MAGGIE'S FARM

sito italiano di Bob Dylan

LINER NOTES DI TONY GLOVER DA "BOOTLEG SERIES VOL. 4"

BOB DYLAN LIVE 1966 - “The Royal Albert Hall” Concert

Di Tony Glover
St.Paul, maggio 1998

Questi due cd documentano una delle grandi performance di riscontro del ventesimo secolo. BOB DYLAN, deciso a seguire la sua personale visione interiore, non fu il primo artista a non dare al pubblico quel che esso voleva — ma è probabilmente stato il più rumoroso.

Nel 1913, il compositore russo Igor Stravinsky scrisse la musica per Il Rito Della Primavera, un balletto di Diaghilev con coreografia di Nijinsky. Le sue scale dodecafoniche e l’uso di strutture poco conosciute non causarono solo uno scandalo, ma piuttosto una sommossa, quando il pubblico parigino si alzò in piedi gridando, e coprendo il suono dell’orchestra. Consideravano la partitura di Stravinsky un “tentativo blasfemo di distruggere la musica come arte” e fischiarono per tutta la durata dello spettacolo.
Nel 1922, la ballerina di danza moderna Isadora Duncan partì per una tourneé con il marito, il poeta russo Sergei Esenin. Lui leggeva, mentre lei danzava, in vari teatri, attraversando gli Stati uniti. Era l’apice del “Pericolo Rosso” (la repressione comunista) e i poteri di un tempo erano oppressi dalla Rivoluzione Bolscevica di pochi anni prima. Quando la Duncan si esibì a Boston, tenne un discorso appassionato, implorando un pubblico molto conservatore – “Una volta qui eravate selvaggi, non lasciate che loro vi ammansiscano!!!”. Quando sventolò una sciarpa rossa e si scoprì un seno, dichiarando “La nudità è verità, è bellezza, è arte!” il pubblico abbandonò la sala.
Nel 1935, l’attore-regista-autore Antonin artaud mise in scena a Parigi il suo dramma The Cenci, drammatizzazione del mito di un omicidio, incesto e adulterio. Artaud aveva creato il “Teatro della Crudeltà”, in cui il pubblico doveva essere trasformato attraverso l’incontro con la sua opera. Le scenografie erano disegnate per disorientare lo spettatore: effetti sonori di passi registrati, un metronomo amplificato e campane da chiesa che rintoccavano erano fatti risuonare tramite amplificatori posti ai quattro angoli della sala e gli spettatori erano assaliti da macabri effetti di luci e riflettori. La commedia chiuse i battenti presto, e in seguito Artaud finì in manicomio.

Nel maggio del 1966, Bob Dylan è in piedi su un palcoscenico inglese, di ritorno per la seconda parte di un concerto. La prima parte, eseguita da solista e acustica, era stata ben accolta, anche se i testi delle canzoni non erano quelli socialmente consapevoli e politicamente motivati che avevano donato a Dylan la popolarità appena un anno prima. Ora lui appare in completo da mod e stivaletti a punta davanti a una band di cinque elementi, con una chitarra elettrica in mano, suonando rock’n’roll incandescente. Ci sono fischi lungo tutta l’esibizione, e alla fine, appena prima dell’ultimo pezzo, qualcuno grida “Giuda!” Dylan risponde, “Non ti credo!” , si gira verso la band e ringhia, “Suonate fottutamente forte!”. Il batterista Mickey Jones picchia sui tamburi come una raffica di mitra e gli Hawks si lanciano con un boato in “Like A Rolling Stone”. La voce di Dylan è un sogghigno velllutato quando urla il verso “How Does It Feeeeeeeel” e la performance prosegue con forza, senso di sfida e una pura maestà raramente catturata su nastro.

Quando il primo, cosiddetto bootleg “Royal Albert Hall” uscì, circa quattro o cinque anni dopo, la mitologia era già al suo posto: un Woody Guthrie con un pizzico di blues arriva dal Midwest, si trasferisce a New York, scrive alcune canzoni attuali e poetiche che diventano la colonna sonora delle lotte per i diritti civili e contro la guerra, poi diventa intimista e inizia a produrre lavori esistenzialmente surrealisti e visonari, si unisce a una rock band che picchia davvero duro, attraversa come una tempesta gli Stati Uniti, l’Australia e l’Europa, conclude quattro mesi di duro tour con un concerto trionfante, torna negli Stati Uniti, si rompe l’osso del collo in un incidente di motocicletta, e si chiude in un reclusione di venti mesi. Quando ritorna, è un uomo profondamente cambiato, un barbuto poeta biblico, dalle parabole acustiche che sembrano venire da un altro secolo. Allora, cos’era successo, e perché la gente era così arrabbiata? C’è una storia dietro…

Dal punto di vista dei trent’anni sulla strada, la storia appare come l’inevitabile evoluzione degli eventi – ma quando li vivi e li attraversi, la prospettiva è un po’più caotica. Incontrai per la prima volta Bob Dylan a metà del 1960, pochi mesi prima che lui si dirigesse a est per andare a trovare Woody Guthrie. C’era una scena musicale beat/folk a Dinkytown, una zona di Minneapolis appena fuori dal campus dell’Università del Minnesota. Appartamenti, negozi, e The Scholar, una coffee-house dirimpetto alle botteghe, erano là. Era quel tipo di posto buio e dall’atmosfera alticcia, in cui potevi bere una tazza di qualcosa, giocare a scacchi, stare a guardare fuori dalla finestra o parlare di film stranieri senza essere scocciato.
Anche se non lo sapevo finché non lessi alcuni libri, anni dopo, pare che sia Bob che io fossimo espatriati musicali della scena Rock’n’Roll. Lui era stato con una band liceale, e aveva suonato il piano a qualche concerto del veterano della Top 40 Bobby Vee. Io avevo un gruppo di garage blues-rock che suonava una musica il cui stile era un misto tra Bo Diddley e Jimmy Reed — facemmo un paio di acetati e suonammo qualche ballo alla VFW Hall. Quando la band si sciolse a causa di persone che venivano arruolate o altre che lasciavano la città, mi misi a gravitare intorno alla scena di Dinkytown, e incontrai le persone che facevano musica lì. Negli anni 60 non potevi trovare una band con amplificatori, PA e batterie in ogni strada, e non c’erano nemmeno tante chitarre Fender in giro — e metà di quelle che c’erano venivano suonate al The Flame e altri CW bar in centro città. La musica intorno all’Università si collocava nella linea del folk tradizionale, fatto da persone che erano invaghite dele melodie di montagna suonate con il banjo e di vecchie band chitarristiche con nomi come Gid Tanner’s Skillet Lickers. Queste persone avevano grandi collezioni di dischi e nastri. Alcuni mandavano addirittura denaro alla Library of Congress per comprare copie su nastro delle registrazioni dal vivo a 17 dollari l’ora. Venne costituita una Società Folk — la gente si incontrava per discutere e suonare queste canzoni, ed era tutto piuttosto accademico. Ero andato a ritroso dalle band blues di Chicago per scoprire le radici in personaggi del blues/folk del Delta come Leadbelly e Sonny Terry, e avevo scoperto le loro registrazioni della Folkways con Woody Guthrie. Quando ho incontrato Bob, lui era un ragazzo che aveva cominciato con i pezzi di Odetta e Harry Belafonte e ora stava giusto immergendosi profondamente in Woody, e nelle sue canzoni come le cantava Ramblin’Jack Elliott; faceva il flat-picking alla chitarra e stava iniziando a suonare l’armonica con un appendino per abiti al collo. Suonammo ad alcune feste qua e là e ci scambiammo alcuni riff di armonica.

Bob si diresse ad Est alla fine del 1960. Ci scrivemmo delle lettere e lui mi spedì con orgoglio un volantino che pubblicizzava la sua esibizione al Gerde’s Folk City insieme a John Lee Hooker. Quando firmò con la Columbia e fecero uscire il suo primo album nel febbraio del 1962, per quanto mi riguardava, lui era una star. Da lì in poi, era solo questione di livello.

L’album era un buon mix di blues e versioni interessanti di canzoni folk tradizionali, con un paio di composizioni originali in stile Guthrie per completare l’opera. Durante le session per il disco successivo, The Freewheelin’ Bob Dylan, Bob si trovò unito a una band di quattro elementi. Il 45 giri che ne risultò, “Mixed Up Confusion/Corrina, Corrina,” metteva in coppia il pezzo tradizionale con una composizione originale rockeggiante che suonava come Woody in chiave rockabilly, con un po’ di bel piano e armonica in mezzo — era forte, anche se un po’ su un’altra strada. Il singolo non era abbastanza commerciale per la radio da Top 40, e gli strumenti elettrici erano un anatema per il pubblico folk, che coscientemente voltava la schiena alla cultura di massa e alla musica pop. I pezzi con la band originalmente intesi per l’album furono eliminati, e ne rimase solo “Corrina”.

All’inizio del 1964 Bob era già considerato un portavoce da un certo numero di gruppi dai diversi obiettivi.
Era apparso al raduno della Marcia su Washington dell’agosto 1963, durante il quale Martin Luther King aveva pronunciato il suo famoso discorso dall’incipit “Ho un Sogno”. Bob aveva cantato “Only A Pawn In Their Game” e Peter, Paul e Mary si erano esibiti nel suo inno, “Blowin’In The Wind”. Il suo nuovo album “The Times They are a-Changin’” conteneva ballate politiche che parevano ispirate da Bertolt Brecht, ma anche canzoni sul senso di perdita da groppo in gola come “One Too Many Mornings” e “Boots Of Spanish Leather”. Era apparso in un certo numero di concerti a favore di varie cause, suonato ad alcuni raduni di registrazione dei voti in Mississippi ed era diventato il ragazzo dai capelli ordinati del movimento della canzone d’attualità, con nuove canzoni che apparivano regolarmente su Sing Out! e Broadside, le bibbie degli attivisti.

Nel giugno del 1964, Bob entrò in studio e cambiò direzione: in un sol giorno incise Another Side of Bob Dylan, che univa canzoni d’amore e umoristici talking blues all’immaginazione surrealista di “Chimes Of Freedom”. Il risultato fu un coro di disapprovazione da parte del pubblico delle cosiddette Canzoni della Gente. Non valse a nulla il fatto che non fosse stato Bob a scegliere il titolo dell’album. Cameron Crowe riporta questa sua dichiarazione nel libretto del box set di Biograph: “Tom Wilson lo intitolò così, io lo pregai e scongiurai di non farlo. Capisci, pensavo fosse esagerare l’ovvio… sembrava come una negazione del passato, cosa che non corrispondeva affatto alla verità.” Come disse Richard Williams nel suo A Man Called Alias: “Il fatto era che, nello stesso momento in cui Bob Dylan iniziava a venir acclamato come la voce della coscienza politica della sua generazione, il suo nuovo album era pieno di canzoni a tema personale… il disco si spostava verso un paesaggio interiore, in cui cameriere di colore assassinate, malvagi mercanti di armi, presidenti assassinati e minatori affamati non si potevano trovare.”

La reazione non si fece attendere — nel numero di novembre di Sing Out!, il direttore Irwin Silber lo castigò in una lettera aperta:
“…Tu hai detto di non essere un autore di canzoni “di protesta”… ma ogni compositore che cerchi di confrontarsi onestamente con la realtà di questo mondo è destinato a scrivere canzoni “di protesta”. Come può evitarlo? Le tue nuove canzoni ora sembrano tutte improntate all’interiorità, all’esplorazione di se stessi, alla coscienza di sé — forse sono perfino un po’ebbre o crudeli, a volte. E succede anche sul palco. Sembra che tu ora ti rivolga a una manciata di compari dietro le quinte piuttosto che a tutti noi, là fuori di fronte a te. Ora, tutto ciò va bene — se è quello che vuoi. Ma in questo caso sei un altro Bob Dylan rispetto a quello che conoscevamo noi. Quello vecchio non ha mai sprecato il nostro tempo prezioso… La Macchina del Successo Americano mastica geni al ritmo di uno al giorno e non è mai sazia. Incapace di produrre vera arte da sé, il Sistema dà origine alla creatività nella protesta e nell’anticonformismo contro le istituzioni. E poi, attraverso la notorietà, i soldi veloci e lo status, rende impossibile per l’artista funzionare e crescere. E’un processo contro il quale bisogna costantemente tenersi in guardia e combattere. Pensaci un po’, Bob. Credimi quando ti dico che questa lettera è scritta per affetto e profonda preoccupazione… Irwin Silber.”

All’epoca, Koerner, Ray & Glover, il gruppo blues-folk con cui suonavo, aveva pubblicato un paio di album ed eravamo stati inseriti nel programma del Newport Folk Festival. Naturalmente anche Bob c’era, e ci incontrammo nell’hotel. Uno dei miei ricordi più nitidi del weekend è quello di un pomeriggio durante il quale il festival, là fuori, proseguiva nella sua tradizionale modalità d’attualità, mentre in una stanza lui, Bob Neuwirth e io cantavamo vecchi pezzi di Hank Williams — e lavoravamo sulle armonie di “Tell Me” — un brano originale preso dal primo album dei Rolling Stones. In ottobre, gli Animals erano all’Ed Sullivan Show a fare una versione rock di “House Of The Rising Sun” , una ballata che si trovava anche nel primo album di Bob. Lo stile era nell’aria…

Nel gennaio 1965, nel corso di una session di tre giorni, Bob incise i pezzi di Bringing It All Back Home, un altro viaggio percorso ancora più a fondo lungo la sua nuova strada. Un lato dell’album era suonato con una band, l’altro era da solista e acustico. C’era molto su cui affondare i denti — i pezzi da solista includevano “Gates Of Eden”, con frasi come “sopra nuvole di foreste a quattro zampe l’angelo cowboy cavalca” e “la madonna nera della motocicletta regina zingara delle due ruote” che ricordavano il genere di giochi di parole che William Borroughs aveva usato in manoscritti come Il Pasto Nudo. Aggiungete “Mr.Tambourine Man”, “It’s Alright, Ma (I’m Only Bleeding)” e “It’s All Over Now, Baby Blue” e avrete alcuni incredibili e innegabili capolavori malinconici — interpretati in maniera eccellente. Forse è vero che Bob non ha mai avuto una grande voce, ma diavolo!, è evocativa e regala le sue parole con perfetta, misurata intensità emotiva — riuscite a immaginare qualcuno che lo faccia con maggior compassione o autorità?

La parte elettrica causò nuove agitazioni. La maggior parte dei brani erano di base pezzi stilisticamente folk eseguiti con l’accompagnamento di una band — con un’unica grande eccezione, “Subterranean Homesick Blues”, un riff potente e veloce, rappato, che mischiava Chuck Berry con esplosioni di immaginazione poetica alla Allen Ginsberg. Era una vera rivoluzione ed era entusiasmante sentirla alla radio — una strana combinazione di rock gioioso e testi letterati che subito saltava all’orecchio, ti solleticava e ti faceva battere il ritmo a terra con il piede, tutto in un attimo. Arrivò al numero 39 delle classifiche pop. La prima volta che la sentii, sorrisi e pensai, forte— è diventato abbastanza grande da avere una band che lo accompagna.

Un paio di mesi dopo, intorno alla data di uscita dell’album a fine marzo, Bob era seduto a suonare l’armonica con i Byrds, il primo gruppo “folk-rock” ad essere entrato nella Top 40. Avevano diversi pezzi di Dylan nel loro repertorio. C’era decisamente qualcosa che stava per cominciare.
Dopo aver tenuto diversi concerti in coppia con Joan Baez, Bob andò in Inghilterra per un tour di due settimane nel tardo aprile. L’evento fu filmato e nel 1967 ne uscì un film con il titolo di Don’t Look Back. E’un documento su un uomo in conflitto — che suona doverosamente alle date che sono già state fissate per lui, interpretando un repertorio rispetto al quale era di gran lunga cresciuto durante quei giorni così intensi e veloci. (Anche se c’erano sei canzoni dal nuovo album incluse nelle setlist.) La sua hit alla radio in Inghilterra era The Times They Are a- Changin’” e per chiunque vi prestasse attenzione, sarebbe dovuto risultare ovvio che anche Bob stava cambiando. Le conferenze stampa erano esercizi di stile sull’umorismo più assurdo e Bob indossava una fine giacca di pelle invece della sua camicia da operaio. Una delle scene più eloquenti del film lo mostra mentre si ferma per guardare la vetrina di un negozio di musica, osservando una chitarra elettrica Burns. I Beatles e gli Stones lo ammiravano, ma i fans volevano sentire più slogan e meno poesia rock. Tornò negli Stati Uniti esausto.

“Dopo aver finito la tournée inglese, me ne sono andato perché era troppo facile,” Bob disse allo scrittore Jules Siegel un anno dopo. “Non stava succedendo niente, per me. Ogni concerto era uguale: prima parte, seconda parte, due bis e scappa via, e poi dovermi occupare tutta la notte di me stesso. Non capivo; ricevevo delle standing ovations senza che significasse nulla. La prima volta non provai vergogna. Ma dopo, stavo semplicemente andando dietro a me stesso. Ero lungo un sentiero già tracciato.” Scrivere era sempre catartico e in uno dei suoi sfoghi alla macchina da scrivere butto giù un lungo fiume di divagazioni. “Era lungo dieci pagine. Non aveva titolo, solo una cosa ritmata su carta, tutta sul mio perenne odio diretto su qualche obiettivo onesto. Alla fine non era odio, era dire a qualcuno qualcosa che non sapevano, dire loro che erano fortunati. Vendetta, quello è un termine migliore. Non ci avevo mai pensato come a una canzone finché un giorno fui al piano, e sulla carta c’era “come ci si sente?” da cantare in un ritmo rallentato, all’estremo del rallentato, seguendo qualcosa… la scrissi. Non fallii, era diretta.” A metà giugno 1965 era in uno studio di registrazione di New York con alcuni ragazzi per la session e con il chitarrista da colpo sicuro Mike Bloomfield, che presto avrebbe lavorato con la Paul Butterfield Blues Band. Nel giro di due giorni incisero tre brani, uno dei quali era l’epopea in sei minuti “Like A Rolling Stone”.

Un mese dopo la canzone era alla radio — per i deejay era stata pubblicata divisa a metà su 45 giri, con la prima parte sul lato A e la seconda sul lato B, ma quasi tutti le riunivano insieme su cassetta e mandavano in onda una versione completa. Se “Subterranean” era un vero colpo per l’autoradio, immaginatevi sentire “di solito cavalcavi un cavallo cromato con il tuo diplomatico, che portava sulla spalla un gatto siamese/non è dura quando scopri che lui in realtà non la contava giusta, dopo che ti ha preso tutto quello che poteva rubare — come ci si seeeente?” e poi quella chitarra perfetta che legava, dentro e fuori. Il pezzo si innalzava e picchiava, ed era tutt’un'altra cosa sentirlo sul terreno del Newport Festival a fine luglio, su piccole radio a transistor.

Traduzione di Benedicta "Hamster"


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Seconda Parte

Traduzione di Michele Murino

C'era una sensazione strana nell'aria a Newport. Camion dei vigili del fuoco stazionavano ai cancelli, rimanendo pronti nel caso in cui fosse necessario ricorrere agli idranti per reprimere una rivolta, e c'era una corsa continua tra la folla sicchè tutti avevano i nervi a fior di pelle. Una lite avvenne durante le prove pomeridiane quando il folklorista e collezionista di canzoni Alan Lomax (che aveva fatto i field recordings di Son House, Fred McDowell e Muddy Waters) fece una presentazione molto condiscendente nei confronti della Paul Butterfield Band durante una prova blues del pomeriggio, qualcosa sul tipo di "Vediamo cosa pensano di poter fare questi ragazzini". Mentre la band si lanciava in maniera stupefacente nel primo set elettrico mai ascoltato sul suolo del Folk Festival di Newport, il manager della band Albert Grossman (che era anche il manager di Bob) andò da Lomax e gli disse che quella era stata una maniera di merda di presentare la prova del gruppo. Lomax rispose : " Ah, siii?". Qualcuno tirò un pugno ed entrambi si aggredirono rotolandosi nella polvere per un certo numero di secondi mentre gli spettatori osservavano stupefatti questi due corpulenti bestioni che si picchiavano l'un l'altro. Bob eseguì una prova da solo nel pomeriggio del primo giorno, poi decisero che per il suo concerto del giorno successivo egli avrebbe eseguito il suo nuovo singolo. Il chitarrista Bloomfield era già lì sul posto con la band di Butter così fu un lavoro facile reclutare la sezione ritmica con il bassista Jerome Arnold ed il batterista Sam Lay ed il tastierista Al Kooper (che era stato anche presente nella session per il singolo) e Barry Goldberg. Le prove che avvennero durante la serata alla fine portarono ad un set di tre canzoni.
Sembravano esserci due principali modelli di musica che erano accettabili al Newport Folk Festival, un evento annuale fin dal 1963: o traditional veri e propri (mountain ballads, intermezzi con il banjo, spirituals, canzoni di lavoro, blues e bluegrass), o cantanti/cantautori che eseguivano canzoni di protesta di attualità. Non era consentita una categoria per chitarre elettriche o batteria, questi erano considerati simboli disprezzati della cultura pop di Tin Pan Alley. C'erano molti numeri in scaletta quella sera: il concerto della sera iniziò con Pete Seeger, il veterano cantante di canzoni di attualità, il quale fece ascoltare il nastro registrato di un bambino appena nato che piangeva e chiese a coloro che si esibivano quella sera di spiegare al bimbo il mondo in cui sarebbe cresciuto - era abbastanza ovvio il messaggio che egli aveva in mente. Ci fu anche una maldestra esaltazione della musica tradizionale fino al punto di far esibire un gruppo di neri che cantavano canzoni di lavoro mentre tagliavano un ceppo di legno sul palcoscenico. Quando fu la volta di Dylan di uscire sul palco a metà concerto gli amplificatori e le tastiere furono tirati fuori. Le aspettative erano alte - fino a quel momento lo show era stato abbastanza fiacco.

Io stavo osservando dalla postazione luci di Chip Monck messo di lato. Chip fece un'accoglienza entusiasta; i musicisti furono accolti con un caldo benvenuto, egli aveva un frigorifero ben rifornito ed in genere aveva buona roba da fumare. C'era stata una discussione quel pomeriggio a proposito di fare qualcosa di diverso con le luci durante il set di Bob - dopo un mucchio di ipotesi l'idea di avere l'intero palco sotto una luce rossa alla fine di ogni canzone venne approvata.

La prima canzone ad essere eseguita fu "Maggie's Farm". Il verso "I ain't gonna work on Maggie's Farm no more", dato il contesto, assunse tutto un ALTRO significato. C'era un notevole potere ed un'energia durante quell'esibizione ma il problema fu che il suono veniva risucchiato completamente. Paul Rothchild, produttore di album della Elektra Records, era chiaramente fuori di testa mentre lottava con il soundboard. I volumi della voce e delle chitarre erano troppo alti e/o sparivano completamente ed il suono delle tastiere era praticamente non udibile. Io ho sentito persone che urlavano "Alzate il volume!", "Non riusciamo a sentire il piano!", etc.
Nel backstage, stando agli articoli pubblicati in seguito, Pete Seeger stava aggirandosi furioso cercando di tagliare i cavi di alimentazione, offeso da quella deviazione così sonora ed abrasiva dalla sua visione. Sul palcoscenico la band proseguì lanciandosi in "Like a rolling stone". Senza i monitors sul palco il suono era una vera e propria accozzaglia di rumori. Tuttavia la pura energia era innegabile, al punto da spingere la folla a gridare, e tra queste urla ci furono anche alcune voci che chiedevano i vecchi brani.
Alcuni sembravano traditi, arrabbiati per il fatto che Dylan insieme al suo accompagnamento amplificato, sembrava abbracciare il mondo di quella musica commerciale dalla quale loro avevano fatto un consapevole ed enorme sforzo per allontanarsi.

La band eseguì poi "It takes a lot to laugh, it takes a train to cry" (che ancora si chiamava allora "Phantom Engineer") eseguita con un ritmo troppo veloce per avere la malinconica maestà che avrebbe avuto in seguito.
Tra grida ulteriori del pubblico circa il sound ed il repertorio di canzoni eseguite la band lasciò il palco - adesso la folla era furiosa. Volevano più di tre sole canzoni - alcuni volevano la band, alcuni volevano solo il loro vecchio solito "trobadour".
Il palcoscenico diventò vuoto e scuro per alcuni minuti mentre Peter Yarrow del gruppo Peter Paul and Mary richiese a gran voce il ritorno di Dylan - ma Bob disse che quelle erano le sole canzoni alle quali avevano lavorato e che avevano provato. Peter disse: "Allora ritorna sul palco da solo. La gente vuole vederti!". Così Bob uscì di nuovo sul palco con una chitarra acustica presa in prestito ed eseguì ancora due canzoni assolutamente profetiche: "It's all over now, Baby Blue" e, dopo aver scroccato un'armonica dalle file del pubblico di fronte, "Mr Tambourine Man". Coloro che protestavano furono in qualche modo placati nell'ascoltare il materiale più vecchio e sembrò che l'avessero avuta vinta loro, Dylan aveva abbandonato il vituperato armamentario elettrico. Ma ovviamente questa fu anche la fine di un capitolo, ed una sorta di addio. Una folla nervosa ed irritata più tardi quella sera sfilò via al calmo suono di un assolo di armonica molto sentito, Mel Lyman della Jim Kweskin Jug Band che suonava una "Rock of ages" molto sentita. I camion dei vigili del fuoco tutto sommato non furono necessari.

Quattro giorni dopo, alle 10 di mattina del 29 luglio negli studi della Columbia Records di New York City, ci furono le registrazioni del nuovo album con la stessa formazione delle sessions di "Like a rolling stone". Bob mi aveva invitato ed io mi trovai un angolo nella camera controllo. Per quanto ne posso dire io il produttore Bob Johnston era della stessa scuola di produzione di John Hammond; chiamava i numeri delle takes, faceva telefonate. Le sole persone che io udii fare commenti a proposito delle sessions furono Albert Grossman e Bobby Neuwirth. Le sessions sembrarono essere piuttosto sciolte ma metodiche. I session men si riunivano intorno a Bob mentre lui eseguiva un motivo per loro, cantava un pò di versi mentre loro si annotavano i cambiamenti di accordi, poi si sedevano con i loro strumenti e provavano i versi ed i ritmi. La prima canzone fu "Phantom Engineer" che fu eseguita con lo stesso ritmo veloce di Newport. Dopo un paio di takes la canzone fu completata e Bob passò a "Tombstone Blues". Dopo circa quattro o cinque takes Bob si disse soddisfatto e venne chiamata una pausa pranzo. Mentre la maggioranza dei musicisti e dello staff tecnico se ne andava Bob si sedette al pianoforte e lavorò a "Phantom Engineer" per oltre un'ora. Quando lo staff tecnico tornò al proprio posto Bob spiegò come egli voleva eseguire la canzone in maniera differente ed in sole tre takes riuscirono ad ottenere la bella versione presente sull'album, "It takes a lot to laugh, it takes a train to cry" con una gustosa parte di chitarra e pianoforte.

Poi Bob tirò fuori una nuova canzone, "Positively Fourth Street". Mentre la band lavorava sull'arrangiamento, ad ogni take più affiatata, Neuwirth ed io ci guardammo l'un l'altro ammiccando tra noi a come le liriche a briglia sciolta di Bob potevano essere state ispirate da Newport ma si riferivano anche ad un mucchio di periodi e di posti diversi (Fourth Street, la Quarta Strada, attraversava il cuore di Dinkytown. Inoltre a N.Y.C. Bob aveva vissuto sulla Quarta Strada Ovest per un pò di anni). "You got a lotta nerve to say you are my friend, when I was down you just stood there grinning/You got a lotta nerve to say you got a helping hand to lend, you just wanna be on the side that's winning". Al verso finale "You'd know what a drag it is to see you" era ovvio che ci trovavamo di fronte ad un altro hit single.
I membri del Chambers Brothers Quartet che erano anche stati a Newport capitarono per caso quel giorno e mentre ascoltavano le registrazioni se ne vennero fuori con alcune parti armoniche per il coro di Tombstone Blues. A Bob piacque e disse a Johnston di dar loro un acetato sul quale lavorare (in seguito essi ritornarono e sovraincisero le loro parti sulla traccia, ma questa versione non è mai stata utilizzata).

All'epoca io ero conscio di osservare un momento storico. Bob era in quarta, era ad un vero e proprio picco creativo, e sia Kooper che Bloomfield erano campi positivi di energia, definitivamente in sincronia con il flusso creativo di Bob. A volte il processo creativo di registrazione può essere terribilmente noioso da guardare. Ci sono spesso molti lunghi momenti di noia mentre ripetizioni senza fine vengono effettuate nel tentativo di aggiustare minuscole imperfezioni, ma in quel caso non fu così. A Bob piaceva lavorare velocemente e la band era ottima e lo assecondava in perfetta sintonia. C'era davvero un sorta di magia in atto. Quella notte, dopo la session, ce ne andammo in città con la station wagon. Neuwrith guidava e Bob guardava in silenzio fuori dal finestrino. Quando alla radio trasmisero "Like a rolling stone" fu un momento straordinario, un tipo di spostamento della realtà di cui nessuno ebbe consapevolezza, ma la sua presenza sembrò giusta, era perfetta.
La session del giorno seguente fu fissata ad un orario più ragionevole intorno alle 3/4 del pomeriggio, sostanzialmente con le stesse persone, tranne Harvey Brooks che si era aggiunto per suonare il basso. L'energia non era carica come il giorno prima, ma fu ugualmente un giorno proficuo. "From a buick 6" venne fuori in circa tre takes, ma "Can you please crawl out your window?" necessitò di un numero maggiore di tentativi e fu interrotta numerose volte. A me sembrò che il risultato ottenuto fu una versione più opaca di "Positively 4th street", con liriche meno interessanti. Questa take, pubblicata poi come singolo, non aveva la stessa rude energia di una versione successiva eseguita con gli Hawks. L'ultima canzone che si tentò di registrare quella sera fu un lungo brano chiamato "Desolation row". Già fin dal primo verso risultò chiaro che la chitarra di Bob era nell'accordatura sbagliata. Sia Neuwirth che io lo facemmo notare ma Albert non volle fermare la registrazione. "Lasciatelo fare" disse impenetrabilmente. Dodici minuti dopo Bob ascoltò la registrazione ed appena iniziò ci guardò torvi. "Ero nella tonalità sbagliata - perchè non mi avete fermato? E' una canzone lunga". Albert replicò "La prossima volta lo faremo".

Dopo un weekend per il paese dove Bob e Kooper passarono un pomeriggio a preparare la lista delle canzoni e ad approntare le partiture con gli accordi per i musicisti, le sessions della settimana seguente furono di nuovo caratterizzate da una grande energia. Ad un certo punto comparve il batterista Sam Lay della band di Butter e finì per rilevare la sezione ritmica sul brano "Highway 61 Revisited". Infatti il fischio di sirena giocattolo a forma di sigaro che Bob teneva infilato nel suo porta armonica e che usò per punteggiare qua e là la canzone venne fuori dal bagaglio di Lay. Il vero culmine di quella session fu "Ballad of a thin man" con il suo ritornello quasi sinistro "Something's happening and you don't know what it is, do you, Mr. Jones?". Ricordo lo sguardo furtivo sulla faccia dell'organista mentre eseguiva di tanto in tanto assoli da film horror. Dovetti tornare in Minnesota perciò mi persi la session in cui venne registrata la take di "Desolation Row" che finì sul disco - ma anche senza aver sentito quella ero sicuro che sarebbe stato un grande album.

Tre settimane dopo ci fu una data il 28 Agosto a Forest Hills, New York, con una nuova band di supporto. A fianco di Kooper e Brooks c'erano ora Robbie Robertson alla chitarra e Levon Helm alla batteria. Venivano dagli Hawks, una band canadese che aveva accompagnato il cantante rockabilly Ronny Hawkins. Entrambi avevano partecipato all'eccellente "So many roads", album di John Hammond all'epoca da poco uscito, e le tonalità bollenti della chitarra di Robbie ispirate a Hubert Sumlin si abbinavano perfettamente al suono della chitarra di Bloomfield.
Bob decise di fare la prima metà del concerto da solo e poi fece uscire la band. "Iniziate a suonare, non importa quanto strano" disse ai musicisti.

Da Variety: "Bob Dylan ha spaccato a metà 15.000 dei suoi fans al Forest Hills Tennis Stadium Domenica sera... Il più influente cantante/autore della scena musicale pop dell'ultima decade, Dylan sembra essersi evoluto troppo velocemente per alcuni dei suoi giovani seguaci, che sono pronti a cambiamenti radicali... ripetendo la stessa scena che ebbe luogo durante la sua esibizione al Folk Festival di Newport, Dylan ha eseguito canzoni folk-rock ma ha dovuto scagliare il suo materiale contro un muro ostile di persone che lo rimproveravano per aver tradito la causa della musica folk".

Alcuni giorni dopo venne pubblicato l'album "Highway 61 Revisited", quasi nello stesso momento di un concerto all'Hollywood Bowl. Venne organizzato un tour attraverso il sud da iniziarsi a fine Settembre, ma Kooper e Brooks dissero di non essere disponibili. A metà mese Bob era a Toronto a cercare musicisti e provò con gli Hawks che lo avrebbero accompagnato per il resto del tour.

Il 24 Settembre il tour iniziò ad Austin. Vale la pena di sottolineare che Bob stava saltando da un burrone - non stava semplicemente allontanandosi dal pubblico delle canzoni folk/di attualità, stava rischiando letteralmente la sua intera carriera. Non c'era garanzia di successo nel campo della musica pop; non si trattava di andare dove c'era denaro facile. Egli stava non solo rischiando di fallire nella competitiva scena rock ma si stava alienando anche le simpatie dei vecchi fans. Ma Bob aveva la sua visione da seguire.

Da Newsweek, a proposito del nuovo fenomeno del cosiddetto folk-rock: "La conversione di Dylan al folk-rock è stata istintiva. "Avevo questa cosa che si chiamava "Subterranean Homesick Blues" che proprio non funzionava se la suonavo da solo. Ho provato il pianoforte, il clavicembalo. L'ho provata in chiave blues. L'ho provata con accompagnamento di organo a canne. Con il kazoo. Ma funzionava solo con l'accompagnamento di una band. Non sono cambiato, solo mi sono stufato di suonare la chitarra da solo...".

Gli fu dato più spazio per parlare in un'intervista con Joseph Hass del Chicago Daily News: "...Non sono entrato nella musica folk per fare soldi, ma perchè era facile, potevi suonare da te. Non avevi bisogno di nessuno, tutto quello che ti serviva era una chitarra, non avevi bisogno di nessun altro... Suonavo rock'n'roll quando avevo 13 anni, e 14 e 15, ma dovetti mollare quando avevo 16 o 17 anni perchè non potevo farcela in quel modo, all'epoca andavano di moda Frankie Avalon o Fabian... Circa nel 1958 o '59 ho scoperto Odetta, Harry Belafonte e cantanti del genere e sono diventato un folk singer... Con il r'n'r non potevi portarti dietro una chitarra elettrica ed un amplificatore ed aspettarti di sopravvivere, costava denaro comprare una chitarra elettrica, e dovevi fare più soldi per avere abbastanza gente che suonasse la musica, avevi bisogno di due o tre persone per creare un certo sound...".

Pochi giorni dopo l'inizio del tour "Positively 4th Street" entrò al settimo posto nelle classifiche dei radio hits. Il tour toccò New York, Bob suonò alla Carnegie Hall, poi ci fu una session in studio dove furono registrate quattro canzoni tra cui una versione abbozzata di "Can you please crawl out your window?" ed una di "I wanna be your lover", un altro buon rock che cadde sul bordo della strada. Poi di nuovo on the road per un giro di date di un mese e mezzo, inclusa una data il 5 Novembre nello stesso auditorium di Minneapolis dove Elvis si era esibito una decade prima, più o meno nello stesso periodo in cui uscì l'album "Heartbreak Hotel". I biglietti costavano da un minimo di due dollari ad un massimo di 4 dollari e cinquanta centesimi. Bob mi mise in lista ma suppongo che non avesse molta influenza perchè i posti erano nella parte di dietro della sala. Bob aveva già cantato molte canzoni del suo set da solo quando un tizio che era arrivato in ritardo si sedette di fianco a me. Dopo un paio di canzoni si chinò verso di me e mi chiese: "Scusi, lei sa chi è quello?". "Uhhh - chi si immaginava di vedere?" domandai. "Bob Dylan, "Like a rolling stone" " mi rispose. Sembrò stupito quando gli spiegai che era lui e che la band sarebbe uscita più tardi. Quello fu il momento in cui realizzai che la scena stava passando su tutto un altro livello. Il set con la band fu potente, e Bob era ovviamente caricato quando veniva affiancato dal gruppo, sebbene il sound si disperdesse un pò nella grande sala. Nel backstage mi incontrai con Bob, Neuwirth, Robbie e gli altri. Dylan disse che era andato tutto bene e che sebbene la gente avesse fischiato il set con la band perchè avevano letto sui giornali che era una cosa da fare, in alcuni posti la gente dimostrava di apprezzarlo davvero. Egli sembrò paziente a tal proposito - non c'era un sentimento di sfida, si trattava piuttosto un uomo che seguiva le proprie convinzioni aspettando che la gente fosse pronta ad ascoltare quello che egli diceva. Arrivai in hotel mentre stavano preparando le valigie pronti a partire per la data successiva di Buffalo, New York. Mentre Bob chiudeva la sua valigia indicò il vestito di pelliccia che pendeva ad un attaccapanni sulla porta, con il suo porta armonica avvolto dentro - "Lì c'è Bob Dylan", sorrise. "Proprio lì".

Le date continuarono per tutto Novembre: Cleveland, Toronto, Chicago e Washington. Alla fine del mese il batterista Levon Helm si stufò di tutto quell'uscire sul palco ogni sera, suonare grandi pezzi e venire fischiati per tutt'altri motivi non legati alla musica. Così abbandonò il tour e se ne tornò in Arkansas. Il suo posto fu preso dal session man Bobby Gregg. Furono effettuate ulteriori registrazioni a New York, un paio di tentativi: un'altra versione di "Can you please crawl out your window?" ed un'altra canzone molto lunga "Freeze Out" (che in seguito sarebbe diventata "Visions of Johanna"). Il giorno successivo, il Primo Dicembre, il tour raggiunse Seattle, seguito da un paio di settimane in California. La televisione pubblica di San Francisco mandò in onda una conferenza stampa live che presentò da un lato alcune domande da parte dei giornalisti a Bob, domande che tentavano di ottenere una risposta su quali fossero le ragioni della sua popolarità, e dall'altro Allen Ginsberg che gli domandava: "Credi che sarai mai impiccato come un ladro?". Bob disse che c'erano stati pochi posti dove non era stato fischiato; Texas, Atlanta, Boston, Ohio e Minneapolis. A metà Dicembre il New York Herald Tribune ed il New York Times presentarono contemporaneamente lunghi articoli su Dylan. Il pezzo del Tribune, sebbene non firmato, fu in realtà scritto da Dylan stesso.

Il tour si fermò per un mese riprendendo brevemente dopo ulteriori sessions per l'album a fine Gennaio a N.Y.C., ora con Sandy Konikoff (un altro allievo degli Hawks) alla batteria. Venne provato un certo numero di canzoni che poi sarebbero finite su Blonde on Blonde ma solo una andò a buon fine, "One of us must know (Sooner or Later)". Dopo una settimana e mezza di date sulla Costa Est, Bob andò a Nashville negli studi della Columbia dove registrò per tre giorni. Ne vennero fuori cinque takes che includevano gemme come la mistica love ballad "Sad Eyed Lady Of The Lowlands" e "Visions of Johanna" con la sua spettrale evocazione di una terrificante corsa di notte fino all'alba. Tornato di nuovo on the road Dylan fece date ad Ottawa, Montreal e Philadelphia. Verso la fine di Febbraio venne pubblicato il singolo "One of us must know (Sooner or Later)" che raggiunse il 45mo posto in classifica. Dopo Miami ci fu una settimana di pausa dal tour. Per riposarsi? Volete scherzare: di nuovo a Nashville per altre sedute di registrazione, altri tre giorni la seconda settimana di Marzo a completare il resto di Blonde on Blonde incluse molte canzoni che divennero degli hits radiofonici: "Just like a woman", "I want you" e "Rainy day women # 12 & 35". Ascoltando l'album oggi esso suona come una lavoro contemplativo, il risultato di un lavoro lungo ed attento. Ma se si guarda alla tabella di marcia del tour si nota che in realtà il disco fu ritagliato in momenti rubati, realizzato di corsa, il che rende il risultato finale ancor più stupefacente.

Il giorno dopo il tour continuò e terminò a fine Marzo a Vancouver. Sebbene il calendario mostrasse un paio di settimane di pausa il missaggio dell'album e le sedute fotografiche continuarono. Bob non solo stava bruciando le candele alle due estremità (modo di dire inglese che sta per "esaurirsi"), stava usando una fiamma ossidrica esaurendone diversi ottani.

Poi cominciò la parte europea del tour, con ancora un altro batterista, Mickey Jones (che aveva lavorato in precedenza con Trini Lopez e Johnny Rivers). La data del 9 Aprile ad Honolulu fu seguita da un benvenuto ostile della stampa in Australia. Il gruppo arrivò a Stoccolma il 29 Aprile. Ci sarebbero stati altri 23 concerti nelle successive sei settimane. Al gruppo si unì il regista D.A.Pennebaker, che aveva filmato le precedenti date europee di Bob per il film Don't look back. Tra le altre cose ci fu uno special televisivo della ABC e le riprese di Pennebaker contribuirono con un pò di materiale alquanto rozzo. Circa in questo periodo venne pubblicato il singolo di "Rainy Day Women # 12 & 35" che in diverse recensioni sui giornali venne definita una drug song, da altri venne definita invece un mucchio di immondizie.

La stampa musicale inglese aveva soffiato sul fuoco per diverso tempo. Una recensione di "Like a rolling stone" l'Agosto precedente l'aveva definita "Dylan sotto lo standard". E proseguiva: "La monotona linea melodica e l'intonazione priva di espressione offenderà i puristi del folk con corde (sic) e chitarre elettriche, ed è improbabile che piaccia ai fans del pop a causa della sua durata, della sua monotonia e delle liriche surreali... ma senza dubbio Dylan si diverte a confondere i critici".
A questa recensione fece seguito un mese dopo un intervista con l'incrollabile seguace del folk e della tradizione Ewan McColl che borbottò: "Dylan è per me il perfetto simbolo dell'anti-artista nella nostra società. Egli è contro tutto - l'ultima risorsa di qualcuno che veramente non vuole cambiare il mondo... Egli si occupa di generalizzazioni... Inoltre credo che la sua poesia sia senza valore".
Questo provocò l'invio di molte lettere di protesta al direttore e l'intervento di altri musicisti che commentarono l'articolo schierandosi quasi tutti dalla parte di Dylan. Ma era ovvio che le opinioni erano molto volubili.

Il 5 Maggio a Dublino il set elettrico venne interrotto dalle urla del pubblico e la recensione del concerto aveva come titolo: "La notte della grande delusione". La sera successiva a Belfast avvenne la stessa cosa. Il fatto che Dylan e la band erano nel giusto è provato da una traccia proveniente dal concerto di Dublino e pubblicata sull'album "Biograph", "I don't believe you (She acts like we never have met)"; l'organo di Garth turbinava dentro e fuori le linee melodiche della chitarra di Robbie Robertson mentre la voce di Dylan e la sua armonica cavalcavano sulla sommità dell'onda di suono.
Quella del 10 Maggio fu la prima data sul suolo britannico; vennero allegramente riportate sui giornali notizie di altri urli sul tipo di "Abbassate il volume" e notizie di gente che lasciava il concerto. La maggior parte dei piccoli impianti di diffusione del suono delle sale dei concerti non era adeguata a sostenere il suono di una band, sicchè il tour introdusse la pratica innovativa di utilizzare un proprio impianto personale, una pratica che sarebbe diventata comune solo molti anni più tardi. Con i loro amplificatori, le proprie consolle ed enormi impianti di altoparlanti il suono era, semplicemente, il più forte che un pubblico avesse MAI sentito fino ad allora.
In molte date quando c'era il tutto esaurito venivano aggiunti posti extra ai lati e sul retro del palco. In "Like The Night" di C.P.Lee (una cronaca recente del tour Europeo che si focalizza sullo show di Manchester) le foto mostrano facce che spuntano osservando attentamente a pochi passi dalla postazione della batteria - circondando letteramente la band.

Le date successive furono Cardiff, Birmingham e Liverpool. Un'altra traccia dal set dal vivo riaffiorò alla superficie successivamente come lato b di "I want you" - "Just like Tom Thumb's Blues".
Il brano è un grande esempio di potere e di precisione che il gruppo coraggiosamente dimostrava di fronte ad un'aperta ostilità. Fu poi la volta di Leicester, e poi di Sheffield, il primo di quattro concerti registrati dalla Columbia utilizzando un impianto a tre piste. Più tardi in albergo tutto il gruppo ascoltò le registrazioni e probabilmente ebbe la conferma ben accolta del fatto che, sì, stavano suonando grande musica e che le urla di protesta non avevano niente a che vedere con la qualità di quello che stavano creando.

La combinazione di febbrile attività concertistica e l'intenso calor bianco cui Dylan era sottoposto cominciarono a chiedere il loro pedaggio.

A guardarlo nel film che venne diffuso successivamente con il titolo di "Eat the document", Dylan fa paura, ha una fragilità tale che fa sì che sembri che egli sia sul punto di svanire ad ogni momento nello scoppio di una fiamma. E' al top della potenza e della bellezza di un giovane leone ma si può davvero vedere "il fantasma dell'elettricità nelle ossa del suo viso" - sembra un uomo con i nervi scoperti.

Paul Williams in "Performing Artist: The Music Of Bob Dylan 1960-73" descrive la scena psichica: "I concerti erano incandescenti perchè il cantante viveva per l'arte, stava letteralmente consumandosi, non per compiacere il pubblico e certamente non per un obbligo, ma per la pura e semplice gioia di farlo, viaggiando con intrepidi compagni in reami estetici, accendendo luci in tenebre inesplorate".

17 Maggio, Manchester. Anche questo show venne registrato dalla Columbia ed è la vera fonte per le registrazioni del presente disco, così come per i numerosi bootlegs del cosidetto concerto alla "Royal Albert Hall". Il pubblico è rispettoso e sensibile nella prima parte acustica tanto che si sarebbe sentita volare una mosca, infatti avevano già ascoltato la metà di quelle canzoni prima ed erano su un terreno conosciuto. Poi fu la volta del set elettrico con la band e si scatenò di nuovo l'inferno.

Le date successive furono Glasgow (filmata sul palco da Pennebaker), Edimburgo e Newcastle. In entrambe le date scozzessi Dylan fu fatto oggetto di lenti applausi cadenzati (segno di protesta) ed a scene di persone del pubblico che abbandonavano il concerto. C.P.Lee cita un membro del partito Comunista Scozzese che affermò che tutto questo era in realtà il risultato di infuocati incontri di partito in cui l'ordine del giorno era come rispondere a Dylan in quanto traditore della causa del proletariato (un vero e proprio complotto Comunista?). Dylan tenne un'ultima conferenza stampa a Parigi il giorno prima del suo concerto all'Odeon, nel giorno del suo 25mo compleanno. Ci sono fotografie di Dylan che tiene sulle ginocchia una marionetta - le corde sarebbero state di aiuto per entrambi.
Poi di nuovo a Londra per gli ultimi due concerti alla Royal Albert Hall. A questo punto sembra che Dylan sia pericolosamente vicino a collassare definitivamente. Tuttavia egli riesce a fare colpo su una folla di fans per due sere, ancora con la Columbia che registrava i concerti. Venne riportato in seguito che il set elettrico della prima sera fu registrato in maniera distorta sui nastri, e questo è il motivo per cui non fu pubblicato, e che la seconda sera era distorta in altro modo (sebbene sono emersi degli ottimi nastri del set acustico, si veda ad esempio "Visions of Johanna" del 26 su "Biograph").

Finalmente libero, Bob si recò in Spagna per una breve vacanza prima di fare ritorno negli Stati Uniti.
A Giugno ed a Luglio ci furono settimane di impegni a Woodstock per editare il film per lo special della ABC TV.
Pennebaker aveva realizzato una versione abbastanza schietta del tour dal titolo "Something is happening", ma Bob ed il cameraman Howard Alk decisero di rieditare il film utilizzando gli spezzoni scartati. Il risultato fu il documentario raramente trasmesso intitolato "Eat The Document" che in pratica era un prototipo dell'epoca dei video rock in stile MTV che sarebbero stati realizzati solo molti anni dopo. Ci sono un mucchio di tagli e di salti, di visi che si intravvedono appena, canzoni interrotte a metà e fans intervistati - non c'è da meravigliarsi se venne rifiutato dal network.

Alla fine di Luglio la ruota anteriore della motocicletta Triumph di Bob si bloccò e lui venne scaraventato giù rompendosi il collo. Si ritirò in una totale autoreclusione e tutti i progetti, incluso Tarantula, un libro di frammenti in forma libera, furono rinviati.

Bob non sarebbe stato più ascoltato musicalmente fino al Novembre del 1967. Quando ritornò aveva i capelli corti, si era fatto crescere la barba, e cantava sobrie canzoni mistiche, con una chitarra acustica. Da allora il 1966 non fu solo il passato, fu un'altra vita. E così iniziò il mito...

Quando i primi bootlegs furono diffusi vennero identificati erroneamente come "Royal Abert Hall". Perchè? Beh, per un motivo, perchè creavano una storia migliore - l'ultimo concerto di un tour straordinario prima che l'artista crollasse, si consumasse e voltasse la schiena alla sua precedente esistenza. Forse ci furono anche errori nell'archiviazione delle scatole in cui venivano conservati i nastri registrati, con date e luoghi confusi. Tutto questo è stato oggetto di speculazioni senza fine ed argomentazioni varie sulle fanzines e su internet.

Ma in sostanza quello che realmente conta è che una sera del 1966, un poeta era sul palco con una band che egli aveva scelto perche lo aiutasse a portare avanti la sua visione e che aveva realizzato una musica incredibilmente potente e che era totalmente unica. Era sincero nella sua visione e si spinse fino all'estremo per difenderla. Oggigiorno questo concerto resta uno dei più grandi eventi nella storia della musica rock.

Tony Glover
St. Paul, Maggio 1998


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A PROPOSITO DELLE REGISTRAZIONI

(traduzione di Benedicta "Hamster")

La Columbia Records registrò quattro concerti durante la tournée inglese; Sheffield (16 maggio), Manchester (17 maggio — la fonte di questo set di due cd), e Londra alla Royal Albert Hall (26 e 27 maggio). Fu utilizzato un apparecchio di registrazione a tre piste, con una velocità di 15 IPS. Anche un certo numero di show, da quelli australiani in poi, venne registrato dall’equipe del film, per intero o in parte, con una linea in sistema mono, utilizzando a regola d’arte un apparecchio Nagra a una velocità di 7.5 IPS. Nel recensire le registrazioni dei concerti eseguite dalla CBS, fu chiaro che in generale il concerto migliore, sia come performance che come qualità della registrazione, veniva dai nastri di Manchester. I problemi di velocità del nastro vennero corretti, usando come punto di riferimento la tonalità fissa dell’armonica. Ribilanciare gli strumenti non era possibile, poiché all’epoca erano stati pre-missati in modo da rientrare in tre piste audio; basso e batteria su una, pianoforte e organo sull’altra, voce e chitarra sull’ultima. Una prima versione dei nastri rimasterizzati filtrava via gran parte del rumore del pubblico e del rimbombo acustico della sala. Questo aggiunse vicinanza e chiarezza alla voce, ma tolse parecchio all’ indiavolata acutezza del suono e all’effetto del suono dal vivo. Quella versione fu abbandonata in favore del suono più grezzo che si può sentire in questa.
Sui nastri era stato eseguito anche un intervento di compressione. Questo al fine di ridurre la distorsione nel momento in cui si registravano suoni forti, tagliando via la punta massima dei picchi di alto volume. Ebbe inoltre la conseguenza di far risaltare i bassi, con il risultato di un effetto di “respiro” nei livelli del suono. Se ascoltate con attenzione potete sentirlo qua e là. La CBS aveva seguito gli standard del procedimento della registrazione dal vivo, e usato come fonti due registratori simultaneamente, uno dei quali iniziava a registrare alcuni minuti dopo il primo, cosicché nulla sarebbe andato perduto se uno dei nastri fosse finito proprio a metà di una canzone. Sfortunatamente, alla fine si ebbe una gran quantità di rumore della sala e del pubblico nella pista della voce, che portò a dei pezzi dal suono un po’coperto nella parte acustica dello show. Si scoprì che in effetti i nastri del Nagra avevano un suono migliore, e sono quelli usati qui — la CBS ne aveva fatto uso anche per la versione dal vivo di “Just Like Tom Thumb’s Blues” di Liverpool, pubblicata come lato B del singolo di “I Want You”, e sulle registrazioni dal vivo del tour contenute nel set Biograph.

Le canzoni più vecchie nella parte solista acustica del concerto risalgono all’album Bringing It All Back Home del gennaio 1965; la canzone d’apertura “She Belongs To Me,” la conclusiva “Mr.Tambourine Man” e quella di metà set “It’s all Over Now, Baby Blue” (le ultime due erano state suonate anche nel tour inglese del 1965). C’è un unico pezzo dal disco del luglio precedente, Highway 61 Revisited, ed è “Desolation Row”; tutte le altre canzoni venivano da Blonde On Blonde, che in Inghilterra non era ancora uscito. La sua armonica è allo stesso tempo sottile e melodica mentre gioca con piccoli riff ritmici, tessendoli attraverso i cambi di tono. Dylan è in gran forma con la sua voce — per avere un esempio della sua prodezza vocale, ascoltate il modo in cui declama ed enfatizza i vari aspetti delle sillabe in “Visions Of Johanna”. (Una nota tecnica: sia su questo pezzo che su “Desolation Row” i nastri Nagra si fermarono. Piuttosto che togliere del tutto le canzoni, queste esibizioni furono completate aggiungendovi i finali dalle registrazioni della CBS — lo si può captare, ascoltando con le cuffie, da un leggero cambiamento nel suono dell’ambiente e della sala. Per entrare nel dettaglio, l’ultimo verso di “Desolation” e le ultime due frasi di “Visions” sono prese dai nastri della CBS.) Dylan potrà non essere un Sinatra, ma Frank non potrebbe avere nulla da ridire, in materia di tessere reti musicali, su questa sognante, onirica performance. Anche qui c’è un’armonica interessante: provate a sentire lo stacco, a metà strada tra una marcia e un flamenco, di “ Desolation Row”, o il modo in cui l’arrivo finale dell’armonica nella delicata “Just Like A Woman” scintilla come rocce di diamanti a specchio nel flusso della corrente. La grande capacità tecnica non può competere con un modo di suonare e cantare nettamente evocativo dal punto di vista emotivo. Ci sono alcune forze favolose all’opera alla fine di “Mr.Tambourine Man”, quando la linea dell’armonica sembra danzare libera, poi si ferma sul cambio di tonalità prima di tornare al riff per terminare il pezzo.

Cronologicamente, le canzoni della parte elettrica del concerto si spingono anche più indietro, con la più vecchia, “Baby Let Me Follow You Down”, che risale al suo album di debutto. “One Too Many Mornings” viene da the Times They Are a-Changin’ del 1963, mentre “I Don’t believe You” è del disco del 1964 Another Side. Ce ne sono tre da Highway 61, “Just Like Tom Thumb’s Blues”, “Ballad Of A Thin Man” e “Rolling Stone”, e solo “Leopard Skin Pill-Box Hat” è tratta da Blonde On Blonde. C’è un pezzo inedito, una outtake, “Tell Me Momma”, la canzone d’apertura del set.

Dylan strimpella per accordare lo strumento, spingendosi faccia a faccia con Robbie Robertson, e poi la band attacca. Qui Bob suona con il ritmo delle parole, Robbie salta su con arditi stacchi di chitarra — la band è serrata e palpitante, e Bob ricambia con energia a briglia sciolta. Con un fare ironicamente conciliatorio, Bob annuncia la canzone successiva, “Una volta questa faceva così, adesso va cosà”, e la parte più hippie del pubblico sghignazza. I dissidenti accennano un derisorio applauso lento mentre Bob parte con una canzone dal suo primo album, ignorandoli. Un paio di canzoni più tardi, durante un’altra presentazione, si sentono urla e altri applausi lenti, presto coperti da una tronca “Pill-Box Hat”. Dopo altri strilli da parte del pubblico, Dylan mormora una storia a voce bassa fino a quando quelli finalmente la smettono per sentire cosa sta dicendo, quindi offre la battuta finale e si lancia in “One Too Many Mornings”, un pezzo perfetto, per essere stato resuscitato dal vecchio repertorio. “Ballad Of A Thin Man” mostra Bob al pianoforte, e il suo microfono per la voce ha il volume un po’basso: Garth inserisce alcuni fillers rumorosi — riuscite a sentire i passi fatti con il piede dopo il verso “you walk into the room with a pencil in your hand?” Il testo è una sfida diretta alla parte scontenta del pubblico — una doccia fredda per il cervello. Tra i due pezzi qualche anima offesa urla “Giuda” e Dylan risponde, “Sei un bugiardo!” dopodiché si butta nel pezzo di chiusura, una scintillante versione di “Like A Rolling Stone”.

Un veloce “Grazie” e se n’è andato, il pubblico lugubramente silenzioso, ora.

Di certo qualcosa è successa, qui…