MAGGIE'S FARM

SITO ITALIANO DI BOB DYLAN

                  

 

"AARP THE MAGAZINE" INTERVIEW

traduzione a cura di Rossana Battezzati e Danilo Sisto

“Devi credere a ciò che dicono le parole
E le parole sono importanti quanto la melodia
a meno che tu non creda alla canzone e non l’abbia vissuta
non c’è molto senso nell’eseguirla”


Sono sempre stato attratto dalle canzoni religiose - Bob Dylan mi dice - in “Amazing Grace” il verso “che salvò un disgraziato come me”, non è qualcosa che tutti diremmo se fossimo abbastanza onesti?
A 73 anni Dylan è ancora in pista, ancora brutalmente onesto e autenticamente se stesso, come potrete vedere in questa versione completa dell’esclusiva intervista apparsa nel numero di Febbraio/Marzo di AARP The Magazine e che potete trovare qui online.

Nelle 9000 e oltre parole che seguono, Dylan affronta ciò che raramente ha in precedenza affrontato in una conversazione pubblica: esplora i suoi processi creativi e offre i suoi pensieri profondi sulla scrittura di canzoni, la loro presentazione al pubblico, registrazione, e la distruzione creativa scatenata dal rock and roll.
Per divertimento, forse, ci lancia alcune acute digressioni su contemporanei quali Elton John ed Eric Clapton, ma riserva il suo elogio incondizionato per la poesia di Chuck Berry e il fuoco che ustiona l’anima di Billy Graham.
Si rimane colpiti, ed io lo ero allora come adesso, di quanto forte sia il ruolo che la musica ha giocato nella vita di Dylan che in diversi momenti rimase ipnotizzato, incantato, elevato, messo al tappeto da quel che aveva sentito. Ascoltando le Staple Singers la prima volta a 14 anni, disse, di non aver potuto dormire quella notte “entrò dentro come se il mio corpo fosse invisibile”.
Dall’istante in cui inciampò nel blues, country e gospel arrivando al fondo della manopola della radio, non interruppe più  l' ascolto attento, assorbendone il meglio. Studente e professore della più vera musica d’America, inizia la nostra conversazione spiegando la sua decisione di registrare i 10 standard amati per "Shadows in the Night".

D. Dopo molti dischi di canzoni originali acclamati dalla critica, perché hai registrato un disco come questo ora?

R. Ora è il momento giusto. Ci ho pensato per un pò almeno da quando ho ascoltato Stardust di Willie (Nelson) alla fine degli anni ’70. Pensai che potevo farlo anch’io. Così andai a trovare Walter Yetnikoff, che era il Presidente della Columbia Records. Gli dissi che volevo fare un disco di standard, come il disco di Willie. Ciò che lui disse fu ”Puoi andare avanti e fare quel disco, ma non lo sosterrò economicamente e non lo realizzeremo. Ma và avanti e fallo se vuoi”. Così me ne andai e feci invece Street Legal. Probabilmente Yetnikoff aveva ragione. Era troppo presto perché io facessi un disco di standard.
Nel corso degli anni ho sentito queste canzoni registrate da altre persone e ho sempre avuto l'idea di farlo anch’io. E mi domandavo se qualcun altro la vedesse allo stesso modo. Non vedevo l’ora di ascoltare le registrazioni di quegli standard fatte da Rod (Stewart). Mi chiedevo se qualcuno potesse mettere qualcosa di diverso in queste canzoni. Rod certamente era in grado di farlo. Ma il suo disco fu deludente. Rod è un grande cantante. Ha una gran voce, ma non c’era ragione di mettergli dietro un’orchestra di 30 elementi. Non voglio contestare il diritto di nessuno di guadagnarsi da vivere, ma puoi sempre dire se qualcuno ci mette il cuore e l’anima e non penso che Rod ce l’abbia messi. Suona come un sacco di dischi in cui le parti vocali sono sovraregistrate e questo tipo di canzoni non vengono bene se usi le tecniche di registrazione moderne.
Per coloro i quali sono cresciuti con questo tipo di canzoni e non le hanno mai prese in grande considerazione, queste sono le stesse canzoni che il rock and roll è venuto a distruggere, music hall, tangos, pop songs dagli anni ’40, fox-trots, rumbas, Irving Berlin, Gershwin, Harold Arlen, Hammerstein, compositori di grande fama. E’ difficile per i cantanti moderni sintonizzarsi con questo tipo di musica e di canzoni.
Quando infine abbiamo registrato, avevo circa 30 canzoni e queste 10 sono venute a comporre una specie di dramma. Tutte sembrano collegate in un modo o nell’altro. Abbiamo suonato un mucchio di queste canzoni ai sound checks sul palco in giro per il mondo senza un microfono per la voce e si poteva sentire piuttosto bene. Di solito queste canzoni si sentono con un’orchestra completa, ma io le stavo suonando con una band di 5 persone e non si sentiva la mancanza di un’orchestra.
Naturalmente un produttore sarebbe venuto e avrebbe detto “mettiamo un pò di strumenti a corda qui e una sezione di fiati là”. Ma io non volevo fare questo. Non avevo neppure l’intenzione di usare tastiere o pianoforte. Il pianoforte copre troppi territori e riesce a dominare canzoni come queste in modi che tu non desideri. Una delle chiavi con cui è fatto questo disco era lasciare fuori il piano e fare in modo che non lo influenzasse in alcun modo.

D. Non pensi che sarà una sorpresa per i tuoi fans tradizionali?

R. Bene, non dovrebbero esserne sorpresi. Ci sono un sacco di esempi di canzoni che ho cantato negli anni e sicuramente mi hanno in precedenza sentito cantare degli standards.

D. Conoscevi molte di queste canzoni dall’infanzia? Alcune di queste sono piuttosto vecchie

R. Sì, le conoscevo. Di solito non dimentico le canzoni se mi piacciono, fosse pure di 30 anni fa o giù di lì.

D. Che tipo di procedimento hai seguito?

R. Una volta che ritieni di conoscere la canzone allora devi andare a vedere come l’hanno fatta gli altri. Una versione ha portata all’altra finché non abbiamo cominciato ad assimilare persino gli arrangiamenti di Harry James. Addirittura quelli di Perez Prado. Il mio chitarrista di pedal steel (Donnie Herron) è un genio in questo tipo di cose. Può suonare qualunque cosa dal hillbilly al bebop. Qui abbiamo due chitarre e una fa solo la ritmica. Il contrabbasso suona la partitura orchestrata. In un certo senso è quasi come la musica folk. Voglio dire, non ci sono percussioni nella band di Bill Monroe. Non le usava neppure Hank Williams. A volte il battito rivela il mistero del ritmo. Forse sempre. Ho potuto registrare queste canzoni in un solo modo, cioè dal vivo, per terra e con un esiguo numero di microfoni. Niente cuffie, niente sovraincisioni, niente sala di registrazione vocale, niente piste separate. Lo so che questo è il vecchio stile ma per me è l’unico modo che poteva funzionare per pezzi come questi. Penso di aver cantato ad un quindicina di centimetri dal microfono. Per la maggior parte ho usato un microfono (nell’originale “mix” invece di “mic” certamente un refuso) da studio mixato così come veniva registrato. Abbiamo suonato il pezzo alcune volte per il tecnico del suono, che ha messo qualche microfono tutt’intorno. Gli ho detto che lo potevamo suonare tutte le volte che voleva. E’ così che sono stai fatti tutti i pezzi.

D. Sembra quasi che avessi il microfono in faccia

R. Già, già…

D. Il materiale ha una resa molto intima. Suppongo che sia proprio quel che volevi

R. Esatto. L’abbiamo registrato ai Capitol Studios che è l’ideale per un disco così. Ma non abbiamo usato nulla della nuova attrezzatura. Il tecnico aveva la sua personale attrezzatura che aveva usato ai vecchi tempi e ce l’ha portata tutta. Come ho detto prima, ho provato con la band tutto lo scorso autunno durante in tour che abbiamo fatto in Europa. Abbiamo provato un bel pò di cose sul palco senza microfoni, di modo che si potesse suonare al giusto volume. Quando abbiamo registrato il disco è stao come se l’avessimo già fatto.

D. Splendidi fiati, davvero smorzati, quasi d’atmosfera

R. Sì, ma sono pochi. Corno francese, una tromba, un trombone, tutti a suonare in armonia. Tutti insieme fanno un sound magnifico.

D. Gli arrangiamenti li hai fatti tu?

R. No, gli arrangiamenti originali erano per fino a 30 strumenti. Non potevamo confrontarci con quelli e non ci abbiamo nemmeno provato. Quello che dovevamo fare era fondamentalmente arrivare al cuore di quello che rende ancora vive queste canzoni. Per farlo abbiamo preso solo le parti necessarie. In un caso come questo, devi fidarti solo del tuo istinto.

D. Hai ascoltato diverse versioni e poi le hai gettate via, ti sei sciacquato la bocca e hai fatto la tua versione personale?

R. Be’, molte di queste canzoni sono state stracciate nel corso degli anni. Ho voluto usare canzoni che tutti conoscono o pensano di conoscere. Volevo mostrarne un lato diverso e ho aperto quel mondo in un modo ancor più singolare. Devi credere a quel che dicono le parole e le parole sono importanti come la melodia. Se non credi nella canzone e non l’hai vissuta, ha poco senso suonarla. “Some Enchanted Evening” - quella è una. Un’altra è “Autumn Leaves”. Questa è una canzone che è stata eseguita fino alla morte. Voglio dire, chi è che non l’ha fatta? Se canti “Autumn Leaves” devi sapere qualcosa dell’amore e della perdita e sentirlo ugualmente dentro - altrimenti non ha senso farlo. E’ una canzone troppo profonda. Uno scolaro non potrebbe mai cantarla in modo convincente. La gente parla sempre di Frank (Sinatra) - ed è bene che lo facciano - ma lui aveva i migliori arrangiatori. E non solo questo. Lui ha fatto venire alla luce il meglio da gente come Billy May, Nelson Riddle o Gordon Jenkins. Chiunque questi fossero, hanno lavorato per lui diversamente da come hanno lavorato per altri. Gli hanno dato arrangiamenti che sono semplicemente sublimi ad ogni livello. E lui, naturalmente, ne è stato all’altezza perché aveva quella particolare abilità di entrare nelle canzoni con una specie di modalità colloquiale. Frank cantava per te, non di fronte a te, come fanno oggi molti cantanti pop. Anche cantanti di standards. Non ho mai voluto essere un cantante che canta di fronte a qualcuno. Ho sempre voluto cantare per qualcuno. Potrei aver acquisito subliminalmente questa cosa da Frank molti anni fa. Lo faceva anche Hank Williams. Lui cantava per te.

D. Questa è una selezione ad ampio raggio di canzoni di quello che la gente chiama “The American Songbook”. Ma ho notato che Frank le ha fatte tutte e 10. Ce l’avevi in mente?

R. Sai, quando cominci a fare queste canzoni è ovvio che tu abbia in mente Frank. Perché lui è la montagna. Quella è la montagna che devi scalare anche se ne fai soltanto un pezzo. Ed è difficile trovare una canzone che lui non abbia fatto. E’ con lui che ti devi confrontare. Mi piace particolarmente anche Nancy. Penso che Nancy sia di gran lunga superiore alla maggior parte delle ragazzine che cantano oggi. E’ piena di soul, anche in senso colloquiale. E da dove vengono queste doti? Bè, è la figlia di Frank, no? Così, naturalmente. Anche Frank jr. è un bravo cantante. Per lo stesso motivo, se vuoi fare una canzone di Woody Guthrie, devi andare oltre Bruce Springsteen e approdare a Jack Elliott. Così, finalmente arriverai a Woody ma potrebbe essere un lungo processo.

D. Hai scritto che la versione di Frank della canzone classica“Ebb Tide” ti ha fatto stramazzare al suolo negli anni 60. Ma hai detto “Non potevo ascoltare quella roba. Non era il momento giusto”.

R. Certamente…sì. Davvero. Ci sono un sacco di cose del genere nel mio passato che ho dovuto lasciar perdere e continuare a muovermi nella mia propria direzione. A volte mi sopraffaceva, perché quel mondo non era il mio. Ebb Tide è una canzone con cui sono cresciuto. Non so dire precisamente quando. Ma era un hit, una canzone pop. L’ha fatta Roy Hamilton che era un cantante fantastico e l’ha fatta in modo grandioso. E pensavo di conoscerla. Poi, a casa di qualcuno, avevano messo un disco di Frank dove c’era Ebb Tide. Devo averla riascoltata 100 volte. Mi sono reso conto che non la conoscevo. Ancora non la conosco oggi. L’esecuzione ti ipnotizza. E’ un’esecuzione incantata. Non ho mai ascoltato nulla di così supremo, ad ogni singolo livello.

D. Forse quella musica era troppo quadrata per ammettere che allora ti piaceva?

R. Quadrata? Non penso che qualcuno avrebbe mai avuto il coraggio di definire quadrato Frank. Lo sentiva anche Kerouac oltre a Bird [Charlie Parker] e Dizzy [Gillespie]. Ma io stesso allora non ho mai comprato un disco di Frank Sinatra, se è questo che intendi. Non ho mai ascoltato Frank come uno che mi potesse influenzare. Quello di cui dovevo tener conto erano i dischi e i dischi erano dappertutto, orchestrati in un modo o in un altro. Swing music, Count Basie, romantic ballads, jazz bands - difficile rendersi conto di lui. Ma, come ho detto, lo sentivi comunque. Lo sentivi in macchina o al juke-box. Eri consapevole dell’esistenza di Frank Sinatra, a prescindere dalla tua età. Di certo nessuno adorava Frank Sinatra negli anni 60 come invece accadeva negli anni 40. Ma lui non è mai scomparso. Tutte le cose che pensavamo sarebbero rimaste per sempre, se ne sono andate. Ma lui no.

D. Pensi che questo sia un album a rischio? Queste canzoni hanno fans che diranno che la versione di Sinatra è intoccabile.

R. Rischio? Come camminare in un campo minato? O lavorare in una fabbrica di gas velenoso? Non c’è niente di rischioso nel fare dischi. Compararmi a Frank Sinatra? Stai scherzando. Essere menzionato insieme a lui deve essere un specie di enorme complimento. Nessuno può eguagliarlo. Né io né nessun altro.

D. Cosa credi che penserebbe Frank di quest’album?

R. Penso che innanzi tutto si stupirebbe che io abbia fatto queste canzoni con una band di 5 elementi. Penso che, in qualche modo, ne sarebbe orgoglioso.

“Mi hanno portato giù sulla terra e mi hanno sollevato in aria allo stesso tempo
e Mavis era una grande cantante, profonda e misteriosa,
e persino da giovane, ho sentito che la vita stessa era un mistero”.

(Dylan a proposito della prima volta che sentì le Staples Sisters)

D. Che altro genere di musica ascoltavi crescendo?

R. All’inizio, prima del rock’n’roll, ascoltavo la musica delle big band: Harry James, Russ Columbo, Glenn Miller. Cantanti tipo Jo Stafford, Kay Starr, Dick Haymes. Qualunque cosa venisse dalla radio e la musica suonata dalle band negli hotels dove i nostri genitori andavano a ballare. Avevamo una grande radio che sembrava un jukebox, con sopra un giradischi
Tutti i mobili erano stati lasciati nella casa dal precedente proprietario, incluso un piano.
La radio/giradischi suonava i dischi a 78 giri. E quando traslocammo in quella casa c’era su un disco. Il disco aveva un’etichetta rossa e penso fosse un disco della Columbia. Cantava Bill Monroe o forse erano gli Stanley Brothers. E cantavano “Drifting Too Far From Shore”. Non avevo mai sentito niente del genere prima. Mai. E mi ha portato via da tutta la musica convenzionale che ascoltavo.
Per comprendere questo dovreste sapere da dove venivo. Vengo dal profondo nord. Ascoltavamo spettacoli radiofonici continuamente. Penso di appartenere all’ultima generazione, o quasi all’ultima, che è cresciuta senza la TV. Così ascoltavamo parecchio la radio. Molti di questi shows erano drammi teatrali radiofonici. Per noi questa era come la nostra TV. Tutto quel che sentivamo potevamo immaginarlo come se lo vedessimo, anche i cantanti che ascoltavamo alla radio, non potevo vedere com’erano, così immaginavo com’erano, com’erano vestiti, le loro movenze. Gene Vincent? Quando me lo raffigurai per la prima volta, me l’immaginavo come un tipo alto, allampanato e biondo.

D. Questo ha fatto di te un ascoltatore migliore?

R. Ha fatto di me l’ascoltatore che sono oggi. Mi ha fatto ascoltare le piccole cose: lo sbattere delle porte, il tintinnare delle chiavi dell’auto. Il vento che soffia tra gli alberi, le canzoni degli uccelli, il rumore dei passi, un martello che pianta un chiodo. Suoni casuali. Il muggire delle mucche. Potrei mettere tutto quanto insieme e farne una canzone. Questo mi ha fatto ascoltare la vita in un modo diverso. Sento ancora qualcuna di quelle vecchie esibizioni radiofoniche e molte di esse sono ancora valide. Voglio dire, le battute potrebbero essere un pò datate, ma le situazioni sembrano essere pressappoco le stesse. Non sento the Fat Man o Superman o Inner Sanctum in un modo che chiameresti nostalgico. Non riportano delle memorie. Proprio, mi piacciono.

D. Che cosa ascoltavi oltre ai drammi radiofonici?

R. Su al nord, la notte, potevi trovare queste stazioni radio senza nome sul quadro delle frequenze, sai,che suonavano cose pre - rock’n’roll - country blues. Volevamo ascoltare Slim Harpo o Lightnin’ Slim e i gruppi gospel, i Dixie Hummingbirds, i Five Blind Boys of Alabama. Io ero nel lontano nord, non sapevo neppure dove fosse l’Alabama. E poi c’erano a orari differenti pezzi blues, potevi sentire Jimmy Reed, Wynonie Harris e Little Walter. Poi c’era una stazione fuori Chicago? WSM-? E’ quella la stazione che penso? Mandava tutta roba hillbilly. Riley Puckett, Uncle Dave Macon, the Delmore Brothers. Sentivamo anche il Grand Ole Opry da Nashville tutti i sabato sera. Ho sentito Hank Williams piuttosto presto, quando era ancora vivo. Molte di quelle stars dell’Opry, tranne Hank, naturalmente, sono venute a suonare all’Arsenale nella città in cui vivevo. . Webb Pierce, Hank Snow, Carl Smith, Porter Wagoner. Ho visto crescere tutte quelle stelle del country.
Una sera stavo a letto ad ascoltare la radio. Penso che fosse una stazione di Shreveport, Louisiana. Non ero neanche sicuro di dove fosse la Louisiana. Ricordo che sentivo “Uncloudy Day” degli Staple Singers. Ed era la cosa più misteriosa che avessi mai sentito. Come la nebbia che sale. L’ho riascoltata, forse la sera dopo, e il suo mistero s’è ancor più infittito. Che cos’era? Come si può fare una cosa del genere? Mi ha attraversato come se il mio corpo fosse invisibile. E quello cos’è? Una chitarra col tremolo? E cos’è una chitarra col tremolo? Non ne avevo idea. Non ne avevo mai vista una. E che razza di battimani è quello? E quel cantante estrae dalla mia anima cose che neppure sapevo di avere. Dopo aver ascoltato "Uncloudy Day” per la seconda volta penso di non essere neppure riuscito a dormire quella notte. Sapevo che questi Staple Singers erano diversi da qualunque altro gruppo gospel. E tuttavia chi erano?
Pensavo a loro anche sul mio banco di scuola. Riuscii ad andare alle Twin Cities (Minneapolis e St. Paul Minnesota) e a mettere le mani su di un LP degli Staple Singers e una delle canzoni era proprio “Uncloudy Day”. E ho pensato: “Ragazzi!” Ho guardato la copertina e l’ho studiata, come di solito si fa con le copertine dei dischi. Sapevo chi era Mavis senza bisogno che qualcuno me lo dicesse. Sapevo che era lei che cantava la parte principale. Sapevo chi era Pops. Tutte le informazioni erano sul retro del disco. Non molte, ma quanto bastava per farmi sapere qualcosa. Nella foto sembrava che Mavis avesse più o meno la mia età. Il suo modo di cantare mi ha messo al tappeto. Ho sentito parecchio gli Staple Singers. Certo più di qualunque altro gruppo gospel. Mi piacciono gli spirituals. Mi hanno colpito perché sono sinceri e seri. Mi hanno portato giù sulla terra e mi hanno sollevato in aria allo stesso tempo, e Mavis era una grande cantante, profonda e misteriosa. E persino da giovane ho sentito che la vita stessa era un mistero.
Questo prima che la musica folk entrasse nella mia vita. Ero ancora un aspirante rock ‘n’ roller, il discendente, se vuoi, della prima generazione della gente che suonava il rock ‘n’ roll, che è stata spazzata via. Buddy Holly, Little Richard, Chuck Berry, Carl Perkins, Gene Vincent, Jerry Lee Lewis. Suonavano questo tipo di musica che era nera e bianca. Estremamente incendiaria. I tuoi vestiti potevano prender fuoco. Era una mescolanza di cultura nera e di cultura hillbilly. Quando ho sentito per la prima volta Chuck Berry, non ho pensato che fosse un nero. Pensavo che fosse un bianco hillbilly. Per il poco che sapevo, era anche un grande poeta. “Mentre volavo su un aereo della TWA sopra il deserto ho visto una donna che camminava nella sabbia. Aveva camminato per 30 miglia in direzione Bombay per incontrare un bell’uomo dagli occhi castani”. Non pensavo alla poesia in quei tempi, le parole semplicemente volavano via. Solo più tardi mi sono reso conto di quanto sia difficile scrivere versi così. Chuck Berry avrebbe potuto essere quel che voleva nel business della musica. Si è fermato dove stava ma avrebbe potuto essere un cantante jazz, un cantante di ballate, un virtuoso della chitarra. Avrebbe potuto essere un sacco di cose. Ma c’è anche un aspetto spirituale in lui. Nel giro di 50 o 100 anni lo si potrebbe anche ritenere un’icona religiosa. Ma c’è un solo lui, e perfino quello che fa fisicamente è difficile da imitare. Se lo vedi dal vivo, vedi che stona parecchio. Ma a chi non capiterebbe? Deve costantemente suonare note da un ottavo sulla chitarra e cantare allo stesso tempo, e in più suonare i brani e cantare. La gente pensa che suonare e cantare sia facile. Non lo è. E’ facile strimpellare da soli cantando una canzone - e questo va bene – ma se vuoi davvero suonare, quando è importante, quello è davvero difficile e non molti sono in grado di farlo bene.

D. E lui è sempre stato il chitarrista principale nella sua band.

R. Era l’unico chitarrista. Già. E c’era Jerry Lee [Lewis], la sua controparte, e gente del genere. Ci deve essere stato qualche potere elitistico che doveva sbarazzarsi di questi ragazzi e stroncare il rock ’n’ roll per quello che era e che rappresentava, non di meno per il fatto che era una roba da bianchi e neri, legati e ben saldati insieme. Se separi le due componenti, lo uccidi.

D. Vuoi dire la mescolanza razziale musicale ed è questo che l’ha reso pericoloso?

R. Bè, il pregiudizio razziale c’era, per cui sì. E questo era estremamente minaccioso per le autorità, direi. Quando si sono davvero resi conto di cos’era, dovevano smantellarlo. Cosa che hanno fatto cominciando con scandali di mazzette e cose del genere. L’elemento nero fu virato nella soul music e quello bianco nel pop inglese. Li hanno separati. Penso che il rock’n’roll sia una combinazione di country blues e musica swing per gruppi, non il blues di Chicago, e pop moderno. Il vero rock’n’roll esiste da quando? 1961, 1962? Bè, era parte del mio DNA, così non se ne è mai andato via da me. L’ho soltanto incorporato in altri aspetti di quel che stavo facendo. Non so se ho risposto alla tua domanda (ride). Non ricordo qual era la domanda.

D. Parlavamo delle influenze che hai avuto e della tua cotta per Mavis Staple.

R. Oh, gli Staple Singers! Mavis! Così avevo visto quella foto degli Staple Singers. E mi sono detto: “Guarda, un giorno starai qui abbracciato a quella ragazza”. Ricordo di aver pensato quello. 10 anni dopo ero lì, abbracciato a quella ragazza. Ma è stato così naturale. Mi sembrava di esserci stato già parecchie volte prima. Bè, c’ ero stato, nella mia mente.

D. Ricordi cosa hai pensato in quel momento?

R. No, andavo troppo svelto. Mi sono ricordato di qualcosa solo almeno 10 anni dopo.

D. Pensavo a quanto sia stato importante per te andare alla ricerca dei dischi di Woody Guthrie quando eri giovane. E pensavo a quanto Mick [Jagger] e Keith [Richards] percorressero tutta Londra alla ricerca di dischi di blues e a quanti quarti di dollaro introducesse Neil Young nel juke-boxe per sentire Ian e Sylvia.
E a quanto in Internet ci sia tutto, schiacci appena un bottone e ascolti qualunque cosa nella storia della musica registrata. Questo ha reso la musica migliore? O peggiore? Valutata di più o di meno?

R. Bè, se tu fai parte del pubblico generico e hai tutta quella musica a disposizione, cosa ascolterai? Quante di queste cose ascolterai allo stesso tempo? Ti si incepperà la mente, sarà tutta confusione, penso. Ai tempi, se volevi sentire Memphis Minnie, dovevi cercare una compilation in cui ci fosse una canzone di Memphis Minnie. E se tu allora avessi ascoltato Memphis Minnie, l’avresti accidentalmente scoperta in un disco che conteneva anche Son House e Skip James e la Memphis Jug Band. E magari avresti cercato Memphis Minnie in qualche altro posto , una canzone qui, una là. Avresti cercato di capire chi era. E’ ancora viva? Suona uno strumento? Può insegnarmi qualcosa? Posso uscire con lei? Posso fare qualcosa per lei? Ha bisogno di qualcosa? Ma ora, se vuoi sentire Memphis Minnie, puoi andarti a sentire un migliaio di canzoni. Lo stesso per tutto il resto di questi artisti, come Blind Lemon [Jefferson]. In passato forse avresti potuto sentire “Matchbox” e “Prison Cell Blues.” E quello sarebbe stato tutto quello che avresti potuto sentire, così quelle canzoni sarebbero state di spicco nella tua mente. Ma quando senti una bufera di più di 100 canzoni di Blind Lemon, ti viene da dire:”Oh, gente, che esagerazione!”. Ed è facile che le apprezzeresti di meno.


"Queste canzoni (del mio album) sono state scritte da gente
che è finita fuori moda anni fa. Probabilmente sono uno che ha contribuito
a mandarli fuori moda. Ma ciò che essi hanno fatto è una forma d’arte perduta".


D. Le canzoni di questo album sono nell’ordine in cui tu vorresti che la gente li ascoltasse? Ti importa se la Apple le vende una per volta?

R. Lo scopo commerciale del disco non è un fatto mio. Certo, spero che venda e mi piacerebbe che la gente lo ascoltasse. Ma il modo di ascoltare musica delle persone è cambiato e spero che abbiano la possibilità di ascoltare tutte le canzoni in un modo o in un altro. Ma ho registrato queste canzoni, che ci crediate o no, nello stesso ordine in cui le ascolterete. Non che questo davvero importi. Non ho prestato attenzione alla sequenza come per altri dischi. Normalmente noi facciamo una canzone in tre ore. Non c’è mixaggio. Questo è il modo in cui le abbiamo suonate. Niente manopole, niente potenziamenti, niente - è tutto. La Capitol ha quelle grandi camere eco. Per cui probabilmente le hanno un pò usate. Noi abbiamo usato meno tecnologia possibile. Si è sbagliato molte altre volte. Volevo farlo nel modo giusto.

D. Questa registrazione è un esperimento?

R. E’ stato più che un esperimento. Per il semplice fatto che avevamo già suonato queste canzoni. Eravamo assolutamente sicuri che potevamo eseguirle. La questione è solo se eravamo in grado di registrarle correttamente. Immagino che diresti che l’abbiamo fatto nel vecchio stile. Questo è il modo in cui sono comunque abituato a fare dischi. Non ho mai usato cuffie fino agli anni ’80 o’90. Non mi piace usare cuffie.

D. Senti che questo crea distanza?

R. Sì, c’è una totale disconnessione. Puoi sopraffare te stesso nella tua stessa testa. Non ho mai sentito nessuno cantare efficacemente con quelle cose sulle orecchie. Ti danno falso un senso di sicurezza. Molti di noi non usano le cuffie. Non penso che le usi Springsteen. So che Mick non le usa. Non penso che le usi. Ma altri più o meno si sono arresi. Lo fanno. Ma non dovrebbero. Non ne hanno bisogno. In special modo se hanno una buona band.
Gli studi di registrazione sono pieni di tecnologia. Sono organizzati in quel modo. E aggiornarli significa per me che bisognerebbe tornare indietro. Questa è la mia idea di miglioramento. E questo non succederà. Per quanto ne so, gli studi di registrazione sono sempre prenotati, Così, ovviamente, la gente ama tutti i miglioramenti. Più avanzano tecnicamente, più ottengono richieste. Le corporation hanno preso il controllo. Perfino nello studio di registrazione. Di fatto, le corporation hanno preso il controllo della vita americana quasi ovunque.
Vai da una costa all’altra e troverai persone tutte vestite nello stesso modo, che hanno gli stessi pensieri e mangiano gli stessi cibi. Tutto viene gestito.

D. Parliamo della prima canzone dell’album “I’m a Fool To Want You.”. Sono interessato al modo in cui hai comunicato lo strazio che c’è in questo pezzo. Si pensa che Frank Sinatra lo abbia scritto per Ava Gardner, suo grande amore. Una volta tu hai scritto che il performer, l’artista trasmette emozioni in modo alchemico “Io questo non lo sento,” hai detto ”quel che sto facendo è comunicarlo” E’ corretto?

R. Hai ragione, ma non vuoi enfatizzarlo. Guarda, ha tutto a che fare con la tecnica. Ogni cantante ha tre o quattro o cinque tecniche e le puoi mettere insieme in varie combinazioni. Alcune tecniche le scarti strada facendo e ne raccogli altre. Ma ti servono. Come per qualunque altra cosa. Devi sapere certe cose di quel che stai facendo che altri non conoscono. Cantare ha a che fare con le tecniche e con quante ne utilizzi allo stesso tempo. Una sola non funziona. Non è il caso di superare le tre. Ma puoi interscambiarle quando ti pare opportuno. Così, sì, è un pò come l’alchimia. E’ diverso dall’essere un attore che può richiamare risorse dalla sua stessa esperienza a cui può ricorrere sia che si tratti di un dramma di Shakespeare o di un qualsivoglia show televisivo. Con una canzone non è la stessa cosa. Un attore finge di essere qualcuno, ma un cantante no. Non può nascondersi dietro a nulla. E questa è la differenza. I cantanti oggi devono cantare canzoni in cui è coinvolta poca emozione. Questo e il fatto che debbano cantare dischi hit degli anni passati non lascia molto spazio ad alcuna forma d’intelligente creatività. In un certo qual modo, avere hits seppellisce un cantante nel passato. Molti cantanti si nascondono nel passato perché laggiù è più sicuro. Se hai sentito la musica country di oggi, capirai di cosa sto parlando.
Perché tutte queste canzoni fanno fiasco? Penso che la tecnologia abbia molto a che fare con questo. La tecnologia è meccanica e contraria alle emozioni che permeano la vita di una persona. Il campo della musica country è stato in particolare colpito duramente da questi cambiamenti.
Queste canzoni (del mio album) sono state scritte da persone che sono andate fuori moda anni fa. Probabilmente sono uno che ha contribuito a mandarli fuori moda. Ma ciò che hanno fatto è una forma d’arte perduta. Come Leonardo da Vinci e Renoir e Van Gogh. Nessuno dipinge più così. Ma non è sbagliato provarci.
Così una canzone come “I’m a Fool to Want You”- conosco quella canzone. So cantare quella canzone. Sento ogni parola di quella canzone. E’ come se l’avessi scritta. Ho sentito ogni parola di quella canzone. Voglio dire, conosco quella canzone. E’ più facile per me cantare quella canzone che cantare “Won’t you come see me, Queen Jane”. All’epoca non sarebbe stato così. Ma ora è così. Perché “Queen Jane” potrebbe essere un pò datata. Non può essere sorpassata. Ma questa canzone non è datata. Ha a che fare con l’emozione umana, che è una costante. Non c’è niente di artificioso in queste canzoni. Non c’è una sola parola falsa in esse. Sono eterne, liricamente e musicalmente

D. Ti piacerebbe averle scritte?

R. In un certo modo, sono felice di non averne scritta nessuna. Ho un atteggiamento positivo con le canzoni che non ho scritto, se mi piacciono. So già com’è la canzone, così ho maggior libertà a trattarla. Capisco queste canzoni.. Le conosco da 40, 50 anni, forse di più, e questo è significativo. Così non giungo a loro come uno straniero. Ho scritto tutte le canzoni che sentivo fossero…non so come dire.. Viaggi nel mondo, vai a vedere cose diverse. Mi piace vedere i drammi di Shakespeare, così ci vado,  voglio dire, persino se è in una lingua diversa. Non m’importa, mi piace Shakespeare, sai. Ho visto negli anni l’Otello e l’Amleto ed Il Mercante di Venezia, e alcune versioni sono migliori di altre. Molto migliori. E’ come ascoltare una brutta versione di una canzone. Ma poi da qualche altra parte qualcuno ne fa una grande versione.

D. Mi piace la tua versione di “Lucky Old Sun.” Puoi parlarci di che cosa ti ha attratto in questo pezzo in particolare? Te ne ricordi?

R. Oh, ho sempre conosciuto quella canzone. Non penso che qualcuno della mia età ricordi di non aver mai conosciuto quella canzone. Intendo, è stata registrata migliaia di volte. L’ho cantata in concerto.

D. Davvero?

R. Sì, ma non ero mai andato al cuore della canzone fino a poco tempo fa.

D. Dunque, come hai fatto?

R. Bene, riduci all’osso la canzone e vedi se è davvero alla tua portata. La maggior parte delle canzoni sono intercalate da ponti. Un ponte è qualcosa che distrae un ascoltatore dai versi principali di una canzone così che chi ascolta non ne sia ripetitivamente annoiato. Le mie canzoni non hanno molti ponti perché la poesia lirica non ne aveva mai avuti.
Ma quando una canzone come “Autumn Leaves” si presenta, devi decidere cosa di questa sia reale e cosa no. Ascolta come la fa Eric Clapton. Lui canta la canzone e poi suona la chitarra per 10 minuti, quindi canta la canzone ancora. Forse suona addirittura ancora la chitarra, non ricordo. Ma quando ascolti la sua versione, dove pensi sia la sua importanza? Ovviamente sta nel fatto che suona la chitarra. Canta la canzone due volte ed entrambe nello stesso modo. E non c’è realmente ragione nel farlo a meno che tu non canti la canzone in un modo differente.. E’ Ok per Eric perché lui è un maestro nel suonare la chitarra e, naturalmente, questo è ciò che vuole evidenziare in ogni canzone che registra.. Ma altri non sanno farlo e cercano di cavarsela. E questo non è proprio il modo di cogliere in profondo “Autumn Leaves”.
E in quanto a performer, non hai molte possibilità nel farlo. E quando ne hai l’opportunità, non vuoi sprecarla. Con tutte queste canzoni devi studiare i testi. Devi osservare ognuna di queste canzoni ed essere in grado di identificarti con esse in modo significativo. Difficilmente puoi cantare queste canzoni a meno che tu non sia dentro di esse. Se vuoi fingere, vai avanti. Fingi se vuoi. Ma io non sono quel tipo di cantante.

D. Possiamo parlare un pò delle melodie di queste canzoni?

R. Sì, sono incredibili, non credi? Tutte queste canzoni hanno sotto temi di musica classica. Perché? Perché tutti questi compositori hanno studiato musica classica. Sono compositori che conoscevano la teoria musicale e uscivano dalle accademie di musica. Potrebbe esserci un pezzetto di Mozart, Bach, Paul Simon ha costruito un’intera canzone su una melodia di Bach, o potrebbe essere un pezzo Beethoven o Liszt, Chopin, Rachmaninoff, o Stravinsky o Tchaikovsky.
Puoi ricavare un sacco di grandi melodie ascoltando Tchaikovsky se sei un autore di canzoni commerciali e questi lo hanno fatto. Non che io stesso riconosca da dove vengano queste melodie o parti di queste, ma so che provengono da qualche parte in quella direzione. La maggior parte di queste canzoni sono scritte da due persone, una la musica e l’altra le parole.
C’è solo uno di questi che io conosco che ha fatto tutto ed è Irving Berlin. Scriveva melodia e versi. Questo tipo era assolutamente un genio. Voglio dire che aveva un dono, come dire, che non cessava mai di generare, nonostante i temi classici, perché non penso ne usasse. Ma chiunque altro scriveva testi doveva dipendere dalla parte musicale. Gli stessi autori di versi erano una razza buffa. Non erano ciò che penseresti. Arrivavano da ogni percorso di vita. Intellettuali, poco colti…Poteva essere un riparatore di telefoni, un compositore tipografico, un'assicuratore. Uno era imbianchino, un altro meccanico, Jimmy Van Heusen era un pilota stunt. Tutte queste persone sapevano come farla facile e conoscevano l’ordinaria vita quotidiana, la vita comune. E hanno fatto un buon lavoro.

D. Che sapevano parlare in vernacolo?

R. Che parlavano in vernacolo. Esattamente. Così non c’è niente di forzato in queste canzoni. Non c’è una sola parola falsa in esse.

D Ti piace Johnny Mercer?

R. Amo Johnny Mercer. Sì, mi piace

D. Ha scritto il testo inglese di “Autumn leaves”.

R. Sì. Beh, questo non mi sorprende. Amo tutte le cose che ha fatto, è uno degli autori più dotati. Sì. “Jeepers Creepers”, “Lazy Bones”, “Blues in the Night”. Facciamo un mucchio di queste canzoni durante le prove del suono. Se fosse in giro ora, mi piacerebbe dargli qualcuna delle mie registrazioni strumentali. Vedere cosa ne farebbe. Ma poterebbero essere indegne di lui.

D. Le tue interpretazioni e questi arrangiamenti sono molto rispettosi. Gli arrangiamenti sono quasi austeri, ma le tue interpretazioni sono molto rispettose di queste melodie, più di quanto tu sia rispetto alle tue proprie canzoni quando le esegui.

R. Bene, amo queste canzoni, e non mancherò mai di rispetto ad esse né le tratterò in modo irriverente. Rovinare queste canzoni sarebbe sacrilego. Abbiamo tutti sentito queste canzoni rovinate e ci siamo abituati. Passano senza neanche essere ascoltate. In qualche modo vuoi raddrizzare il torto, forse inconsciamente. Ma non faccio crociate. Penso che se altri vogliono farla, possono e devono. Ma va bene lo stesso anche se non lo fanno. Non penso a queste canzoni come cover. Le ritengo canzoni che sono state eseguite prima in molti modi. La parola “cover” è entrata nel gergo musicale. Nessuno avrebbe potuto capirlo negli anni ’50 e ’60. E’ una specie di termine spregiativo. Cosa significa quando copri qualcosa? Che la nascondi? Non ho mai compreso quel termine. Sto facendo un mazzo di covers? Bene, sì, se la metti così.

D.Così ti stai veramente svelando?

R. Esattamente. Questo è il punto

THE FANS
“Non direi che ci sia un solo tipo di fan…ce n’è di tutti i tipi.
Posso vedere che ce ne sono di diversi tipi,
a prescindere dall’età".


D . Queste canzoni avranno un pubblico diversa rispetto a quello che avevano in origine. Ti senti come un archeologo musicale?

R. No, semplicemente amo queste canzoni e sento di potermici connettere. Spero che la gente si connetta con loro nel mio stesso modo. Non ho idea di cosa piaccia o meno alla gente. Sarebbe presuntuoso pensare che queste canzoni troveranno nuovo pubblico come se emergessero dal nulla. Certamente, le persone che sentivano queste canzoni prima, come i miei genitori e persone così, non sono più con noi. Non posso generalizzare a chi interesseranno queste canzoni. Inoltre, quando guardo giù dal palco, vedo qualcosa di diverso da quello che forse vedono gli altri performer

D. Che cosa vedi dal palco?

R. Di sicuro non un mare di conformità. Gente che non posso categorizzare facilmente. Non direi che c’è un solo tipo di fan. Vedo un tipo vestito in abito e cravatta accanto ad uno in blue jeans. Vedo un altro in abito sportivo accanto ad uno in T shirt e stivali da cow boy. Vedo qualche volta donne in abito da sera e vedo ragazze in stile punk. Tutti i tipi di persone. Posso vedere che ce n’è di tutti i tipi a prescindere dall’età. Sono stato ad uno spettacolo di Elton John ed è stato interessante. Ci devono essere state almeno tre generazioni di persone là. Ma erano tutti uguali. Persino i bambini piccoli. Assomigliavano proprio ai loro nonni. Era strano. La gente solleva polveroni a proposito di quante generazioni seguano un certo tipo di performer. Ma che importa se tutte le generazioni sono uguali? Sono lieto di non vedere un certo tipo di persone che sarebbero facilmente individuabili. Non mi curo dell’età, ma il mercato dei giovani adolescenti, penso che sia ovvio, potrebbe non avere l’esperienza che ci vuole per comprendere queste canzoni e apprezzarle.

D. Così noi all’ AARP rappresentiamo persone di 50 anni e oltre. La rivista raggiunge i 35 milioni di lettori

R. Bene, molti di quei lettori ameranno questo disco. Se dipendesse da me vi darei i dischi per niente e voi li dareste ad ogni lettore della vostra rivista. Penso che molti dei vostri lettori si identificheranno con queste canzoni.

D. Le canzoni di questo album evocano una specie di amore romantico che è quasi antico, perché non c’è più molta resistenza nel corteggiamento. La gente si dà appuntamenti e finisce subito a letto. Quel dolce, doloroso concupire degli anni ’40 e ’50 non esiste più. Pensi che queste canzoni suoneranno sdolcinate (corny) alle orecchie dei più giovani ?

R. Tu lo dici. Voglio dire, non so perché dovrebbero suonare tali, ma cosa significa esattamente la parola “sdolcinato”? La conosco ma non la uso molto. E’ come “pacchiano” (tacky). Non dico neppure quella parola. Non c’è potere in quelle parole. Queste canzoni, prendere o lasciare, se non altro, sono canzoni di grande virtù. E’ ciò che sono. Se suonano trite e sdolcinate per qualcuno, amen. Ma la vita della gente oggi è piena a così tanti livelli di vizio e dei suoi segni esteriori. Ambizione, avidità ed egoismo tutte hanno a che fare col vizio. Presto o tardi devi capirlo o non sopravvivi. Non vediamo la gente che il vizio distrugge. Ne vediamo ogni giorno il riverbero, ovunque guardiamo, dai segnali sui cartelloni ai cinema, ai giornali, alle riviste. Vediamo la distruzione e la derisione della vita umana, ovunque si guardi. Queste canzoni sono tutto fuorché questo. L’amore romantico non va mai fuori moda. E’ radicale. Forse non è in linea con la corrente cultura dei media.. Se non lo è, amen.

D. Qual è la canzone migliore che hai scritto sullo strazio amoroso e la perdita?

R. Penso “Love Sick” [da Time Out of Mind del 1997]

D. U tuo compatriota del Minnesota, F. Scott Fitzgerald, disse notoriamente “Non ci sono secondi atti nella vita americana” Tu sei un uomo che ha avuto probabilmente quattro o cinque secondi atti. Poeta, voce di una generazione, trovatore, rocker ed ora crooner!

R. Sì.[Ride]. Lo so. Giusto. Bene, vedi, probabilmente l’ha detto in un giorno e ad un’ età in cui diceva la verità.

D. Una volta hai detto che come artista folk sei entrato nel business musicale attraverso la porta laterale.

R. L’ho detto?

D. Sì. E penso di sapere cosa volevi dire, perché nessuno pensava che la musica folk avrebbe avuto molta importanza nel business musicale all’epoca. Ora eccoti qui con questa grande parata di iconiche canzoni americane. Sei finalmente entrato dalla porta principale?

R. Direi che è abbastanza corretto. Devi proprio continuare ad andare avanti per trovare quello che ti farà entrare nella porta se davvero vuoi entrarci. Qualche volta nella vita quando viene il momento giusto e hai avuto la chiave, la butti via. Ti rendi conto che qualunque cosa tu stessi cercando da tutta la vita non è dove pensavi che fosse. La musica folk è arrivata esattamente al momento giusto nella mia vita. Non avrebbe potuto succedere 10 anni più tardi e 10 anni prima non avrei neppure saputo che tipo di canzoni fossero. Erano così diverse dalla musica popolare. Ma è venuta al momento giusto, così ho proseguito per quella strada. Poi la musica folk venne relegata ai margini. Forse era divenuta commerciale o forse i Beatles l’hanno uccisa. Forse non sarebbe andata da nessuna parte comunque. Ma effettivamente, in questo tempo ed epoca, è ancora una vibrante forma di musica e molte persone la cantano e la suonano molto meglio di quanto avessimo mai fatto noi. Non si può proprio dire che facesse parte del campo del pop. Io sono arrivato lì in un momento in cui non c’era nessun altro o addirittura ne conosceva l’esistenza, così ho avuto per me l’intero panorama. Ho cominciato a scrivere canzoni. Immaginavo che dovessi farlo, non potevo essere un rocker infernale: Ma potevo scrivere versi infernali.
Quando stavo crescendo, Billy Graham era molto popolare. E’ stato il più grande predicatore evangelico dei miei tempi, quel tipo poteva salvare le anime e l’ha fatto. Sono stato a due o tre dei suoi raduni negli anni 50 e 60. Questo tipo era il rock ’n’ roll personificato, pericoloso, esplosivo. Aveva i capelli, il tono di voce, l’eloquenza, quando parlava tirava giù il temporale. Le nuvole si scioglievano. Le anime si salvavano, a volte 30 o 40.000. Se tu fossi mai stato allora ad un raduno di Billy Graham, saresti cambiato per sempre. Non c’è mai stato un predicatore come lui. Poteva riempire stadi di football come nessun altro. Poteva riempire il Giants Stadium perfino più della stessa squadra dei Giants. Sembra un sacco di tempo fa. Molto prima che Mick Jagger cantasse la sua prima nota o Bruce si mettesse a tracolla la sua prima chitarra - quella è un pò la parte del rock ’n’ roll che ho conservato. Dovevo. Ho visto Billy Graham in carne ed ossa e l’ho sentito forte e chiaro.

Il Metodo
“Una volta che mi focalizzo su qualcosa, me la suono davvero nella mia mente finché
arriva un’idea dal nulla, ed è normalmente la chiave per l’intera canzone. E’ l’idea che conta
L’idea mi fluttua intorno a lungo”.


D. Molte delle tue canzoni più recenti trattano della vecchiaia. Una volta hai detto che le persone non si ritirano, svaniscono, si esauriscono. Ed ora a 73 anni, tu sei bisnonno.

R. Guarda, si invecchia.. La passione è un gioco da giovani, ok? I giovani possono essere appassionati. Le persone più anziane devono diventare più sagge. Voglio dire, sei in giro da un pò, lasci certe cose ai giovani e non cerchi di comportarti come se fossi un giovane. Potersti veramente farti male.

D. Attorno al 1966, ti sei isolato per più di un anno e ci sono state molte speculazioni sui motivi. Ma era per proteggere la tua famiglia, non è così?

R. Assolutamente. E’ così.

D. E penso che la gente non volesse davvero capirlo, perché la tua visione stravagante del mondo come artista gli aveva fatto pensare che tu eri una persona stravagante, ma in realtà eri un tipico papà che stava cercando di proteggere i suoi bambini.

R. Assolutamente. Ho rinunciato alla mia arte per farlo.

D. Ed è stato doloroso?

R. Assolutamente frustrante e doloroso, naturalmente, perché quel dono istintivo, che per me è essere portato per la musica, mi aveva portato fin lì. L’ho fatto, sì, ed è stato doloroso doverlo fare. Ma non avevo scelta.

D. Ora la tua vita la passi per lo più sulla strada: un centinaio di serate all’anno. Ho letto che una volta tua nonna ti disse che la felicità non è la strada verso alcunchè. Disse che è la strada (ciò che porta a qualcosa – n.d.t.).

R. Mia nonna era una donna meravigliosa.

D. Tu ovviamente trai grande gioia e collegamento con chi ti viene a vedere.

R. Non è diverso rispetto ad uno sportivo che sta molto sulla strada. Roger Federer, il tennista, voglio dire, sai, lavora la maggior parte dell’anno. Forse qualcosa come 250 giorni all’anno, ogni anno, anno dopo anno. Voglio dire, è più di quanto faccia B.B.King. Quindi è relativo. Voglio dire, sì, devi andare dove la gente sta. Non puoi portarla dove sei tu a meno che tu non abbia un contratto per suonare a Vegas. Ma la felicità, stiamo parlando della felicità?

D. Sì.

R. OK. Un sacco di gente dice che non esiste la felicità in questa vita, e certamente non c’è una felicità permanente. Ma l’autosufficienza produce felicità. La felicità è uno stato di beatitudine. A dir la verità, non ha mai attraversato la mia mente. Solo perché tu sei felice un momento, dici sì, è un buon pasto, mi rende felice, bene, non deve necessariamente essere vero l’ora successiva. La vita ha i suoi alti e bassi, e il tempo deve essere il tuo compagno, sai? Veramente, il tempo è il solo amico del tuo spirito. I bambini sono felici. Ma non hanno ancora esperienza degli alti e bassi della vita. Non sono nemmeno sicuro di cosa significhi la felicità, a dire il vero. Non so se personalmente la potrei definire.

D. L’hai toccata?

R. Sì, lo facciamo tutti.

D. La stringiamo?

R. Lo facciamo tutti ad un certo punto, ma è come l’acqua, scivola via dalle mani. Finché c’è sofferenza, puoi solo essere così felice. Come può essere felice una persona se ha sfortuna? Può il denaro far felice una persona? Un ricco miliardario che può comprarsi 30 macchine e forse una squadra sportiva è un tipo felice? Cosa potrebbe renderlo più felice? Lo farebbe felice regalare il proprio denaro a paesi stranieri? C’è più contentezza in questo che donarlo qui nei quartieri poveri e creare lavoro. Questa è una falsa premessa, và avanti e credici. Il governo non ha intenzione di creare lavoro? Non è scritto da nessuna parte che uno dei compiti del governo è quello di creare posti di lavoro. E’ una falsa premessa. Ma se ti piacciono le bugie vai avanti così e credici. Il governo non creerà posti di lavoro. Non è compito suo. E’ la gente che deve creare lavoro e questi grandi miliardari sono coloro che possono farlo. Non vediamo che sta accadendo. Vediamo esplodere il crimine ed i quartieri poveri, con gente che non ha nulla da fare se non vagabondare dandosi al bere e alle droghe, diventando assassini e carcerati. Potrebbero tutti aver un'occupazione,e un lavoro creato per loro da tutti questi miliardari di successo. Di certo questo creerebbe un sacco di felicità. Ora, non sto dicendo che lo debbano fare, non sto parlando di comunismo, ma che ne fanno dei loro soldi? Li usano in modo virtuoso? Se non hai idea del tutto di cosa sia la virtù, cerca in un dizionario greco. Non c’è niente di sentimentale in questo.

D. Perciò dovrebbero spostare i loro obiettivi?

R. Sì, penso che dovrebbero, sì, perché ci sono un sacco di cose sbagliate in America e specialmente nei quartieri poveri che loro potrebbero risolvere. Sono zone pericolose e non dovrebbero esserlo. C’è brava gente là, ma è oppressa dalla mancanza di lavoro, Queste persone potrebbero tutte essere impegnate in qualcosa. Questi multimiliardari, e sembrano essercene sempre più ogni giorno, possono creare industrie proprio lì nei ghetti d’America. Ma nessuno può dire loro cosa fare. Dio deve guidarli.

D.Il lavoro remunerativo rappresenta una sorte di salvezza nella tua visione? Sentire valore e orgoglio in quel che fai?

R. Certamente.

D. Lasciami parlare per un attimo del tuo dono. Ci sono artisti come George Balanchine, il coreografo, che sentiva di essere un servo della sua musa. Qualcun altro come Picasso sentiva di essere il padrone nel processo creativo. Come hai affrontato il tuo proprio dono nel corso degli anni? Intendo lo scrivere canzoni, la tua ispirazione, la tua creatività?

R. [Risata]

D. Questo ti fa ridere?

R. Bene. Scambierei ruolo con Picasso se potessi, creativamente parlando. Mi piacerebbe pensare che sono stato il padrone del mio processo creativo, pure, e che ho potuto fare solo quel che volevo quando volevo e che l’ho fatto su vasta scala. Ma naturalmente non è vero. Come Sinatra, c’è stato solo un Picasso. Per quanto riguarda George il coreografo, sono più propenso a sentire quel che faccio nel suo stesso modo. Non è facile determinare il processo creativo.

D. E’ sfuggente?

R. Sì, completamente, assolutamente. E’ incontrollabile. Rende senza senso i termini letterali. Vorrei poterti illuminare, ma non riesco, suona stupido solo provarci. Ma tenterò. Comincia così. Che tipo di canzone ho bisogno di suonare nel mio show? Cosa non ho? Spesso inizia con quello che non ho invece di lavorare su più cose dello stesso tipo. Ho bisogno di ogni tipo di canzoni, veloci, lente, in chiave minore, ballate, rumbe, e me le palleggio tutte durante uno show dal vivo. Cerco da anni di inventare canzoni che abbiano la sensibilità di un dramma Shakespeariano, così parto sempre da questo. Una volta che mi focalizzo su qualcosa, me la suono davvero nella mia mente finché arriva un’idea dal nulla, ed è normalmente la chiave per l’intera canzone. E’ l’idea che conta. L’idea mi fluttua intorno a lungo. E’ come l’elettricità, che esisteva molto prima che Edison la imbrigliasse. Il comunismo era nell’aria da tanto prima che Lenin lo rilevasse. Pete Townshend ha pensato a Tommy per anni prima di scriverci effettivamente qualche canzone. Quindi la creatività ha molto a che fare con l’idea di fondo. L’ispirazione è quello che viene quando tu stai lavorando su quell’idea. Ma l’ispirazione non susciterà ciò che non c’era già dall’inizio.

D. Sei stato generoso ad accettare tutte queste domande.

R. Ho trovato le domande molto interessanti. L’ultima volta che ho fatto un’intervista, il tipo voleva sapere di tutto tranne che di musica. Amico, sono solo un musicista, sai? La gente lo fa dagli anni ’60, mi fanno domande come se le rivolgessero a un medico o a uno psichiatra o a un professore o a un politico. Perché? Perché mi chiedete queste cose?

D. Che genere di domande si fanno a un musicista?

R. Di musica! Esattamente.