Caro Mr.Tambourine,
giusto un paio di considerazioni in risposta alla ultima mail del Prof.
Bianchi. Innanzitutto non sono d'accordo nel considerare minore la
canzone per l'obbligatorietà della struttura metrica, altrimenti Dante o
Petrarca dovrebbero essere considerati minori rispetto a coloro che
versificano in modo libero; francamente vedere la rima o la struttura
metrica (che in Dylan tra l'altro sono sempre usate in modo creativo)
come dei limiti che dividono l'arte alta da quella bassa mi sembra
difficilmente sostenibile. Anzi, l'uso della rima in Dylan è parte
fondamentale della sua tecnica e genialità compositive, come ha rilevato
Christopher Ricks (che è stato professore universitario di poesia a
Oxford, che si è occupato di Eliot, Tennyson, Milton e Keats e che W.H.
Auden ha definito "il genere di critico che ogni poeta sogna di
trovare"). Ricks ha anche descritto Dylan come il miglior maneggiatore
vivente della lingua inglese e uno dei più grandi compositori di rime
della storia (a proposito consiglio il suo libro "Dylan's visions of
sin").
L'uso che Dylan fa del linguaggio è tutt'altro che banale, semmai va
considerato che i suoi testi sono fatti per essere cantati e che quindi
la musica e la voce aggiungono dimensioni semantiche imprescindibili:
anche se sulla pagina sono presenti delle debolezze va considerato
l'effetto complessivo, cioè delle debolezze semantiche a livello di
pagina possono essere trasformate in espressioni significative dal modo
in cui vengono cantate, dato che la voce aggiunge dei significati che
l'autore del testo può già avere previsto. Certo, se prendiamo in
considerazione i soli testi di Dylan e li paragoniamo a The waste land
di Eliot, non possiamo che vederne le mancanze (cosa peraltro valida per
la maggior parte dei poeti del Novecento); ma in Dylan non va
considerato solo il testo (che comunque a livello linguistico spesso è
estremamente interessante) ma l'insieme di testo, musica e voce. Per
quanto riguarda la musica, anche qui mi sembra fuorviante paragonare una
musica composta per stare insieme a un testo e a una voce ad alcune
delle principali espressioni musicali del Novecento. Nella canzone
d'autore (come anche per tutta la tradizione folk e blues) anche la
musica va considerata in relazione al testo e alla voce, dato che
contribuisce al significato complessivo della canzone e quindi bisogna
chiederci se arricchisce questo significato oppure no, e in Dylan spesso
questo succede. Per la voce quanto ho detto vale ancora di più: la voce
di Dylan non tende al rispetto dei canoni del bel canto ma viene usata
in senso per così dire espressionistico, aggiungendo una componente
semantica di primo piano a quell'oggetto estetico composito che è la
canzone, e in questo Dylan mi sembra ineguagliato.
Un saluto a tutta la Farm! Francesco Alunni
Caro Francesco, credo
che la tua osservazione sia giusta e motivata. Non ha senso cercare di
paragonare una canzone ad una poesia, sono due opere d’arte
completamente diverse, con scopi diversi, regole diverse, strutture
linguistiche diverse. Una poesia comunica quello che ogni lettore riesce
a leggere in essa, dipende dal lettore e dal suo stato d’animo nel
momento in cui la legge, Leopardi può commuoverti fino alla disperazione
o lasciarti indifferente. Stesso discorso per Dylan che usa un mezzo
espressivo differente, una canzone può coinvolgerti intellettualmente e
sentimentalmente oppure lasciarti completamente indifferente. La canzone
è composta da diverse cose, parole, musica, ritmo, strofe e ritornelli
che a volte vengono ripetuti e l’insieme di queste cose ottiene un
risultato. Ci sono milioni di persone alle quali Dylan non piace o che
non lo comprendono, o non si porgono la questione, forse a volte anche
per la differenza linguistica con delle sfumature difficili da capire ed
assimilare. La poesia è formata solo da parole vergate su un pezzo di
carta, non ha un tono o una espressività sua, e non è detto che il poeta
riesca sempre a comunicare quelle che erano le sue reali intenzioni. Per
questi semplici motivi ritengo non sia giusto ne fruttifero cercare di
paragonare le due cose, e giustamente è anche sciocco dividere l’arte in
alta e bassa, sono solo due tipi diversi d’arte con ognuno la propria
valenza. Certo Dylan è un maestro nell’uso delle parole abbinate alla
musica, poi l’uso diciamo "inusuale" della sua voce aggiunge toni
d’espressività che la sola carta difficilmente riesce a trasferire. Se
senti cantare Dylan, a seconda del suo tono, puoi sentire la rabbia, il
rancore, la gioia, l’amore, la tristezza o la disperazione, e questo
solo grazie all’uso della voce, senza considerare le parole che, quando
sono azzeccate rendono la canzone un capolavoro. Certamente non tutte le
canzoni di Dylan sono dei “masterpieces”, alcune, anzi, potremmo dire
molte, sono canzoni di routine, con leggere ispirazioni e motivazioni,
come quando scrivi sei/sette pezzi meravigliosi e te ne mancano tre o
quattro per completare l’album. Questo è il momento nel quale si ricorre
al mestiere, si scopiazzano idee musicali e si trasformano testi già
sentiti adattandoli alla nostra bisogna, producendo canzoni piacevoli ma
non dei capolavori. Dylan ha composto oltre 400 canzoni e non poteva
sempre essere al massimo dell’ispirazione, dell’espressibità e delle
motivazioni, quindi non era tecnicamente in grado di scrivere 400
capolavori, sarebbe stato inumano, ai confini del possibile e della
realtà. Ma per questo non è meno bravo di quello che è, rimane pur
sempre un songwriter che ha scritto cose indimenticabili. Probabilmente
Eliot o altri poeti dai quali anche Dylan ha tratto ispirazione non
erano in grado di scrivere una canzone, anche se letterariamente sono
migliori di Dylan, ma non è questo il punto. Ognuno agisce nel suo campo
e si muove spinto da ragioni diverse, a noi rimane la gioia di poterli
apprezzare e gustare entrambi per il loro valore.
Per quanto riguarda le regole canore che Dylan ha sempre buttato nella
spazzature sostituendole con le sue possiamo dire, come è stao altre
volte già detto su questye pagine, che se un giovane Bob Dylan con la
voce nasale ed il canto strascicato si presentasse oggi in un
talent-show verrebbe certamente interotto e licenziato dopo pochi
secondi, questo perchè i talent usano un metro di valutazione
completamente idiota. In Italia possiamo constatare che i grandi
cantautori sono come spariti, come se si fosse perso lo stampo, son
rimaste solo delle belle voci ma che da sole valgono poco.
Ho apprezzato il tuo intervento perchè dal punto di vista di un altro
c’è sempre qualcosa da imparare, quindi grazie di cuore anche a te. Live
long and Prosper, Mr.Tambourine, :o)
Ciao Mr.Tambourine,
notizie su eventuali date italiane 2019?
Ciao, Ezio
Per il momento ancora niente caro Ezio, ma
tieni presente che dal 7 maggio al 21 giugno c’è ancora un buco nero che
credo sarà colmato a tempo debito. Stay tuned, live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
Martedì 29
Gennaio 2019
Talkin'
10652 - gebianchi
Se la funzione dell’arte
contemporanea fosse quella prospettata da Dinve 56, ossia quella di
lenire angosce e dare un senso alla nostra vita, credo che la si
potrebbe tranquillamente sostituire con discrete dosi di Xanax o
Serenase, o anche con validi terapeuti di scuola lacaniana, ottimi
antidoti alla depressione e utili strumenti per ristabilire un corretto
equilibrio interiore. Fermo restando che discettare sulla funzione
dell’arte equivale a discutere sui massimi sistemi, ossia su tutto e sul
nulla, direi che l’argomento è stato già ampiamente affrontato da
qualche centinaio di migliaia di intellettuali e sarebbe impensabile
proporne qui anche un semplice riassunto. Fatto sta che la crisi della
modernità ha evidenziato una cesura sempre più ampia tra l’artista e la
società, ed una espressività artistica sempre meno alla ricerca di
risposte da fornire ai suoi fruitori. E’ il percorso di gran parte degli
artisti moderni, da Joyce a Proust, da Modigliani a Picasso, da Webern a
Maderna, per i quali l’arte anziché una funzione consolatoria (quella la
lasciamo ai romanzi d’appendice e alle croste dei paesaggisti), tentano
di porre domande a cui non cercano neppure di fornire risposte, di
scardinare schemi e sovvertire regole precostituite, iniettando semmai
dosi sempre più esasperate di inquietudine e dubbi esistenziali nella
loro (e quindi nostra), riflessione e lasciando sempre meno spazio ad un
approccio empatico, emozionale a quello che è il loro percorso
artistico. Vi è peraltro un nesso acclarato con l’avvento del
capitalismo, momento di passaggio in cui nell’arte fa irruzione una
dimensione politica che non si estinguerà più, anche se spesso riassunta
in forme camuffate o tradotte in termini sociali e non meramente
partitici. Venendo poi alle canzoni, sostenere come fa Miscio che il
capitalismo sia di fatto il killer del canto politico mi pare
considerazione eccessiva in quanto il canto politico nasce
paradossalmente proprio grazie al consolidarsi di un capitalismo
industriale contro il quale tende a scagliarsi e da cui trae temi e
soggetti da cui suggere linfa vitale. Che poi il capitalismo abbia ben
più gravi colpe che non la fagocitazione di forme e stilemi comunicativi
vari è un dato di fatto, l’accelerazione consumistica contemporanea lo
dimostra, ma del resto, la sua nascita, contrariamente a quanto
teorizzavano Marx ed Engels, non origina semplicemente da tensioni
sociali e di classe, bensì anche e soprattutto dall’individuale scontro
dei doppi, dell’uno contro uno, del triangolo mimetico nel quale lo
scacco del desiderio provoca necessariamente la tendenza a desiderare
ciò che è già oggetto del desiderio altrui, nello specifico di un
modello di riferimento che nel momento in cui è tale è anche ostacolo al
raggiungimento dell’oggetto, ponendosi quindi in termini di double bind
in grado di generare tensioni insanabili se non in termini di ricorso al
veicolo del capro espiatorio. Questa convergenza verso l’oggetto
determina però un sempre più accentuato scivolamento verso la
concorrenza, verso la competizione, base imprescindibile del capitalismo
stesso. La competizione porta con se anche fattori positivi, senza di
essa non esisterebbe progresso scientifico, ma la mimesi di
appropriazione conduce invece necessariamente allo scontro dei doppi
simmetrici, al mimetismo di appropriazione generando un meccanismo
imitativo nel quale il modello di riferimento diventa l’accumulo e la
dispersione continua. Georges Bataille ha scritto pagine mirabili in tal
senso, introducendo il concetto di depense, quale parametro necessario
per comprendere lo strutturarsi delle società occidentali in funzione
del capitalismo. Ma non voglio scendere in analisi troppo fuorvianti
rispetto al tema principale. Su fatto che non esistano arti minori e
arti maggiori, bensì artisti maggiori e artisti minori, possiamo anche
essere d’accordo, ma più che un criterio classificatorio in termini
alto/basso, credo sia necessario affermare la funzione eminentemente
sociale e politica di certa canzone (ovviamente non mi riferisco a
quella di consumo usa e getta) che, stretta nelle maglie di questo
paradigma in cui significanti e significati devono necessariamente
fondersi, non riesce a raggiungere vette intrinsecamente elevate,
costretto dalla cogenza della sua funzione immediata. Del resto, pur
plaudendo alla nobelizzazione e nobilitazione dylaniana, risulta
obiettivamente difficile comparare certi dilettantismi presenti in molta
scrittura di Bob Dylan con la profondità assoluta di una waste land
eliotiana o dei cantos poundiani, tanto per citare….. La canzone, è per
sua natura altro dall’arte e dalla poesia, nasce per essere cantata e
sopratutto, nella società capitalistica nasce imbrigliata entro logiche
di mercato che il poeta può permettersi di non considerare (il poeta ama
i gatti, le taverne maleodoranti, le stanze disadorne etc etc, il
cantante/cantautore ha codazzi di fans sbrodolanti che rimpinguano per
bene le sue tasche e il suo conto in banca). Queste logiche, ma non
solo, direi anche la intrinseca struttura e origine popolare della
canzone, determinano una sorta di minorità rispetto ad altre forme di
espressione artistica o artistico musicale. La versificazione è
necessariamente costretta dalla melodia e questo determina l’uso di una
metrica molto stringente e limitata, spesso goffa come si nota leggendo
il testo di una canzone ad alta voce, laddove il poeta ormai da tempo
immemore fa ampio uso del verso libero. La canzone italiana in
particolar modo, con la sua scarsità di tronche è ancor più in
difficoltà e pur senza dover far ricorso a metriche-claustrofobiche
stile, per intenderci, coblas capfinidas o coblas capcaudadas di
medievale memoria, deve far ricorso al famigerato rimario senza il quale
la strofa perde quasi sempre efficacia. Questo anche perché la canzone,
nasce ovviamente per essere cantata, declamata ad alta voce, anche nel
caso di canzoni più in stile recitar-cantando (La domenica delle salme
De Andrè/ It’s allright i’m only bleedin Dylan), non nasce cioè per
seguire il ritmo e le cadenze della voce interiore. Si aggiunga peraltro
che da quando è nata la canzone d’autore, l’identificazione tra canzone
e interprete ha aggiunto sfumature ulteriori a questa netta partizione
tra poesia e canzone. E’ cioè imprescindibile una Hard Rain dalla
“nasalità” dylaniana, o una bocca di rosa dai bassi deandreiani, o una
locomotiva dalla erre arrotata di Guccini, o una Napule è dal falsetto
di Pino Daniele. Non a caso, chi riesegue queste canzoni viene con una
punta di disprezzo forse eccessiva definito “coverista”,…. nella
peggiore delle ipotesi, buono solo per cantate da grigliata in riva al
mare. La canzone d’autore ha di fatto inglobato la vocalità, spesso
anche quella sporca o per nulla impostata, quel certo birignao
cantautorale, nella cifra peculiare della canzone stessa creando una
cesura netta tra il bel canto più o meno standardizzato e che nella
pulizia della timbrica, nella estensione vocale, nella dizione perfetta
trovava i propri riferimenti, e il canto moderno che invece fa a volte
proprio della imperfezione, il proprio peculiare elemento di
riconoscimento. Naturalmente poi vi è la musica che io ho spesso
definito banale. E’ un dato di fatto; la musica che accompagna le
canzoni (dal folk al rock passando per la canzonetta di consumo) è
sempre a sua volta costretta in questa morsa, in questa corresponsione
costante con il testo, cui si aggiunga, vista la sua vocazione di
divulgazione popolare e il suo necessario strizzare l’occhio al mercato,
la rispondenza perfetta a criteri di tonalità e melodia estremamente
semplici. Nessuna licenza di trasgressione se non per qualche jazzatura
easy listening. La mia non è una stigmatizzazione, è solo una
constatazione dell’impossibilità di muoversi diversamente, ingessata
come è tra cogenza del testo e bisogno di piacere ad una fruizione più o
meno immediata. Qualcuno ha in mente canzoni costruite secondo i dettami
del modale, o della dodecafonia?? Intervalli di terza, al massimo di
quinta, armonizzazioni elementari, scala pentatonica e due accordi in
minore per dare un senso di malinconia e tristezza…..Ripeto, non dico
per denigrare, ho perorato a spada tratta in passato l’opera di De
Anrdrè, che in queste logiche e dinamiche ricade in pieno, ma solo per
stabilire una netta differenza tra canzone da un lato e poesia
dall’altro. Che poi si voglia premiare con il Nobel un grandissimo
autore di canzoni a me sta benissimo, ma non credo che il confronto con
la grande poesia del novecento possa stare in piedi. Comprendo bene il
senso delle osservazioni di Miscio in merito alla funzione psico sociale
dell’arte, anche se mi pare un po’…..una sorta di manifesto da realismo
socialista, (lo dico con ironia ed esagerazione sia chiaro), però credo
sia necessario ribadire e rivendicare una concezione più elitaria
dell’arte. L’idea che chiunque possa fare arte senza possedere la
grammatica di base per esprimerla è fuori dalla mia concezione di
espressività artistica. Poi, come Fontana può anche passare il tempo a
tagliare tele, o a inscatolare le proprie deiezioni organiche come
Manzoni, ma non senza una ferrea contestualizazione di carattere
intellettuale, non senza una riflessione speculativa che vada di pari
passo con l’evoluzione stessa del pensiero e dei moti esistenziali che
agitano il periodo in cui vive ; fu così per Leonardo o Michelangelo,
immersi nella prisca teologia rinascimentale e nel mito del
neoplatonismo, è così per l’artista contemporaneo in odor di
decostruttivismo e di crisi di valori. Che poi critici vagamente amanti
della provocazione, in un’epoca che ha totalmente destrutturato l’idea
stessa di arte, stabiliscano che anche film come Ultimo tango a zagarolo
siano ascrivibili alla categoria del film d’arte……beh……consideriamolo
pure come un simpatico divertissment intellettuale, ma evitiamo di
prenderlo sul serio. Quindi, lunga vita al vate di Duluth, alle sue
canzoni e ai suoi mille travestimenti, ma evitiamo di far passare un
grandissimo cantautore per un sublime poeta!
Giuseppe Enrico Bianchi
Caro Gebianchi, uso il tuo
mail-nikename perchè è più immediato, non credo che qualcuno su queste
pagine abbia mai sostenuto che la poesia di Dylan sia sublime. Non credo
inoltre che lo Xanax ed il Serenase siano in grado di fornire quelle
sensazioni che le canzoni riescono a dare, in misura diversa, ad ognuno
di noi. Le canzoni possono farci sentire tristi o felici, esaltati o
indifferenti, i medicinali danno solo un effetto blandente del sistema
nervoso. Penso che il senso delle parole di Dinve56 sia stato proprio
questo, una canzone ci può far sentire bene ed aiutarci, magari in
momenti particolarmente difficili o impegnativi, a ritrovare un senso di
pace, di serenità, di gioia o di speranza, senza per questo credere che
siano le uniche cose che ci mettono in grado di superare gli ostacoli
della vita, ma certamente un aiutino ce lo danno. Non credo nemmeno che
la psicanalisi freudiana rielaborata da Lacan, le cui opere principali
sono state pubblicate con il titolo “Scritti” nel 1966, possano
sostituire in toto gli effetti di una canzone, certo potrebbe darci una
mano, ma Freud prima e e Lacan dopo hanno scritto per un mondo che non è
quello di oggi. Questo lo dico per esperienza personale perchè essendo
nato negli anni 50 il mondo che ho conosciuto era molto, ma molto,
diverso da quello di adesso. Il senso del pensiero di Dinve56 è chiaro,
semplice ma funzionale, sento una canzone e provo una sensazione che mi
fa star bene, senza andare a scomodare mostri sacri della filosofia, del
sapere o del pensiero.
Lasciami complimentarmi con te per il tuo scritto che penso sia
un’analisi profonda di certe sfumature delle sensazioni e dei sentimenti
che si possono provare con metodi diversi, certamente contiene una dose
notevole di cultura letteraria, a volte difficile da comprendere se non
si ha un background come quello che traspare dal tuo scritto. Certo, è
difficile da leggere ma è altrettanto interessante perchè affronta
l’argomento delle liriche delle canzoni da punti di vista diversi da
quelli canonici.
La tua disamina della canzone intesa come opera d’arte è ricca e ben
motivata, ma naturalmente la canzone non ha le pretese della poesia o
della letteratura, ma come dici giustamente anche tu, deve muoversi in
un mondo che la imbriglia in partenza per poter avere probabilità di
fruizione e di non finire immediatamente nel dimenticatoio. Le regole
del mercato sono più o meno ancora quelle dei tempi di Leonardo e
Michelangelo, se una cosa piace viene diffusa ed ha successo
perpetuandosi nel tempo, portando naturalmente il suo autore alla
notorietà, quasi sempre accompagnate da guadagni finanziari superiori
alla norma. Anche Leonardo e Michelangelo hanno dovuto incontrare le
persone giuste che hanno permesso loro, pagandoli profumatamente, di
creare i loro capolavori. Stesso discorso per artisti come Dylan, che ci
mettono la bravura, il talento, la creatività, l’ingegno e qualcun’altro
usa la sua capacità per diffondere il loro lavoro contribuendo a far
diventare uno scrittore di canzoni o un interprete una celebrità, cosa
molto facile ai nostri giorni con la tecnologia che abbiamo a
disposizione. Il difficile è mantenere la celebrità, e per questo ci
vuole il vero talento, il colpo di fortuna non è sufficiente per durare
nel tempo, lo dimostrano le centinaia di artisti diventati celebri per
poco tempo e finiti nel dimenticatoio subito dopo, un pò come succede
nei Talent show di oggi, che creano pochissimi artisti e tantissimi
disadattati.
Ma queste sono le regole spietate del mercato, quando non c’è più
domanda il prodotto viene buttato ed al suo posto se ne crea uno nuovo,
solo le cose veramente valide durano nel tempo, e Dylan, nel suo piccolo
o nel suo grande che dir si voglia è una di queste, per nostra fortuna!
Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Lunedì 28
Gennaio 2019
Talkin'
10651 - dinve56
Oggetto: Scopo dell'arte
Salve Mister,
devo alcuni chiarimenti a Miscio - non so se il Vero o il Falso - che ha
interpretato come fuga dalla realtà simile al "trip" da stupefacenti il
significato che io attribuisco all'arte di ogni tempo. Ascoltare Dylan e
sentirsi consolato e momentaneamente allontanato da tutti gli aspetti
negativi dell'esistenza non significa, per me, estraniarsi dalla realtà,
tentare di fuggirla, ma trovare nell'arte - la musica e la poesia - un
messaggio buono, che aiuta a vivere la vita meglio, perchè fa acquisire
consapevolezza del "male di vivere" ed al tempo stesso la addolcisce,
rendendo sopportabili in modo intellettualmente lucido, certo, ma meno
tetro e arrabbiato i dolori e le delusioni che la vita riserva a tutti
noi. Il concerto di Dylan a Milano, nell'aprile del 2018, è stato il mio
primo concerto in assoluto e, vi assicuro, è stata un'esperienza
emozionale ma anche intellettiva e razionale nel senso più illuministico
del termine. Personalità come quelle di Dylan non ammettono cali di
attenzione e spirito critico. Scherzosamente, però, siamo tutti un po'
"stoned" e non è detto che questo sia sempre negativo...l'importante è
"riciaparsi", come si dice dalle mie parti. Voglio però chiarire anche
il senso che attribuisco alle parole "purista" e "popolare". Purista
riferito alle opinioni di McCall sui cantanti folk americani dei primi
anni '60 ha per me un significato non tanto linguistico, quanto più in
generale riferito all'ostilità preconcetta verso ogni forma di
cambiamento rispetto ad un presunto modello originario ritenuto "puro",
cioè così perfetto da non dover essere soggetto a rielaborazioni
personali, ma solo riprodotto. E' alla luce di queste idee che il saggio
citato da Miscio liquida in toni sprezzanti i cantanti folk americani,
rei di aver contaminato l'autentica tradizione folklorica della Gran
Bretagna.Quando invece dico che, per me, Dylan è rimasto un cantante
"popolare" anche dopo la svolta rock, intendo dire che egli ha
continuato ad ispirarsi alla tradizione popolare anglo-americana per
innumerevoli canzoni che raccontano storie e vicende tramandate,
probabilmente, in ambiente popolare. Occupandomi ancora di "No Time to
Think", di cui Mellers dice essere una "message song", cioè una canzone
a tesi, mi è venuto un dubbio sulla sequenza degli album "cristiani", ma
ve lo esterno alla prossima. Lunghissima vita alla Fattoria! Carla.
E' indubbia una cosa,
Dylan è un artista che vive per la sua arte ma non la ripropone in modo
pedestre, lui la rinnova ogni volta, la cambia, la gira e rigira come se
fosse una frittata, indipendentemente dal risultato che a volte è
meraviglioso ed a volte inascoltabile. Ma questo non è un problema che
assilla Dylan, l'esigenza di Dylan è quella di non ripetersi, di non
fare il kakaoke di se stesso ed è questo che determina la performance.
Naturalmente ci sono altri fattori che intervengono ad influire sulla
prestazione, ma quelle sono cose comuni a tutti gli artisti, la
stanchezza del tour, sempre cambiare aria, cibo, letto, città, stato,
notte dopo notte, questo può generare serate negative invece che serate
magiche. Nessuno potrà mai prevedere quale sarà la serata magica di Bob,
fortunato chi c'è, gli altri si dovranno accontentare di una prossima
volta. Ma non è solo questo, Dylan, oltre che cose bellissime, scrive
anche cose che danno da pensare, cose impressionanti per la domanda che
contengono e per la risposta che si potrebbe dare. C'è una canzone che è
stata giudicata noiosa perchè interminabile, si chiama "Tempest" e
racconta in modo mirabile la tragedia del Titanic, Però, fra le 45
strofe della canzone che possono sembrare ovvie perchè narative del
fatto, c'è n'è una che è un'accusa terribile, eccolo la strofa:
The ship was going
under
The universe had open wide
The roll was called up yonder
The angels turned aside.
(La nave stava andando sotto
l'universo era spalancato
lassù si faceva l'appello
gli angeli si voltarono dall’altra parte)
Ho pensato per giorni
a questa frase, ed ho pensato a tutte le altre volte che gli angeli si
sono voltati dall'altra parte. Ho pensato a cosa stavano facendo mentre
succedeva quello che succedeva a Chełmno, Bełżec, Sobibór, Treblinka,
Majdanek, Auschwitz-Birkenau, Mauthausen, Buchenwald, luoghi nei quali i
nazisti compirono cose che la mente umana dovrebbe rifiutarsi di
concepire. Ma dopo di questo successe che gli angeli si girarono di
nuovo quando le bombe atomiche denominate "Little boy" e "Fat man"
scoppiarono su Hiroshima e Nagasaki, successe di nuovo nei Killing
Fields di Choeung Ek a Phnom Penh in Cambogia ad opera degli Khmer Rouge
di Pol Pot. Queste cose successero ovunque, prima e dopo il nostro
tempo, e succederà ancora, e purtroppo gli angeli continueranno a
voltarsi. Anche il nostro Regio esercito, ad opera del valoroso Generale
Cadorna, rese operative le "decimazioni" finchè il "decimatore" non fu
sostituito dal generale Diaz. La decimazione, pratica orribile, fu
inventata dai romani che la mettevano in atto prima di una battaglia per
far in modo che i legionari la affrontassero senza paura. La legione
veniva suddivisa in gruppi di dieci e in ogni gruppo veniva sorteggiato
un soldato che veniva ucciso, come monito per prevenire la vigliaccheria
in battaglia, a sassate o bastonate dai suoi stessi compagni. Questi
sono solo pochi esempi di che vette possa raggiungere la bestialità
umana ma sono cose accadute veramente ed allora torna alla mente la
frase di Dylan "gli angeli si voltarono dall’altra parte". Ma perchè, si
potrebbe chiedere una qualsiasi persona, Dio permette che avvengano
queste barbarie senza intervenire come invece fece a Sodoma e Gomorra?
Io non ho trovato una risposta e forse non la troverò mai, ma una
semplice frase di Dylan mi ha portato a farmi un sacco di domande sul
senso dell'umanità. Sembra così, con una semploice frase, che non ci
voglia molto molto per essere dei grandi, ma è sbagliato. Chi riesce con
le sue parole a farti pensare profondamente ed a volte metterti anche in
crisi dev'essere per forza uno che ha una marcia in più! Perciò viva
Dylan , in qualunque modo si presenti od agisca! Live long and
prosper, Mr.Tambourine, :o)
Sabato 26
Gennaio 2019
Talkin'
10650 - miscio.tux
Oggetto: Poco di Bono
Caro Mr. Tambourine,
dì pure a Dinve56 che non dev'essere intimorita, io sparo cavolate come
chiunque altro,(e lo Pseudomiscio ancor di più!!) e appena le ho scritte
mi vengono dei dubbi. Ho sempre pensato che contino i contenuti più che
la forma di quello che si dice, gli imbellettamenti lasciano il tempo
che trovano. Per quanto riguarda il whisky forse c'è un po' di ironia,
ma non credo che Wahrol c'entri niente, le sue provocazioni, fatte
sempre sul filo dell'assoluta ambiguità (sono celebrazioni o condanne?)
sono come le irruzioni dadaiste, vanno bene una volta, ma se ripetute
diventano banalità che non scandalizzano più nessuno. Penso piuttosto
che il whisky gli piaccia al nostro, e che non ci trovi nulla di male.
Coi soldi poi nessuno sa cosa faccia, è totalmente riservato, ma tenuto
conto della sua assoluta religiosità e dell'età avanzata foriera di
bilanci, qualcosa penso lo faccia. Ma è solo una mia impressione.
Dinve56 ha volutamente descritto l'ascolto di un concerto come
l'assunzione di una droga, ma non credo di sbagliarmi se lo intendo in
un altro modo. L'arte naturalmente non deve nascondere la realtà, deve
insegnare la disillusione, come ha osservato Dylan citando Miller, ma
nel far questo non è obbligatorio che debba deprimere. Il godimento
della bellezza artistica è uno degli elementi che rendono vivibile la
vita e dentro le complicate connessioni che costruisce Dylan, nella sua
decostruzione del banale, anche lì ci può essere la bellezza, la
scintilla che si interseca con la nostra singolarità esistenziale e la
fa sentire universale. Sarei anche magnanimo col povero McColl:
militante di vecchio stampo, marxista e materialista un po'
indottrinato, si schierava in difesa degli schemi del passato proprio
quando questo passato cominciava a svanire. Lui ci aveva investito una
parte di vita e non è facile staccarsene, buttare tutto alle ortiche. Si
dovrebbe sempre avere l'acutezza di capire come cambia il mondo, che
cosa svanisce e che cosa rimane, ma non è affatto semplice, quando a ciò
che svanisce si è anche emozionalmente legati. Mentre scrivo queste
righe sto leggendo le dichiarazioni di Bono a Davos, una serie di
farneticazioni che non so se mi fanno più indignare o ridere. Sembra che
chi ha accumulato miliardi si senta nel diritto si spiegare agli altri
come va il mondo. E pensare che quest' ipocrita si vanta di essere amico
di Dylan.
ciao, Miscio.
Caro e sempre più vile Miscio, credo a
questo punto di dover cedere la parola all'amica Dinve56 che credo sia
la persona giusta per stupirti con le sue profonde osservazioni. Ho
usato il verbo "stupirti" e non "umiliarti" perchè ad umiliare un vile
non ci sarebbe nessuna soddisfazione! Quindi cara Dinve, scendi in campo
e bistratta e maltratta Miscio, uno di quelli che vivon senza infamia e
sanza lodo. Vorrei sottolineare che la prima impressione che ha Dante
dell' Inferno è solo uditiva: sospiri, pianti, urla risuonano nella
volta senza stelle, cioè senza cielo, suoni mai uduti prima per i quali
Dante si commuove e inizia a piangere mentre in un crescendo di suoni,
diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci
alte e fioche, colpi di mano, percosse.. il tutto in una coltre
atmosferica senza tempo e senza colore, cioè dove non si capisce nemmeno
se è giorno o è notte, proprio come durante una una tempesta di sabbia
(come la rena quando turbo spira). Rispetto alla descrizione dei suoni
dell'Averno dell'Eneide (VI 557-558) quella di Dante, sebbene
chiaramente ispirata da essa, focalizza molto di più sullo sconforto che
tali sensazioni procurano a Dante nella sua qualità di uomo vivo,
piuttosto che sulla semplice registrazione esteriore di Virgilio.
Con la testa piena di error (di dubbi), tenendo presente che Virgilio
dice a Dante che dovrà vedere le genti dolorose c’hanno perduto il ben
de l’intelletto, Dante chiede a Virgilio che cosa siano e da dove
vengano questi suoni, questa gente che sembra essere così distrutta e
vinta dal dolore. "E io ch’avea d’error la testa cinta, dissi: «Maestro,
che è quel ch’i’ odo? e che gent’è che par nel duol sì vinta?». Questo
verso è ambiguo perché alcune versioni riportano anche "orror"; quindi
se fosse buona la seconda versione evidentemente Dante aveva la testa
piena di orrore.
Virgilio inizia così a spiegare il luogo nel quale si trovano, l'
Antinferno, luogo dove sono punite le anime che in vita non operarono né
il bene né il male per una loro scelta di vigliaccheria. Sono i
cosiddetti ignavi, e tra loro vi sono anche gli angeli che, al tempo
della rivolta di Lucifero, non presero né la parte di Lucifero né quella
di Dio, ma si ritirarono in disparte estraniandosi dai fatti della
rivolta: naturalmente un'invenzione puramente dantesca, ispirata forse
da leggende popolari, che non ha echi precedenti né scritturali né nella
patristica (per lo meno in quella pervenutaci). Dice Virgilio a Dante:
"Questi non hanno speranza di morte e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ’nvidiosi son d’ogne altra sorte". Qui la domanda sorge spontanea,
perchè Dante si è dimenticato di mettere Miscio fra queste anime?
Purtroppo non ci sarà mai risposta. Questi dannati sono cacciati dal
cielo, perché ne rovinerebbero lo splendore, e nemmeno l'inferno li
vuole perché i dannati potrebbero gloriarsi rispetto ad essi, avendo i
dannati almeno scelto nella vita, da che parte stare, sia pure dalla
parten del male.
Dante chiede anche perché essi si lamentino così forte e Virgilio gli
risponde spiegandogli la loro pena: questi non hanno speranza di morire
(significa che non hanno la possibilità di terminare il loro supplizio)
essi avranno qui in eterno un'infima cieca vita che fa invidiar loro
qualsiasi altra sorte; nel mondo non lasciarono alcuna fama di essi,
sdegnati anche da Dio (misericordia e giustizia)...
Il disprezzo del poeta verso questa categoria di peccatori è massimo e
completo, perché per Dante chi non seppe scegliere in vita che posizione
assumere e quindi schierarsi da una parte o dall'altra, anche nella
morte resteranno come dei "paria" costretti a rincorrere una bandiera
che non rappresenta nessun ideale. Tanto accanimento si spiega, dal
punto di vista teologico, perché la scelta fra Bene e Male, deve
obbligatoriamente essere fatta, secondo gli insegnamenti della religione
cattolica. Dal punto di vista sociale, inoltre, nel Medioevo lo
schieramento politico e la vita attiva all'interno del Comune erano
quasi sempre considerate tappe fondamentali ed inevitabili nella vita di
un cittadino. Se l'uomo è un essere sociale, chi si sottrae ai suoi
doveri verso la società non è degno, secondo la riflessione dantesca, di
stima ed ammirazione. Questo tanto per far capire la miserabile
situazione di Miscio. Dirò che è anche un peccato perchè con la testa
che ha Miscio avrebbe potuto assurgere a posizioni di maggior rilievo
nella stima della società, ma così non è avvenuto e noi, chiniam la
fronte innanzi al massimo fattor che volle in lui insulsa orma stampar!
Scherzi a parte caro Miscio, questo è stato solo per farti capire quanto
apprezzo il tuo spirito, la tua ironia, la tua capacità di accettare lo
scherzo, come mi piace leggere le tue parole, assimilarle e discuterle,
Certamente non sei uno che passa inosservato, nel bene o nel male lasci
un segno, insegni qualcosa, dai da pensare, spaventi, come i Nomadi
quando cantavano:
Vedremo soltanto una sfera di fuoco
Più grande del sole, più vasta del mondo
Nemmeno un grido risuonerà…
E catene di monti coperte di neve
Saranno confine a foreste di abeti
Mai mano d'uomo le toccherà
E solo il silenzio come un sudario si stenderà
Fra il cielo e la terra per mille secoli almeno
Ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.
E il vento d'estate che viene dal mare
Intonerà un canto fra mille rovine
Fra le macerie delle città
Fra case e palazzi, che lento il tempo sgretolerà
Fra macchine e strade risorgerà il mondo nuovo,
Ma noi non ci saremo, noi non ci saremo…
E dai boschi e dal mare ritorna la vita
E ancora la terra sarà popolata
Fra notti e giorni il sole farà le mille stagioni
E ancora il mondo percorrerà
Gli spazi di sempre
Per mille secoli almeno,
Ma noi non ci saremo, noi non ci saremo...
Ma ti prego di non smettere mai di esprimerti, considero preziosissimi i
tuoi interventi per la nostra Fattoria e le conseguenti discussioni che
sai generare, la Fattoria sarebbe orfana senza la tua viltà! Un
abbraccio, Mr.Tambourine, :o)
Carissimo Mr.Tambourine,
proseguo, con cadenza periodica, alla segnalazione di questo mio
esperimento in "epoca social" del mio "poema della regina dal piede
d'oca", ispirato a grandi linee, ma con la mia consueta libertà
espressiva, all'opera di Dylan. In questo caso vi è un doppio legame,
visto che ho utilizzato anche il titolo: You're a big girl now.
Colgo l'occasione per sottolineare come la nuova uscita The Bootleg
Series Vol. 14: More Blood, More Tracks mi abbia reso felice, anche se
mi sono limitato ad acquistare la versione cd singolo, scaricando il
resto dell'opera, non ritenendo fondamentale acquistare un prodotto del
genere, per mole e per impegno economico fuori dalla mia attuale
portata. Il cd singolo per è favoloso, mentre ho trovato un po'
eccessivo il box, con almeno 2-3 dischi di troppo, a mio avviso (molto
personale e soggettivo). Tra le tante cose che ho apprezzato, vorrei
segnalare una splendida ed efficace versione full-band di Simple twist
of fate, una scarna ed essenziale Lily, Rosemary and the Jack of Hearts,
e una superba Idiot Wind. Ma la cosa forse migliore, la più intima è la
versione (sono tutte bellissime) chitarra e voce di You're a big girl
now, che mi ha ispirato il componimento di questo mio testo:
https://www.intertwine.it/it/read/KP4PT2Ue/you-re-a-big-girl-now
Spero vi piaccia!
Un abbraccio a tutti gli amici della Farm dal solito,
Dario Twist of fate
Ottimo come sempre caro Dario,
continua a scrivere e quando puoi mandaci il tuo lavoro che per noi è
sempre interessantissimo nella sua completezza ed eleganza. Alla
prossima e grazie ancora, live long and propser, Mr.Tambourine, :o)
Venerdì 25
Gennaio 2019
Talkin'
10648 - dinve56
Oggetto: Puristi e dintorni
Salve Mister,
riprendo le tue considerazioni sul consumismo. Hai ragione quando dici
che oggi ci rendiamo conto che si spreca e si butta via ciò che, 50 anni
fa, si comperava per migliorare la qualità della vita e usufruire di
piccoli comfort a cui oggi siamo abituati ma che, allora, sembravano un
gran lusso. Dylan ha intuito che il mondo, il nostro mondo, rischia la
catastrofe, nucleare prima, ambientale oggi. Penso, come tutti voi, a
"Hard Rain.." e a "License to Kill", per citare solo le più famose
poesie profetiche. La poesia di Dylan sopravvive alla massificazione,
ma, lasciatemi dire, senza che questo suoni come una "sassata" nei
confronti di nessuno, e men che meno nei confronti del nostro, che ho
già detto di "amare" nel senso ovviamente poetico e figurato del
termine, che egli ha avuto la fortuna di trovarsi al posto giusto quando
la musica è uscita dai circoli esclusivi ed è davvero diventata fenomeno
di massa. Questa affermazione non toglie nulla ai suoi meriti artistici.
Tutti i poeti hanno anche tratto profitto, o hanno cercato di trarlo,
dalle loro opere. Qui inizia la modernità e, come ho già detto, il
progressivo assottigliarsi della distinzione "colto-elevato"-"popolare".
E finalmente riprendo la questione "puristi" del folk.Tutte le
tradizioni orali subiscono infinite variazioni e Dylan, nella prima
parte della sua lectio per il Nobel, ha dichiarato che, negli anni
newyorchesi, ha acquisito piena padronanza del linguaggio della
tradizione musicale americana che ha le sue lontane radici in Gran
Bretagna. Mi sembra che andare a cercare la purezza originaria di
racconti e leggende che si perdono nella notte dei tempi equivalga ad
"infilarsi" in una nuova "questione omerica" soggetta ad infinite
dispute e nessuna soluzione. Ecco perchè non mi sento in sintonia coi
puristi. Non c'ero quando Dylan passò all' elettrico e divenne un
cantante rock, ma oggi capisco quella scelta di libertà, ben
rappresentata da "Highway 61" prima ancora, secondo il mio parere, che
da "Blonde on Blonde". Certo allora quella svolta segnò una grande
rottura con il mondo del folk, ma oggi possiamo ridimensionarne la
portata, perchè sappiamo che Dylan ha sì abbandonato la canzone politica
- anche qui il confine tra canzone politica e canzone popolare è molto
sottile - ma ha continuato a cantare storie "popolari" che si perdono
nella notte dei tempi, quasi mitiche tanto sono vaghe e prive di
riferimenti storici. Penso a "Isis", a "The man in the long black coat",
a "Tin angel", per citarne solo alcune. Oggi, secondo te, Mister,
possiamo dire che Dylan è rimasto anche un cantante "popolare"...se non
siamo "troppo puristi"? Alla prossima per alcune ulteriori
considerazioni su "Street legal". Lunga vita! Carla.
Prima di tutto
dovremmo stabilire il senso della parola "popolare", perchè è una parola
che a volte viene usata in senso spregiativo ed a volte in senso
positivo. I sinonimi di popolare sono:
democratico, pubblico,
cittadino, civico
comune, ordinario, accessibile, alla portata di tutti, basso, economico
folcloristico, tradizionale
conosciuto, noto, diffuso, famoso, rinomato, celebre, amato, apprezzato,
di moda, in voga, in auge, di successo
Quindi è un termine
ambiguo. Se intendi dire che Dylan è popolare perchè è conosciuto, noto,
diffuso, famoso, rinomato, celebre, amato, apprezzato, di successo
troverai milioni di persone d'accordo con te, se invece intendi che
Dylan sia ordinario, accessibile, alla portata di tutti, basso,
economico allora ti attirerai le ire del popolo dylaniano. Sappiamo però
che tu intendi Dylan "popolare" nel senso di conosciuto, famoso,
etc..etc..., quindi sei positiva e non meriti scudisciate di pena!
Ritorniamo sempre al punto che tutti dobbiamo mangiare e necessariamente
ognuno di noi sfrutta le sue migliori qualità per farlo, e gli artisti
agiscono nello stesso modo, usando in pratica il loro talento,
vendendolo nei dischi o in qualunque altra forma artistica invece di
andare a tirare la lima. Non bisogna stupirsi di questa cosa perchè è
una cosa che è sempre stata fatta da tutti, tutti i migliori pittori,
Leonardo in testa, hanno venduto i loro capolavori per mangiare, gli
scultori idem, vedi Michelangelo, architetti, cesellatori e tutta la
moltitudine artistica dagli albori della civiltà ha sempre fatto così,
quindi anche la musica e la poesia rientrano nella categoria "da
vendere" per mangiare. Non conosco artisti che abbiano scritto canzoni e
poi le abbiano registrate per tenersele in casa gelosamente, certo è che
tutti hanno fatto il loro meglio per vendere il loro genio o talento, e
penso che sia più che giusto. La paternità dell'opera rimane
dell'artista, ma la sua opera è giusto che possa essere goduta da tutti.
Pensa se Leonardo avesse dipinto la Monna Lisa per tenerla per se senza
mostrarla a nessuno, o se Caravaggio avesse dipinto i suoi capolavori
solo per se stesso, oppure se Michelangelo avesse affrescato la Cappella
Sistina e nessuno avesse mai potuto vederla! Perciò un artista che vende
il suo lavoro fa quello che facciamo tutti e fa benissimo a farlo, e
ringraziamo colui che muove il sole e l'altre stelle se Dylan ci ha dato
la possibilità di godere appieno del suo genio creativo! Live long and
prosper, Mr.Tambourine, :o)
Jerry Schatzberg, tutte le fotografie
del Bob Dylan meno noto
clicca qui
Giovedì 24
Gennaio 2019
Talkin'
10647 - cerutti.andrea70
Gentilissimo Tambourine,
ho letto la tua risposta ma non ho capito il riferimento a Fedez e J.Ax.
Non ho la più pallida idea di chi siano, di Fedez seguo stancamente le
polemiche e le satire sull'uso smodato dei social media ma non saprei
dire di una canzone di entrambi, non per snobismo ma per insussistenza
nell'aiuto al vivere quotidiano.
Su "stoned" sapevo che si usa nel linguaggio comune statunitense come
"lapidato" traslando " messo alla berlina". Oltre ovviamente che per
"sballato", " fumato". Chiaro che Dylan ci gioca su e comunque da
entrambe le traduzioni il significato è il medesimo.
Gli States sono anche il posto in cui vieni messo sotto la lente, la
pressione è altissima se sei conosciuto, ma anche se sei sconosciuto, il
sistema indaga, giudica, sentenzia, inscatola, facile finire alla gogna
o sentirsi tale.
Everibody most get stoned!
Ciao
Caro Johnny, non
potevi capire il riferimento a Fedez e J.Ax perchè non c'è niente da
capire. Ho voluto usare il paragone proprio in modo paradossale perchè
capire le tematiche dei due nell'ottica di aiuto alla vita, di
consolazione, di consiglio, di esperienza, di insegnamento e di
qualunque altra cosa siano fuori gara, cioè è impossibile fare un
rapporto fra l'importanza delle cose che ha detto Bob Dylan e le cose
che hanno detto i nostrani artisti manipolatori magnifici dei social con
più di 15.000.000 di followers. Devo dire che oggi i fans si
accontentano proprio di poco ed io personalmente stanto a capire come
artisti del genere possano essere venerati, ammirati, copiati da
qualcuno! Certo il pubblico oggi ha fatto un regresso gigantesco da
quando dagli artisti si pretendeva non solo un ottima musica ma anche
dei testi che in un modo o nell'altro potessero anche dare indicazioni
su come affrontare la vita o su certi modi di vedere le cose con
correlati vantaggi o conseguenze. Per fare un paragone che meglio spiega
la cosa immaginiamo Dante dentro all' Inferno, poi c'è la gente che si
domanda "Ma che ci fa questo all' Inferno?". Prò poi si capisce il
perchè della sua discesa agli inferi e tutto torna al posto, ragioni
comprese. Io non ho proprio niente contro Fedez o contro J.Ax, ma non ho
nemmeno niente a favore, quindi non mi risulta possibile fare o proporre
un paragone fra Dylan e i due, non è proprio possibile, è una cosa che
non esiste e impossibile da immaginare e capire, ecco perchè l'ho voluto
usare e perchè tu non hai capito. Cambiando argomento è vero che la
società americana è una delle più false ed ipocrite che siano mai
apparse sulla faccia della terra, ma attento però, non dobbiamo fare di
tutta l'erba un fascio perchè la società americana è composta per la
maggior parte da persone onestissime e timorate di Dio in mezzo alle
quali i bugiardi, i falsi, gli ipocriti ed i criminali trovano facile
nascondersi. Una volta gli artisti, dopo essere arrivati al successo,
dovevano continuare a spremere la loro genialità per mantenerlo, oggi
invece, i cosidetti "Talent" hanno impietosamente massacrato questa
categoria come i Supermercati hanno fatto piazza pulita della classe
media dei commercianti. Nella cittadina dove abito io, un agglomerato di
17.000 persone, esistono la bellezza di 7 Supermercati, onde per cui
qualunque tentativo di aprire un negozietto e mantenerlo vivo col quale
poter nutrire se stessi e la famiglia è una guerra persa in partenza.
Disarmente ma veritiero! Oggi ci sono artisti che nascono all'alba e
spariscono al tramonto, bruciati sull'altare degli interessi di altri.
Che triste situazione! Spariti i grandi autori ed i grandi interpreti, i
Battisti, i De Gregori, i De Andrè, i Dalla, i Bubola, i Paoli, di loro
si è perso lo stampo e gli odierni artisti vagano nell'antinferno
confusi fra le miriadi di ignavi, color che passan la vita sanza infamia
e sanza lodo! Non credo sia colpa loro, i "Masters of Talent" li
inquadrano da giovani, fanno loro il lavaggio del cervello, li sfruttano
e quando non rendono più al massimo un calcio nel culo e via, altri son
pronti a prendere il loro posto, gente con la bella voce ma senza un
cervello abbastanza sveglio per essere autonomi ed imporsi come hanno
fatto i loro grandi predecessori. Ma oggi il mondo funziona così, ed è
forse per questo che i personaggi come Dylan diventano miti e leggende,
o no? Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Gentilissimo Tambourine,
complimenti e grazie per l'interessante digressione a riguardo di Rainy
day Woman # 12&35.
È una canzone che ho sempre amato nella versione di Before the Flood,
l'ho sempre trovata travolgente. E ricordo di averla ascoltata decine di
volte.
Vorrei dire che è una canzone divertente ma anche riflessiva se la si
legge come "ti danno addosso". Riflettere su ogni rigo fa emergere una
lettura dei fatti della vita dura, bizzarra, laconica non senza un
sottile umorismo. "Ti danno addosso anche quando te ne stai nella tomba"
," non me ne preoccuperei così tanto, tutti prima o poi vengono
travolti".
Ritengo che la doppia e in alcuni casi tripla lettura delle canzoni di
Dylan sia cosa che merita approfindimenti anche perché frequenti. Il
bello è che poi in entrambe le letture le canzoni hanno la stessa
faccia. Comunicano lo stesso significato di fondo comunque le si legga.
Stupendo e cosa nel mondo dell'arte non di poco conto.
Nello specifico la leggo: la vita ha un qualcosa di farsesco, è un po'
barzelletta e un po' tragedia. Alla fine presenta lo stesso conto a
tutti.
Ritengo infine che anche questa canzone di Dylan come altre abbia in sé
un vento, un wind, unico , un qualcosa di magistrale che mette sempre
sull'attenti e sembra voler dire: " silenzio, sta cantando il migliore
di tutti".
Ciao! Tuo Johnny in the basement.
Caro Johnny, come ben sai Rainy day Women
è il pezzo d’apertura di Blonde on Blonde, il “disco” dei dischi, il
disco della grande svolta dylaniana che stava diventando di proporzioni
gigantesche, il disco che traccia un solco incolmabile fra il
menestrello della musica folk che come Giuda (aveva ragione quello che
gli gridò “Judas” dal pubblico?) abbandona la compagnia per procurarsi
nuovi amici. I vecchi fans restano inorrifditi o imbambolati, o
frastornati, o sorpresi, metti tu l’aggettivo che preferisci. Qui c’è un
nuovo Dylan che incurante del pubblico che sta perdendo inaugura un
nuovo e diverso linguaggio lasciando il folk per passare al rock con
grande orrore dei puristi. Qui Dylan alza la tacca dei suoi testi grazie
alle liriche di tono estremamente surreale. Ormai il vecchio portavoce
della controcultura americana, la voce della sua generazione se n’è
andato, tradisce definitivamente la sua immagine, mutandosi da
cantastorie in un apparentemente scriteriato rocchettaro dalla lingua
pungente e dalla penna tagliente. Una scelta che sembra mettere Dylan in
condizione di dover pagare un prezzo salatissimo, ma questo sembra non
preoccupare Dylan più di tanto, lui ormai ha imboccato la nuova strada e
proseguirà imperterrito buttandosi dietro le spalle critiche e paure,
fischi e proteste. Dylan sta diventando un altro, forse più uomo e
maturo per un nuovo genere di scrittura che fu allora male accolta
perchè usciva troppo dai binari della convenzionalità, toccando
argomenti fin ad allora ritenuti tabù dal finto perbenismo americano che
protestava per tutto meno che per la separazione razziale alla quale la
popolazione di colore era sottoposta, che faceva finta di non sapere
dell’esistenza e delle malefatte del Ku Klux Klan, che non riusciva ad
interrommpere la corruzzione dei polizziotti che erano superstipendiati
dalle gang di gangsters che vendevano alcool di contrabbando, che
inorridiva e strabuzzava gli occhi ai movimenti di Elvis Presley al
punto di proibire alle televisioni di inquadrarlo dalla cintola in giù.
L’America strafottentemente ricca delle più clamorose contraddizioni
sociali, ma tutto quello non contava, l’importante era mantenere
inalterata la maschera di perbenismo e puritanesimo che l’avevano sempre
falsamente caratterizzata. L’ America che costrinse il suo Presidente a
mandare la guardia nazionale ad Oxford per far entrare nell’Università
lo studente “nero” James Meredith, la stessa America che si libererà in
modo violento e disgustante dei fratelli kennedy, la stessa America che
manderà 80.000 giovani al massacro nelle giungle del Vietnam per
“ingrassare” i Signori della guerra che producevano armamenti. Questa
era l’America, e Dylan la sfidò rischiando il boicottaggio personale ed
artistico. Il disco inizia proprio con “Rainy Day Woman”, una sarcastica
e precisa accusa dell’ipocrisia che girava intorno all’argomento droga,
con particolare riferimento alla marijuana. Ogni capoverso inizia con
“They’ll stone you”, con i musicisti che sembrano davvero fumati
(perlomeno erano senz’altro alticci, proprio per dare l’impressione di
poca lucidità o alterazione dovuta a qualcosa), fuori da ogni schema e
con lo stesso Dylan che sembra far di tutto per non stare a tempo. Ma
ormai sappiamo tutti da anni che la chiave di lettura per Dytan non
esiste, oggi ti mostra una faccia e domani un’altra, oggi moralista e
domani dissacrante. Rainy Day Woman è la fotografia esatta di quel
momento, di quel passaggio epocale, del mutamento inattesto dell’
artista che comincia a rivelare la sua vera natura di genio che si
evolverà con gli anni a seguire rimandendo però sempre geniale e ben
sopra i livelli della normalità. Altrimenti tutti noi non saremmo suoi
fans così devoti. Una cosa è essere un fan di Bob Dylan ed un’altra è
essere fans di Fedez o di J.Ax, con tutto il rispetto per questi artisti
nostrani. Live long and prosper Mr.Tambourine, :o)
Salve Mister,
sono un po' intimorita ad intervenire dopo le due lezioni davvero ampie
e complesse che, partite dalle parole di Mac Coll sui cantanti folk
americani degli anni sessanta, hanno spaziato ben oltre, arrivando a
discutere sul significato della letteratura e dell'arte in generale
nella società di massa, che è, fondamentalmente, una società di
consumatori inconsapevoli. I consumatori consapevoli, invece, si fanno
domande senza risposte. Io, una piccola risposta personale ce l'avrei:
se vado ad un concerto per ascoltare la musica e la voce di Bob Dylan,
che, tra parentesi, non sono gratis, è perchè questo arricchisce la
parte di me che chiamiamo spirituale o, se volete, non mi dà risposte
sul caos ed il dolore del mondo, ma mi CONSOLA del caos e del dolore del
mondo, poichè, per un'ora e tre quarti circa, me li fa DIMENTICARE e mi
ILLUDE che ci sia del buono e del bello nella realtà. Questo è il nobile
compito dell'arte nella società, anche in quella di massa, nella quale
la distinzione tra "popolare" ed "elevato" si assottiglia sempre di più,
come aveva già affermato Montale, nel lontano 1975, quando, nella lectio
tenuta in occasione dell'assegnazione del Nobel per la letteratura, si
era detto convinto che la poesia aveva ed avrebbe mantenuto un senso
anche nella società dei consumi sfrenati e caotici. E' vero che la
realtà e la storia appaiono a Dylan, come a Eliot,"caos, dolore,
assurdo"(cito alla lettera dalla talkin 10641 che rinuncio a capire da
chi sia stata scritta), ma è anche vero che in alcune canzoni afferma
che quando il mondo finirà, ne nascerà uno migliore e ricorda a chi non
smette di piangere che "il sole nascerà sempre". Forse non l'ha mai
detto esplicitamente, ma mi sembra che Dylan assegni alla sua arte, cioè
la poesia cantata, anche un compito consolatorio. Dovrò ancora annoiarvi
con alcune riflessioni sui folksingers e sulla talkin di "Johnny in the
basament", ma per ora stop... se no temo di abusare della vostra cortese
attenzione. Alla prossima e, come sempre, lunga vita! P.S. Se mi va di
ascoltare Bob e di farlo finchè non appenderà la chitarra al chiodo, non
comprerei mai il whisky con il marchio di una sua famosissima canzone...
quell'operazione sa davvero di "arte da consumare"... o, meglio, di
"prodotto materiale che vuole diventare arte" ...c'entra qualcosa Andy
Wahrol, per caso? Ciao! Carla
Cara Carla,
non saprei dirti se la società di oggi sia davvero la società dei
consumatori inconsapevoli! Questo poteva essere valido agli inizi del
famigerato boom economico del dopoguerra, quando alcune cose prodotte in
massa ed a prezzi accessibili cominciarono ad divenire simboli di uno
status sociale che cominciava a fare la differenza fra le classi
sociali. Mentre il popolino, quello che scendeva in strada davanti al
negozio di elettrodomestici per vedere i primi programmi televisivi (ti
giuro che era così perchè anch’io sono stato uno di quelli) per poi
andare al bar a prenotare la seggiola mettendovi sopra un cartellino col
nome e le cinque lire del costo del posto, cominciava ad essere
desideroso di avere il frigorifero per poter finalmente eliminare la
bruttissima “moscheruola” appesa nel luogo più fresco della cantina per
mantenere burro e carne lontani dall’attacco delle mosche allora
numerosissime perchè le disinfestazioni a tappeto non erano ancora state
inventate ed in ogni casa attaccate ai portalampadine c’erano le famose
strisce di carta moschicida, quando le rondini tornavano puntuali ogni
estate ai loro nidi ed alla sera era un continuo garrire senza fine nei
caroselli aerei prima del tramonto. La radio era diventata una cosa
obsoleta e pian piano la televisione cominciò ad insinuarsi nelle case
della gente, le biciclette ad essere sostituite dalle moto (famose la
Vespa e la Lambretta) ed i motocarrozzini (i sidecar come erano chiamati
allora) sostituiti dalle “600” e dalle mitiche “500”. La gente aveva
acquisito una diversa consapevolezza della vita, non si accontentava più
come faceva prima della guerra, la gente era stanca di povertà,
imposizioni e brutture, la gente voleva cominciare finalmente a dare un
significato diverso alla propria vita che comprendesse felicità ed un
poco di lusso e frivolezze. Arrivarono i Blue Jeans e la gente impazzì
per questi pantaloni, oggi è praticamnete impossibile trovare uno che
non abbia mai portato un paio di jeans, ma quando io avevo tredici anni
dovetti andare a Genova in via Prè per comprarne un paio usati perchè i
jeans erano la divisa di fatica dei marinai americani e quando erano
consumati (noi dicevamo “lisi”), quando cioè avevano perso il blu per
lasciare il posto al bianco erano perfetti, col risvolto in fondo alle
gambe. Le fabbriche italiane arriveranno alcuni anni dopo con jeans che
assomigliavano molto da lontano agli originali! Lo lotta era fra Levi
Strauss (poi Levi’s) ed i “Lee” con i fautori di una o dell’altra parte,
come la rivalità fra Bartali e Coppi. Poi arrivarono le cucine “Ignis”
del Comm. Borghi, le prime lavastoviglie, i ferri da stiri elettrici e
non più di ferro da mettere sulla stufa a scaldare, il fon per
asciugarsi i capelli, poi i bagni con i sanitari passarono dalla
ringhiera o dal cortile direttamente nelle case. Non c’erano ancora i
supermercati, ma si mangiava bene e di tutto. Era chiaro che più
prodotti si mettevano a disposizione della gente e più i consumi
crescevano, così anche la nostra società cominciò a diventare
consumista. Oggi, dopo un bel pò di anni, stiamo buttando via quello che
abbiamo comperato nel passato, tutto viene velocemente rimpiazzato con
tecnologie nuove e la gente sta al passo, esempio nel nostro paese pare
siano in uso circa 60.000.000 di cellulari! La vita è diventata una
corsa contro non si sa che cosa, ma bisogna correre perchè corrono
tutti, ma cominciamo ad essere in troppi, dai 2 miliardi del 1950 oggi
siamo circa 12 miliardi e la torta da dividere è sempre quella, questo,
in parole povere, significa che siamo una società che si sta facendo
distruggere dalle cose che essa stessa ha creato. Triste come previsione
futura ma maledettamente reale.
Anche l’arte e la cultura ebbero una svolta decisiva nel dopoguerra,
l’immissione sul mercato delle chitarre elettriche creerà una svolta
fondamentale nel mondo della musica aprendo la strada a nuove forme di
espressione che coinvolgeranno anche la letteratura e la poesia. In ogni
casa entrarono i giradischi ed i vecchi “78 giri” furono sostituiti dai
più pratici ed economici “45 giri” che erano alla portata delle tasche
di tutti (Elvis venderà più di un miliardo di dischi). Poi ci fu
l’esplosione del fenomeno Beatles e conseguenti imitatori che la fecero
da padroni per qualche anno con melodie accattivanti ma ancora con testi
al limite dell’idiozia. Ma qualcuno mandò sulla terra uno che spazzerà
via tutto ciò che c’era prima dettando le nuove regole per il modo di
scrivere i testi delle canzoni, e tutti si dovettero adeguare a lui,
fino a quando il mondo seppe riconoscere la sua importanza e validità
assegnandogli il premio Nobel per la letteratura. Oggi siamo ancora
fermi alle sue intuizioni, anche se tanti altri fenomeni sono venuti
dopo di lui, ma lui è sempre lì a ricordare a tutti che le regole sono
ancora le sue. Come sarà il futuro non lo sappiamo e non ci interessa, a
noi interessa il presente e per il momento l’uomo da guardare e seguire
è sempre Bob Dylan.
Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Lunedì 21
Gennaio 2019
Talkin'
10644 - gpg
Buongiorno,
credo di aver letto nel vostro sito <http://www.maggiesfarm.eu/> che in
una canzone sembri di sentire una frase in italiano.
<Rainy Day Women #12 & 35>? Ricordo bene? Di cosa di tratta?
Grazie :)
Ricordi bene, si tratta proprio di Rainy Day
Women #12 & 35, ascolta Ascolta attentamente (meglio se in cuffia) la
canzone alla fine dell'ultima strofa, esattamente al tempo 4,02 secondi
della track, si sente CHIARAMENTE una voce che grida "Ma sei scemo?".
Potrebbe essere anche un' assonanza con qualcosa urlato in inglese, ma
la frase suona proprio così! Questo fatto è sempre stato un mistero e
tale rimarrà! Prendo l’occasione per ricordare, non a chi già lo sapeva,
ma a coloro che magari non avevano avuto l’occasione di leggerne la
spiegazione, il significato di quei numeri nel titolo della canzone. Per
gli entusiasti della canapa indiana, il 20 aprile, alias 4/20, alias
"420", è il più sacro dei giorni sacri, cioè quello quando alle 4:20
p.m. si prendono un pò di tempo libero per partecipare ai party con
l’erba in compagnia degli amici. C'era un interessante articolo sul “The
Huffington Post” sulle origini della connessione 420-marijuana. E’
risultato che il significato del numero non era niente altro che l’ora,
dopo la scuola, quando qualche high-stoners della scuola Californiana si
riuniva nel bosco per qualche “numero” con la cannabis.
Ci sono state molte altre teorie nel corso degli anni per quanto
riguarda il significato del numero 420, ma il più interessante è che
proviene dalla canzone di Bob Dylan "Rainy Day Women # 12 & 35", meglio
conosciuta ai laici come "Tutti devono essere lapidati”, o più
precisamente “Tutti devono sballare”.
Il titolo della canzone è stato uno dei tanti titoli misteriosi delle
canzoni di Dylan a metà degli anni '60 (insieme a "Temporary likes
Achille", "Just Like Tom Thumb's Blues" e "Bob Dylan's # 115 Dream"), ma
alcuni matematici con la mentalità alla Doobie Brothers hanno capito che
se si moltiplicava 12 x 35 si ottieneva esattamente 420.
Comunque, "Rainy Day Women # 12 & 35", pur non essendo un capolavoro
visionario come "Visions of Johanna" o "Sad Eyed Lady of the Lowlands" è
un brano divertente con qualche bel gioco di parole, un grande New
Orleans time che ha influenzato la backing band - ed un ottimo modo per
avviare il doppio album Blonde on Blonde, anche se a molti è sembrato
essere stato ispirato più dal bourbon che dai germogli dei semi. Come
uno degli inni alla cannibis più grande di tutti i tempi, non è
sorprendente che "Rainy Day Women # 12 & 35" sia stato coverizzato da
molti altri musicisti che condividevano quel modo di vivere e pensare.
Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
De Gregori a casa di De André: "Belìn,
vieni a scrivere da me!"
clicca qui
Sabato 19
Gennaio 2019
Talkin'
10643 - ponchogonzo
Scusate, sono un frequentatore abbastanza
assiduo di Maggie's Farm ma è la prima volta che vi scrivo. Volevo solo
capire se sono io un po' rincoglionito oppure le date delle news sono
ancora con anno 2018? Comunque intanto vi faccio i complimenti perché il
sito è veramente interessante.
Saluti, Renato Belardinelli.
Grazie della
segnalazione Sergio, tranquillo, il rincoglionito sono io, come dicevo
l'altro giorno rispondendo a Carla, questo è uno dei numerosi errori che
faccio, sciocche distrazioni ma sempre errori sono, fortunatamente ogni
tanto c'è qualcuno come te che me le segnala dandomi modo di correggere.
Grazie ancora, alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Ciao,
qualcuno ha le parole di questa canzone o sa chi l'ha scritta ?
Sergio
La set list del
concerto del 22 Settembre 1985 a Champagne, Illinois, riporta il titolo
"Shake" e l'attribuisce a Sam Cooke, ma la Shake di Sam Cooke non ha una
parola uguale a quelle cantate da Dylan. Tony Attwood riporta che verso
la fine del 1985 Dylan stava facendo un discreto numero di jam session
con Tom Petty e gli Heartbreakers, provando idee diverse e cercando
qualcosa di diverso da fare in seguito. Una delle canzoni risultanti,
"Shake", è stata ovviamente un divertissment suonato al Farm Aid e in
altre tre occasioni, ma non l'ha mai registrata. La canzone è un
semplice blues in 12 battute con la prima riga dei testi ripetuta e poi
la classica linea di risposta. Ci sono un miliardo di canzoni simili a
questa.
Clinton Heylin ci porta a credere che questa canzone sia una copia/cover
di "Treat her right" di Roy Head, ma in realtà è una copia di tantissime
altre canzoni che a stento sembra ragionevole sceglierne una come fonte.
Dylan aveva suonato "Treat her right" durante le prove dell'anno
precedente, il che probabilmente è ciò che ha dato lo spunto a Heylin,
ma quella performance non significa che "Shake" sia una rielaborazione
di essa.
Il punto di queste prove era che non solo davano a Dylan qualcosa di
nuovo da suonare - il tipo di musica che gli era sempre piaciuto suonare
- ma gli permettevano di vedere cosa poteva venirne fuori, senza
preoccupazioni se non fosse uscito nulla di usabile. Empire Burlesque
era pronto e Bob non doveva preoccuparsi di un nuovo album per un po' di
tempo, e poi Tom Petty e gli Heartbreakers erano loro stessi pieni di
ispirazione. Il testo è quello del classico R & B anni '50 con
insinuazioni sessuali che arrivano fino al punto permesso dalla censura
americana ma non oltre ...
Shake it baby like you know you can
Shake like you know you can
Prove to me you’re my woman just like I’m your man
Ed altro di simile. Non è una grande canzone, ma era ciò che Dylan
voleva fare in quel momento.
Setlist: 22
Settembre 1985 - Farm Aid - Champagne, Illinois
1. Clean Cut Kid (Live debut)
2. Shake (unknown)
3. I'll Remember You (Live debut) duet with Madelyn Quebec
4. Trust Yourself (Live debut) duet with Madelyn Quebec - guest star
Willie Nelson
https://www.youtube.com/watch?v=0DGz7nH0Jwo
Personnel:
Bob Dylan (voice - guitar)
Tom Petty (guitar)
Mike Campbell (guitar)
Benmont Tench (keyboards)
Howie Epstein (bass)
Stan Lynch (drums)
Queen Esther Marrow (vocal)
Madelyn Quebec (vocal)
Elisecia Wright (vocal)
Debra Byrd (vocal)
Guest star Willie Nelson (Guitar) on Trust Yourself, That Lucky Old Sun,
Maggie's Farm
Venerdì 18
Gennaio 2019
Talkin'
10641 - miscio.tux
Oggetto: Pappardella
Caro Mr. Tambourine,
1. Convenevoli
Veramente hai creduto che quello della Talkin' 10636 fosse il vero Miscio?
Non hai percepito che manca un po' di viltà? Potremmo chiamarlo l'Esimio
Miscio o Pseudomiscio o Miscio Eglamorita. Di nuovo è l'infingardo
luciferino che si diverte a tanagliare le vittime per poi sbertucciarne
l'agonia. Lasciandole disfatte sotto il fuoco degli obici della
corazzata etnologica. Mi pare che il mattacchione stia prendendo
sottogamba il gioioso clima di legalità inaugurato dal Ministro dei
Temporali. Non sa che è un reato rubare l'identità? Quasi quasi lo
denuncio alla Polizia Postale, che possa "marcire in galera", come
direbbe il simpatico leghista. Lo vedo già accostato a Battisti nel
trionfo della legalità, le sue carni straziate in diretta da Porro,
Sallusti, Giordano, Feltri, Belpietro, i liberisti armati per il
portafoglio. Scherzo ovviamente. Nemmeno lo aspetterei sotto casa, un
vile teme sempre di incontrare uno più grosso. Temo anzi che sia un
genio. L'unico che ha capito che l'identità è una bara che ci
seppellisce, che ha fatto tesoro dell'insegnamento dylaniano: nell'età
del controllo totale, mai essere lì dove ti aspettano. Per un attimo ho
persino pensato di fare come lui, spoofare la sua mail e presentarmi
come Sir Eglamore. Ma poi mi sono detto che l'amata Maggiesfarm
diventerebbe un casino, con Tizio che se la prende con Caio che invece è
Tizio e così via, non so quanto si divertirebbero gli altri. Può darsi
che sia questo il destino finale di Maggiesfarm, dissolversi in cometa,
piuttosto che diventare l'ospizio dei dylaniati. Ma per ora evitiamolo,
forse il nostro Bob ha ancora qualche cartuccia da sparare prima di
attaccare la chitarra al chiodo. Ma poi, di che mi lamento, che sono
anche pigro, e mi ritrovo attribuiti interventi ben fatti senza neanche
dover digitare una virgola.
2. Chi ha ucciso il Babau?
Vale a dire, chi ha ucciso la cultura popolare? Nessuno canta più come
Blind Willie McTell, ti amerò sempre Nettie Moore, ma non c'è rimasto
nessuno che possa dirlo. Magari Sir Eglamore si trova un po' a disagio
nel maneggiare il carteggio Marx-Engels, ma la questione la centra in
pieno lo stesso. Cita le migliorate condizioni di vita delle classi
popolari, e questo si può benissimo prendere come indicatore di una
trasformazione più generale. C'è una frase del Manifesto in cui Marx e
Engels suggeriscono chi è l'assassino, ed è una frase che è ripresa da
un famoso libro sulla storia del modernismo, adottato tra l'altro da
Carrera nelle sue lezioni americane
(e l'ultimo capitolo del libro s'intitola "Bringing It All Back Home").
La frase "Tutto ciò che è solido si mescola nell'aria", indica quella
che è la caratteristica essenziale del Capitalismo, quella di smontare,
decostruire ogni forma sociale o culturale preesistente usandone i pezzi
per ricostruirla in forme che possano produrre valore. E' un processo
incessante, perché c'è sempre una forma che produce più valore della
forma precedente. Siamo pieni di città fantasma, di quartieri sventrati
e ricostruiti infinite volte, montagne traforate, piane di ulivi
riempite di pale eoliche, automobili elettriche per la cui ricarica si
continua a bruciare petrolio, ma che intanto aprono una nuova dimensione
di mercato, lampadine a basso consumo più di quelle di prima ma meno di
quelle di dopo e così via. Lo si chiama "progresso", ma il fatto che non
abbia una direzione precisa, razionale, non caotica, dovrebbe mettere in
guardia: è l'accumulazione capitalistica. Il benessere che le persone a
volte ne ricavano non ne è una conseguenza inevitabile, ma una ricaduta
aleatoria, una variabile dipendente dalla redditività del processo
economico. Il benessere può sussistere solo se è produttivo di nuovo
capitale. Che non si tratti di una cosa a dimensione umana, ma della
conseguenza di un'astrazione delirante, è indicato dal fatto che il
processo non mira ad un equilibrio, ma viene pensato come
quantitativamente infinito: risorse infinite, spazi infiniti,
popolazione infinita, consumi infiniti. Non la qualità della vita, ma la
quantità di capitale è la sua misura, e quando questo accumulo si ferma
si ha la "recessione". Sir Eglamore l'azzecca ancora quando cita
Desolation Row: sul ponte del Titanic, che rappresenta questa concezione
del progresso, tutti cantano "Which Side Are You On?", da che parte
stai. Non si tratta soltanto del disprezzo per il cicaleggio della
politica di fronte alle cose immortali, ma del fatto che non ci sono due
parti, perché sul ponte del Titanic, su quell'idea di progresso, siamo
imbarcati tutti, destra e sinistra, proletari e borghesi, socialisti e
liberali.
3. "I politici son tutti dei ladri"
Sir Eglamore, nella parte dello Pseudomiscio, si dedica poi allo sport
oggi più in voga, sparare sul politico. Cosa non troppo difficile, visto
il prognatismo che da tempo caratterizza il deputato medio. Ma non è
detto che le cose più semplici siano anche le più giuste. Io faccio
parte della categoria dei cocciuti che pensano ancora che tutto sia
politico, proprio come negli anni 60, che lo si riconosca o meno è un
altro paio di maniche. Gebianchi ha ragione quando sostiene che è quasi
impossibile discernere tra contenuti politici e contenuti di altro
genere, almeno per quello che di implicitamente politico c'è in ogni
forma d' arte. La "Star Spangled Banner" suonata da Hendrix, ad esempio,
è un gesto politico. Tutto sta nell' intendersi sul significato del
termine, che non lo si consideri solo un insieme di misere contingenze e
volgari interessi. Quando 2500 anni fa i Greci inventarono la
democrazia, la politica era lo strumento per far vivere la polis.
Infatti la città non è un insieme di case, una cinta muraria, quartieri
e strade, ma è nel legame etico che unisce le persone. Atene può essere
distrutta, ma la polis no, continua ad esistere nelle relazioni tra gli
individui che la ricostruiranno materialmente. Il cittadino non può che
essere “politico”, non può esistere altro che dentro la polis, perché al
di fuori non è più nulla, torna ad uno stato di natura, al clan. Per un
ateniese, non votare, non partecipare alla polis, era equivalente al
suicidio. Non si può star fuori a qualcosa che è dentro di te. Se oggi
le istituzioni della vecchia politica appaiono svuotate e insensate, non
è perché lo sono sempre state, come pensa Sir Eglamore. Il motivo è che
nell'aria non svaniscono solo le cose materiali, ma anche le
aggregazioni sociali, le forme culturali, i legami interpersonali. Non
solo l'organizzazione materiale del mondo, ma anche l'essere sociale
delle persone rientra nel ciclo di dissoluzione e metamorfosi spinto
dall'accumulazione capitalistica. La politica diventa fuffa quando viene
depotenziata e svuotata da imperativi finanziari che la scavalcano,
svuotandola, quando la comunità si trova di fronte a leggi globali che
sovrascrivono le sue decisioni, quando la relazione dialogica tra
individui concreti e razionali su cui si fonda la democrazia si stempera
in un pulviscolo di passioni governate dalla televisione,
nell' impersonalità delle relazioni riflesse dai social media.
4. Essere o non essere
A differenza del sottoscritto, sia Gebianchi che lo Pseudomiscio sono
accomunati dal fatto di pensare che l'arte sia un'espressione
dell' essere, più che dell' essere sociale. Per questo pensano che un
capolavoro portato sulla Luna brilli ancora, testimoniando alle stelle.
Io invece credo che Dylan facesse bene a leggere al ristorante libri di
poesie, con le dita unte di pollo. Certo, per chi ha una rigorosa
preparazione musicale, molte canzoni sono una banalità, ma la semplicità
non è un criterio per giudicare la bellezza o l' universalità. Altrimenti
l' arte diventa una tecnica e di fronte a un ritratto è meglio una
fotografia. Anche quando un artista pensa di comunicare con gli dei, in
realtà quello che costruisce è una macchina psico-sociale, che usa
linguaggi codificati in un certo contesto, che si rivolge a persone che
percepiranno i suoi linguaggi perché in possesso di determinate
esperienze, dizionari interpretativi, impressioni estetiche tutti
socialmente fondati. Il ragionamento che Gebianchi fa sui dialetti,
dimostra che questo lo ha ben presente. Semo homini moderni, direbbe
Brancaleone, quando ci immaginiamo un pasto prelibato non pensiamo certo
alla salsa di pesce putrefatto che per i Romani era una delizia. Per
questo non ha senso paragonare Dylan a Dante, o a Ovidio, ma ha senso
confrontarlo con Joyce o con Eliot. In questi ultimi casi le macchine
sociali sono ancora parzialmente simili, parzialmente sovrapponibili.
Non importa qui stabilire chi era il più grande. Del resto la
complessità che si trova in Dylan, se non arriva a questi vertici,
farebbe comunque gola a tanti poeti che si trovano nelle antologie.
Mentre però Sir Eglamore, per quello che ho capito, non nega che anche
un menestrello popolare possa raggiungere livelli sublimi, per cui la
comunicazione con l'essere, coerentemente, non dipende dall'istruzione
scolastica o dalla classe di provenienza, ma dall' autoconsapevolezza,
Gebianchi mi sembra pensare l' arte popolare come una forma di
espressione minore, che difficilmente giunge ai livelli
dell' universalità, negando con questo che le "classi inferiori" o le
società rurali o tribali possano avere specifiche forme di comprensione
del mondo, articolate quanto quelle accademiche. Non è forse questo in
contraddizione col pensare l'essere come universale? Alle culture "non
acculturate" è forse concesso di accedere ad un essere che è solo un
"essere inferiore"? Dylan a questo ha già risposto, quando sostiene che
Robert Johnson o Hank Williams per lui valgono come i grandi poeti delle
antologie.
5. Dylan e l'angelo della Storia
C'è un pezzetto criptico nel famoso brano dell'intervista del 66: "Ma in
ogni modo, la musica tradizionale è troppo irreale per morire. Non ha
bisogno di essere protetta, nessuno le può fare del male. In quella
musica c'è l' unica morte vera e di qualche valore che possa uscire da un
giradischi oggi." È Greil Marcus che in "The Old Weird America" ci aiuta
a capire il passaggio: a lui sembra come che Dylan stia parlando della
prima facciata degli Harry Smith's "Songs" in cui i cantanti suonano
come se fossero già morti, ma non perché il significato delle loro
canzoni è stato fissato in anticipo in modo definitivo. "È come se
stessero esplicitando una implicita premessa della vecchia religione del
Sud: solo i morti possono rinascere". Dylan non è materialista, vede la
tradizione in maniera mistico-religiosa. L'abisso senza fondo che il
mistico attribuisce alle cose gli impedisce di oggettivarle, di
trasformarle in identità da ripetere uguali a se stesse. Considerata
così, la tradizione diventa un serbatoio di significati inespressi che a
poco a poco vengono ad essere nel tempo. Per forza propria, secondo il
mistico, per via della diversa prospettiva con cui noi le guardiamo per
il materialista non ingenuo, ma la differenza ai fini pratici forse non
è rilevante. Questo tesoro di significati può rivelarsi solo se proviene
da un altro mondo, quello del passato, della storia, roba morta insomma.
Solo in quanto morta questa materia si presta ad essere riplasmata dalla
tensione di cui è carica la nostra prospettiva presente, perché è
abbastanza lontana dal cicaleggio dell'attualità, e le polemiche
contingenti, la politica spicciola, si sono ormai decantate lasciando
libero campo a riflessioni di lungo respiro. La complessità contenuta
nella tradizione non può servire a semplificare la realtà contemporanea,
ma semmai a problematizzarla, consentendo di leggerla ad un livello più
profondo. Portelli ne ha dato una spiegazione magistrale, commentando
Hard Rain, che poteva implodere in una banale marcetta contro la
"bomba", ma che invece, proprio perché Dylan riesce a leggere nei
prototipi tradizionali le complicazioni dell'incontro col nuovo, non si
riduce ad un'unica voce, ma a tante, ognuna delle quali esprime una
contraddizione in cui ci possiamo riconoscere, che è anche politica, nel
senso più elevato del termine. Queste concezioni le ritroviamo in
Desolation Row. Come la Terra Desolata, con cui ha diverse analogie, la
canzone contiene una riflessione sul senso del passato, sul che cosa
possa significare per noi oggi l'immenso serbatoio dell'arte e della
storia trascorsa, che ci appare come dice Eliot, come un "heap of broken
images", un mucchio di immagini frantumate. Nell'ultima strofa della
canzone,
I got your letter yesterday
About the time the door knob broke
When you asked how I was doing
Was that some kind of joke?
All these people that you mention
Yes, I know them, they're quite lame
I had to rearrange their faces
And give them all another name
Right now I don't feel so good
I don't want your letters no more
Not unless you mail them
From Desolation Row
scopriamo che tutto il componimento potrebbe essere una risposta a
questa lettera, e che la realtà e la storia appaiono a Dylan proprio
come apparivano a Eliot, caos, dolore, assurdo. Una volta capito questo,
non si torna indietro, la maniglia della porta si rompe, la sensazione
ti resta impressa per sempre. Mi chiedi anche come sto? Come credi ci si
possa sentire una volta che ci si è resi conto che la vicenda umana è un
racconto senza senso? - ironizza Dylan. Nel commentare questa strofa,
Stephen Arnoff ( http://www.zeek.net/610dylan/ ), in un saggio contenuto
nella raccolta curata da Carrera, "Parole nel Vento", osserva che si
tratta di una lettera «illeggibile, persino offensiva, perché trascura
il fatto che soltanto la realtà ricostruita può preservare un animo
sensibile dal caos culturale del "mondo reale." Il narratore di Dylan
vede le stesse facce del suo corrispondente, ma ognuna con un "altro
nome", inserita dentro la sua personale griglia di desolazione, basata
sugli unici termini che egli può comprendere ed accettare.» Quest'ultima
strofa si guarda indietro, rivolta verso il resto della canzone allo
stesso modo in cui l'angelo della storia di Walter Benjamin, ormai
divenuto patrimonio della rete, rivolge il suo sguardo strabico verso il
passato
Anche Dylan è dentro questa bufera, guarda con gli occhi dell'angelo,
"vuole destare i morti e riconnettere i frantumi." Il solo modo che
trova per farlo è cambiare i nomi e le facce che trova nel passato, nel
bagaglio della tradizione, cercando di forzarli in segni che vengono dal
presente e cercano un senso nel futuro. Soltanto se sapremo rileggerlo
con la volontà di creare un senso a venire potremo redimere il passato.
Potremo dire che non è stato invano, che voleva dire questo, che sì,
"quelle ossa" potevano rivivere.
ciao, Miscio (quello vile).
Caro Miscio, l’idea di
essere tutti sul ponte del Titanic mi spaventa a morte, ma purtroppo hai
centrato in pieno il bersaglio, il nostro mondo, la nostra società, così
come sopno0 oggi, sono destinati ad affondare per sempre e chi lo sa se
di essi rimarrà un ricordo, magari anche lontanissimo, come una
sensazione di deja vu indefinibile! Ci hanno detto che l’ universo è in
espansione ma non ci hanno detto dove andrà a finire, ne come, ne
quando, ne perchè. L’unica logica possibile è che, come tutte le cose,
deve per forza avere un inizio ed una fine. Io non saprei dire se esiste
qualcosa di infinito, di interminabile, che vada al di là del tempo come
lo calcoliamo noi, l’unica cosa certa è che fra qualche miliardo di anni
il sole avrà consumato tutta la sua energia e si spegnerà like a candle
in the wind, trascinando con se nel buio il nostro minuscolo pianeta e
tutto il sistema solare, ma come diceva Guccini con i Nomadi (quelli
veri di Augusto, non la barzelletta/cover/band che gira l’Italia
usurpando il glorioso nome “Nomadi”, ma forse Beppe Carletti tiene
famiglia e c’hanno da maggnà e bevere e così si presta a questi
vergognosi misfatti). Il nostro mondo è pieno e saturo di strade
identiche alla dylaniana “Desolation Row”, strade che sono l' esempio
palese del decadimento della nostra civiltà, luoghi nei quali i miti
sociali vengono distrutti, luoghi nei quali la realtà della vita,
desolata ed orrenda nella sua spettralità si avvicina fatalmente alla
verità reale.
La tua disamina è veramente ottima, così buona da non lasciar spazio ad
interpretazioni o commenti, ci si può credere o no, si può apprezzarla o
spregiarla, ma così è e così resta. Una piccola lectio magistralis per
la quale ti sono grato e che sono certo interesserà moltissimo la
totalità dei nostri amici Maggiesfarmers. Alla prossima, live long and
prosper, Mr.Tambourine, :o)
Giovedì 17
Gennaio 2019
Talkin'
10640 - dinve56
Oggetto: Dylan ed i folksingers
Salve Mister,
obbediente alle tue indicazioni, evito di dire la mia sulla
interessantissima talkin' dell'ineguagliabile Miscio. Una sola
considerazione: l'articolo di Ewan Mac Coll la dice lunga sullo
sciovinismo, che non ha confini. Lo sanno anche i sassi che il
patrimonio delle ballate popolari della Great Britain, che comprende
ballate scozzesi, gallesi e chi più ne ha più ne metta, è giunto in
America dove, ovviamente, è stato rielaborato e trasformato. Mi fermo
qui, come promesso. In linea di massima ho qualche problema a capire i
"puristi" di ogni tempo e di ogni luogo, ma, giacchè non li capisco ma
li temo, colgo l'occasione per correggere un piccolo errore della mia
talkin' 10630. In latino è "de
senectute" con la "t" e non con la "d". Grazie per il sito e lunga vita!
Carla.
Cara Carla, non
è assolutamente proibito risponedere o criticare il contenuto di una
mail. Io non ho detto che la risposta competeva esclusivamente al sempre
più vile Miscio o al Prof. Bianchi, anzi, se vuoi dire la tua sappi che
sei sempre la benvenuta. I puristi, in senso linguistico, sono coloro
che mettono in atto ogni atteggiamento di protezione verso una lingua,
al fine di eliminare da essa elementi considerati come minacciosi per la
sua integrità, come forestierismi o neologismi. Detto oggi sembra uno
scherzo, ma anche la nostra bellissima lingua è stata, per comodità,
farcita con migliaia di espressioni di origine estera. Prima dello
sbarco in Italia degli americani nella seconda guerra mondiale la gente,
quando era d'accordo, era solita dire va bene, concordo, ora dicono
tutti OK ma quasi nessuno sa cosa significa realmente OK! Questa sigla è
formata dalle iniziali fonetiche delle due parole Zero Killed. Durante
la guerra di secessione, alla fine di ogni giornata di battaglia, sulla
lavagna di ogni compagnia veniva fatto il riepilogo della giornata dopo
aver passato a setaccio il campo di battaglia per contare feriti e
morti. Quando non c'erano vittime sulla lavagna veniva scritto OK che
stava a significare che non c'erano stati morti in quel giorno, e questa
era una cosa assolutamente positiva. Nella lingua inglese è consuetudine
pronunciare la parola "zero" con una "O" chiusa, proprio come si
pronucia in "okey", quindi o killed significava "nessun morto", che
divenne immediatamente sinonimo di una cosa altamente positiva sulla
quale erano tutti d'accordo. Qualcuno dice invece che sia un'espressione
mutuata dalla lingua dei nativi americani Sioux, (la tribù di Toro
Seduto, Nuvola Rossa e Cavallo Pazzo) nella quale la parola Hoka hey
(pronunciata Hokehey) significava "va bene", "si può fare". Il termine
Sioux deriva dall'espressione "meno che un serpente", usata con intento
dispregiativo dagli Algonchini per indicare le popolazioni che vivevano
nelle grandi pianure centrali degli Stati Uniti e del Canada
meridionale, fra il fiume Platte fino al monte Heart e dalle foreste del
Minnesota, fino al Missouri e poi alle montagne del Bighorn. L'equivoco
nacque allorché alcuni esploratori francesi chiesero a un appartenente
ai Chippewa, tradizionali avversari dei Sioux, il nome della vasta
stirpe che popolava quelle terre. La logica risposta fu: "meno che una
vipera" (rispetto alla "vipera intera" rappresentata ai loro occhi dagli
Irochesi). La parte finale dell'espressione Nadowe-is-iw - singolare di
Nadowe-is-iweg - che significava appunto "meno che vipera", servì per
sempre a identificare il vasto insieme delle tribù Dakota e Lakota
(varianti dello stesso termine che significa invece grosso modo "amico",
"alleato", accomunate da una medesima lingua e da identiche tradizioni
culturali. Il gruppo etnico dei Sioux era composto da sette diverse
tribù, gli Oglala (Coloro-che-si-disperdono), gli Sichangu (o Cosce
Bruciate ovvero Brulé), Mineconjou (più precisamente Mnikan'oju o
Mnikowoju, ossia (Seminatori d'un campo vicino al fiume), gli Hunkpapa
(Che-si-accampano-all'ingresso), gli Sihasapa (o Piedi Neri, da non
confondere tuttavia con l'omonimo gruppo algonchino - cfr. Nitsitapi),
gli Oohenonpa (o Due Marmitte) e gli Itazipcho (o Sans Arcs, da itazipa,
"arco" e "čo", abbreviazione di čodan, "senza"). Naturalmente
quell'errore si è trascinato fino ad oggi e tutti, quando parlano o
pensano agli "Indiani" (altro termine generato dall'errore di Cristoforo
Colombo che credette di aver raggiunto le Indie Orientali, ignaro invece
di aver toccato le coste di un continente allora sconosciuto agli
Europei) fanno riferimento ai nativi americani detti anche "pellirosse".
Altra ipotesi, secondo l'opinione più diffusa nei dizionari di lingua
inglese, l'espressione OK starebbe per Oll korrect, cioè "all correct",
scritto deliberatamente in modo sbagliato per enfatizzarne il
significato. Un'altra ipotesi la fa derivare dalla lingua bantu uou-key
(trascrizione fonetica) che significa "certamente sì", l'espressione
potrebbe così essere filtrata dalla lingua degli schiavi africani
nell'uso statunitense. Un' altra ipotesi sostiene che derivi da
"Old Kinderhook", nomignolo del presidente americano democratico
Martin Van Buren, essendo il presidente nato a Kinderhook. Altri,
specialmente gli Irlandesi, dicono che derivi dal gaelico och aye, che
significa "oh sì", che testimonierebbe appunto la sua diffusione negli
Stati Uniti a opera degli immigrati irlandesi. Altra interpretazione
sostiene la teoria che riconduce la locuzione alla sigla di un nome
proprio, solitamente di una persona preposta al controllo di prodotti,
trattative, contratti, elenchi o simili, tra questi nomi figura quello
di Otis Kendall, che agli inizi del XIX secolo lavorava al porto di New
York, il suo lavoro consisteva nel controllare le merci in carico e
scarico ed era solito apportare le iniziali del suo nome "O.K." sulle
casse vidimate ed approvate. Altri ancora dicono provenire
dall'espressione "0 Kelvin", pronunciata oh kay, indicante la
temperatura di zero assoluto, tenendo presente che il termine "cool"
viene usato anche nella lingua inglese per dire "tutto bene". I
Russi invece fanno risalire a loro l'origine dell'espressione, è loro
convinzione che derivi da "очень хорошо" (trascrizione fonetica: ochen'
khorosho): il grido che solevano urlare gli scaricatori del porto
ucraino di Odessa agli equipaggi delle navi di tutto il mondo per
indicare "tutto bene" (tutto il carico è stato stivato/scaricato
perfettamente), l'uso del termine O.K., iniziali della trascrizione
fonetica, si sarebbe così diffuso "via mare" anche al mondo occidentale.
I greci invece reclamano la paternità del termine, Ola kalà (Όλα Καλά)
che significa "tutto bene". Poi ognuno di noi può scegliere di credere a
quella che gli sembra più corretta, ma almeno quando dirà OK saprà
quello che sta dicendo. Altro grosso errore linguistico, fu commesso da
Sua Eccellenza il Cav. Benito Mussolini in quello che è diventato il
famoso "discorso del bagnasciuga" del 24 giugno 1943, quando di
fronte alle voci su un prossimo sbarco alleato in Sicilia (avvenuto
effettivamente dopo pochi giorni, il 10 luglio), proclamò che ogni
tentativo di sbarco sarebbe stato "congelato su quella linea che i
marinai chiamano bagnasciuga", volendo indicare quella che in realtà era
la battigia, cioè quella parte di spiaggia contro cui le onde sbattono
al suolo. Invece il "bagnasciuga" o (in antico) linea di fior d'acqua
(in inglese load lines) è quella parte di superficie della fiancata di
una nave limitata dall'ideogramma di Plimsoll. In questo i puristi non
hanno tutti i torti, anche se tu li temi. Una volta si diceva
fine-settimana, oggi è d'obbligo dire week-end, tutto compreso si dice
oggi all inclusive, il pubblico è diventata l'audience, gli ascolti
televisivi sono lo share, il dietro le quinte il backstage, la guardia
del corpo è il bodyguard, la previsione di spesa o stanziamento è il
budget, la visita di controllo è il check up, la pausa caffè è il coffee
break, i sondaggi di voto sono gli exit pool, la forma fisica è il
fitness, il pettegolezzo è il gossip, la legge sul lavoro il jobs act,
il capo carismatico è il leader, il trucco è il make up, le notizie sono
le news, il manifesto è il poster, le voci o chiacchiere sono i rumours,
la taglia è size, il finanziatore è lo sponsor, e potremmo continuare
per alcune ore. Per quanto riguarda il tuo "de senectute" non
preoccuparti, un errore di scrittura è scusabile, sapessi quanti ne
faccio io! Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Libri: “Rock Lit”, l’intreccio
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quinte
Mercoledì
16
Gennaio 2019
Talkin'
10639 - gebianchi
Dunque dunque, sentendomi chiamato
in causa dalle articolate e circostanziate riflessioni dell’esimio
Miscio, non posso che replicare cercando di sgombrare il campo da alcuni
fraintendimenti che a mio avviso inficiano le sue pur stimolanti
riflessioni.
La prima; sostenere che (cito
testualmente) “a cancellare la cultura popolare tanto amata dagli
etnologi marxisti siano stati i progressi sociali delle classi
subalterne”, mi pare affermazione assolutamente azzardata e
decontestualizzata. Soprattutto, la ricerca antropologica marxista,
quella italiana in particolare, da De Martino a Lombardi Satriani, da
Lanternari al compianto Furio Jesi, direi che ha sempre considerato in
misura estremamente marginale il ruolo della canzone nella sua duplice
valenza, estetica e politica, concentrandosi piuttosto sulle dinamiche
comportamentali connesse alla fonetica delle filastrocche popolari, o
alle pratiche cultuali (non culturali) connesse alla canzone popolari
nella sua forma e valenza di strumento tecnico in uso a gruppi
circostanziati e funzionale a quelle che sono le dinamiche del rito
(Vedi il noto Morte e Pianto rituale del De Martino). Oltretutto la
distinzione tra canzone politica e canzone folclorica, del tutto
inesistente nelle analisi crociane e solo parzialmente in quelle
gramsciane, si basa su fattori puramente aleatori e decisamente non
classificabili, stante le notevoli contaminazioni tra i due generi e
soprattutto stante il fatto che storicamente, la canzone politica
cominciò ad affermarsi solo nel momento in cui una classe sociale quale
il proletariato urbano comincio’ a manifestare una precisa coscienza
politica. Gramsci sosteneva che con la canzone popolare “Rafforziamo la
nostra coscienza coi ricordi, con l’immergere il nostro spirito nel
fiume della nostra tradizione, della nostra storia”, ed era pero’
sedotto dal canto politico che in quegli anni cominciava a muovere i
suoi passi come riadattamento di canzoni di moda allora in voga il che
rappresentava secondo Gramsci un chiaro esempio di contrapposizione tra
il piano ufficiale e il piano non ufficiale, ossia tra l’egemoico ed il
subalterno.
Una seconda obiezione riguarda la
generalizzazione globalizzatrice che Miscio propone, includente dalla
Hard Rain dylaniana al Bella Ciao delle mondariso vercellesi, il che
rischia di semplificare eccessivamente un percorso di ricerca che è
peculiare e differente da paese a paese, anzi da regione a regione, da
zona a zona. Fermo restando che Hattie Carroll, a mio avviso, al di là
della rivereberante luce universale che promana, rimane un pezzo
fortemente politico o politicizzato, (direi più politico di così si
muore!)…., e lo sottolineo perché Dylan fotografa in maniera
impietosamente realistica un fatto di cronaca di cui fornisce nomi e
cognomi senza metafore e giri di parole con riferimenti precisi ai
politicanti del Maryland dell’epoca catapultandoci nello squallore
razzista dell’america anni 50-60, e altrettanto politiche sono canzoni
come Emmett Till o North country blues, tanto per citare, il punto non è
capire se queste canzoni raggiungano o meno vette esteticamente o
artisticamente elevate o meno. Non è questo il loro scopo, la loro
funzione. Come già scrissi tempo addietro, una canzone, per sua natura
presenta una necessaria e intrinseca banalità compositiva (sarebbe
troppo lungo in questa sede spiegarne il motivo) che la allontana
necessariamente dalle vette della grandiosità estetica. Il punto è che
il canto politico o sociale non cerca questo riconoscimento, questa
aulica patente di superiorità o di universalità, si accontenta della sua
funzione sociale e di denuncia, mentre la canzone popolare tenta e
chiede sovente, un accreditamento ufficiale nel pantheoon dell’arte con
la A maiuscola. La polemica di Mac Coll è peraltro e pertanto
stucchevole e irricevibile, dettata forse da malcelata invidia, di fatto
quelle canzoni che parlavano di guerra e di masters of war o mettevano
in campo i tormenti di Piero che tentenna con il moschetto in mano
davanti al nemico finendo ammazzato dal nemico stesso, rappresentarono
per quell’epoca un supporto importante ed una colonna sonora essenziale
alla presa di coscienza di una generazione che di li’ a poco avrebbe nel
bene o nel male animato una rivolta che, quanto meno sul piano sociale
(chiedere a Sartre, Russell, Althusser, Focault etc etc….. per conferme)
avrebbe avuto importanti riflessi sulle scelte individuali e persino
sulla quotidianità. Le riflessioni di milioni di giovani su temi come
l’obiezione di coscienza o sull’antimilitarismo diffuso è innegabile che
dal pacifismo espresso da questi testi ricevettero un impulso
significativo ed è assolutamente falso sostenere come fa Mc Coll che
questo tipo di canto antimilitarista sia sempre esistito, per lo meno
nella sua accezione politica. Basterebbe ricordare ad esempio una Re
Gilardino, la ben nota ballata medievale (ma ce ne sono a bizzeffe di
simili che partono dal medioevo e giungono sino ai primi del novecento)
che narra del povero re morto in guerra e del lamento della sua sposa,
canzone che non può ovviamente tener conto delle dinamiche sociali messe
in campo dal marxismo (e non solo da quello) laddove questo individua
nella guerra, la lotta costante tra classi sociali, tra potenti e
poveracci, tra sfruttati e sfruttatori (analisi peraltro applicabile ad
ogni tipo di guerra come sottolinea Claudio Pavone nel bel saggio Una
guerra civile, utilizzando gli stessi strumenti anche nella sua
monumentale storia della guerra di Liberazione e della resistenza
partigiana).
In Italia, in particolar modo, la
comparazione tra canto politico e canto folclorico segue logiche molto
peculiari, e oltretutto è enormemente influenzata (particolare che
Miscio sembra dimenticare) dal passaggio storico da una lingua
dialettale diffusissima fino alla fine dell’ottocento all’italiano come
lingua che con l’unità d’Italia tende timidamente ad espandersi
coinvolgendo autori e cantastorie di paese che, per superare l’ostacolo
dell’idioma zonale, cominciano a comporre versi in italiano. Peraltro
molto spesso la canzone dialettale stessa vive contaminazioni
linguistiche dettate da ponti di collegamento geografico dovute a motivi
commerciali ed economici che plasmano l’idioma dialettale utilizzato
nella composizione delle canzoni. Mi spiego meglio. Se, ad esempio in
quel di Pavia o Alessandria, o Genova, o Milano si parlava un dialetto
locale molto specifico, le canzoni composte in tutto questo territorio,
sorta di koine geografica, erano invece scritte con in un idioma
complesso, omnicomprensivo, direi una vera contaminazione culturale tesa
a consentirne una diffusione massima in un ambito geografico tanto
coinvolto da interessi anche economici comuni, tanto che le canzoni
diventavano una sorta di esperanto universalmente diffuso in quello
specifico territorio del tutto indipendente dai limiti imposti dalle
divisioni cartografiche ufficiali. Gruppi come La ciapa rousa di
Maurizio Martinotti o i Baraban di Aurelio Citelli hanno lavorato molto
su queste contaminazioni, operando soprattutto in zone specifiche del
Nord Italia, scoprendo interessanti stili e topos culturali comuni che
spaziano dall’occitano al ligure passando per il lombardo e il
piemontese. La canzone politica italiana, di fatto, nasce con il canto
anarchico composto in italiano, con Pietro Gori e suoi anarchici
scacciati senza colpa dall’Elvetico governo che schiavo d’altrui si
rende, o dal lamento per la morte di Sante Caserio o per gli uccisi dal
piombo fatal del “feroce monarchico Bava” (canzone sulla cui falsariga
verrà scritto nel 1969, l’apocrifa ballata del Pinelli). I testi
anarchici possono apparire datati, ingenui nella loro roboante ed aulica
retorica, ma è indubitabile che, al pari dei loro coevi testi francesi
posseggano una dignità assolutamente vigorosa, influenzando i bellissimi
versi di quelle canzoni per nulla patriottarde che, pochi anni dopo,
anziche’ inneggiare a Piavi mormoranti il 24 maggio, (e anche qui si
tratta di canto politico), condannavano i Savoia in fuoco e
mitragliatrici (“Fuoco e mitragliatrici/lo senti il cannone che
spara/per conquistar la trincea/Savoia! Si va), o sbeffeggiavano Cadorna
(E il general Cadorna l’è un figlio di puttana) oppure condannavano
nella nota “Gorizia tu sei maledetta“, gli ufficiali che “se ne stanno
sui letti di lana” mentre “qui si crepa gridando assassini, maledetti
sarete un di’".
Furono i Cantacronache, a metà anni
50 a riscoprire questo patrimonio culturale, di fatto boicottato a lungo
da un sistema che cantava di casette in Canadà, e a quell’esperienza,
sfociata poi nel Bella Ciao del 1961, aderirono intellettuali dell’area
torinese di gran vaglia e prestigio; da Umberto Eco a Italo Calvino
(Dove vola l’avvoltoio), da Fausto Amodei (Per i morti di Reggio Emilia)
a Sergio Liberovici, da Margherita Galante Garrone a Michele Straniero.
Quel canto politico può apparire oggi tremendamente datato, superato, ma
ragionando allora secondo i parametri dell’anacronisticità dovremmo
allora buttare a bagno tutta la produzione artistica rinascimentale, dal
Beato Angelico a Masaccio, da Piero della Francesca a Botticelli,
tremendamente datati con le loro pale d’altare e i loro supplizi di San
Sebastiano!!!
Infine un’ultima obiezione di
metodo; stabilire secondo parametri aristotelici una partizione così
netta tra canto politico e canzone popolare, è decisamente arbitrario;
Miscio, con astuzia argomentativa….. cita l’esecrabile Pete Seeger,
dimenticando che compagno di merende di questo grande interprete della
folk song americana fu un certo Woody Guthrie le cui "Dust Bowl ballads"
rappresentano ancora un vertice assoluto della folk-protest-political
song americana. Val la pena ricordare peraltro che questo maledetto
comunista, fu anche autore di splendide fiabe per bambini.
Un saluto a tutti i Farmers, Giuseppe Enrico Bianchi
Complimenti professore! Le sue
argomentazioni brillantemente motivate sono impegnative da seguire sul
piano della completa comprensione (bisognerebbe conoscere a fondo la
storia delle canzoni di guerra e quelle folcloristiche, di come e dove
sono nate e perchè. A volte succede come la storia del famosissimo
"Adagio di Albinoni" che di Albinoni non ha nemmeno l'ombra. L'Adagio in
sol minore (Mi 26), noto anche con la denominazione errata "Adagio di
Albinoni", è una composizione musicale realizzata e pubblicata nel 1958
dal musicologo Remo Giazotto.
Giazotto dichiarò di aver "ricostruito" il presunto Adagio sulla base di
una serie di frammenti di Tomaso Albinoni che sarebbero stati ritrovati
tra le macerie della biblioteca di Stato di Dresda – l'unica biblioteca
a possedere partiture autografe albinoniane – in seguito al
bombardamento della città avvenuto durante la seconda guerra mondiale. I
frammenti sarebbero stati parte di un movimento lento di sonata (o di
concerto) in sol minore per archi e organo, di cui purtroppo mai si sono
avute certezze concrete. In verità, a partire dal 1998, anno della morte
di Remo Giazotto, l'Adagio si è rivelato un lavoro interamente originale
di Giazotto, giacché nessun frammento di notazione è stato trovato in
possesso della Biblioteca Nazionale Sassone. Altro esempio può essere
quello del celeberimo "Bolero" di Ravel che nella sua forma originale
era di una noia mortale a causa della lentezza del tempo che non
permetteva al pezzo di decollare, dovette attendere il genio di Arturo
Toscanini che ne raddoppiò la velocità facendolo diventare un successo a
livello mondiale. Queste storie, note a pochissimi, servono a dimostrare
che il proverbio "Non è tutto oro quello che luccica" è dannatamente
vero, ed anche noi a volte ci lasciamo suggestionare da parole e
sentimenti, come succede nel caso delle più famose poesie e delle più
famose canzoni. A volte una poesia o una canzone rappresentano, o hanno
rappresentato, un momento importante o di svolta che ha segnato o
cambiato la nostra vita e che ci ha fatto immedesimare come se fossimo
noi i veri soggetti di quelle storie. Nascono così e si tramandano nel
tempo i miti di uomini normali che assurgono a stato di mito o leggenda
perche le loro poesie o le loro canzoni, specialmente dopo l'avvento
della radio, hanno avuto la possibilità di avere una diffusione mondiale
e di essere ascoltate o lette da milioni di persone. Se parliamo di
poesie come possiamo ignorare la profonda tristezza ed il profondo amore
per la vita del pessimista Giacomo Leopardi che ci fa naufragar con lui
nel mare dell'immensità del suo pensiero. Ma Leopardi è solo un esempio
tra tutti quelli che hanno scritto parole immortali, un esempio fra i
più noti, senza nulla togliere a Manzoni, Carducci, Pascoli e
all' immenso genio di Dante. Lo stesso discorso è valido nel mondo della
canzone, alcuni parolieri hanno scritto versi che tutti conoscono a
memoria meglio delle liriche dei grandi poeti passati. Come non andare
con la mente a Mogol che ha fatto diventare celebre la musica di
Battisti che è diventata la colonna sonora della vita di moltissimi
italiani, Mogol che tira il gruppo di altri cantastorie di importanza
nazionale come De Andrè, De Gregori, Bubola e Guccini. Stesso discorso
per John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, David Bowie, Roger
Waters, Freddy Mercury fino al più grande di tutti, cioè il nostro Bob
Dylan. Ognuno di noi ha nel suo animo e nella sua mente "la canzone"
alla quale è attaccato in modo viscerale, e tutti gli artisti che sono
stati citati, ognuno con la sua grandezza ed importanza, ci hanno
lasciato qualcosa che noi non dimenticheremo e che sarà perpetuato da
quelli che verranno dopo di noi. Sembrano cose da vecchi nostalgici, ma
sono cose reali con una grande importanza, forse molto personali ma
comprensibili da tutti e soprattutto sostenute da valide ragioni sociali
e culturali. Credo che nessuno di noi sarebbe capace di naufragar nel
mare di Facebook o di Twitter, grandissime intuizioni rese possibili
dalla tecnologia ma usate con la peggiore delle banalità umane, e forse
anche questa è la chiave del loro succeso. Perlomeno su queste pagine è
impossibile leggere sciocchezze del genere, forse a volte calchiamo un
pò la mano nel cercare di sostenere le nostre opinioni con parole ed
esempi non facili da comprendere, ma almeno c'è sempre qualcosa da
imparare, e questo mi sembra altamente positivo. La ringrazio per la sua
bellissima dissertazione e la saluto col massimo rispetto, live long and
prosper, Mr.Tambourine, :o)
Carissimo Mr.Tambourine,
grazie per il riassunto dei travagli di Street Legal, informazioni
sempre preziose. Oggi ho pensato brevemente a "No time to think" che
esprime chiaramente una empasse sulla direzione da prendere, che porterà
alla trilogia cristiana come via di sbocco (non direi di fuga). La
canzone pone in luce come ogni via filosofica, sessuale, ogni
speculazione di pensiero abbia il suo limite, la sua noia, le sue
domande senza risposta, con l'aggravante dell' assenza di tempo, di
poter ragionare. Una impossibilità contingente, ma anche assoluta. È una
canzone in cui chiunque può ritrovarsi, sarebbe anzi doveroso
ritrovarsi: le grandi certezze teoriche mal si sposano con le donne e
gli uomini di valore.
Oggi stavo ascoltando It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding). L' ho
sviscerata un po' tutta in questi ultimi anni con l'aiuto anche delle
note di Alessandro Carrera, la trovo una ballata\canzone sublime. A me
piace nella versione di "Before the Flood" alla Los Angeles Arena. Mi fa
venire i brividi quando la ascolto è sempre come la prima volta. Mette
sotto la lente i primi anni del consumismo idiota, c'è la chiamata alle
armi per il Vietnam, la creazione pubblicitaria dell'uomo che può
diventare supereore, riuscire in quel che si vuole. Una straorinaria
panoramica degli States di allora che rimane eterna, una ballata viva
ancor oggi, viva oggi più che mai nelle nostre strade, "America di terza
mano) come defini' bene le nostre strade Francesco Guccini.
Quell'aria da fine dei tempi che cala subito sulla scena della canzone,
tu che puoi vincere quello che non è stato mai vinto, l'America retorica
e puritana, guerrafondaia, dove alla fin fine è tutto futile. Ne fa da
contraltare chi canta e fa capire che poi nella vita di tutti i giorni
non è proprio così tutto scintillante e facile come i luoghi comuni
vorrebbero fare intendere. Una canzone esistenziale e sociale dove
ancora una volta la critica e contestazione non arriva per via politica,
ma per via trascendentale, biblica per essere sintetici.
Quando termina la canzone pare che la Los Angeles Arena debba crollare
da un momento all'altro tanta è stata forte la tensione del pezzo, tanto
sono forti gli applausi. Strepitoso!
Non posso che salutare e tornare in cantina.
Ciao!!! Johnny in the basement.
Ciao Johnny,
permettimi di complimentarmi con te perchè mi sembra che le tue
osservazioni abbiano centrato il bersaglio. Le problematiche di Street
legal si possono ricondurre a qualcosa che mette la parola fine ad una
meravigliosa storia d'amore, la storia di Dylan e Sara, a completamento
di tutto un discorso ch’era cominciato con Blood on the Tracks ed era
proseguito per diversi anni, con Desire, Hard Rain e col film Renaldo &
Clara. In questo senso Street Legal chiude il discorso sulla “fine
dell’amore” , ma si pone anche come il seguito di Blonde on Blonde, per
il suo cinico e antiromantico indagare sulla possibilità di un autentico
rapporto uomo-donna, e in questo caso già il fatto di aver utilizzato
come titolo un’espressione slang è indicativo.
Il linguaggio di Dylan in questo disco è quello di un visionario come
non lo si vedeva da anni, metafisicamente sospeso sulle verità della
vita con lucida follia. Lo accomuna però nella scelta musicale un
persistente richiamo alla black music del momento. Infatti il disco è
ricco di venature blues e soul, arricchito dell’apporto di fiati e cori
in gran quantità. Questo certo per una esigenza personale,
nell’ambizione di conquistare come artisti, dei territori fino ad allora
inesplorati. Ma anche forse il semplice tentativo di mantenersi al passo
coi tempi, di non lasciarsi superare da un mercato discografico, che già
lo stava additando come un eroe superato dalle mode dopo il massacro
della critica e dei giornali in seguito al fiasco di Renaldo & Clara.
Due temi base si affrontano in quest'opera, e sono i soliti: il caos,
l'incomprensibilità delle cose e l'amore, ma l'ottica sta cambiando.
Dylan ripensa ai sedici anni della sua attività in termini elusivi,
sfuggenti, pensa alla possibilità di un «cambio della guardia» (Changing
of the Guards) ma non si spiega, o non vuole spiegarsi chiaramente. Solo
su una cosa è chiaro, e cioè che niente è chiaro, niente può essere
detto nè deciso. No time to think è una testimonianza di totale
impotenza interpretativa: le ideologie e le scelte possibili si
affollano senza ordine e senza gerarchia, e scegliere è totalmente
arbitrario a meno che, come nella vecchia I shall be Released, la verità
non venga dall'esterno. Dall'amore non c'è più da aspettarsi molto. Da
questo punto di vista Street-Legal è l'album meno sentimentale di Dylan.
L' amore vi ha preso una consistenza tutta prosaica. In Is Your Love In
Vain? Dylan chiede senza mezzi termini alla donna se sa cucinare e
badare alla casa, perchè la loro vita sarà fatta anche di quello. Le
canzoni più generiche, che qui più che altrove sembrano messe apposta
per riempire un album che sarebbe completo anche con tre brani in meno,
sono anch' esse prive di drammaticità e di sentimentalismo: sono delle
semplici schermaglie tra fidanzati. Solo in Senor la donna torna a farsi
inquietante, ma non è la sua presenza bensì la sua assenza, che rende
intollerabile l'attesa al protagonista, in un luogo che per lui è
straniero. Dylan sembra così aver completamente esaurito tutte le sue
tematiche: finite tutte le utopie, da quelle sociali a quelle personali,
finita la possibilità di trasformare l'accettazione del caos in forza
positiva, in rinnovamento vitale. Ma il disco rappresenta solo un
momento dell'evoluzione dylaniana, dell'artista che in seguito cambierà
molte altre pelli, l'artista che ogni volta rinasce dopo essersi sentito
morto, proprio come la Fenice, post fata resurgo / dopo la morte torno
ad alzarmi, che è il motto del mitico uccello. Come diceva Goethe "Le
nostre passioni sono vere e proprie fenici. Come la vecchia è bruciata,
subito la nuova esce dalle ceneri". Lo diceva anche Metastasio "La fede
degli amanti è come l’Araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, ove sia
nessun lo sa". Dylan si è rigenerato così tante volte che la sua
immagine può essere tranquillamente accostata e fusa con quella della
Fenice, in fondo anche Bob è diventato una cosa mitologica! Alla
prossima uscita dalla cantina, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Grazie degli ulteriori approfondimenti su
"Street Legal". Ho apprezzato molto anche le spiegazioni linguistiche
sul significato del titolo... qui, su ogni album di Dylan, si può
scrivere un trattato! Voglio esprimere un mio commosso pensiero a Clydie
King che ha lasciato questo mondo. I video di "Trouble no more" che ho
avuto occasione di vedere mi hanno mostrato un artista accattivante e
quelli in cui canta con Bob mi hanno reso evidente che tra loro c'era un
legame umano e professionale intenso e bello, confermato dalle parole
che Dylan ha reso alla rivista "Rolling Stone" il 10 gennaio :" She was
my ultimate singing partner. No one ever came close. We were two
soulmates". Che sia lei ad aver ispirato "Precious Angel" e "Covenant
Woman"? Alla prossima. Lunga Vita! Carla
E' molto probabile che
Clydie sia stata l'ispirazione per queste due canzoni, fra loro c'era
complicità ed amore, qualcuno parlò anche di un figlio, d'altronde la
sterzata violenta di Dylan doveva avere una motivazione che ne spiegasse
almeno la ragione. Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Sabato 12
Gennaio 2019
Talkin'
10636 - miscio.tux
Mr. Tambourine,
sì, sono ancora Miscio. Non mi maledicano i Farmers, se abuso di
Maggie’s Farm, ma in questi solitari giorni di festa ho provato
nostalgia. Mi scuso per i toni incivili del mio ultimo messaggio, ma,
modestia a parte, devo dire che la mia mail era proprio bella e,
rileggendola, mi ha veramente fatto ridere; soprattutto la battuta
gnoseologica, ma anche l’articolo di Aranzulla, l’insidia e la locanda.
Sì, sì: davvero molto ridere, anche più degli interventi del
sopravvalutatissimo Sir Eglamore che a volte, diciamolo, risulta proprio
noioso e indigesto.
Mi sono un po’ perso nel groviglio delle mail apocrife, ma immagino che
Eglamore sia ancora sdegnato per il plagio subito, oltre che per la
nostra abissale ignoranza folclorica e per la cena mancata, pertanto
provo io a rispondere al prof. Bianchi.
Credo che Eglamore abbia molto apprezzato la citazione di Croce, delle
cui parole ha probabilmente qualche sfocato e mitico ricordo liceale che
sicuramente, malgrado l’entusiasmo iniziale, non si è mai preso la briga
di approfondire. Per il resto, se lo conosco bene, immagino sia
piuttosto scettico. A parte il "potlach" dei baffuti e oceanici
mangiatori di salmone (un indiano coi baffi è una vera aberrazione),
popolazioni barbariche, appiedate e sterminabili, che per lui
sicuramente stanno ai Sioux e agli Cheyenne come i Frigi stavano agli
Ateniesi, credo che le sue perplessità maggiori vertano sulla questione
dell’impegno politico nel folk.
Io temo che il solo pronunciare l’aggettivo “politico” causi a Eglamore
crisi di tremito e di sudatio ansiosa, tanto che più verde dell’erba mi
diventa. Per lui quello dell’impegno politico è un bacio avvelenato,
qualsiasi prodotto artistico che, per ingenuità del suo creatore, venga
a contatto con la contemporaneità nasce morto. Questo almeno è ciò che
probabilmente pensa Eglamore. Dylan, anche nei momenti a maggior rischio
di contagio (il 1963), con grande lucidità ha saputo tenersi su un
livello lirico e impalpabile, così Hattie Carrol non è la
sottoproletaria di colore sfruttata dalla borghesia latifondista del
Maryland ma un paradigma universale di sofferenza e ingiustizia; Hard
Rain non è pioggia radioattiva ma solo un indefinito presagio di tempi
funesti. Prendiamo Eric Andersen, il meno politicizzato fra i giovani
folksingers degli anni ’60, guarda caso è l’unico ancora vitale e
credibile; in realtà dubito che l’Eric Andersen attuale piaccia a
Eglamore, ma non ho dubbi che lo strumentalizzerebbe pur di prevalere
dialetticamente.
Ma parliamo di musica tradizionale, anche in questo caso il collegamento
ai fatti della contemporaneità è mortifero. Nel mondo della musica
tradizionale vige una pratica: prendere una melodia preesistente e
accostarla a un testo inedito per farne una canzone nuova. E’ un po’
quello che fanno gli ultras negli stadi con i loro inni barbarici, ed è
quello che generalmente fa l’autore anonimo di canzoni folk
politicizzate. The Foggy Dew ne è il tipico esempio: una meravigliosa e
antica lirica d’amore irlandese eclissata da un celeberrimo canto
indipendentista del 1916 (che probabilmente Eglamore a malincuore
ammette non essere del tutto disprezzabile). Basta confrontarne le
strofe finali per intuire la siderale distanza che le separa.
Originale:
A-down the hill I went at morn,
A-singing I did go,
A-down the hill I went at morn,
She answered soft and low,
"Yes! I wil be your own dear bride
And I know that you'll be true,"
Then sighed in my arms, and all her charms
Were hid in the foggy dew.
Parodia:
Ah, back through the glen I rode again
and my heart with grief was sore
For I parted then with valiant men
whom I never shall see more
But to and fro in my dreams I go
and I'd kneel and pray for you,
For slavery fled, O glorious dead,
When you fell in the foggy dew.
Anche Bella Ciao (Eglamore probabilmente la ritiene un’orribile patacca)
ha un’origine simile anche se un po’ più intricata: mai cantata
realmente dai partigiani, diventa un inno alla Resistenza nel
dopoguerra; Giovanna Daffini ne individua l’origine in un canto delle
mondine che si rivela invece apocrifo e addirittura successivo alla
versione pseudo partigiana, una patacca della patacca. Bella Ciao è in
realtà una storpiatura della ballata Fior di Tomba (Costantino Nigra
19). E si arriva sempre lì, alla rosa che avvolge il rovo, alla ballata
epico narrativa, al Nigra e alle Child. La ballata è origine, apice e
codice di tutta la musica tradizionale nordeuropea.
Ma proviamo anche ad ascoltare questi due canti popolari del centro
Italia, due brani scelti a caso che certamente Eglamore conoscerà, una
ballata antica e un canto politico degli anni ‘20:
anche in questo caso basta un semplice sguardo alle strofe finali per
capire quanto il canto politico, volgare e grossolano, non possa
competere con la nobiltà dei canti più antichi:
Prese la spada in mano
La testa le tagliò oilà trullallà
La testa dié ‘no sbalzo
in mezza la sala andò oilà trullallà
in mezzo la sala andò
Così success'a' mie' finali
e si sta peggio de' maiali,
e si lavora quant'e vvoi
e i maltrattati siamo sempre noi.
Basterebbe applicare il filtro dei duecento anni per sapere se una
canzone tradizionale è bella. La politica poi è misera contingenza e
dovrebbe girare alla larga dall’arte.
Nel 1966 Dylan disse al giornalista di Playboy Nat Hentoff: “La musica
tradizionale è basata su esagrammi. Viene dalle leggende, dalla Bibbia,
dalle pestilenze, si occupa di vegetali e di morte. Nessuno la può
uccidere. Tutte quelle canzoni che parlano di rose che escono dal
cervello della gente e di amanti che in realtà sono oche e cigni che si
trasformano in angeli non moriranno mai. Sono solo quei paranoici che
pensano sempre che qualcuno gli stia portando via la carta igienica
(Ewan MacColl n.d.r.), loro moriranno di sicuro. Canzoni come Which Side
Are You On? e I Loves You, Porgy non sono canzoni folk, sono canzoni
politiche. Sono già morte. Ovviamente, non è che la morte sia
universalmente accettata. Voglio dire, ci si dovrebbe aspettare che la
gente che si occupa di musica tradizionale capisca, proprio dalle
canzoni, che il mistero è un fatto, un fatto tradizionale. Io le
ascolto, le vecchie ballate. Ma non andrei ad ascoltarle a una festa.
Potrei dare un resoconto dettagliato dell'effetto che mi fanno, ma forse
certa gente penserebbe che la mia immaginazione mi ha fatto dare di
volta il cervello. Mi fa ridere sapere che c'è chi ha la faccia tosta di
pensare che io abbia una sorta di immaginazione allucinata. È una cosa
che mi deprime. Ma in ogni modo, la musica tradizionale è troppo irreale
per morire. Non ha bisogno di essere protetta, nessuno le può fare del
male. In quella musica c'è l'unica morte vera e di qualche valore che
possa uscire da un giradischi oggi. Ma la gente cerca di possederla,
come fa con qualunque cosa di cui c'è grande richiesta (stava per
concludersi il boom del Folk Revival n.d.r.). Ha tutto a che fare con
un'ossessione di purezza. Io credo invece che la mancanza di significato
della musica tradizionale sia sacra. Lo sanno tutti che io non sono un
folksinger”
Which Side Are You On? È quella che cantano sul Titanic di Desolation
Row mentre sta affondando; la deve proprio odiare Dylan questa canzone;
roba da Pete Seeger. Si tratta comunque di un’analisi di una lucidità
micidiale, l’unica svista è quella di aver ritenuto che un giradischi
potesse diffondere musica tradizionale ancora viva, ma il discorso va
contestualizzato nella dura polemica sulla musica tradizionale e le sue
degenerazioni commerciali che esisteva al tempo. A questo proposito
risulta di estremo interesse questo graffiante articolo, suppongo datato
1965, di Ewan MacColl (marito di Peggy Seeger e colonna portante del
Folk Revival anglo-americano) sul rapporto fra tradizione e nuove
canzoni.
MacColl, a differenza di Eglamore, non nega la possibilità di comporre
nuove canzoni, e infatti lo fa, ma solo a condizione di rispettare
rigorosamente i canoni della tradizione, perpetuandola. Così, nel suo
repertorio, una mole sterminata di preziosissime registrazioni di
materiale tradizionale, che Eglamore immagino veneri più di ogni altra
cosa al mondo, convive con un significativo corpus di brani originali,
qualche volta convincenti, molto più spesso imbarazzanti e datati,
soprattutto se di impronta politica.
Forse a metà anni ’60 il mistero di cui ci parla Dylan ancora aleggiava,
malgrado la musica tradizionale agonizzasse da tempo, ma oggi possiamo
dire che, nonostante gli sforzi encomiabili di migliaia di piccoli eroi
del Folk Revival, anche quell’ultimo stelo sia definitivamente
rinsecchito, come il fiore di Unquiet Grave:
https://en.wikipedia.org/wiki/The_Unquiet_Grave
Di fronte a una tomba non ci si
vuol rassegnare, ma purtroppo è così: l’unica dimensione immaginabile
per la musica tradizionale è quella museale: i sepolcri, il ricordo, la
nostalgia. Dylan e MacColl da punti di vista diametralmente opposti si
sono illusi sulle prospettive della musica tradizionale. La tecnologia e
il benessere hanno ucciso la musica folk e la cultura popolare, ma
questo è successo molto prima del 1965. Comunque sempre meglio un museo
che vivere il presente, quindi lunga vita ai giradischi. Ma il paradosso
è che a cancellare la cultura popolare tanto amata dagli etnomusicologi
marxisti siano stati i progressi sociali delle classi subalterne da loro
auspicati. L’etnologo marxista è una contraddizione in termini. Notai,
possidenti terrieri, vescovi si sarebbero potuti occupare con più
credibilità della musica tradizionale. Come sia possibile che uno
studioso auspichi la distruzione del materiale di ricerca su cui si sta
applicando è cosa di cui Eglamore non si capacita e di cui chiede
spiegazione al prof. Bianchi. Più o meno è questo ciò che penso Sir
Eglamore pensi.
Saluti a tutti, Miscio
Carissimo e sempre
"vile" Miscio, vedo che vuoi cominciare l'anno col botto, e sia! Le tue
mail sono sempre dei "trattati" coi quali esprimi approvazione o
disprezzo, naturalmente abbondantemente motivati, per qualcuno o per
qualcosa. Io mi sposto di fianco e lascio la parola al prode Sir
Eglamore ed allo stimatissimo Prof. Bianchi che meglio di me potranno
dissertare sulle tue asserzioni. Invece per la cena mancata ho già detto
che è stata una esigenza di salute che non mi ha permesso di muovermi
questa estate, ma spero che prima o poi ci sia un altra occasione per
rimediare al mancato incontro. Alla prossima, live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
Venerdì 11
Gennaio 2019
Talkin'
10635 - dinve56
Salve Mister,
apprezzo anch'io "Street Legal", che ascolto spesso. L'album è esaminato
in modo molto approfondito da Wilfrid Mellers nel saggio "Dio, mondo e
significato in alcune canzoni recenti di Bob Dylan" , in "Parole nel
vento..." pp.95-106. L' Autore del saggio sostiene le molteplici
influenze letterarie e religiose presenti nelle canzoni di "Street
Legal", ed in particolare i "Canti d'innocenza e d'esperienza" di Blake
e gli "Hymns ancient and modern", la più popolare raccolta degli inni
religiosi della Chiesa d'Inghilterra, pubblicata per la prima volta nel
1861 e successivamente più volte rivista ed ampliata. Proprio di "Is
your love in vain?", di cui l'Autore della talkin'
10631 (Johhny in the basement) ha
parlato in modo molto ampio e in sintonia con quello che anch'io ho
capito del significato della canzone, Mellers dice che ha una grandeur
spirituale che le deriva non solo dalle parole, ma anche dall'influenza
musicale dell'innodia bianca americana. Mellers ritiene infatti che il
tono dominante della canzone di cui parliamo, così come di tutto l'album
"Street legal", sia innodico, e che sia riscontrabile sia l'influenza
dell'inno folk rurale che quella degli inni delle chiese bianche
riformate. Il saggio dice anche molto altro, ma queste sono le
considerazioni principali che mi hanno davvero sorpreso e interessato.
Buon anno a te e a tutti gli amici farmers, lunga vita. Carla.
Ciao Carla,
possiamo dire che la ragione dell’allora insuccesso di Street Legal e
delle recensioni di sapore negativo furono originate da uno dei difetti,
se così vogliamo chiamarli, più evidenti da sempre nel modo di fare di
Bob, e cioè quello di disintetressarsi del risultato del disco dopo la
fatica della composizione e della registrazionre, affidando la
produzione dei suoi album a persone che non sempre si sono rivelate
all’altezza del compito loro affidato e qualche volta prese dalla loro
esigenza di “contare qualcosa” esageravano nel mixaggio del disco
finendo per farlo assomigliare a qualche altra cosa, come nel caso di
Daniel Lanois e la sua mania di aggiungere sovrapposizioni di strumenti
alle takes originali per creare il suo marchio di fabbrica, il “Wall of
Sound”. Ecco che un album bello come "Street Legal" diventa così
criticato ed incompreso per la leggerezza della produzione di Don De
Vito, trascurata e quasi dilettantesca. I fiati, che erano uno dei punti
di forza dell'album, scomparivano nella versione originale in vinile.
Per fortuna tutto fu rivisto e corretto nella scintillante versione in
CD uscita oltre vent'anni dopo.
Il disco fu per i tempi un deciso cambio di rotta musicale per Dylan,
che utilizzò arrangiamenti maggiormente pop-rock, si avvalse della
collaborazione di un nutrito gruppo di coriste, e virò decisamente verso
la black music. Sin dal titolo, Street Legal è una dichiarazione di
intenti: le "street illegal" erano, negli anni cinquanta, le macchinette
per il gioco d'azzardo, ma "street legal", nel linguaggio di strada,
stava a significare un "tipo giusto", un "figo", un "dritto". Inoltre
"Street legal" erano anche i motori delle macchine truccati per avere
prestazioni migliori, che, dopo aver superato il controllo della
sicurezza stradale, diventano leciti e legali.
Alla sua uscita il disco venne accolto malamente da gran parte della
critica statunitense, in particolare a causa delle pesanti accuse di
maschilismo riferite ai testi delle canzoni, nello specifico, uno dei
versi maggiormente incriminati si trova nel brano Is Your Love In Vain?
dove Dylan canta versi come: «Sai cucinare, sai cucire, sai coltivare
fiori?» (Can you cook and sew, make flowers grow?). Il giornalista Greil
Marcus, arrivò a definire Dylan "un sultano che sta valutando la serva
per il suo harem".
Nel 1999, Street Legal viene ripubblicato in versione completamente
remixata e rimasterizzata dalllo stesso Don DeVito che probabilmente
aveva capito il suo errore iniziale. La nuova versione, che possiede un
sound più ricco e corregge numerose imprecisioni della produzione
originale, è stata in seguito utilizzata per tutte le riedizioni
successive.
Come per i precedenti album, ci furono registrazioni non utilizzate
provate durante le sessioni per Street-Legal e non incluse nella
versione definitiva del disco. Si tratta di tre brani scritti da Dylan
in collaborazione con una delle sue coriste, Helena Springs. Eric
Clapton registrò in seguito una versione di Walk Out In the Rain.
Coming From The Heart (The Road Is Long) - (Bob Dylan & Helena Springs)
Stop Now - (Bob Dylan & Helena Springs)
Walk Out In The Rain - (Bob Dylan & Helena Springs)
“Street legal” fu considerato una specie di strano oggetto. Quando uscì,
nell’estate del 1978, i giornalisti inglesi lo apprezzarono mentre
quelli americani lo criticarono, non entrò fra la top ten delle
classifiche e nel tempo venne gradatamente dimenticato. E’ un disco che
merita d’essere riascoltato e naturalmente rivalutato. Contiene
l’essenza di Bob Dylan in studio di registrazione, la sua ricerca per un
nuovo tipo di sound, genialità e macroscopici errori compresi. Riflette
il periodo turbolento attraversato da Dylan dopo il divorzio da Sara. E’
il disco che si interpone come lavoro di transizione fra i lavori del
passato e la trilogia religiosa.
In questo disco la distanza dal Dylan classico è palese, si è nel 1978 e
gli arrangiamenti risentono dell’ influenza della musica soul che aveva
invaso il mercato, lo testimoniano la presenza delle coriste, dei fiati
e di tutto il resto. Artisticamente è un lavoro meno riuscito di tanti
dischi precedenti, attenti però, in Street Legal c’è l’abbozzo della
evoluzione musicale di Dylan da non sottovalutare.
Street Legal venne pubblicato nel 1978 e i testi sono ancora oggi tra i
più complessi dell’opera omnia dylaniana. La successiva conversione al
Cristianesimo conferma l’impressione iniziale, le sonorità soul di
questo disco possono essere dovute proprio al fatto che Dylan stava
iniziando un nuovo persorso spirituale. Alla fine del 1978 infatti Bob
entrò a far parte del movimento dei Cristiani Rinati. Nei primi mesi del
1979 frequentò un corso di biblistica alla Vineyard School of
Discipleship a Reseda, nel sud della California, e successivamente
produsse i tre album della cosidetta trilogia cristiana, sound da musica
gospel, il primo dei quali fu Slow Train Coming.
I due lati del disco presentavano livelli di registrazione audio diversi
e la qualità del suono non era delle migliori a causa della cattiva
qualità della registrazione che ovattava il suono di gran parte degli
strumenti. Per fortuna vent’anni dopo, un pò tardi a dire il vero, il
disco venne rimasterizzato e pubblicato in versione CD in modo che tutto
potette essere rivalutato come meritava.
Mellers ha ragione nella sua critica, Street Legal è davvero "Grandeur"
quasi da inno sacro.
Live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
Giovedì 10
Gennaio 2019
CLYDIE KING
CI HA LASCIATO, R.I.P.
Clydie King (21 agosto 1943 - 7 gennaio
2019) è stata una cantante americana, meglio conosciuta per il suo lavoro
di session come voce di supporto. Scoperta dal cantautore Richard Berry,
la King iniziò la sua carriera discografica nel 1956 con “Little Clydie
and The Teens”, prima di diventare membro delle Raelettes, le ragazze
del coro di supporto di Ray Charles per tre anni ed aver contribuito
alle registrazioni degli anni '60 del produttore Phil Spector. Ha
registrato singoli da solista per Specialty Records, Kent Records ed
altri. La King ha fornito la voce di supporto per gli Humble Pie, che ha
avuto un grande successo negli Stati Uniti, e ha continuato a diventare
un cantante di session a richiesta, ha lavorato con Venetta Fields e
Sherlie Matthews e registrato con BB King, The Rolling Stones, Steely
Dan, Barbra Streisand, Bob Dylan, Linda Ronstadt, Joe Cocker, Dickey
Betts, Joe Walsh e molti altri. È stata membro di “The Blackberries with
Fields e Matthews” e ha fatto la corista nel tour di Joe Cocker “Mad
Dogs e Englishmen”, che è diventato poi un film di successo. Nel 1971
era stata inserita nell'album Gandarva di Beaver and Krause. Ha cantato
la voce solista in "Walkin' by the River" gospel song ispirato al
Vangelo. Insieme a Merry Clayton, ha cantato le parti vocali del
successo dei Lynyrd Skynyrd "Sweet Home Alabama".
Clydie King fece parte delle coriste di Dylan alla fine degli anni '70.
Ebbe con Bob una relazione. "Mi vengono i brividi solo a sentirla
respirare...", disse di lei Dylan. Sembra che fossero giunti sul punto
di sposarsi. Secondo alcuni ebbe un figlio da Bob. E' stata legata anche
a Mick Jagger.
Bob Dylan And Clydie King "Abraham,
Martin And John"
Anybody here seen my old friend Abraham?
Can you tell me where he's gone?
He freed a lot of people,
But the good die young,
Know I just turned around and he's gone.
(Qualcuno qui ha visto il mio vecchio amico Abramo?
Puoi dirmi dove è andato?
Ha liberato un sacco di gente,
Ma il buono muore giovane,
So che mi sono appena voltato e se n'è andato).
Anybody here seen my old friend John?
Can you tell me where he's gone?
He freed a lot of people,
But the good die young,
Know I just turned around and he's gone.
(Qualcuno qui ha visto il mio vecchio amico John?
Puoi dirmi dove è andato?
Ha liberato un sacco di gente,
Ma il buono muore giovane,
So che mi sono appena voltato e se n'è andato).
Anybody here seen my old friend Martin?
Can you tell me where he's gone?
He freed a lot of people,
But the good die young,
Know I just turned around and he's gone.
(Qualcuno qui ha visto il mio vecchio amico Martin?
Puoi dirmi dove è andato?
Ha liberato un sacco di gente,
Ma il buono muore giovane,
So che mi sono appena voltato e se n'è andato).
Didn't you love the things that they stood for?
Didn't they try to find some good for you and me?
we'll be free, free someday
I know, be one day.
(Non amavi le cose che rappresentavano?
Non hanno provato a trovare qualcosa di buono per te e me?
saremo liberi, un giorno o l'altro
Lo so, un giorno).
Anybody here seen my old friend Bobby?
Can you tell me where he's gone?
But I see ‘em walkin'
Up over the hill
Abraham and Martin and John
(Qualcuno qui ha visto il mio vecchio amico Bobby?
Puoi dirmi dove è andato?
Ma li vedo camminare
Su per la collina
Abraham e Martin e John)
Mercoledì
9
Gennaio 2019
Talkin'
10634 - calabriaminimum
Caro Mr.Tambourine,come va?
Ti invio, sperando possa interessare alla platea di Maggie's Farm la
prima parte di un mio componimento ispirato e dedicato a Bob Dylan, che
finalmente sono riuscito a scrivere, incalzato anche dalla notizia del
film di Luca Guadagnino su "Blood on the tracks".
Un abbraccio a tutti gli amici della Farm dal solito,
Dario Twist of fate
Ciao carissimo Dario,
è un piacere sentirti ogni tanto e vedere che non ti dimentichi della
vecchia Fattoria ya ya ho! Come al solito sei sempre un mago con la
penna! Grazie di cuore, alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
New York, N.Y. - Beacon Theatre,
November 27, 2018
di Barry Gloffke
Cammino in una fredda sera di fine autunno a New York, col sorriso che
mi va da un orecchio all'altro. Quattro di una serie di sette spettacoli
al Beacon sono già nel mio carnet. Dal mio punto di vista, stasera, il
concerto era vicino alla perfezione. La voce di Bob era nitida e chiara.
Ha inchiodato quasi tutte le parole e non ne ha cambiate molte. Ha
accentuato e punteggiato i suoi testi con note lunghe e brevi ringhi. Il
suo modo di suonare il piano era sensazionale. La sua armonica era
appassionata. Il gruppo dei cowboy era perfetto. C'è stata
un'interazione fantasticatra fra tutti i musicisti. I rock hanno
dondolato. Il blues era crudo. Le canzoni lente erano ipnotizzanti. Ogni
canzone è stata eseguita con passione e grandezza. Anche PAY IN BLOOD
era una tacca sopra le versioni degli spettacoli precedenti. Ci sono
stati alcuni momenti caotici come in TRYIN 'TO GET TO HEAVEN quando a un
certo punto sembrava che la canzone stesse per crollare, con un
crescendo di chitarre, pianoforte e batteria che si suonavano uno
sull’altro, solo per essere salvati da un rapido riff o un cambiamento
nella struttura della melodia. Ci sono stati momenti esplosivi come la
roccheggiante GOTTA SERVE SOMEBODY,sì, o il trambusto nella raucaTHUNDER
ON THE MOUNTAIN, grande batteria di George! Ci sono stati momenti di
grande prodezze musicali in CRY A WHILE e EARLY ROMAN KINGS. Ci sono
stati minacciosi brontolii in SCARLET TOWN e LOVE SICK. E infine,
c'erano teneri momenti come la resa squisitamente bella di WHEN I PAINT
MY MASTERPIECE o la versione straziante di DON’T THINK TWICE. La
tenerezza, la solitudine, la disperazione e la sfida...a volte in una
canzone, a volte tutto all'interno di una frase... irreale! Questo è il
motivo per cui continuo ad andare a questi spettacoli. La ciliegina
sulla torta stasera è stata una spettacolare BLOWIN' IN THE WIND,
eccezionale lavoro di pianoforte e armonica di Bob. Dolce!! Tanto di
cappello a Bob ed ai cowboys. Ci vediamo giovedì.
Martedì 8
Gennaio 2019
Talkin'
10633 - cat1990
Ciao e buon 2019!
Ti mando due immagini in due mail separate, per alleggerire i messaggi.
Sono stato a Vienna il mese scorso. Il parlamento è in restauro e la
fontana della copertina di TEMPEST è parzialmente coperta dalle
impalcature per i lavori, ma i viennesi hanno comunque omaggiato Bob
Dylan con un cartello. Purtroppo la qualità dell’immagine è scarsa.
Aurelio
La seconda foto è per segnalare l’uscita
della rivista, che può essere un utile strumento propedeutico a chi si
sta avvicinando all’universo dylaniano. Grazie per quello che fai.
Aurelio
Ti ringrazio Aurelio,
non importa se la qualità è scarsa, la foto testimonia ugualmente il
rispetto dei Viennesi per Bob e questo ci può solo far gioire! Live long
and prosper, Mr.Tambourine, :o)
New York, N.Y. - Beacon Theatre,
November 26, 2018
di Barry Gloffke
Un piovoso lunedì sera a New York. “Metti la tua mano nella mia e vedrò
di non farti bagnare”. Terza notte delle sette al Beacon Theatre per
Bob. Per me, sono a metà strada della mia odissea dylaniana di 10 giorni
e sto amando ogni secondo di essa. Stasera la band è stata spettacolare
... davvero un ottimo lavoro tutta la notte da parte di Charlie e
Donnie. Interazione piacevole in diversi numeri tra Bob ed i suddetti.
George è andato ben oltre il suo solito splendore ritmico e percussivo
stasera (forse stava cercando di impressionare Ringo Starr che era tra
il pubblico). La voce di Bob era un po' più roca dei precedenti quattro
spettacoli che ho visto, ma ha comunque eseguito una forte performance
con molti interludi appassionati e giocosi. Quello che mi piace davvero
di questo tour attuale è l'uso favoloso della sua armonica. Questo tour
sicuramente ne beneficia. Stasera l'esecuzione dell'armonica di Bob è
stata brillante e piena di sentimento. Anche il pianoforte era buono,
non c’è più quel fastidioso pling-plong coi tasti al quale Bob si era
ostinatamente aggrappato. Ora sprigiona un più ampio e melodico suono.
Standouts stasera per me erano IT AIN'T ME BABY (Donnie eccellente). Una
versione minacciosa e grezza di CRY A WHILE. Un'interpretazione
assolutamente geniale di MASTERPIECE. SCARLET TOWN (atmosfera fantastica
e Bob che ringhiava pavoneggiandosi). EARLY ROMAN KINGS (brutalmente
intensa). DON’T THINK TWICE era semplicemente bella ... graziosa e
struggente. Una versione paludosa di LOVE SICK e infine una esuberante
GOTTA SERVE SOMEBODY. Un altro show ben solido. Complimenti a Bob e alla
band. Non vedo l'ora di vedere Bob e i Bobcats di nuovo stasera!
PS. Laurette, spero che tu sia riuscita ad entrare per vedere lo
spettacolo.
Lunedì 7
Gennaio 2019
Tour 2019, nuova data in Portogallo
01 Maggio 2019 - Porto, Portugal - Coliseu
do Porto
Ecco l'elenco delle date aggiornato ad
oggi:
31 Marzo 2019 - Dusseldorf, Germany -
Mitsubishi Electric Halle
02 Aprile 2019 - Würzburg, Germany - s.Oliver Arena
04 Aprile 2019 - Berlin, Germany - Mercedes-Benz Arena
05 Aprile 2019 - Magdeburg, Germany - GETEC Arena
07 Aprile 2019 - Prague, Czech Republic - Lucerna Palace - Great Hall
08 Aprile 2019 - Prague, Czech Republic - Lucerna Palace - Great Hall
09 Aprile 2019 - Prague - Czech Republic - Lucerna Palace - Great Hall
11 Aprile 2019 - Paris, France - Grand Rex
12 Aprile 2019 - Paris, France - Grand Rex
13 Aprile 2019 - Paris, France - Grand Rex
16 Aprile 2019 - Vienna, Austria - Konzerthaus
17 Aprile 2019 - Vienna, Austria - Konzerthaus
19 Aprile 2019 - Innsbruck, Austria - Olympiahalle
20 Aprile 2019 - Augsburg, Germany - Schwabenhalle
22 Aprile 2019 - Locarno, Switzerland - Palexpo Locarno
25 Aprile 2019 - Pamplona, Spain - Navarra Arena
26 Aprile 2019 - Bilbao, Spain - Bilbao Exhibition Centre
28 Aprile 2019 - Gijón, Spain - Sports Palace President Adolfo Suárez
29 Aprile 2019 - Santiago de Compostela, Spain - Pavillón Multiusos
Fontes do Sar
01 Maggio 2019 - Porto, Portugal - Coliseu do Porto
03 Maggio 2019 - Seville, Spain - Fibes Auditorium
04 Maggio 2019 - Malaga, Spain - Marenostrum Castle Park
05 Maggio 2019 - Murcia, Spain - Plaza de Toros
07 Maggio 2019 - Valencia, Spain - Plaza de Toros de Valencia
21 Giugno 2019 - Bergen, Norway - Koengen
24 Giugno 2019 - Helsinki, Finland - Hartwall Arena
26 Giugno 2019 - Stockholm, Sweden - Ericsson Globe
28 Giugno 2019 - Gothenberg, Sweden - Scandinavium
29 Giugno 2019 - Oslo, Norway - Spektrum
05 Luglio 2019 - Hamburg, Germany - Barclaycard Arena
06 Luglio 2019 - Braunschweig, Germany - Volkswagen Halle
07 Luglio 2019 - Mainz, Germany - Volkspark
09 Luglio 2019 - Erfurt, Germany - Messehalle
10 Luglio 2019 - Stuttgart, Germany - Jazzopen
12 Luglio 2019 - London, England - BST Hyde Park
14 Luglio 2019 - Kilkenny, Ireland - Nowlan Park
New York, N.Y. - Beacon Theatre, November
24, 2018
di Laurette Maillet
Il primo spettacolo al Beacon era stata solo una prova generale. E'
stato solo l’occasione per stabilirmi a New York per 10 giorni. Il primo
show era stata una prova generale per Bob e il suo gruppo. Non del
tutto, però, visto che sono in circolazione da molto tempo, in questa
formazione dal 4 ottobre Phoenix. Ma il teatro Beacon è casa per loro:
un teatro piccolo e confortevole, splendidamente decorato in rosso e
oro, vicino a Central Park. Bob e la sua band vi hanno suonato 5
spettacoli l'anno scorso. Qust’anno ben 7 spettacoli. Ed eccomi qui,
ancora una volta a New York. Mi siedo comodamente per il secondo show.
Conosco la routine, il palco è chiuso da una tenda rossa e non ci
saranno sorprese o ingressi spettacolari. Ecco che suonano la solita
musica come intro. Il sipario si alza e tutti sono al loro posto.
Conosco la set list e non ci saranno cambiamenti. Io non vengo a vedere
lo spettacoilo per avere una sorpresa, non ho aspettative del genere.
Ciò che deve essere sarà, il pubblico è rispettoso e caloroso. Le
canzoni "classiche" sono immediatamente riconosciute e "Like a rolling
stone" è cantaao insieme a gran parte del pubblico .... io e i miei
vicini. "Don’t think twice" è letteralmente mozzafiato. George ha
lasciato il palco perchè non usa la batteria in questa canzone. Tony,
Charlie e Donnie stanno solo aggiungendo un tocco di ritmo al piano di
Bobby. Il teatro è improvvisamente tutto tranquillo. Noi siamo tutti
sospesi al fraseggio di Bob. Come può farlo? Fa cantare a tutti "Like a
rolling stone" e improvvisamente tutto tace! Bob è "vivo"; chiaro e
forte con i testi, aggiungendo un po' di fantasia, qua e là, e questo
porta un sorriso sul volto di Tony. Mi dispiace che lui non faccia più
“Love sick” al centro del palco. 19 canzoni sono al pianoforte, in piedi
o seduto, ad eccezione di "Scarlet town". La teatralità c’è direi;
torsioni del corpo e movimento delle mani in aria. Mostra un Bob Dylan
magro e in forma a 77 anni. Mi sento come se fossi nel mio salotto con
un mucchio diamici che si divertono molto. Il suono è perfetto, al
limite forte in "Thunder on the mountain". Non posso abbassare il volume
... Non mi preoccupo, visto che la prossima "Soon after midnight" è
dolce e calma. "Gotta serve somebody" è cantata anche da alcune persone
dietro di me. Non so se loro hanno capito che i testi sono strani! Mi
alzo non appena Bob si muove al centro della scena. È il suo primo
saluto. Tornerà per un "tutti insieme All along the watchtower" in stile
reggae. "Blowin’ in the wind" è un inno alla fratellanza. Mi sento come
se stessi facendo una catena di mani con i miei vicini... sarebbe
troppo! Mi alzo in piedi. Tutti sembrano essere soddisfatti quando Bob
finalmente china la testa e il sipario cala. Bene, notte Bobby. A
presto.