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GIE'S FARM

SITO ITALIANO DEDICATO A BOB DYLAN

2016 Nobel Prize in Literature

 

Traduzione di Silvano Cattaneo

Bob Dylan Has a Lot on His Mind

di Douglas Brinkley (Preside di Scienze Umane e professore di Storia alla Rice University. Autore del libro “American Moonshot: John F. Kennedy and the Great Space Race.)

12 giugno 2020 

Qualche anno fa, seduti all'ombra degli alberi di Saratoga Springs, New York, ebbi una conversazione di due ore con Bob Dylan che spaziò da Malcolm X alla Rivoluzione francese, da Franklin Roosevelt alla Seconda guerra mondiale. A un certo punto mi chiese cosa sapessi del massacro di Sand Creek del 1864. Quando risposi "non abbastanza", si alzò dalla sedia pieghevole, salì sul suo tour bus e tornò cinque minuti dopo con fotocopie che descrivevano come le truppe statunitensi avevano massacrato centinaia di pacifici Cheyenne e Arapaho nel Colorado sudorientale.

Considerata la natura del nostro rapporto, mi sono sentito libero di contattarlo ad aprile, nel mezzo della crisi del coronavirus, dopo che a sorpresa aveva pubblicato "Murder Most Foul", epico brano di 17 minuti sull' assassinio di Kennedy. Nonostante non abbia rilasciato nessuna intervista importante al di fuori del suo sito web da quando nel 2016 ha vinto il Nobel per la letteratura, ha accettato una chiacchierata telefonica dalla sua casa di Malibu che, in definitiva, è la sua unica intervista prima della pubblicazione di "Rough and Rowdy Ways”, il suo primo album di brani originali da “Tempest” del 2012.

Come la maggior parte delle conversazioni con Dylan, "Rough and Rowdy Ways" copre un territorio complesso: trance e inni, blues sprezzanti, brame d'amore, giustapposizioni comiche, ironici giochi di parole, ardore patriottico, fermezza anticonformista, Cubismo lirico, riflessioni dell'età del crepuscolo e appagamento spirituale.

Nell’adrenalinica "Goodbye Jimmy Reed" Dylan onora il bluesman del Mississippi con feroci riff di armonica e versi sconci. Nel blues lento "Crossing the Rubicon", sente "le ossa sotto la mia pelle" e considera le sue opzioni prima della morte: "Tre miglia a nord del purgatorio, un passo dal grande oltre / Ho pregato la croce, baciato le ragazze e ho attraversato il Rubicone".

"Mother of Muses" è un inno al mondo naturale, cori gospel e militari come William Tecumseh Sherman e George Patton, "che hanno aperto la strada perché Presley cantasse / che hanno aperto la strada a Martin Luther King". E "Key West (Philosopher's Pirate)" è un’eterea meditazione sull'immortalità, ambientata in un viaggio lungo la Route 1 verso le Florida Keys, con la fisarmonica di Donnie Herron che incarna Garth Hudson della Band. In questo brano rende omaggio a "Ginsberg, Corso e Kerouac".

Forse un giorno scriverà una canzone o dipingerà un quadro per onorare George Floyd. Negli anni '60 e '70, sulla scia dell’impegno dei leader neri del movimento per i diritti civili, anche Dylan contribuì a mettere a nudo l'arroganza del privilegio bianco e l’oscenità dell'odio razziale in America con canzoni come "George Jackson", "Only a Pawn in Their Game" e" The Lonesome Death of Hattie Carroll". Uno dei suoi versi più duri su vigilanza e razza è in “Hurricane”, ballata del 1976: "A Paterson è così che vanno le cose / Se sei nero è meglio che non ti fai vedere in giro / A meno che non vuoi tirarti addosso la questura".

L’ho richiamato il giorno dopo l’uccisione di Floyd a Minneapolis per avere un suo commento. Visibilmente scosso dall'orrore successo proprio nel suo Stato natio, sembrava depresso. "Mi ha fatto infinitamente male vedere George torturato a morte in quel modo", ha detto. “Era terribilmente osceno. Speriamo che la giustizia arrivi presto per la famiglia Floyd e per la nazione".

Questo è un resoconto delle due conversazioni:

"Murder Most Foul" è stata scritta come una celebrazione nostalgica per un tempo perduto?

Per me non è nostalgica. Non penso a "Murder Most Foul" come una glorificazione del passato o un commiato da un'età perduta. Mi parla del presente e lo ha sempre fatto, specialmente quando stavo scrivendo il testo.

Qualcuno negli anni ’90 ha messo all'asta un fascio di trascrizioni inedite che avevi scritto sull'omicidio di John Kennedy. Quelle note in prosa erano per un saggio o speravi di scrivere una canzone come "Murder Most Foul" da tanto tempo?

Non ho la consapevolezza di aver mai voluto scrivere una canzone su JFK. Molti di questi documenti messi all'asta erano stati falsificati. I falsi sono facili da individuare perché qualcuno li ha firmati con il mio nome sempre in fondo.

Ti ha sorpreso che questa canzone di 17 minuti sia stato il tuo primo numero 1 nelle classifiche di Billboard?

Sì, certo.

"I Contain Multitudes" ha un verso molto potente: "Dormo con la vita e la morte nello stesso letto". Probabilmente ci sentiamo tutti così quando raggiungiamo una certa età. Pensi spesso alla mortalità?

Penso alla morte della razza umana. Il lungo e strano viaggio della scimmia nuda. Non per essere banale, ma la vita di tutti è davvero effimera. Ogni essere umano, non importa quanto forte o potente sia, è fragile di fronte alla morte. Ci penso in termini generali, non in modo personale.

C'è un forte sentimento apocalittico in "Murder Most Foul". Sei preoccupato che nel 2020 abbiamo superato il punto di non ritorno? Che la tecnologia e l’iperindustrializzazione operino contro la vita umana sulla Terra?

Certo, ci sono molti motivi per essere preoccupati. In giro c'è sicuramente molta più ansia e nervosismo di una volta. Ma questo vale solo per le persone di una certa età come me e te, Doug. Abbiamo la tendenza a vivere nel passato, ma è una cosa nostra. I giovani non hanno questa tendenza. Non hanno un passato, tutto ciò che sanno è quello che vedono e sentono, e in questo crederanno. Tra venti o trent’anni, saranno loro protagonisti. Quando vedi qualcuno di dieci anni, lui avrà il potere tra venti o trent’anni e non avrà la minima idea del mondo che conoscevamo noi. Gli adolescenti non hanno il viale dei ricordi. Quindi è meglio entrare in questa mentalità il più presto possibile perché sarà la realtà. Riguardo alla tecnologia, rende tutti vulnerabili. Ma i giovani non la pensano così, non gliene importa affatto. Le telecomunicazioni e la tecnologia avanzata sono il mondo in cui sono nati. Il nostro mondo è già obsoleto.

Un verso di "False Prophet" - "Sono l'ultimo dei migliori, puoi seppellire gli altri" - mi ha ricordato la recente scomparsa di John Prine e Little Richard. Hai ascoltato la loro musica dopo che sono morti, come una sorta di tributo?

Tutt’e due hanno trionfato nel loro lavoro. Non hanno bisogno di nessuno che faccia tributi. Tutti sanno chi erano e cos’hanno fatto. E meritano tutto il rispetto e le lodi che hanno ricevuto. Nessun dubbio a riguardo. Ma con Little Richard ci sono cresciuto, era lì prima di me. Accese un fiammifero sotto di me e mi fece entrare in sintonia con cose che non avrei mai conosciuto da solo. Quindi penso a lui in modo diverso. John [Prine] è venuto dopo di me, non è la stessa cosa. Li vedo in modo diverso.

Perché la musica gospel di Little Richard non ha avuto maggior successo?

Probabilmente perché la musica gospel è la musica della buona novella e di questi tempi non ci sono proprio buone notizie. Le buone notizie nel mondo di oggi sono come un fuggitivo, trattate come un bandito e messe in fuga. Represse. Tutto ciò che vediamo sono notizie buone a nulla. E dobbiamo ringraziare l'industria dei media per questo. Fomentano le persone. Gossip e panni sporchi, cattive notizie che deprimono e inorridiscono. Le notizie dei gospel, invece, sono esemplari. Ti possono infondere coraggio. Puoi accordarci la tua vita, o comunque provarci. E puoi farlo con onore e principi. Ci sono verità nel gospel, ma alla maggior parte delle persone non interessano. Vivono le proprie vite troppo in fretta. Troppe influenze negative. Sesso, politica e omicidi sono la strada da percorrere se vuoi attirare l'attenzione della gente. Ci eccitano, questo è il nostro problema.

Little Richard era un grande cantante gospel, ma penso sia stato vissuto come un estraneo o un intruso nel mondo del gospel. Non l'hanno accettato. E ovviamente il mondo del rock'n'roll voleva che lui continuasse a cantare "Good Golly, Miss Molly". Così la sua musica gospel non fu accettata in nessuno dei due mondi. Penso sia successa la stessa cosa a Sister Rosetta Tharpe, ma non riesco a immaginare nessuno dei due preoccuparsene più di tanto. Entrambi erano quelle che definiamo persone dal carattere forte. Autentici, pieni di talento, conoscevano sé stessi e non si facevano condizionare da nulla di esterno. So che Little Richard era così. E anche Robert Johnson era così, persino di più. Robert è stato uno dei geni più inventivi di tutti i tempi. Ma probabilmente non aveva un pubblico a cui parlare. Era così avanti che non l'abbiamo ancora raggiunto. Oggi la considerazione per lui non potrebbe essere più alta, eppure ai suoi tempi le sue canzoni confondevano la gente. E questo ti dimostra che le grandi persone seguono la loro strada.

Nell'album "Tempest" hai inciso "Roll on John" come omaggio a John Lennon. C'è un'altra persona per cui vorresti scrivere una ballata?

Quel tipo di canzoni mi escono all’improvviso, dal nulla. Non pianifico mai di scriverne una. Detto questo, ci sono però personaggi pubblici che per una qualche ragione sono nel tuo subconscio. Nessuna delle canzoni dedicate è scritta intenzionalmente. Cadono davvero dal cielo. Sono sorpreso come tutti del perché le scrivo. Però la tradizione folk ha una lunga storia di brani dedicati a qualcuno: John Henry, Mister Garfield, Roosevelt. Forse sono semplicemente incatenato a questa tradizione.

Nei tuoi pezzi rendi omaggio a molti grandi artisti. Citare Don Henley e Glenn Frey in "Murder Most Foul" per me è stata una sorpresa. Quali canzoni degli Eagles ti piacciono di più?

"New Kid in Town", "Life in the Fast Lane", "Pretty Maids All in a Row".  Questa potrebbe essere una delle migliori canzoni di sempre.

In "Murder Most Foul" citi anche ad Art Pepper, Charlie Parker, Bud Powell, Thelonious Monk, Oscar Peterson e Stan Getz. In che modo il jazz ti ha ispirato come cantautore e poeta nella tua lunga carriera? Ci sono artisti jazz che hai continuato ad ascoltare negli ultimi tempi?

Forse le prime incisioni di Miles [Davis] su Capitol Records. Ma cos'è il jazz? Dixieland, bebop, fusion ad alta velocità? Cos’è che chiami jazz? Sonny Rollins? Di Sonny mi piacciono le sue cose calypso, ma è jazz? Jo Stafford, Joni James, Kay Starr, penso che fossero tutti cantanti jazz. King Pleasure, ecco la mia idea di un cantante jazz. Non so, puoi infilarci di tutto in quella categoria. Il jazz risale ai ruggenti anni ‘20. Paul Whiteman fu chiamato il re del jazz, ma sono sicuro che se avessi chiesto a Lester Young non avrebbe saputo di cosa stavi parlando.

Qualcosa mi ha ispirato? Certo, e probabilmente molto. Ella Fitzgerald mi ha ispirato come cantante. Oscar Peterson come pianista, senza dubbio. Qualcosa mi ha ispirato come autore? Sì, "Ruby, My Dear" di [Thelonious] Monk. Quel brano mi ha spinto a fare qualcosa di simile. Ricordo di averlo ascoltato in continuazione.

Che ruolo ha l'improvvisazione nella tua musica?

Proprio nessuno. Non c’è modo di cambiare la natura di una canzone dopo che l’hai scritta. Puoi inserire motivi diversi di chitarra o piano sulle linee strutturali e proseguire da lì, ma non è improvvisazione. L'improvvisazione ti lascia aperto a esecuzioni buone o cattive, ma l’idea è di rimanere coerenti. In sostanza suoni la stessa cosa una volta dopo l’altra, nel modo più perfetto possibile.

"I Contain Multitudes" è sorprendentemente autobiografica in alcuni punti. Gli ultimi due versi emanano uno stoicismo estremo, mentre il resto della canzone è un confessionale spiritoso. Ti sei divertito a vedertela con gli impulsi contradditori tuoi e della natura umana in generale?

In realtà non ho dovuto lottare molto. È il genere di cose in cui accumuli versi da flusso di coscienza, li lasci decantare e poi ci tiri fuori qualcosa. In questa canzone in particolare, gli ultimi versi sono arrivati per primi: quindi è qui che tutto stava andando. Ovviamente, il catalizzatore della canzone è il titolo. È uno di quei pezzi che scrivi d’istinto. Un po’ in uno stato di trance. La maggior parte delle mie canzoni recenti sono così. I testi sono veri, tangibili, non sono metafore. Le canzoni sembrano conoscere sé stesse e sanno che io posso cantarle, vocalmente e ritmicamente. In un certo senso si scrivono da sole e contano su di me perché le canti.

In questa canzone, ancora una volta, nomini tanta gente. Cosa ti ha spinto a citare Anna Frank accanto a Indiana Jones?

La sua storia significa molto. È profonda, e difficile da esprimere o parafrasare, specialmente nella cultura moderna. Tutti hanno una soglia di attenzione così breve. Tu però stai portando il nome di Anna [Frank] fuori dal contesto perché fa parte di un trittico. Potresti anche chiedere: "Cosa ti ha spinto a includere Indiana Jones o i Rolling Stones?" I nomi in sé non sono solitari. E la loro combinazione che dà vita a qualcosa che è più delle singole parti. Scendere troppo nei dettagli è irrilevante. La canzone è come un dipinto, non puoi vederlo tutto insieme se sei troppo vicino. I singoli pezzi sono solo una parte del tutto.

"I Contain Multitudes" è più simile alla scrittura in trance. O meglio, non è che è simile, è proprio scrittura in stato di trance. È come percepisco per davvero le cose. È la mia identità e non ho intenzione di metterla in discussione, non sono in grado di farlo. Ogni verso ha uno scopo specifico. Da qualche parte nell'universo quei tre nomi [Anna Frank, Indiana Jones e Rolling Stones] devono aver pagato un prezzo per quello che rappresentano, e sono legati tra loro. Mi è difficile spiegare perché e per come, ma questi sono i fatti.

Ma Indiana Jones è un personaggio immaginario…

Sì, ma la colonna sonora di John Williams lo ha portato in vita. Senza quella musica sarebbe stato solo un film. È la musica che fa vivere Indy. E forse questa è una delle ragioni per cui sta nella canzone. Non so, tutti e tre quei nomi sono arrivati contemporaneamente.

Un riferimento ai Rolling Stones irrompe in “I Contain Multitudes.” Così per gioco, quale canzone degli Stones vorresti aver scritto tu?

Oh, non so, forse “Angie,” “Ventilator Blues” e cos’altro… fammi pensare, ah sì!, “Wild Horses”.

Charlie Sexton ha iniziato a suonare con te per un paio di anni nel 1999, e poi è ritornato all'ovile nel 2009. Cosa lo rende un musicista così speciale? È come se riusciste a leggervi nel pensiero.

Charlie sì, lui può leggere nella mente di chiunque. Charlie, poi, scrive canzoni e le canta benissimo, e sa suonare la chitarra da maestro. Non c'è nessuna delle mie canzoni in cui Charlie non si senta coinvolto e con me ha sempre suonato alla grande. "False Prophet" è uno dei tre brani con il giro di 12 battute del nuovo disco. Charlie è bravo in tutte le canzoni. Non è un chitarrista esibizionista, anche se potrebbe farlo se lo volesse. È molto contenuto nel suo modo di suonare, ma quando vuole sa essere esplosivo. Ha uno stile classico, autentica vecchia scuola. Entra in una canzone piuttosto che aggredirla. Questo ha sempre fatto con me.

Come hai passato gli ultimi mesi rifugiato in casa a Malibu? Sei riuscito a saldare o a dipingere?

Sì, un pò.

Riesci a essere musicalmente creativo quando sei a casa?

Lo sono soprattutto nelle stanze d’albergo. Una stanza d’albergo è per me la cosa più vicina a uno studio privato.

Avere l'Oceano Pacifico dietro casa ti aiuta a elaborare la pandemia di Covid-19 in modo spirituale? Esiste una teoria chiamata "blue mind" [“mente blu”] secondo cui vivere vicino all'acqua è un rimedio salutare.

Sì, posso crederci. "Cool Water", " Many Rivers to Cross”, “How Deep Is the Ocean”: ascolto una di queste canzoni ed è una sorta di cura. Non so per cosa, forse una cura per qualcosa che non so nemmeno di avere. Un rimedio di qualche tipo. È come una cosa spirituale. L'acqua è una cosa spirituale. Non avevo mai sentito parlare di "blue mind". Suona come una specie di canzone, uno slow blues. Qualcosa che potrebbe scrivere Van Morrison. Forse l'ha fatto, non lo so.

È davvero un peccato che proprio quando la commedia "Girl From the North Country", con le tue musiche, stava ottenendo recensioni entusiastiche abbia dovuto chiudere a causa del Covid-19. Sei andato a vederla o hai guardato il video?

Certo, l'ho vista e mi ha colpito. L'ho vista come uno spettatore anonimo, non come qualcuno che ne fosse in qualche modo coinvolto. Mi sono lasciato andare. Alla fine mi ha fatto piangere. Non so nemmeno perché. Quando è calato  il sipario, sono rimasto stordito. Davvero. Peccato che Broadway abbia chiuso perché volevo rivederla.

Pensi a questa pandemia in termini quasi biblici? Una piaga che ha spazzato la terra?

Penso che sia un presagio di qualcos'altro a venire. È di sicuro un'invasione e ha colpito ovunque, ma in che senso “biblica”? Intendi una specie di segnale di avvertimento alle persone affinché si pentano dei loro misfatti? Ciò implicherebbe che nel mondo stia per arrivare una sorta di castigo divino. L'estrema arroganza può avere punizioni disastrose. Forse siamo alla vigilia della distruzione. Ci sono molti modi per considerare questo virus. Penso che si debba lasciare che faccia il suo corso.

Tra tutti i tuoi brani, "When I Paint My Masterpiece" con gli anni mi piace sempre di più. Cosa te l’ha fatta riportare in scaletta negli ultimi concerti?

Anche a me col tempo piace di più. Penso che questa canzone abbia a che fare con il mondo classico, qualcosa di irraggiungibile. Un posto dove vorresti essere, al di là della tua esperienza. Qualcosa di così supremo ed elevato da non poter mai più scendere. Hai raggiunto l'inimmaginabile. Questo cerca di dire la canzone e dovresti considerarla in questo contesto. Detto ciò, anche se dipingi il tuo capolavoro, poi cosa farai? Ovviamente dovrai dipingere un altro capolavoro. E potrebbe diventare un ciclo infinito, una sorta di trappola. Ma questo la canzone non lo dice.

Alcuni anni fa ti ho visto suonare una versione quasi bluegrass di "Summer Days". Hai mai pensato di registrare un album bluegrass?

Non ci ho mai pensato. La musica bluegrass è misteriosa e profondamente radicata, devi essere nato suonandola. Solo perché sei un grande cantante, o un grande qualcos’altro, non significa che tu possa stare in un gruppo bluegrass. È quasi come la musica classica. È armonica e contemplativa, ma è sanguigna. Se hai mai sentito gli Osborne Brothers, sai cosa intendo. È una musica che non perdona e non la puoi forzare. Le canzoni dei Beatles suonate in stile bluegrass non hanno alcun senso, è il repertorio sbagliato, ma è stato fatto. Di sicuro ci sono elementi di musica bluegrass in quello che suono, in particolare l'intensità e tematiche simili. Ma non ho il timbro alto da tenore e non abbiamo armonie a tre voci o il banjo in continuazione. Ascolto molto Bill Monroe, ma cerco di stare attaccato a ciò che riesco a fare meglio.

Come va la tua salute? Sembri in ottima forma. Come riesci a far lavorare mente e corpo all'unisono?

Ah, questa è la grande domanda, vero? Come fanno tutti gli altri? Mente e corpo vanno di pari passo. Ci deve essere una sorta di accordo. Mi piace pensare alla mente come spirito e al corpo come sostanza. Non ho idea di come si integrino queste due cose. Cerco solo di andare sulla retta via e di rimanerci, senza scossoni.