se ha in testa le donne dovrebbe pensare a diventare un avvocato o un dottore.

D: Seriamente?

R: Si, seriamente. Magari un detective privato, ma quella sarebbe una motivazione sbagliata per qualsiasi carriera.

D: In IF YOU EVER GO TO HOUSTON I personaggi mandano messaggi a tre sorelle di Dallas; due se la cavano con un saluto amichevole ma l’altra viene avvisata di “pregare la preghiera dei peccatori”. Cos’è la preghiera dei peccatori?

R: E’ quella che comincia con “perdonami padre perché ho peccato”.

D: Il tizio in IF YOU EVER GO TO HOUSTON dice di essere stato a Houston durante la Guerra Messicana. Molte persone credono che gli angli abbiano trattato male gli spagnoli nel Texas ma dimenticano il fatto che gli spagnoli avevano proclamato il Texas come parte del Messico senza mai averlo popolato. Disegnarono solo una gran linea sulla cartina e dissero “Tutto questo è nostro”. Le persone che effettivamente vivevano li erano coloni angli o nativi indiani, e nessuno di loro voleva niente a che fare con la Spagna o la sua colonia messicana. Pensi che Sam Houston abbia avuto un’accusa immeritata?

R: Non lo so. Non ho mai sentito che avesse avuto un’accusa immeritata. Stiamo parlando di Sam Houston lo statista, soldato e politico? Sam Houston era il governatore di due stati, Texas e Tennessee. Chi altri l’ha mai fatto! Per cosa avrebbe dovuto avere un’accusa immeritata?

D: Beh, ha tagliato via il Texas dal Messico.

R: No, non l’ha fatto. L’ha tagliato via dalla Spagna. Esattamente come qualcun altro ha tagliato via la Florida dalla Spagna. Dove subentra l’accusa immeritata?

D: Qualcuno l’ha insultato nel film “Il gigante”, il che ha fatto arrabbiare Rock Hudson. E credo che Steve Earl l’abbia criticato o forse era Colonel Travis.

R: “Il gigante” è tutto sui soldi. È dove Jimmy Dean dice a Rock Hudson “Io avrò più soldi di te e di tutti voi fetenti figli di Benedict”. Pensai che fosse questo il motivo che aveva fatto irritare così tanto Rock. Steve Earl, lui può sapere delle cose che io non so. Per quanto riguarda Travis, era un avvocato ed è morto ad Alamo. Poteva essere qualcosa di personale.

D: Le sezioni strumentali nei tuoi album hanno una qualità differente dalle solite sessioni rock strumentali. Per esempio, in un album degli Aerosmith, almeno una parte è sull’assolo di Joe Perry. Mentre c’è un suono magnifico in BEYOND HERE LIES NOTHING, non si sente la tradizionale tecnica dell’assolo di chitarra. C’è un modo speciale in cui ti cimenti nella sessione strumentale di un disco?

R: Cosa posso dire, se avessi Joe Perry con me tutto sarebbe ovviamente diverso. Però, di fatto, non è qui. Gli assoli non sono una grande parte dei miei dischi, comunque. Nessuno li compra per ascoltare assoli. Ciò che cerco di fare è assicurarmi che le sezioni strumentali siano dinamiche e siano estensioni del sentimento complessivo della canzone.

D: Chi è che suona con te qui?

R: Mike Campbell.

D: Hai già avuto altre esperienze con Mike?

R: Si. Ha suonato molto con me quando suonavo con Tom Petty

D: Ho visto alcuni di quegli show. Mi piaceva particolarmente il segmento in cui durante lo show eravate solo tu e Mike e Benmont e niente basso o percussioni.

R: Si, siamo riusciti a sistemarci bene. Avrei sempre voluto vedere come la cosa si sarebbe sviluppata… ma non è andata così.

D: Com’è lavorare con lui?

R: E’ bravo con me. Ha suonato con Tom per così tanto tempo che sente le cose dal punto di vista di chi scrive i testi e sa suonare qualsiasi stile.

D: C’è molta fisarmonica in quest’album, in posti in cui t’aspetteresti l’armonica o l’organo o l’assolo.

R: Si, credo di si. La fisarmonica può sembrare tutti questi strumenti. Infatti, ora avrei voluto averne usata di più in alcuni dei miei album precedenti.

D: Chi la suona?

R: David Hidalgo.

D: Avete mai suonato insieme prima?

R: Credo di si. Los Lobos hanno suonato con me in alcuni show in Messico qualche tempo fa. Mi ricordo anche di aver suonato qualcosa con David e Cesar.

D: C’è possibilità che aggiungerai una fisarmonica sul palco quindi?

R: Beh, certo. Se riesco ad inserirla nella mia sessione ritmica.

D: Hai scritto queste canzoni con la fisarmonica in mente o ti è sovvenuta durante le sessioni di registrazione?

R: Uso la fisarmonica quando faccio i fuori programma. È uno strumento perfetto in molti sensi. È orchestrale e di percussione allo stesso tempo. Effettivamente i suonatori di fisarmonica sono stati i primi musicisti che ho visto numerosi crescendo.

D: “Aprì i suoi occhi al suono della fisarmonica”.

R: Precisamente.

D: Dimmi di Joe Gallo.

R: Dirti cosa?

D: Hai scritto una canzone su di lui. Alcuni dicono che ci vuole libertà con la verità.

R: Davvero? Non saprei. Jacques Levy scrisse le parole. Jacques aveva una mente teatrale e scrisse molte opere. Quindi la canzone avrebbe potuto essere teatro della mente. Io l’ho solo cantata. Alcuni dicono che Davy Crockett si prende molte libertà con la verità e anche Billy The Kid – FDR in Trinidad. L’hai mai sentito?

D: Certamente me lo ricordo. “Quando Roosevelt arrivò nella terra del colibrì”. Mi domando se qualcuno in Georgia o Ucraina abbia mai scritto una canzone sulla visita di George Bush? Io so che hanno dato il nome alla via dell’aeroporto in suo onore e la sua popolarità in quei posti è rimasta molto alta, anche quando nessuno a casa lo sosteneva.

R: Danno i nomi alle vie in onore di molti…

D: In MY WIFE’S HOME TOWN c’è una frase “Comunque i sogni non hanno mai funzionato per me”. Ci credi veramente?

R: Beh, si. I sogni ti possono portare in vicoli ciechi. Tutti hanno sogni. Andiamo a dormire e sogniamo. Ho sempre creduto che venissero dal nostro subconscio. Credo che si possano interpretare. I sogni ci possono raccontare molto di noi stessi, se riusciamo a ricordarceli. Qualche volta, possiamo anche prevedere ciò che star per accadere dietro l’angolo anche senza veramente girare l’angolo.

D: Non possono anche significare speranza nel futuro?

R: Oh, certo. Credo dipenda da come usiamo la parola. Speranza nel futuro? Io li ho sempre connessi con la paura del futuro. Speranza e paura vanno di pari passo, come una coppia di comici. Ma so di cosa stai parlando. Come nella canzone degli Everly Brothers ALL I HAVE TO DO IS DREAM (TUTTO CIO’ CHE DEVO FARE E’ SOGNARE). Se avessero detto “tutto ciò che devo fare è sperare” non avrebbero detto la stessa cosa. Non sarebbe così d’impatto.

D: E i sogni politici?

R: Oh, si. I politici hanno sogni politici – sogni e ambizioni. Forse stiamo parlando di due cose diverse.

D: Cosa pensi della politica?

R: La politica è intrattenimento. È uno sport. È per i ben curati e i benestanti. Quelli vestiti impeccabilmente. I festaioli. I politici sono intercambiabili.

D: Non credi nel processo democratico?

R: Si, ma cosa c’entra con la politica? La politica crea più problemi di quanti non ne risolva. Può essere controproducente. Il potere vero è nelle mani di piccoli gruppi di persone, che non credo ne abbiano titolo.
 

D: Nella canzone CHICAGO AFTER DARK stavi pensando al nuovo presidente?

R: Veramente no. È più una cosa riferita a State Street e al vento al largo del Lago Michigan e a come a volte conosciamo le persone e non siamo più per loro ciò che eravamo. Stavo cercando di seguire una sensazione che avevo ai vecchi tempi.

D: All’inizio ti piaceva Barack Obama. Come mai?

R: Avevo letto il suo libro e mi aveva intrigato.

D: Audacity of Hope?

R: No, si chiamava Dreams of my Father.

D: Cosa ti colpì di lui?

R: Beh, un po’ di cose. Ha un vissuto interessante. È come un personaggio inventato, ma è reale. Per prima cosa, sua madre era una ragazza del Kansas. Benché non abbia mai vissuto in Kansas, vi aveva delle radici profonde. Sai, come Kansas sanguinario Kansas. John Brown l’insurrezionista. Jesse James e Quantrill. Chi tendeva imboscate, guerriglieri. Il Kansas del Mago di Oz. Io credo che Barack abbia Jefferson Davis da qualche parte tra i suoi antenati. E poi suo padre: un intellettuale africano. Eredità di tipo Bantu, Masai, Griot, mandriani, cacciatori di leoni. Voglio dire, è così incongruente che queste due persone si incontrino e si innamorino. Puoi anche sorvolare su questo però, e poi sei nella sua storia. Come un’Odissea, ma al contrario.

D: In che senso?

R: Prima di tutto, Barack è nato alle Hawaii. La maggior parte di noi pensa che le Hawaii siano un paradiso – quindi penso che si possa dire che è nato in paradiso.

D: Ed è stato buttato fuori dall’Eden.

R: Non esattamente. Sua mamma sposò un altro tizio chiamato Lolo e poi portò Barack a vivere in Indonesia. Barack frequentò entrambe una scuola Musulmana ed una Cattolica. Sua mamma si svegliava alle 4:00 di mattina per insegnargli le lezioni tre ore prima che andasse a scuola. E poi andava a lavorare. Questo ci dice che tipo di donna era. E questo è solo l’inizio della storia.

D: Cos’altro hai trovato di trainante in lui?

R: Beh, prevalentemente la sua visione delle cose. Il suo stile di scrittura ti colpisce su più livelli. Ti fa sentire e pensare allo stesso tempo e questo è difficile da fare. Dice cose profondamente oltraggiose. Mentre sta guardando una testa rimpicciolita messa in una teca di vetro in un museo con un gruppo di altre persone, pensa se qualcuno si rende conto che potrebbe stare osservando uno dei propri antenati.


D: Che cosa del suo libro ti fa pensare che potrebbe essere un bravo politico?

R: Beh, nulla in realtà. In un certo senso penseresti che essere coinvolto in politica sarebbe l’ultima cosa al mondo che quest’uomo vorrebbe fare. Credo che abbia avuto un lavoro in una banca d’investimento a Wall Street per un momento – vendendo bond tedeschi. Ma avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. Se leggi il suo libro capisci che è stata la carriera politica ad andare da lui. Era lì per essere intrapresa.

D: Pensi che sarà un buon presidente?

R: Non ne ho idea. Sarà il presidente migliore che potrà essere. La maggior parte di queste persone arriva con le migliori delle intenzioni e se ne va come uomo sconfitto. Johnson è un buon esempio di ciò… Nixon, Clinton in qualche modo, Truman, e tutti gli altri andando indietro. Sai, è come se tutti volassero troppo vicini al sole e si bruciassero.

D: Hai mai letto qualche altra biografia presidenziale?

R: Si, quella di Grant.

D: Com’era? Qualche somiglianza?

R: I tempi erano diversi, ovviamente. E Grant ha scritto il suo libro dopo aver lasciato la presidenza.

D: Cosa hai trovato interessante in lui?

R: Non è un grande scrittore, è analitico e freddo, ma ha il senso dell’humor. Grant, a parte essere uno stratega militare, era un lavoratore. Lavorava coi cavalli. Si occupava dei cavalli, arava e faceva solchi. Segava la legna e guidava carri da quando aveva 11 anni. Aveva una memoria cristallina di tutte le battaglie in cui era stato.

D: Ti ricordi qualche battaglia in particolare che ha combattuto?

R: Ce ne sono state molte, ma quella di Shiloh è la più interessante. L’avrebbe potuta perdere ma era determinato a vincere a qualsiasi costo, usando qualsiasi tipo di strategia, persino bleffando la ritirata. Potresti leggerla tu stesso.

D: Quando ripensi alla Guerra Civile, una cosa che dimentichi è che nessuna battaglia, tranne quella di Gettysburg, è stata combattuta al nord.

R: Si, probabilmente è questo il motivo per cui il Sud del paese è così diverso.

D: C’è una certa sensibilità, ma non sono sicuro di come ciò sia connesso….?

R: Deve essere l’aria del Sud. È piena di fantasmi vaganti e spiriti disturbati. Stanno tutti urlando e sono senza speranza. È come se fossero incagliati in qualche strana ragnatela – una specie di purgatorio tra il paradiso e l’inferno e non possono riposare. Non possono vivere e non possono morire. È come se fossero stati tagliati fuori nel fiore degli anni, e volessero dire qualcosa a qualcuno. È dappertutto. Ci sono campi di battaglia dappertutto… spesso anche nei giardini privati delle persone.

D: Li hai sentiti?

R: Oh, certo. Ne saresti sorpreso. Ero nella città di Elvis, Tupelo. E stavo provando a sentire ciò che avrebbe potuto sentire Elvis mentre stava crescendo.

D: Hai sentito tutta la musica che deve aver sentito Elvis?

R: No, ma ti dico cosa ho sentito. Ho sentito i fantasmi della sanguinosa battaglia che Sherman ha combattuto contro Forrest, sconfiggendolo. C’è un’aria inquietante in quella città. Una tristezza che permane. Anche Elvis deve averla sentita.

D: Sei una persona mistica?

R: Assolutamente.

D: Ti sei mai chiesto il perché?

R: Credo che sia la terra. I ruscelli, la foresta, l’ampio vuoto. La terra mi ha creato. Io sono selvaggio e solitario. Anche mentre viaggio per le città, mi sento più a casa in posti solitari. Ma ho amore per l’umanità, per la verità e per la giustizia. Credo di avere una natura dualistica. Sono più un tipo per avventure che un tipo per le relazioni.

D: Ma l’album è tutto sull’amore, amore ritrovato, amore perso, amore ricordato, amore negato…

R: L’ispirazione è una cosa che non viene spesso. La devi raccogliere quando la trovi.
 

PART 4

D: tornando alla politica, cosa pensi di Jesse Ventura, essendo originario del Minnesota?

R: ha fatto delle cose buone, o ci ha provato. Non l’ho mai conosciuto. Tutto ciò che so del governatore è che è un fan dei Rolling Stones.

D: i tuoi vecchi conoscenti?

R: sento Keith ogni tanto, ma questo è tutto.

D: cosa pensi degli Stones?

R: cosa penso di loro? Direi che sono alla fine, no?

D: hanno avuto un tour enorme l’anno scorso. Tu questo lo chiami “alla fine”?

R: ah, si, intendi dire “Steel Wheels”. Non sto dicendo che non vadano avanti, ma hanno bisogno di Bill. Senza di lui sono una funk band. Saranno i veri Rolling Stones quando riavranno Bill.

D: Bob, sei rimasto agli anni ‘80!

R: lo so. Sto cercando di liberarmi!

D: davvero pensi che gli Stones siano finiti?

R: certo che no. Sono tutt’altro che finiti. Gli Stones sono veramente la migliore rock’n’roll band al mondo e lo saranno sempre. L’ultima, anche. Tutto ciò che è venuto dopo di loro, metal, rap, punk, new wave, pop-rock e così via… puoi dire che venga dagli Stones. Sono stati i primi e gli ultimi e nessuno l’ha mai fatto meglio.

D: THIS DREAM OF YOU ha questo magnifico feeling “a sud della frontiera”, ma allo stesso tempo sento gli eco di Sam Cooke, the Coasters, the Brill Building e Phil Spector. Questi album degli anni ’50 e ’60 sono stati importanti per te? Hai provato a catturare un po’ di quel gusto in THIS DREAM OF YOU?

R: quei dischi dei ’50 e ’60 sono stati sicuramente importanti. Quella può considerarsi l’ultima grande epoca di vera musica. Da allora o forse dai ’70 è solo stata gente che sapeva usare il computer. Sam Cooke, the Coasters, Phill Spector tutta quella musica è stata grande, ma senza avere in me un’influenza consapevole. Ai tempi ascoltavo Son House, Leadbelly, the Carter Family, Memphis Minnie e ballate di morte e d’amore. Per quanto riguarda lo scrivere canzoni, volevo scrivere canzoni come Woody Guthrie e Robert Johnson. Eterne e senza tempo. Solo alcune di quelle ballate da radio sono ancora credibili e la maggior parte di loro hanno in sé il tocco di Doc Pomus. Spanish Harlem, Save the Last Dance for Me, Little Sister… poche altre. quelle erano canzoni fantastiche. Doc era un tipo d’anima buona. Se mi dici che si sente un po’ di lui in THIS DREAM OF YOU, lo prenderò come un complimento.

D: anche se molte delle canzoni dell’album parlano d’amore, l’album è pieno di dolore – a volte nella stessa canzone. In BEYOND HERE LIES NOTHING la canzone è sottolineata da una sensazione di preveggenza. Ti stai muovendo lungo una “boulevard of broken cars”. Amerai “as long as love will last”. Il dolore è una parte necessaria dell’amore?

R: oh si, nelle mia canzoni lo è. Dolore, sesso, omicidio, famiglia… va molto indietro nel tempo. Gentilezza, onore, carità… devi incastrare tutto come un puzzle. Dovresti sapere queste cose.

D: tornando a THIS DREAM OF YOU, il personaggio canta “how long can I stay in this nowhere cafè?” Dov’è quel cafè?

R: suona come se fosse a sud della frontiera, o vicino alla frontiera.

D: non lo riveli?

R: beh, no, non è che non lo voglia dire. Ma se hai quel tipo di pensieri e sentimenti sai dov’è il personaggio. È proprio dove sei tu. Se non hai quei sentimenti e pensieri, allora lui non esiste.

D: il personaggio della canzone mi ricorda molto il protagonista della canzone ACROSS THE BORDERLINE.

R: so cosa stai dicendo. Ma non è un personaggio come quelli di un libro o un film. Non è un autista di autobus e non guida un muletto. Non è un serial killer, sono io che lo canto, chiaro e semplice. Non dobbiamo confondere cantanti e artisti con attori. Gli attori direbbero: “Il mio personaggio questo… il mio personaggio quello…”. Come uccidere un uomo morto. Chi se ne frega del personaggio? Alzati in piedi e recita. Non devi spiegarmelo.

D: beh, un cantante non può recitare una canzone?

R: si, certo, molti di loro lo fanno. Ma più reciti e più ti allontani dalla verità. E molti di quei cantanti perdono se stessi dopo un po’. Canti “io lavoro per le telecomunicazioni della contea” e se lo senti un certo numero di volte cominci ad arrampicarti sui pali.

D: che attore ci vedresti a cantare THIS DREAM OF YOU?

R: beh, non lo so, James Cagney, Mickey Rooney.

D: e che ne pensi di Humphrey Bogart?

R: Si, certo, anche lui. Interessante la storia degli attori e l’identità… ogni volta che incontro Val Kilmer non posso trattenermi dal dire “Hey, Johhny Ringo, sembra che qualcuno abbia camminato sulla tua tomba!”. Val mi dice sempre “Bob, non sono Johnny Ringo. È solo un personaggio che ho interpretato in un film!”. Potrebbe avere ragione, potrebbe avere torto. Io credo abbia torto, ma lo dice in una maniera così sincera! Devi pensare che abbia ragione.

D: credi che gli attori debbano essere sinceri?

R: per niente. Mae West non lo è mai stata. Era solo chi era sullo schermo. Proprio come Jimmy Stewart e Burt Lancaster.

D: e Johnny Weissmuller.

R: certo, anche Lon Chaney.

D: potrebbe voler dire che Alec Guinness è Hitler?

R: beh, si, una parte di lui lo è. Ma certamente non è Hitler. E nemmeno lo è qualcun altro. Hitler era Hitler.

D: hai dei ricordi di immagini di Hitler di quando eri bambino?

R: no, non crescendo. E’ morto quando avevo 4 o 5 anni. Non ho mai veramente capito molto di lui da piccolo.

D: mai capito cosa?

R: come si fa a prendere un pittore di paesaggi fallito e trasformarlo in un matto fanatico che controlla milioni di persone. Quella è una bella mossa! Intendo dire che i poteri che l’hanno creato devono essere stati formidabili.

D: beh, le condizioni economiche e sociali della Repubblica di Weimar erano molto diverse da ora.

R: si, certo. Col senno di poi, sappiamo che qualcuno doveva prendere il controllo, ma lo stesso… rimani perplesso. Del tipo: “perché lui”? Si vedeva chiaramente che era un pazzoide! Nessun tipo di caratteristiche ariane, non avresti potuto indovinare la sua genealogia. Capelli marroni, occhi marroni, carnagione pallida, nessun tipo particolare di statura. Baffetti da Hitler, impermeabile, frustino, non gli manca niente. Sapeva qualcosa. Sapeva che le persone non pensavano. Guarda alle facce dei milioni che lo adoravano, e vedrai che ispirava amore. È spaventoso e triste. La fiamma della parola parlata. Erano contenti di seguirlo ovunque, fedeli fino all’osso. Poi, ovviamente, lui ha riempito di loro i cimiteri.

D: viene in mente Hitler che parlava alla folla in “Triumph of the Will” di Leni Riefenstahl.

R: si, chiaro come il sole.

 

PART 5

D: Tornando alla canzone scritta per il film che hai menzionato prima, LIFE IS HARD ha la formalità di una vecchia ballata di Rudy Vallee o Nelson Eddy fino alle otto battute e mezzo (“Ever since the day …”). Pensi che se inizi una canzone con quello stile devi tenere le stesse regole fino in fondo?

R: Certo, cerco di tenerle. A volte cambio i paradigmi all’interno della stessa canzone ma anche quella struttura ha le sue regole. E io le combino entrambe, vedo ciò che funziona e ciò che non funziona. La mia gamma è limitata. Alcune formule sono troppo complesse e non voglio averci niente a che fare.

D: FORGETFUL HEART, come hai deciso di inserire un banjo degli Appalachi in un blues in chiave minore? È qualcosa che pianifichi prima o viene da sola durante la sessione?

R: Credo che sia venuto fuori in studio. Un banjo non è fuori contesto però. C’è una modalità in chiave minore in FORGETFUL HEART. È come Little Maggie o Darling Cory, quindi non c’è ragione per cui un banjo non possa andare bene.

D: Hai scritto molte di queste canzoni con Robert Hunter. Come funziona quel processo?

R: Non c’è alcun processo di cui parlare. Lo fai e basta. Tu guidi la macchina. A volte cedi il posto al volante e lasci che qualcun altro prema sull’acceleratore.

D: Devi conoscere Hunter da un bel po’ di tempo. Ti ricordi dove vi siete conosciuti?

R: Era nel ’62 o ’63, quando suonavo nell’area della Bay. Devo averlo conosciuto a Palo Alto o Berkeley o Oakland. Ho suonato in tutti i quei posti allora e devo averlo incontrato più o meno in quel periodo. Sapevo che era in giro.

D: Hunter non suonava con Gerry Garcia in una bluegrass band?

R: Sì, era quello oppure una jug band (ndr: gruppo musicale che usa attrezzi da cucina).

D: Hai mai pensato di comporre qualcosa con gli autori di Nashville?

R: Non ci ho mai pensato.

D: Neil Diamond fece un album anni fa in cui scrisse canzoni insieme a diversi autori di Nashville.

R: Sì, può essere andato bene per lui. Non credo possa andare bene per me.

D: Non credi possa andare bene per te?

R: No. Sto bene senza. Non sono proprio ossessionato dallo scrivere canzoni. Andiamo molto indietro nel tempo con Hunter. Veniamo dalla stessa scuola, così ha un suo senso.

D: Ascolti molte canzoni?

R: Sì, a volte.

D: Chi sono alcuni dei tuoi cantautori preferiti?

R: Buffett, credo. Lightfoot. Warren Zevon. Randy. John Prine. Guy Clark. Quel tipo di autori.

D: Cosa ti piace di Buffett?

R: DEATH OF AN UNPOPULAR POET. Ce n’è un’altra chiamata HE WENT TO PARIS.

D: Tu e Lightfoot vi conoscete da molto tempo.

R: Oh, sì. Gordon è in giro da tanto tempo quanto me.

D: Quali sono le canzoni che preferisci tra le sue?

R: SHADOWS, SUNDOWN, IF YOU COULD READ MY MIND. Non riesco a pensare a nessuna che non mi piaccia.

D: Conoscevi Zevon?

R: Non molto bene.

D: Cosa ti piaceva di lui?

R: LAWYERS, GUNS AND MONEY, BOOM BOOM MANCINI. Roba tosta. JOIN ME IN L.A. sta a cavallo e tra il sincero e il primitivo. I suoi motivi musicali sono ovunque, probabilmente perché ha un’istruzione classica. Si possono trovare tre canzoni distinte in una canzone di Zevon ma sono tutte connesse con facilità. Zevon era il musicista dei musicisti, uno sofferto. DESPERADO UNDER THE EAVES. Sta tutto lì dentro.

D: Randy Newman?

R: Sì, Randy. Cosa si può dire? Mi piacciono le sue prime canzoni. SAIL AWAY, BURN DOWN THE CORNFIELD, LOUISIANA, dove manteneva la semplicità. Canzoni di Bordello. Penso a lui come al Principe della Corona, l’erede evidente di Jelly Roll Morton. Il suo stile è ingannevole. È così rilassato che ti puoi dimenticare che sta dicendo cose importanti. Randy è come se fosse legato ad un’era diversa, come lo sono io.

D: E John Prine?

R: La roba di Prine è puro esistenzialismo Proustiano. Viaggi mentali nel midwest all’ennesima potenza. E scrive canzoni bellissime. Mi ricordo quando Kris Kristofferson l’ha portato sulla scena la prima volta. Tutta quella roba su SAM STONE e il padre del soldato drogato e DONALD AND LYDIA, dove le persone fanno l’amore a dieci miglia di distanza. Nessuno tranne Prine poteva scrivere in quel modo. Se dovessi scegliere una delle sue canzoni sarebbe LAKE MARIE. Non mi ricordo di quale album.

D: Molti artisti della tua generazione sembrano vivere sulla nostalgia. Suonano le stesse canzoni nello stesso modo da trent’anni. Perché tu non lo hai mai fatto?

R: Non potrei nemmeno se ci provassi. Le persone di cui tu parli hanno tutte avuto successi cospicui. Hanno cominciato come contestatari e ora comandano il mondo. Canzoni celebrative. Musica per le grandi feste a cena. Roba tradizionale che ha influito sulla cultura in maniera pervasiva. La mia roba è diversa dalla loro. È più disperata. Daltrey, Townshend, McCartney, i Beach Boys, Elton, Billy Joel, hanno fatto dischi perfetti, quindi li devono suonare perfettamente ... Esattamente come le persone li ricordano. I miei dischi non sono mai stati perfetti. Quindi non ha senso cercare di duplicarli. Comunque, non sono un artista tradizionale.

D: E che tipo di artista sei?

R: Non ne sono sicuro. Byronesco forse. Vedi, quando ho cominciato, la cultura tradizionale erano Sinatra, Perry Como, Andy Williams, Sounds of Music. Non ci si poteva inserire lì allora e, ovviamente, non c’è modo nemmeno ora. Alcune delle mie canzoni sono passate nella tradizione, ma sono state fatte tutte da altri cantanti.

D: Hai mai provato ad adattarti?

R: Beh, no, veramente no. Vengo dalla tradizione musicale folk e quella è l’estetica dialettale e il prototipo che ho vissuto. Quelle sono le dinamiche. Non avrei potuto scrivere canzoni per il Brill Building se ci avessi provato. Quasiasi cosa passi per pop music, non sono riuscito a farla allora e non riesco oggi.

D: Significa che crei arte da “outsider”? Pensi a te stesso come ad una figura “cult”?

R: Una figura di culto, beh, questo ha connotazioni religiose! Suona esclusivo e a gruppo chiuso. Le persone hanno livelli di emozioni differenti. Specialmente quando sei giovane. Al tempo credo che la maggior parte delle mie influenze potesse essere considerata eccentrica. I mass media non avevano un’influenza travolgente, quindi mi avvicinavo agli artisti di strada che passavano di volta in volta. Gli artisti che suonavano in strade secondarie – i cantanti bluegrass, il cowboy nero con amici e lasso che fa giochi con la corda. Miss Europe, Quasimodo, la Donna Barbuta, il mezzo-uomo mezza-donna, il deformato e il gobbo, Atlas il nano, i mangiafuoco, gli insegnanti e i predicatori, i cantanti di blues. Me lo ricordo come se fosse ieri. Mi sono avvicinato ad alcuni di loro. Ho appreso la dignità da loro. Anche la libertà. I diritti civili, i diritti umani. Come stare dentro di te. Molti altri erano sulla giostra tipo le tazze e le montagne russe. Quello per me era un incubo. Le vertigini. L’artificialità di tutto. Il martello della vita. Per me non aveva senso e non mi sembrava reale. Ciò che era fuori dalla strada principale era ciò che era reale. O almeno, mi ha colpito in quel modo. Quando me ne andai da casa quei sentimenti non cambiarono.

D: Ma hai venduto più di cento milioni di dischi.

R: Sì, lo so. È un mistero anche per me.
 

TO BE CONTINUED

(Dean Spencer News)