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MAGGIE'S FARM

      

 

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Giovedì 31 Gennaio 2019

Talkin' 10654 - alunni.f

Caro Mr.Tambourine,
giusto un paio di considerazioni in risposta alla ultima mail del Prof. Bianchi. Innanzitutto non sono d'accordo nel considerare minore la canzone per l'obbligatorietà della struttura metrica, altrimenti Dante o Petrarca dovrebbero essere considerati minori rispetto a coloro che versificano in modo libero; francamente vedere la rima o la struttura metrica (che in Dylan tra l'altro sono sempre usate in modo creativo) come dei limiti che dividono l'arte alta da quella bassa mi sembra
difficilmente sostenibile. Anzi, l'uso della rima in Dylan è parte fondamentale della sua tecnica e genialità compositive, come ha rilevato Christopher Ricks (che è stato professore universitario di poesia a Oxford, che si è occupato di Eliot, Tennyson, Milton e Keats e che W.H. Auden ha definito "il genere di critico che ogni poeta sogna di trovare"). Ricks ha anche descritto Dylan come il miglior maneggiatore vivente della lingua inglese e uno dei più grandi compositori di rime della storia (a proposito consiglio il suo libro "Dylan's visions of sin").
L'uso che Dylan fa del linguaggio è tutt'altro che banale, semmai va considerato che i suoi testi sono fatti per essere cantati e che quindi la musica e la voce aggiungono dimensioni semantiche imprescindibili: anche se sulla pagina sono presenti delle debolezze va considerato l'effetto complessivo, cioè delle debolezze semantiche a livello di pagina possono essere trasformate in espressioni significative dal modo in cui vengono cantate, dato che la voce aggiunge dei significati che
l'autore del testo può già avere previsto. Certo, se prendiamo in considerazione i soli testi di Dylan e li paragoniamo a The waste land di Eliot, non possiamo che vederne le mancanze (cosa peraltro valida per la maggior parte dei poeti del Novecento); ma in Dylan non va considerato solo il testo (che comunque a livello linguistico spesso è estremamente interessante) ma l'insieme di testo, musica e voce. Per quanto riguarda la musica, anche qui mi sembra fuorviante paragonare una musica composta per stare insieme a un testo e a una voce ad alcune delle principali espressioni musicali del Novecento. Nella canzone d'autore (come anche per tutta la tradizione folk e blues) anche la musica va considerata in relazione al testo e alla voce, dato che contribuisce al significato complessivo della canzone e quindi bisogna chiederci se arricchisce questo significato oppure no, e in Dylan spesso questo succede. Per la voce quanto ho detto vale ancora di più: la voce di Dylan non tende al rispetto dei canoni del bel canto ma viene usata in senso per così dire espressionistico, aggiungendo una componente semantica di primo piano a quell'oggetto estetico composito che è la canzone, e in questo Dylan mi sembra ineguagliato.
Un saluto a tutta la Farm! Francesco Alunni

Caro Francesco, credo che la tua osservazione sia giusta e motivata. Non ha senso cercare di paragonare una canzone ad una poesia, sono due opere d’arte completamente diverse, con scopi diversi, regole diverse, strutture linguistiche diverse. Una poesia comunica quello che ogni lettore riesce a leggere in essa, dipende dal lettore e dal suo stato d’animo nel momento in cui la legge, Leopardi può commuoverti fino alla disperazione o lasciarti indifferente. Stesso discorso per Dylan che usa un mezzo espressivo differente, una canzone può coinvolgerti intellettualmente e sentimentalmente oppure lasciarti completamente indifferente. La canzone è composta da diverse cose, parole, musica, ritmo, strofe e ritornelli che a volte vengono ripetuti e l’insieme di queste cose ottiene un risultato. Ci sono milioni di persone alle quali Dylan non piace o che non lo comprendono, o non si porgono la questione, forse a volte anche per la differenza linguistica con delle sfumature difficili da capire ed assimilare. La poesia è formata solo da parole vergate su un pezzo di carta, non ha un tono o una espressività sua, e non è detto che il poeta riesca sempre a comunicare quelle che erano le sue reali intenzioni. Per questi semplici motivi ritengo non sia giusto ne fruttifero cercare di paragonare le due cose, e giustamente è anche sciocco dividere l’arte in alta e bassa, sono solo due tipi diversi d’arte con ognuno la propria valenza. Certo Dylan è un maestro nell’uso delle parole abbinate alla musica, poi l’uso diciamo "inusuale" della sua voce aggiunge toni d’espressività che la sola carta difficilmente riesce a trasferire. Se senti cantare Dylan, a seconda del suo tono, puoi sentire la rabbia, il rancore, la gioia, l’amore, la tristezza o la disperazione, e questo solo grazie all’uso della voce, senza considerare le parole che, quando sono azzeccate rendono la canzone un capolavoro. Certamente non tutte le canzoni di Dylan sono dei “masterpieces”, alcune, anzi, potremmo dire molte, sono canzoni di routine, con leggere ispirazioni e motivazioni, come quando scrivi sei/sette pezzi meravigliosi e te ne mancano tre o quattro per completare l’album. Questo è il momento nel quale si ricorre al mestiere, si scopiazzano idee musicali e si trasformano testi già sentiti adattandoli alla nostra bisogna, producendo canzoni piacevoli ma non dei capolavori. Dylan ha composto oltre 400 canzoni e non poteva sempre essere al massimo dell’ispirazione, dell’espressibità e delle motivazioni, quindi non era tecnicamente in grado di scrivere 400 capolavori, sarebbe stato inumano, ai confini del possibile e della realtà. Ma per questo non è meno bravo di quello che è, rimane pur sempre un songwriter che ha scritto cose indimenticabili. Probabilmente Eliot o altri poeti dai quali anche Dylan ha tratto ispirazione non erano in grado di scrivere una canzone, anche se letterariamente sono migliori di Dylan, ma non è questo il punto. Ognuno agisce nel suo campo e si muove spinto da ragioni diverse, a noi rimane la gioia di poterli apprezzare e gustare entrambi per il loro valore.
Per quanto riguarda le regole canore che Dylan ha sempre buttato nella spazzature sostituendole con le sue possiamo dire, come è stao altre volte già detto su questye pagine, che se un giovane Bob Dylan con la voce nasale ed il canto strascicato si presentasse oggi in un talent-show verrebbe certamente interotto e licenziato dopo pochi secondi, questo perchè i talent usano un metro di valutazione completamente idiota. In Italia possiamo constatare che i grandi cantautori sono come spariti, come se si fosse perso lo stampo, son rimaste solo delle belle voci ma che da sole valgono poco.
Ho apprezzato il tuo intervento perchè dal punto di vista di un altro c’è sempre qualcosa da imparare, quindi grazie di cuore anche a te. Live long and Prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Talkin' 10653 - ezio.peruzzi

Ciao Mr.Tambourine,
notizie su eventuali date italiane 2019?
Ciao, Ezio

Per il momento ancora niente caro Ezio, ma tieni presente che dal 7 maggio al 21 giugno c’è ancora un buco nero che credo sarà colmato a tempo debito. Stay tuned, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Martedì 29 Gennaio 2019

Talkin' 10652 - gebianchi

Se la funzione dell’arte contemporanea fosse quella prospettata da Dinve 56, ossia quella di lenire angosce e dare un senso alla nostra vita, credo che la si potrebbe tranquillamente sostituire con discrete dosi di Xanax o Serenase, o anche con validi terapeuti di scuola lacaniana, ottimi antidoti alla depressione e utili strumenti per ristabilire un corretto equilibrio interiore. Fermo restando che discettare sulla funzione dell’arte equivale a discutere sui massimi sistemi, ossia su tutto e sul nulla, direi che l’argomento è stato già ampiamente affrontato da qualche centinaio di migliaia di intellettuali e sarebbe impensabile proporne qui anche un semplice riassunto. Fatto sta che la crisi della modernità ha evidenziato una cesura sempre più ampia tra l’artista e la società, ed una espressività artistica sempre meno alla ricerca di risposte da fornire ai suoi fruitori. E’ il percorso di gran parte degli artisti moderni, da Joyce a Proust, da Modigliani a Picasso, da Webern a Maderna, per i quali l’arte anziché una funzione consolatoria (quella la lasciamo ai romanzi d’appendice e alle croste dei paesaggisti), tentano di porre domande a cui non cercano neppure di fornire risposte, di scardinare schemi e sovvertire regole precostituite, iniettando semmai dosi sempre più esasperate di inquietudine e dubbi esistenziali nella loro (e quindi nostra), riflessione e lasciando sempre meno spazio ad un approccio empatico, emozionale a quello che è il loro percorso artistico. Vi è peraltro un nesso acclarato con l’avvento del capitalismo, momento di passaggio in cui nell’arte fa irruzione una dimensione politica che non si estinguerà più, anche se spesso riassunta in forme camuffate o tradotte in termini sociali e non meramente partitici. Venendo poi alle canzoni, sostenere come fa Miscio che il capitalismo sia di fatto il killer del canto politico mi pare considerazione eccessiva in quanto il canto politico nasce paradossalmente proprio grazie al consolidarsi di un capitalismo industriale contro il quale tende a scagliarsi e da cui trae temi e soggetti da cui suggere linfa vitale. Che poi il capitalismo abbia ben più gravi colpe che non la fagocitazione di forme e stilemi comunicativi vari è un dato di fatto, l’accelerazione consumistica contemporanea lo dimostra, ma del resto, la sua nascita, contrariamente a quanto teorizzavano Marx ed Engels, non origina semplicemente da tensioni sociali e di classe, bensì anche e soprattutto dall’individuale scontro dei doppi, dell’uno contro uno, del triangolo mimetico nel quale lo scacco del desiderio provoca necessariamente la tendenza a desiderare ciò che è già oggetto del desiderio altrui, nello specifico di un modello di riferimento che nel momento in cui è tale è anche ostacolo al raggiungimento dell’oggetto, ponendosi quindi in termini di double bind in grado di generare tensioni insanabili se non in termini di ricorso al veicolo del capro espiatorio. Questa convergenza verso l’oggetto determina però un sempre più accentuato scivolamento verso la concorrenza, verso la competizione, base imprescindibile del capitalismo stesso. La competizione porta con se anche fattori positivi, senza di essa non esisterebbe progresso scientifico, ma la mimesi di appropriazione conduce invece necessariamente allo scontro dei doppi simmetrici, al mimetismo di appropriazione generando un meccanismo imitativo nel quale il modello di riferimento diventa l’accumulo e la dispersione continua. Georges Bataille ha scritto pagine mirabili in tal senso, introducendo il concetto di depense, quale parametro necessario per comprendere lo strutturarsi delle società occidentali in funzione del capitalismo. Ma non voglio scendere in analisi troppo fuorvianti rispetto al tema principale. Su fatto che non esistano arti minori e arti maggiori, bensì artisti maggiori e artisti minori, possiamo anche essere d’accordo, ma più che un criterio classificatorio in termini alto/basso, credo sia necessario affermare la funzione eminentemente sociale e politica di certa canzone (ovviamente non mi riferisco a quella di consumo usa e getta) che, stretta nelle maglie di questo paradigma in cui significanti e significati devono necessariamente fondersi, non riesce a raggiungere vette intrinsecamente elevate, costretto dalla cogenza della sua funzione immediata. Del resto, pur plaudendo alla nobelizzazione e nobilitazione dylaniana, risulta obiettivamente difficile comparare certi dilettantismi presenti in molta scrittura di Bob Dylan con la profondità assoluta di una waste land eliotiana o dei cantos poundiani, tanto per citare….. La canzone, è per sua natura altro dall’arte e dalla poesia, nasce per essere cantata e sopratutto, nella società capitalistica nasce imbrigliata entro logiche di mercato che il poeta può permettersi di non considerare (il poeta ama i gatti, le taverne maleodoranti, le stanze disadorne etc etc, il cantante/cantautore ha codazzi di fans sbrodolanti che rimpinguano per bene le sue tasche e il suo conto in banca). Queste logiche, ma non solo, direi anche la intrinseca struttura e origine popolare della canzone, determinano una sorta di minorità rispetto ad altre forme di espressione artistica o artistico musicale. La versificazione è necessariamente costretta dalla melodia e questo determina l’uso di una metrica molto stringente e limitata, spesso goffa come si nota leggendo il testo di una canzone ad alta voce, laddove il poeta ormai da tempo immemore fa ampio uso del verso libero. La canzone italiana in particolar modo, con la sua scarsità di tronche è ancor più in difficoltà e pur senza dover far ricorso a metriche-claustrofobiche stile, per intenderci, coblas capfinidas o coblas capcaudadas di medievale memoria, deve far ricorso al famigerato rimario senza il quale la strofa perde quasi sempre efficacia. Questo anche perché la canzone, nasce ovviamente per essere cantata, declamata ad alta voce, anche nel caso di canzoni più in stile recitar-cantando (La domenica delle salme De Andrè/ It’s allright i’m only bleedin Dylan), non nasce cioè per seguire il ritmo e le cadenze della voce interiore. Si aggiunga peraltro che da quando è nata la canzone d’autore, l’identificazione tra canzone e interprete ha aggiunto sfumature ulteriori a questa netta partizione tra poesia e canzone. E’ cioè imprescindibile una Hard Rain dalla “nasalità” dylaniana, o una bocca di rosa dai bassi deandreiani, o una locomotiva dalla erre arrotata di Guccini, o una Napule è dal falsetto di Pino Daniele. Non a caso, chi riesegue queste canzoni viene con una punta di disprezzo forse eccessiva definito “coverista”,…. nella peggiore delle ipotesi, buono solo per cantate da grigliata in riva al mare. La canzone d’autore ha di fatto inglobato la vocalità, spesso anche quella sporca o per nulla impostata, quel certo birignao cantautorale, nella cifra peculiare della canzone stessa creando una cesura netta tra il bel canto più o meno standardizzato e che nella pulizia della timbrica, nella estensione vocale, nella dizione perfetta trovava i propri riferimenti, e il canto moderno che invece fa a volte proprio della imperfezione, il proprio peculiare elemento di riconoscimento. Naturalmente poi vi è la musica che io ho spesso definito banale. E’ un dato di fatto; la musica che accompagna le canzoni (dal folk al rock passando per la canzonetta di consumo) è sempre a sua volta costretta in questa morsa, in questa corresponsione costante con il testo, cui si aggiunga, vista la sua vocazione di divulgazione popolare e il suo necessario strizzare l’occhio al mercato, la rispondenza perfetta a criteri di tonalità e melodia estremamente semplici. Nessuna licenza di trasgressione se non per qualche jazzatura easy listening. La mia non è una stigmatizzazione, è solo una constatazione dell’impossibilità di muoversi diversamente, ingessata come è tra cogenza del testo e bisogno di piacere ad una fruizione più o meno immediata. Qualcuno ha in mente canzoni costruite secondo i dettami del modale, o della dodecafonia?? Intervalli di terza, al massimo di quinta, armonizzazioni elementari, scala pentatonica e due accordi in minore per dare un senso di malinconia e tristezza…..Ripeto, non dico per denigrare, ho perorato a spada tratta in passato l’opera di De Anrdrè, che in queste logiche e dinamiche ricade in pieno, ma solo per stabilire una netta differenza tra canzone da un lato e poesia dall’altro. Che poi si voglia premiare con il Nobel un grandissimo autore di canzoni a me sta benissimo, ma non credo che il confronto con la grande poesia del novecento possa stare in piedi. Comprendo bene il senso delle osservazioni di Miscio in merito alla funzione psico sociale dell’arte, anche se mi pare un po’…..una sorta di manifesto da realismo socialista, (lo dico con ironia ed esagerazione sia chiaro), però credo sia necessario ribadire e rivendicare una concezione più elitaria dell’arte. L’idea che chiunque possa fare arte senza possedere la grammatica di base per esprimerla è fuori dalla mia concezione di espressività artistica. Poi, come Fontana può anche passare il tempo a tagliare tele, o a inscatolare le proprie deiezioni organiche come Manzoni, ma non senza una ferrea contestualizazione di carattere intellettuale, non senza una riflessione speculativa che vada di pari passo con l’evoluzione stessa del pensiero e dei moti esistenziali che agitano il periodo in cui vive ; fu così per Leonardo o Michelangelo, immersi nella prisca teologia rinascimentale e nel mito del neoplatonismo, è così per l’artista contemporaneo in odor di decostruttivismo e di crisi di valori. Che poi critici vagamente amanti della provocazione, in un’epoca che ha totalmente destrutturato l’idea stessa di arte, stabiliscano che anche film come Ultimo tango a zagarolo siano ascrivibili alla categoria del film d’arte……beh……consideriamolo pure come un simpatico divertissment intellettuale, ma evitiamo di prenderlo sul serio. Quindi, lunga vita al vate di Duluth, alle sue canzoni e ai suoi mille travestimenti, ma evitiamo di far passare un grandissimo cantautore per un sublime poeta!

Giuseppe Enrico Bianchi


Caro Gebianchi, uso il tuo mail-nikename perchè è più immediato, non credo che qualcuno su queste pagine abbia mai sostenuto che la poesia di Dylan sia sublime. Non credo inoltre che lo Xanax ed il Serenase siano in grado di fornire quelle sensazioni che le canzoni riescono a dare, in misura diversa, ad ognuno di noi. Le canzoni possono farci sentire tristi o felici, esaltati o indifferenti, i medicinali danno solo un effetto blandente del sistema nervoso. Penso che il senso delle parole di Dinve56 sia stato proprio questo, una canzone ci può far sentire bene ed aiutarci, magari in momenti particolarmente difficili o impegnativi, a ritrovare un senso di pace, di serenità, di gioia o di speranza, senza per questo credere che siano le uniche cose che ci mettono in grado di superare gli ostacoli della vita, ma certamente un aiutino ce lo danno. Non credo nemmeno che la psicanalisi freudiana rielaborata da Lacan, le cui opere principali sono state pubblicate con il titolo “Scritti” nel 1966, possano sostituire in toto gli effetti di una canzone, certo potrebbe darci una mano, ma Freud prima e e Lacan dopo hanno scritto per un mondo che non è quello di oggi. Questo lo dico per esperienza personale perchè essendo nato negli anni 50 il mondo che ho conosciuto era molto, ma molto, diverso da quello di adesso. Il senso del pensiero di Dinve56 è chiaro, semplice ma funzionale, sento una canzone e provo una sensazione che mi fa star bene, senza andare a scomodare mostri sacri della filosofia, del sapere o del pensiero.
Lasciami complimentarmi con te per il tuo scritto che penso sia un’analisi profonda di certe sfumature delle sensazioni e dei sentimenti che si possono provare con metodi diversi, certamente contiene una dose notevole di cultura letteraria, a volte difficile da comprendere se non si ha un background come quello che traspare dal tuo scritto. Certo, è difficile da leggere ma è altrettanto interessante perchè affronta l’argomento delle liriche delle canzoni da punti di vista diversi da quelli canonici.
La tua disamina della canzone intesa come opera d’arte è ricca e ben motivata, ma naturalmente la canzone non ha le pretese della poesia o della letteratura, ma come dici giustamente anche tu, deve muoversi in un mondo che la imbriglia in partenza per poter avere probabilità di fruizione e di non finire immediatamente nel dimenticatoio. Le regole del mercato sono più o meno ancora quelle dei tempi di Leonardo e Michelangelo, se una cosa piace viene diffusa ed ha successo perpetuandosi nel tempo, portando naturalmente il suo autore alla notorietà, quasi sempre accompagnate da guadagni finanziari superiori alla norma. Anche Leonardo e Michelangelo hanno dovuto incontrare le persone giuste che hanno permesso loro, pagandoli profumatamente, di creare i loro capolavori. Stesso discorso per artisti come Dylan, che ci mettono la bravura, il talento, la creatività, l’ingegno e qualcun’altro usa la sua capacità per diffondere il loro lavoro contribuendo a far diventare uno scrittore di canzoni o un interprete una celebrità, cosa molto facile ai nostri giorni con la tecnologia che abbiamo a disposizione. Il difficile è mantenere la celebrità, e per questo ci vuole il vero talento, il colpo di fortuna non è sufficiente per durare nel tempo, lo dimostrano le centinaia di artisti diventati celebri per poco tempo e finiti nel dimenticatoio subito dopo, un pò come succede nei Talent show di oggi, che creano pochissimi artisti e tantissimi disadattati.
Ma queste sono le regole spietate del mercato, quando non c’è più domanda il prodotto viene buttato ed al suo posto se ne crea uno nuovo, solo le cose veramente valide durano nel tempo, e Dylan, nel suo piccolo o nel suo grande che dir si voglia è una di queste, per nostra fortuna! Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Lunedì 28 Gennaio 2019

Talkin' 10651 - dinve56

Oggetto: Scopo dell'arte

Salve Mister,
devo alcuni chiarimenti a Miscio - non so se il Vero o il Falso - che ha interpretato come fuga dalla realtà simile al "trip" da stupefacenti il significato che io attribuisco all'arte di ogni tempo. Ascoltare Dylan e sentirsi consolato e momentaneamente allontanato da tutti gli aspetti negativi dell'esistenza non significa, per me, estraniarsi dalla realtà, tentare di fuggirla, ma trovare nell'arte - la musica e la poesia - un messaggio buono, che aiuta a vivere la vita meglio, perchè fa acquisire consapevolezza del "male di vivere" ed al tempo stesso la addolcisce, rendendo sopportabili in modo intellettualmente lucido, certo, ma meno tetro e arrabbiato i dolori e le delusioni che la vita riserva a tutti noi. Il concerto di Dylan a Milano, nell'aprile del 2018, è stato il mio primo concerto in assoluto e, vi assicuro, è stata un'esperienza emozionale ma anche intellettiva e razionale nel senso più illuministico del termine. Personalità come quelle di Dylan non ammettono cali di attenzione e spirito critico. Scherzosamente, però, siamo tutti un po' "stoned" e non è detto che questo sia sempre negativo...l'importante è "riciaparsi", come si dice dalle mie parti. Voglio però chiarire anche il senso che attribuisco alle parole "purista" e "popolare". Purista riferito alle opinioni di McCall sui cantanti folk americani dei primi anni '60 ha per me un significato non tanto linguistico, quanto più in generale riferito all'ostilità preconcetta verso ogni forma di cambiamento rispetto ad un presunto modello originario ritenuto "puro", cioè così perfetto da non dover essere soggetto a rielaborazioni personali, ma solo riprodotto. E' alla luce di queste idee che il saggio citato da Miscio liquida in toni sprezzanti i cantanti folk americani, rei di aver contaminato l'autentica tradizione folklorica della Gran Bretagna.Quando invece dico che, per me, Dylan è rimasto un cantante "popolare" anche dopo la svolta rock, intendo dire che egli ha continuato ad ispirarsi alla tradizione popolare anglo-americana per innumerevoli canzoni che raccontano storie e vicende tramandate, probabilmente, in ambiente popolare. Occupandomi ancora di "No Time to Think", di cui Mellers dice essere una "message song", cioè una canzone a tesi, mi è venuto un dubbio sulla sequenza degli album "cristiani", ma ve lo esterno alla prossima. Lunghissima vita alla Fattoria! Carla.

E' indubbia una cosa, Dylan è un artista che vive per la sua arte ma non la ripropone in modo pedestre, lui la rinnova ogni volta, la cambia, la gira e rigira come se fosse una frittata, indipendentemente dal risultato che a volte è meraviglioso ed a volte inascoltabile. Ma questo non è un problema che assilla Dylan, l'esigenza di Dylan è quella di non ripetersi, di non fare il kakaoke di se stesso ed è questo che determina la performance. Naturalmente ci sono altri fattori che intervengono ad influire sulla prestazione, ma quelle sono cose comuni a tutti gli artisti, la stanchezza del tour, sempre cambiare aria, cibo, letto, città, stato, notte dopo notte, questo può generare serate negative invece che serate magiche. Nessuno potrà mai prevedere quale sarà la serata magica di Bob, fortunato chi c'è, gli altri si dovranno accontentare di una prossima volta. Ma non è solo questo, Dylan, oltre che cose bellissime, scrive anche cose che danno da pensare, cose impressionanti per la domanda che contengono e per la risposta che si potrebbe dare. C'è una canzone che è stata giudicata noiosa perchè interminabile, si chiama "Tempest" e racconta in modo mirabile la tragedia del Titanic, Però, fra le 45 strofe della canzone che possono sembrare ovvie perchè narative del fatto, c'è n'è una che è un'accusa terribile, eccolo la strofa:

The ship was going under
The universe had open wide
The roll was called up yonder
The angels turned aside.
(La nave stava andando sotto
l'universo era spalancato
lassù si faceva l'appello
gli angeli si voltarono dall’altra parte)

Ho pensato per giorni a questa frase, ed ho pensato a tutte le altre volte che gli angeli si sono voltati dall'altra parte. Ho pensato a cosa stavano facendo mentre succedeva quello che succedeva a Chełmno, Bełżec, Sobibór, Treblinka, Majdanek, Auschwitz-Birkenau, Mauthausen, Buchenwald, luoghi nei quali i nazisti compirono cose che la mente umana dovrebbe rifiutarsi di concepire. Ma dopo di questo successe che gli angeli si girarono di nuovo quando le bombe atomiche denominate "Little boy" e "Fat man" scoppiarono su Hiroshima e Nagasaki, successe di nuovo nei Killing Fields di Choeung Ek a Phnom Penh in Cambogia ad opera degli Khmer Rouge di Pol Pot. Queste cose successero ovunque, prima e dopo il nostro tempo, e succederà ancora, e purtroppo gli angeli continueranno a voltarsi. Anche il nostro Regio esercito, ad opera del valoroso Generale Cadorna, rese operative le "decimazioni" finchè il "decimatore" non fu sostituito dal generale Diaz. La decimazione, pratica orribile, fu inventata dai romani che la mettevano in atto prima di una battaglia per far in modo che i legionari la affrontassero senza paura. La legione veniva suddivisa in gruppi di dieci e in ogni gruppo veniva sorteggiato un soldato che veniva ucciso, come monito per prevenire la vigliaccheria in battaglia, a sassate o bastonate dai suoi stessi compagni. Questi sono solo pochi esempi di che vette possa raggiungere la bestialità umana ma sono cose accadute veramente ed allora torna alla mente la frase di Dylan "gli angeli si voltarono dall’altra parte". Ma perchè, si potrebbe chiedere una qualsiasi persona, Dio permette che avvengano queste barbarie senza intervenire come invece fece a Sodoma e Gomorra? Io non ho trovato una risposta e forse non la troverò mai, ma una semplice frase di Dylan mi ha portato a farmi un sacco di domande sul senso dell'umanità. Sembra così, con una semploice frase, che non ci voglia molto molto per essere dei grandi, ma è sbagliato. Chi riesce con le sue parole a farti pensare profondamente ed a volte metterti anche in crisi dev'essere per forza uno che ha una marcia in più! Perciò viva Dylan , in qualunque modo si  presenti od agisca! Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Sabato 26 Gennaio 2019

Talkin' 10650 - miscio.tux

Oggetto: Poco di Bono

Caro Mr. Tambourine,
dì pure a Dinve56 che non dev'essere intimorita, io sparo cavolate come chiunque altro,(e lo Pseudomiscio ancor di più!!) e appena le ho scritte mi vengono dei dubbi. Ho sempre pensato che contino i contenuti più che la forma di quello che si dice, gli imbellettamenti lasciano il tempo che trovano. Per quanto riguarda il whisky forse c'è un po' di ironia, ma non credo che Wahrol c'entri niente, le sue provocazioni, fatte sempre sul filo dell'assoluta ambiguità (sono celebrazioni o condanne?) sono come le irruzioni dadaiste, vanno bene una volta, ma se ripetute diventano banalità che non scandalizzano più nessuno. Penso piuttosto che il whisky gli piaccia al nostro, e che non ci trovi nulla di male. Coi soldi poi nessuno sa cosa faccia, è totalmente riservato, ma tenuto conto della sua assoluta religiosità e dell'età avanzata foriera di bilanci, qualcosa penso lo faccia. Ma è solo una mia impressione.
Dinve56 ha volutamente descritto l'ascolto di un concerto come l'assunzione di una droga, ma non credo di sbagliarmi se lo intendo in un altro modo. L'arte naturalmente non deve nascondere la realtà, deve insegnare la disillusione, come ha osservato Dylan citando Miller, ma nel far questo non è obbligatorio che debba deprimere. Il godimento della bellezza artistica è uno degli elementi che rendono vivibile la vita e dentro le complicate connessioni che costruisce Dylan, nella sua decostruzione del banale, anche lì ci può essere la bellezza, la scintilla che si interseca con la nostra singolarità esistenziale e la fa sentire universale. Sarei anche magnanimo col povero McColl: militante di vecchio stampo, marxista e materialista un po' indottrinato, si schierava in difesa degli schemi del passato proprio quando questo passato cominciava a svanire. Lui ci aveva investito una parte di vita e non è facile staccarsene, buttare tutto alle ortiche. Si dovrebbe sempre avere l'acutezza di capire come cambia il mondo, che cosa svanisce e che cosa rimane, ma non è affatto semplice, quando a ciò che svanisce si è anche emozionalmente legati. Mentre scrivo queste righe sto leggendo le dichiarazioni di Bono a Davos, una serie di farneticazioni che non so se mi fanno più indignare o ridere. Sembra che chi ha accumulato miliardi si senta nel diritto si spiegare agli altri come va il mondo. E pensare che quest' ipocrita si vanta di essere amico di Dylan.
ciao, Miscio.


Caro e sempre più vile Miscio, credo a questo punto di dover cedere la parola all'amica Dinve56 che credo sia la persona giusta per stupirti con le sue profonde osservazioni. Ho usato il verbo "stupirti" e non "umiliarti" perchè ad umiliare un vile non ci sarebbe nessuna soddisfazione! Quindi cara Dinve, scendi in campo e bistratta e maltratta Miscio, uno di quelli che vivon senza infamia e sanza lodo. Vorrei sottolineare che la prima impressione che ha Dante dell' Inferno è solo uditiva: sospiri, pianti, urla risuonano nella volta senza stelle, cioè senza cielo, suoni mai uduti prima per i quali Dante si commuove e inizia a piangere mentre in un crescendo di suoni, diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche, colpi di mano, percosse.. il tutto in una coltre atmosferica senza tempo e senza colore, cioè dove non si capisce nemmeno se è giorno o è notte, proprio come durante una una tempesta di sabbia (come la rena quando turbo spira). Rispetto alla descrizione dei suoni dell'Averno dell'Eneide (VI 557-558) quella di Dante, sebbene chiaramente ispirata da essa, focalizza molto di più sullo sconforto che tali sensazioni procurano a Dante nella sua qualità di uomo vivo, piuttosto che sulla semplice registrazione esteriore di Virgilio.
Con la testa piena di error (di dubbi), tenendo presente che Virgilio dice a Dante che dovrà vedere le genti dolorose c’hanno perduto il ben de l’intelletto, Dante chiede a Virgilio che cosa siano e da dove vengano questi suoni, questa gente che sembra essere così distrutta e vinta dal dolore. "E io ch’avea d’error la testa cinta, dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo? e che gent’è che par nel duol sì vinta?». Questo verso è ambiguo perché alcune versioni riportano anche "orror"; quindi se fosse buona la seconda versione evidentemente Dante aveva la testa piena di orrore.
Virgilio inizia così a spiegare il luogo nel quale si trovano, l' Antinferno, luogo dove sono punite le anime che in vita non operarono né il bene né il male per una loro scelta di vigliaccheria. Sono i cosiddetti ignavi, e tra loro vi sono anche gli angeli che, al tempo della rivolta di Lucifero, non presero né la parte di Lucifero né quella di Dio, ma si ritirarono in disparte estraniandosi dai fatti della rivolta: naturalmente un'invenzione puramente dantesca, ispirata forse da leggende popolari, che non ha echi precedenti né scritturali né nella patristica (per lo meno in quella pervenutaci). Dice Virgilio a Dante: "Questi non hanno speranza di morte e la lor cieca vita è tanto bassa, che ’nvidiosi son d’ogne altra sorte". Qui la domanda sorge spontanea, perchè Dante si è dimenticato di mettere Miscio fra queste anime? Purtroppo non ci sarà mai risposta. Questi dannati sono cacciati dal cielo, perché ne rovinerebbero lo splendore, e nemmeno l'inferno li vuole perché i dannati potrebbero gloriarsi rispetto ad essi, avendo i dannati almeno scelto nella vita, da che parte stare, sia pure dalla parten del male.
Dante chiede anche perché essi si lamentino così forte e Virgilio gli risponde spiegandogli la loro pena: questi non hanno speranza di morire (significa che non hanno la possibilità di terminare il loro supplizio) essi avranno qui in eterno un'infima cieca vita che fa invidiar loro qualsiasi altra sorte; nel mondo non lasciarono alcuna fama di essi, sdegnati anche da Dio (misericordia e giustizia)...
Il disprezzo del poeta verso questa categoria di peccatori è massimo e completo, perché per Dante chi non seppe scegliere in vita che posizione assumere e quindi schierarsi da una parte o dall'altra, anche nella morte resteranno come dei "paria" costretti a rincorrere una bandiera che non rappresenta nessun ideale. Tanto accanimento si spiega, dal punto di vista teologico, perché la scelta fra Bene e Male, deve obbligatoriamente essere fatta, secondo gli insegnamenti della religione cattolica. Dal punto di vista sociale, inoltre, nel Medioevo lo schieramento politico e la vita attiva all'interno del Comune erano quasi sempre considerate tappe fondamentali ed inevitabili nella vita di un cittadino. Se l'uomo è un essere sociale, chi si sottrae ai suoi doveri verso la società non è degno, secondo la riflessione dantesca, di stima ed ammirazione. Questo tanto per far capire la miserabile situazione di Miscio. Dirò che è anche un peccato perchè con la testa che ha Miscio avrebbe potuto assurgere a posizioni di maggior rilievo nella stima della società, ma così non è avvenuto e noi, chiniam la fronte innanzi al massimo fattor che volle in lui insulsa orma stampar!

Scherzi a parte caro Miscio, questo è stato solo per farti capire quanto apprezzo il tuo spirito, la tua ironia, la tua capacità di accettare lo scherzo, come mi piace leggere le tue parole, assimilarle e discuterle, Certamente non sei uno che passa inosservato, nel bene o nel male lasci un segno, insegni qualcosa, dai da pensare, spaventi, come i Nomadi quando cantavano:
Vedremo soltanto una sfera di fuoco
Più grande del sole, più vasta del mondo
Nemmeno un grido risuonerà…
E catene di monti coperte di neve
Saranno confine a foreste di abeti
Mai mano d'uomo le toccherà
E solo il silenzio come un sudario si stenderà
Fra il cielo e la terra per mille secoli almeno
Ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.
E il vento d'estate che viene dal mare
Intonerà un canto fra mille rovine
Fra le macerie delle città
Fra case e palazzi, che lento il tempo sgretolerà
Fra macchine e strade risorgerà il mondo nuovo,
Ma noi non ci saremo, noi non ci saremo…
E dai boschi e dal mare ritorna la vita
E ancora la terra sarà popolata
Fra notti e giorni il sole farà le mille stagioni
E ancora il mondo percorrerà
Gli spazi di sempre
Per mille secoli almeno,
Ma noi non ci saremo, noi non ci saremo...

Ma ti prego di non smettere mai di esprimerti, considero preziosissimi i tuoi interventi per la nostra Fattoria e le conseguenti discussioni che sai generare, la Fattoria sarebbe orfana senza la tua viltà! Un abbraccio, Mr.Tambourine, :o)

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Talkin' 10649 - calabriaminimum

Carissimo Mr.Tambourine,
proseguo, con cadenza periodica, alla segnalazione di questo mio esperimento in "epoca social" del mio "poema della regina dal piede d'oca", ispirato a grandi linee, ma con la mia consueta libertà espressiva, all'opera di Dylan. In questo caso vi è un doppio legame, visto che ho utilizzato anche il titolo: You're a big girl now.
Colgo l'occasione per sottolineare come la nuova uscita The Bootleg Series Vol. 14: More Blood, More Tracks mi abbia reso felice, anche se mi sono limitato ad acquistare la versione cd singolo, scaricando il resto dell'opera, non ritenendo fondamentale acquistare un prodotto del genere, per mole e per impegno economico fuori dalla mia attuale portata. Il cd singolo per è favoloso, mentre ho trovato un po' eccessivo il box, con almeno 2-3 dischi di troppo, a mio avviso (molto personale e soggettivo). Tra le tante cose che ho apprezzato, vorrei segnalare una splendida ed efficace versione full-band di Simple twist of fate, una scarna ed essenziale Lily, Rosemary and the Jack of Hearts, e una superba Idiot Wind. Ma la cosa forse migliore, la più intima è la versione (sono tutte bellissime) chitarra e voce di You're a big girl now, che mi ha ispirato il componimento di questo mio testo:
https://www.intertwine.it/it/read/KP4PT2Ue/you-re-a-big-girl-now

Spero vi piaccia!
Un abbraccio a tutti gli amici della Farm dal solito,
Dario Twist of fate


Ottimo come sempre caro Dario, continua a scrivere e quando puoi mandaci il tuo lavoro che per noi è sempre interessantissimo nella sua completezza ed eleganza. Alla prossima e grazie ancora, live long and propser, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Venerdì 25 Gennaio 2019

Talkin' 10648 - dinve56

Oggetto: Puristi e dintorni

Salve Mister,
riprendo le tue considerazioni sul consumismo. Hai ragione quando dici che oggi ci rendiamo conto che si spreca e si butta via ciò che, 50 anni fa, si comperava per migliorare la qualità della vita e usufruire di piccoli comfort a cui oggi siamo abituati ma che, allora, sembravano un gran lusso. Dylan ha intuito che il mondo, il nostro mondo, rischia la catastrofe, nucleare prima, ambientale oggi. Penso, come tutti voi, a "Hard Rain.." e a "License to Kill", per citare solo le più famose poesie profetiche. La poesia di Dylan sopravvive alla massificazione, ma, lasciatemi dire, senza che questo suoni come una "sassata" nei confronti di nessuno, e men che meno nei confronti del nostro, che ho già detto di "amare" nel senso ovviamente poetico e figurato del termine, che egli ha avuto la fortuna di trovarsi al posto giusto quando la musica è uscita dai circoli esclusivi ed è davvero diventata fenomeno di massa. Questa affermazione non toglie nulla ai suoi meriti artistici. Tutti i poeti hanno anche tratto profitto, o hanno cercato di trarlo, dalle loro opere. Qui inizia la modernità e, come ho già detto, il progressivo assottigliarsi della distinzione "colto-elevato"-"popolare". E finalmente riprendo la questione "puristi" del folk.Tutte le tradizioni orali subiscono infinite variazioni e Dylan, nella prima parte della sua lectio per il Nobel, ha dichiarato che, negli anni newyorchesi, ha acquisito piena padronanza del linguaggio della tradizione musicale americana che ha le sue lontane radici in Gran Bretagna. Mi sembra che andare a cercare la purezza originaria di racconti e leggende che si perdono nella notte dei tempi equivalga ad "infilarsi" in una nuova "questione omerica" soggetta ad infinite dispute e nessuna soluzione. Ecco perchè non mi sento in sintonia coi puristi. Non c'ero quando Dylan passò all' elettrico e divenne un cantante rock, ma oggi capisco quella scelta di libertà, ben rappresentata da "Highway 61" prima ancora, secondo il mio parere, che da "Blonde on Blonde". Certo allora quella svolta segnò una grande rottura con il mondo del folk, ma oggi possiamo ridimensionarne la portata, perchè sappiamo che Dylan ha sì abbandonato la canzone politica - anche qui il confine tra canzone politica e canzone popolare è molto sottile - ma ha continuato a cantare storie "popolari" che si perdono nella notte dei tempi, quasi mitiche tanto sono vaghe e prive di riferimenti storici. Penso a "Isis", a "The man in the long black coat", a "Tin angel", per citarne solo alcune. Oggi, secondo te, Mister, possiamo dire che Dylan è rimasto anche un cantante "popolare"...se non siamo "troppo puristi"? Alla prossima per alcune ulteriori considerazioni su "Street legal". Lunga vita! Carla.

Prima di tutto dovremmo stabilire il senso della parola "popolare", perchè è una parola che a volte viene usata in senso spregiativo ed a volte in senso positivo. I sinonimi di popolare sono:

democratico, pubblico, cittadino, civico
comune, ordinario, accessibile, alla portata di tutti, basso, economico
folcloristico, tradizionale
conosciuto, noto, diffuso, famoso, rinomato, celebre, amato, apprezzato, di moda, in voga, in auge, di successo

Quindi è un termine ambiguo. Se intendi dire che Dylan è popolare perchè è conosciuto, noto, diffuso, famoso, rinomato, celebre, amato, apprezzato, di successo troverai milioni di persone d'accordo con te, se invece intendi che Dylan sia ordinario, accessibile, alla portata di tutti, basso, economico allora ti attirerai le ire del popolo dylaniano. Sappiamo però che tu intendi Dylan "popolare" nel senso di conosciuto, famoso, etc..etc..., quindi sei positiva e non meriti scudisciate di pena! Ritorniamo sempre al punto che tutti dobbiamo mangiare e necessariamente ognuno di noi sfrutta le sue migliori qualità per farlo, e gli artisti agiscono nello stesso modo, usando in pratica il loro talento, vendendolo nei dischi o in qualunque altra forma artistica invece di andare a tirare la lima. Non bisogna stupirsi di questa cosa perchè è una cosa che è sempre stata fatta da tutti, tutti i migliori pittori, Leonardo in testa, hanno venduto i loro capolavori per mangiare, gli scultori idem, vedi Michelangelo, architetti, cesellatori e tutta la moltitudine artistica dagli albori della civiltà ha sempre fatto così, quindi anche la musica e la poesia rientrano nella categoria "da vendere" per mangiare. Non conosco artisti che abbiano scritto canzoni e poi le abbiano registrate per tenersele in casa gelosamente, certo è che tutti hanno fatto il loro meglio per vendere il loro genio o talento, e penso che sia più che giusto. La paternità dell'opera rimane dell'artista, ma la sua opera è giusto che possa essere goduta da tutti. Pensa se Leonardo avesse dipinto la Monna Lisa per tenerla per se senza mostrarla a nessuno, o se Caravaggio avesse dipinto i suoi capolavori solo per se stesso, oppure se Michelangelo avesse affrescato la Cappella Sistina e nessuno avesse mai potuto vederla! Perciò un artista che vende il suo lavoro fa quello che facciamo tutti e fa benissimo a farlo, e ringraziamo colui che muove il sole e l'altre stelle se Dylan ci ha dato la possibilità di godere appieno del suo genio creativo! Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Fumetti: Bob Dylan – La risposta è nel vento                                        clicca qui

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Jerry Schatzberg, tutte le fotografie del Bob Dylan meno noto            clicca qui

 

 
Giovedì 24 Gennaio 2019

Talkin' 10647 - cerutti.andrea70

Gentilissimo Tambourine,
ho letto la tua risposta ma non ho capito il riferimento a Fedez e J.Ax. Non ho la più pallida idea di chi siano, di Fedez seguo stancamente le polemiche e le satire sull'uso smodato dei social media ma non saprei dire di una canzone di entrambi, non per snobismo ma per insussistenza nell'aiuto al vivere quotidiano.
Su "stoned" sapevo che si usa nel linguaggio comune statunitense come "lapidato" traslando " messo alla berlina". Oltre ovviamente che per "sballato", " fumato". Chiaro che Dylan ci gioca su e comunque da entrambe le traduzioni il significato è il medesimo.
Gli States sono anche il posto in cui vieni messo sotto la lente, la pressione è altissima se sei conosciuto, ma anche se sei sconosciuto, il sistema indaga, giudica, sentenzia, inscatola, facile finire alla gogna o sentirsi tale.
Everibody most get stoned!
Ciao

Caro Johnny, non potevi capire il riferimento a Fedez e J.Ax perchè non c'è niente da capire. Ho voluto usare il paragone proprio in modo paradossale perchè capire le tematiche dei due nell'ottica di aiuto alla vita, di consolazione, di consiglio, di esperienza, di insegnamento e di qualunque altra cosa siano fuori gara, cioè è impossibile fare un rapporto fra l'importanza delle cose che ha detto Bob Dylan e le cose che hanno detto i nostrani artisti manipolatori magnifici dei social con più di 15.000.000 di followers. Devo dire che oggi i fans si accontentano proprio di poco ed io personalmente stanto a capire come artisti del genere possano essere venerati, ammirati, copiati da qualcuno! Certo il pubblico oggi ha fatto un regresso gigantesco da quando dagli artisti si pretendeva non solo un ottima musica ma anche dei testi che in un modo o nell'altro potessero anche dare indicazioni su come affrontare la vita o su certi modi di vedere le cose con correlati vantaggi o conseguenze. Per fare un paragone che meglio spiega la cosa immaginiamo Dante dentro all' Inferno, poi c'è la gente che si domanda "Ma che ci fa questo all' Inferno?". Prò poi si capisce il perchè della sua discesa agli inferi e tutto torna al posto, ragioni comprese. Io non ho proprio niente contro Fedez o contro J.Ax, ma non ho nemmeno niente a favore, quindi non mi risulta possibile fare o proporre un paragone fra Dylan e i due, non è proprio possibile, è una cosa che non esiste e impossibile da immaginare e capire, ecco perchè l'ho voluto usare e perchè tu non hai capito. Cambiando argomento è vero che la società americana è una delle più false ed ipocrite che siano mai apparse sulla faccia della terra, ma attento però, non dobbiamo fare di tutta l'erba un fascio perchè la società americana è composta per la maggior parte da persone onestissime e timorate di Dio in mezzo alle quali i bugiardi, i falsi, gli ipocriti ed i criminali trovano facile nascondersi. Una volta gli artisti, dopo essere arrivati al successo, dovevano continuare a spremere la loro genialità per mantenerlo, oggi invece, i cosidetti "Talent" hanno impietosamente massacrato questa categoria come i Supermercati hanno fatto piazza pulita della classe media dei commercianti. Nella cittadina dove abito io, un agglomerato di 17.000 persone, esistono la bellezza di 7 Supermercati, onde per cui qualunque tentativo di aprire un negozietto e mantenerlo vivo col quale poter nutrire se stessi e la famiglia è una guerra persa in partenza.  Disarmente ma veritiero! Oggi ci sono artisti che nascono all'alba e spariscono al tramonto, bruciati sull'altare degli interessi di altri. Che triste situazione! Spariti i grandi autori ed i grandi interpreti, i Battisti, i De Gregori, i De Andrè, i Dalla, i Bubola, i Paoli, di loro  si è perso lo stampo e gli odierni artisti vagano nell'antinferno confusi fra le miriadi di ignavi, color che passan la vita sanza infamia e sanza lodo! Non credo sia colpa loro, i "Masters of Talent" li inquadrano da giovani, fanno loro il lavaggio del cervello, li sfruttano e quando non rendono più al massimo un calcio nel culo e via, altri son pronti a prendere il loro posto, gente con la bella voce ma senza un cervello abbastanza sveglio per essere autonomi ed imporsi come hanno fatto i loro grandi predecessori. Ma oggi il mondo funziona così, ed è forse per questo che i personaggi come Dylan diventano miti e leggende, o no? Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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La personalità di George Harrison: pacatezza, ira e follia                         clicca qui

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Perennial: continuare a fiorire con la capacità di stupire sempre             clicca qui

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Faber, Nanda, e la Bocca di rosa                                                                clicca qui

 

 
Mercoledì 23 Gennaio 2019

Talkin' 10646 - cerutti.andrea70

Oggetto: Donne per tempi duri

Gentilissimo Tambourine,
complimenti e grazie per l'interessante digressione a riguardo di Rainy day Woman # 12&35.
È una canzone che ho sempre amato nella versione di Before the Flood, l'ho sempre trovata travolgente. E ricordo di averla ascoltata decine di volte.
Vorrei dire che è una canzone divertente ma anche riflessiva se la si legge come "ti danno addosso". Riflettere su ogni rigo fa emergere una lettura dei fatti della vita dura, bizzarra, laconica non senza un sottile umorismo. "Ti danno addosso anche quando te ne stai nella tomba" ," non me ne preoccuperei così tanto, tutti prima o poi vengono travolti".
Ritengo che la doppia e in alcuni casi tripla lettura delle canzoni di Dylan sia cosa che merita approfindimenti anche perché frequenti. Il bello è che poi in entrambe le letture le canzoni hanno la stessa faccia. Comunicano lo stesso significato di fondo comunque le si legga. Stupendo e cosa nel mondo dell'arte non di poco conto.
Nello specifico la leggo: la vita ha un qualcosa di farsesco, è un po' barzelletta e un po' tragedia. Alla fine presenta lo stesso conto a tutti.
Ritengo infine che anche questa canzone di Dylan come altre abbia in sé un vento, un wind, unico , un qualcosa di magistrale che mette sempre sull'attenti e sembra voler dire: " silenzio, sta cantando il migliore di tutti".
Ciao! Tuo Johnny in the basement.

Caro Johnny, come ben sai Rainy day Women è il pezzo d’apertura di Blonde on Blonde, il “disco” dei dischi, il disco della grande svolta dylaniana che stava diventando di proporzioni gigantesche, il disco che traccia un solco incolmabile fra il menestrello della musica folk che come Giuda (aveva ragione quello che gli gridò “Judas” dal pubblico?) abbandona la compagnia per procurarsi nuovi amici. I vecchi fans restano inorrifditi o imbambolati, o frastornati, o sorpresi, metti tu l’aggettivo che preferisci. Qui c’è un nuovo Dylan che incurante del pubblico che sta perdendo inaugura un nuovo e diverso linguaggio lasciando il folk per passare al rock con grande orrore dei puristi. Qui Dylan alza la tacca dei suoi testi grazie alle liriche di tono estremamente surreale. Ormai il vecchio portavoce della controcultura americana, la voce della sua generazione se n’è andato, tradisce definitivamente la sua immagine, mutandosi da cantastorie in un apparentemente scriteriato rocchettaro dalla lingua pungente e dalla penna tagliente. Una scelta che sembra mettere Dylan in condizione di dover pagare un prezzo salatissimo, ma questo sembra non preoccupare Dylan più di tanto, lui ormai ha imboccato la nuova strada e proseguirà imperterrito buttandosi dietro le spalle critiche e paure, fischi e proteste. Dylan sta diventando un altro, forse più uomo e maturo per un nuovo genere di scrittura che fu allora male accolta perchè usciva troppo dai binari della convenzionalità, toccando argomenti fin ad allora ritenuti tabù dal finto perbenismo americano che protestava per tutto meno che per la separazione razziale alla quale la popolazione di colore era sottoposta, che faceva finta di non sapere dell’esistenza e delle malefatte del Ku Klux Klan, che non riusciva ad interrommpere la corruzzione dei polizziotti che erano superstipendiati dalle gang di gangsters che vendevano alcool di contrabbando, che inorridiva e strabuzzava gli occhi ai movimenti di Elvis Presley al punto di proibire alle televisioni di inquadrarlo dalla cintola in giù. L’America strafottentemente ricca delle più clamorose contraddizioni sociali, ma tutto quello non contava, l’importante era mantenere inalterata la maschera di perbenismo e puritanesimo che l’avevano sempre falsamente caratterizzata. L’ America che costrinse il suo Presidente a mandare la guardia nazionale ad Oxford per far entrare nell’Università lo studente “nero” James Meredith, la stessa America che si libererà in modo violento e disgustante dei fratelli kennedy, la stessa America che manderà 80.000 giovani al massacro nelle giungle del Vietnam per “ingrassare” i Signori della guerra che producevano armamenti. Questa era l’America, e Dylan la sfidò rischiando il boicottaggio personale ed artistico. Il disco inizia proprio con “Rainy Day Woman”, una sarcastica e precisa accusa dell’ipocrisia che girava intorno all’argomento droga, con particolare riferimento alla marijuana. Ogni capoverso inizia con “They’ll stone you”, con i musicisti che sembrano davvero fumati (perlomeno erano senz’altro alticci, proprio per dare l’impressione di poca lucidità o alterazione dovuta a qualcosa), fuori da ogni schema e con lo stesso Dylan che sembra far di tutto per non stare a tempo. Ma ormai sappiamo tutti da anni che la chiave di lettura per Dytan non esiste, oggi ti mostra una faccia e domani un’altra, oggi moralista e domani dissacrante. Rainy Day Woman è la fotografia esatta di quel momento, di quel passaggio epocale, del mutamento inattesto dell’ artista che comincia a rivelare la sua vera natura di genio che si evolverà con gli anni a seguire rimandendo però sempre geniale e ben sopra i livelli della normalità. Altrimenti tutti noi non saremmo suoi fans così devoti. Una cosa è essere un fan di Bob Dylan ed un’altra è essere fans di Fedez o di J.Ax, con tutto il rispetto per questi artisti nostrani. Live long and prosper Mr.Tambourine, :o)

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Il 21 gennaio 1968 Hendrix registrò All Along The Watchtower             clicca qui

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Bob Dylan: cofanetti e collezioni                                                             clicca qui

 

 
Martedì 22 Gennaio 2019

Talkin' 10645 - dinve56

Salve Mister,
sono un po' intimorita ad intervenire dopo le due lezioni davvero ampie e complesse che, partite dalle parole di Mac Coll sui cantanti folk americani degli anni sessanta, hanno spaziato ben oltre, arrivando a discutere sul significato della letteratura e dell'arte in generale nella società di massa, che è, fondamentalmente, una società di consumatori inconsapevoli. I consumatori consapevoli, invece, si fanno domande senza risposte. Io, una piccola risposta personale ce l'avrei: se vado ad un concerto per ascoltare la musica e la voce di Bob Dylan, che, tra parentesi, non sono gratis, è perchè questo arricchisce la parte di me che chiamiamo spirituale o, se volete, non mi dà risposte sul caos ed il dolore del mondo, ma mi CONSOLA del caos e del dolore del mondo, poichè, per un'ora e tre quarti circa, me li fa DIMENTICARE e mi ILLUDE che ci sia del buono e del bello nella realtà. Questo è il nobile compito dell'arte nella società, anche in quella di massa, nella quale la distinzione tra "popolare" ed "elevato" si assottiglia sempre di più, come aveva già affermato Montale, nel lontano 1975, quando, nella lectio tenuta in occasione dell'assegnazione del Nobel per la letteratura, si era detto convinto che la poesia aveva ed avrebbe mantenuto un senso anche nella società dei consumi sfrenati e caotici. E' vero che la realtà e la storia appaiono a Dylan, come a Eliot,"caos, dolore, assurdo"(cito alla lettera dalla talkin 10641 che rinuncio a capire da chi sia stata scritta), ma è anche vero che in alcune canzoni afferma che quando il mondo finirà, ne nascerà uno migliore e ricorda a chi non smette di piangere che "il sole nascerà sempre". Forse non l'ha mai detto esplicitamente, ma mi sembra che Dylan assegni alla sua arte, cioè la poesia cantata, anche un compito consolatorio. Dovrò ancora annoiarvi con alcune riflessioni sui folksingers e sulla talkin di "Johnny in the basament", ma per ora stop... se no temo di abusare della vostra cortese attenzione. Alla prossima e, come sempre, lunga vita! P.S. Se mi va di ascoltare Bob e di farlo finchè non appenderà la chitarra al chiodo, non comprerei mai il whisky con il marchio di una sua famosissima canzone... quell'operazione sa davvero di "arte da consumare"... o, meglio, di "prodotto materiale che vuole diventare arte" ...c'entra qualcosa Andy Wahrol, per caso? Ciao! Carla

Cara Carla,
non saprei dirti se la società di oggi sia davvero la società dei consumatori inconsapevoli! Questo poteva essere valido agli inizi del famigerato boom economico del dopoguerra, quando alcune cose prodotte in massa ed a prezzi accessibili cominciarono ad divenire simboli di uno status sociale che cominciava a fare la differenza fra le classi sociali. Mentre il popolino, quello che scendeva in strada davanti al negozio di elettrodomestici per vedere i primi programmi televisivi (ti giuro che era così perchè anch’io sono stato uno di quelli) per poi andare al bar a prenotare la seggiola mettendovi sopra un cartellino col nome e le cinque lire del costo del posto, cominciava ad essere desideroso di avere il frigorifero per poter finalmente eliminare la bruttissima “moscheruola” appesa nel luogo più fresco della cantina per mantenere burro e carne lontani dall’attacco delle mosche allora numerosissime perchè le disinfestazioni a tappeto non erano ancora state inventate ed in ogni casa attaccate ai portalampadine c’erano le famose strisce di carta moschicida, quando le rondini tornavano puntuali ogni estate ai loro nidi ed alla sera era un continuo garrire senza fine nei caroselli aerei prima del tramonto. La radio era diventata una cosa obsoleta e pian piano la televisione cominciò ad insinuarsi nelle case della gente, le biciclette ad essere sostituite dalle moto (famose la Vespa e la Lambretta) ed i motocarrozzini (i sidecar come erano chiamati allora) sostituiti dalle “600” e dalle mitiche “500”. La gente aveva acquisito una diversa consapevolezza della vita, non si accontentava più come faceva prima della guerra, la gente era stanca di povertà, imposizioni e brutture, la gente voleva cominciare finalmente a dare un significato diverso alla propria vita che comprendesse felicità ed un poco di lusso e frivolezze. Arrivarono i Blue Jeans e la gente impazzì per questi pantaloni, oggi è praticamnete impossibile trovare uno che non abbia mai portato un paio di jeans, ma quando io avevo tredici anni dovetti andare a Genova in via Prè per comprarne un paio usati perchè i jeans erano la divisa di fatica dei marinai americani e quando erano consumati (noi dicevamo “lisi”), quando cioè avevano perso il blu per lasciare il posto al bianco erano perfetti, col risvolto in fondo alle gambe. Le fabbriche italiane arriveranno alcuni anni dopo con jeans che assomigliavano molto da lontano agli originali! Lo lotta era fra Levi Strauss (poi Levi’s) ed i “Lee” con i fautori di una o dell’altra parte, come la rivalità fra Bartali e Coppi. Poi arrivarono le cucine “Ignis” del Comm. Borghi, le prime lavastoviglie, i ferri da stiri elettrici e non più di ferro da mettere sulla stufa a scaldare, il fon per asciugarsi i capelli, poi i bagni con i sanitari passarono dalla ringhiera o dal cortile direttamente nelle case. Non c’erano ancora i supermercati, ma si mangiava bene e di tutto. Era chiaro che più prodotti si mettevano a disposizione della gente e più i consumi crescevano, così anche la nostra società cominciò a diventare consumista. Oggi, dopo un bel pò di anni, stiamo buttando via quello che abbiamo comperato nel passato, tutto viene velocemente rimpiazzato con tecnologie nuove e la gente sta al passo, esempio nel nostro paese pare siano in uso circa 60.000.000 di cellulari! La vita è diventata una corsa contro non si sa che cosa, ma bisogna correre perchè corrono tutti, ma cominciamo ad essere in troppi, dai 2 miliardi del 1950 oggi siamo circa 12 miliardi e la torta da dividere è sempre quella, questo, in parole povere, significa che siamo una società che si sta facendo distruggere dalle cose che essa stessa ha creato. Triste come previsione futura ma maledettamente reale.
Anche l’arte e la cultura ebbero una svolta decisiva nel dopoguerra, l’immissione sul mercato delle chitarre elettriche creerà una svolta fondamentale nel mondo della musica aprendo la strada a nuove forme di espressione che coinvolgeranno anche la letteratura e la poesia. In ogni casa entrarono i giradischi ed i vecchi “78 giri” furono sostituiti dai più pratici ed economici “45 giri” che erano alla portata delle tasche di tutti (Elvis venderà più di un miliardo di dischi). Poi ci fu l’esplosione del fenomeno Beatles e conseguenti imitatori che la fecero da padroni per qualche anno con melodie accattivanti ma ancora con testi al limite dell’idiozia. Ma qualcuno mandò sulla terra uno che spazzerà via tutto ciò che c’era prima dettando le nuove regole per il modo di scrivere i testi delle canzoni, e tutti si dovettero adeguare a lui, fino a quando il mondo seppe riconoscere la sua importanza e validità assegnandogli il premio Nobel per la letteratura. Oggi siamo ancora fermi alle sue intuizioni, anche se tanti altri fenomeni sono venuti dopo di lui, ma lui è sempre lì a ricordare a tutti che le regole sono ancora le sue. Come sarà il futuro non lo sappiamo e non ci interessa, a noi interessa il presente e per il momento l’uomo da guardare e seguire è sempre Bob Dylan.
Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Lunedì 21 Gennaio 2019

Talkin' 10644 - gpg

Buongiorno,
credo di aver letto nel vostro sito <http://www.maggiesfarm.eu/> che in una canzone sembri di sentire una frase in italiano.
<Rainy Day Women #12 & 35>? Ricordo bene? Di cosa di tratta?
Grazie :)

Ricordi bene, si tratta proprio di Rainy Day Women #12 & 35, ascolta Ascolta attentamente (meglio se in cuffia) la canzone alla fine dell'ultima strofa, esattamente al tempo 4,02 secondi della track, si sente CHIARAMENTE una voce che grida "Ma sei scemo?". Potrebbe essere anche un' assonanza con qualcosa urlato in inglese, ma la frase suona proprio così! Questo fatto è sempre stato un mistero e tale rimarrà! Prendo l’occasione per ricordare, non a chi già lo sapeva, ma a coloro che magari non avevano avuto l’occasione di leggerne la spiegazione, il significato di quei numeri nel titolo della canzone. Per gli entusiasti della canapa indiana, il 20 aprile, alias 4/20, alias "420", è il più sacro dei giorni sacri, cioè quello quando alle 4:20 p.m. si prendono un pò di tempo libero per partecipare ai party con l’erba in compagnia degli amici. C'era un interessante articolo sul “The Huffington Post” sulle origini della connessione 420-marijuana. E’ risultato che il significato del numero non era niente altro che l’ora, dopo la scuola, quando qualche high-stoners della scuola Californiana si riuniva nel bosco per qualche “numero” con la cannabis.
Ci sono state molte altre teorie nel corso degli anni per quanto riguarda il significato del numero 420, ma il più interessante è che proviene dalla canzone di Bob Dylan "Rainy Day Women # 12 & 35", meglio conosciuta ai laici come "Tutti devono essere lapidati”, o più precisamente “Tutti devono sballare”.
Il titolo della canzone è stato uno dei tanti titoli misteriosi delle canzoni di Dylan a metà degli anni '60 (insieme a "Temporary likes Achille", "Just Like Tom Thumb's Blues" e "Bob Dylan's # 115 Dream"), ma alcuni matematici con la mentalità alla Doobie Brothers hanno capito che se si moltiplicava 12 x 35 si ottieneva esattamente 420.
Comunque, "Rainy Day Women # 12 & 35", pur non essendo un capolavoro visionario come "Visions of Johanna" o "Sad Eyed Lady of the Lowlands" è un brano divertente con qualche bel gioco di parole, un grande New Orleans time che ha influenzato la backing band - ed un ottimo modo per avviare il doppio album Blonde on Blonde, anche se a molti è sembrato essere stato ispirato più dal bourbon che dai germogli dei semi. Come uno degli inni alla cannibis più grande di tutti i tempi, non è sorprendente che "Rainy Day Women # 12 & 35" sia stato coverizzato da molti altri musicisti che condividevano quel modo di vivere e pensare.
Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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"Forever Young" di Bob Dylan ispirata a Mosè e Aronne                         clicca qui

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Luigi Grechi De Gregori e il progetto “Una canzone al mese”                 clicca qui

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De Andrè, l'immortale poeta degli sconfitti                                               clicca qui

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De Gregori a casa di De André: "Belìn, vieni a scrivere da me!"              clicca qui

 

 
Sabato 19 Gennaio 2019

Talkin' 10643 - ponchogonzo

Scusate, sono un frequentatore abbastanza assiduo di Maggie's Farm ma è la prima volta che vi scrivo. Volevo solo capire se sono io un po' rincoglionito oppure le date delle news sono ancora con anno 2018? Comunque intanto vi faccio i complimenti perché il sito è veramente interessante.
Saluti, Renato Belardinelli.

Grazie della segnalazione Sergio, tranquillo, il rincoglionito sono io, come dicevo l'altro giorno rispondendo a Carla, questo è uno dei numerosi errori che faccio, sciocche distrazioni ma sempre errori sono, fortunatamente ogni tanto c'è qualcuno come te che me le segnala dandomi modo di correggere. Grazie ancora, alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Talkin' 10642 - newmorning

Ciao,
qualcuno ha le parole di questa canzone o sa chi l'ha scritta ?
Sergio

  

La set list del concerto del 22 Settembre 1985 a Champagne, Illinois, riporta il titolo "Shake" e l'attribuisce a Sam Cooke, ma la Shake di Sam Cooke non ha una parola uguale a quelle cantate da Dylan. Tony Attwood riporta che verso la fine del 1985 Dylan stava facendo un discreto numero di jam session con Tom Petty e gli Heartbreakers, provando idee diverse e cercando qualcosa di diverso da fare in seguito. Una delle canzoni risultanti, "Shake", è stata ovviamente un divertissment suonato al Farm Aid e in altre tre occasioni, ma non l'ha mai registrata. La canzone è un semplice blues in 12 battute con la prima riga dei testi ripetuta e poi la classica linea di risposta. Ci sono un miliardo di canzoni simili a questa.
Clinton Heylin ci porta a credere che questa canzone sia una copia/cover di "Treat her right" di Roy Head, ma in realtà è una copia di tantissime altre canzoni che a stento sembra ragionevole sceglierne una come fonte.
Dylan aveva suonato "Treat her right" durante le prove dell'anno precedente, il che probabilmente è ciò che ha dato lo spunto a Heylin, ma quella performance non significa che "Shake" sia una rielaborazione di essa.
Il punto di queste prove era che non solo davano a Dylan qualcosa di nuovo da suonare - il tipo di musica che gli era sempre piaciuto suonare - ma gli permettevano di vedere cosa poteva venirne fuori, senza preoccupazioni se non fosse uscito nulla di usabile. Empire Burlesque era pronto e Bob non doveva preoccuparsi di un nuovo album per un po' di tempo, e poi Tom Petty e gli Heartbreakers erano loro stessi pieni di ispirazione. Il testo è quello del classico R & B anni '50 con insinuazioni sessuali che arrivano fino al punto permesso dalla censura americana ma non oltre ...
Shake it baby like you know you can
Shake like you know you can
Prove to me you’re my woman just like I’m your man
Ed altro di simile. Non è una grande canzone, ma era ciò che Dylan voleva fare in quel momento.

Setlist: 22 Settembre 1985 - Farm Aid - Champagne, Illinois

1. Clean Cut Kid (Live debut)
2. Shake (unknown)
3. I'll Remember You (Live debut) duet with Madelyn Quebec
4. Trust Yourself (Live debut) duet with Madelyn Quebec - guest star Willie Nelson

https://www.youtube.com/watch?v=0DGz7nH0Jwo

5. That Lucky Old Sun (Beasley Smith / Haven Gillespie)
https://www.youtube.com/watch?v=LyM83wtClcA

6. Maggie's Farm - guest star Willie Nelson

Personnel:
Bob Dylan (voice - guitar)
Tom Petty (guitar)
Mike Campbell (guitar)
Benmont Tench (keyboards)
Howie Epstein (bass)
Stan Lynch (drums)
Queen Esther Marrow (vocal)
Madelyn Quebec (vocal)
Elisecia Wright (vocal)
Debra Byrd (vocal)

Guest star Willie Nelson (Guitar) on Trust Yourself, That Lucky Old Sun, Maggie's Farm

 

 
Venerdì 18 Gennaio 2019

Talkin' 10641 - miscio.tux

Oggetto: Pappardella

Caro Mr. Tambourine,

1. Convenevoli

Veramente hai creduto che quello della Talkin' 10636 fosse il vero Miscio? Non hai percepito che manca un po' di viltà? Potremmo chiamarlo l'Esimio Miscio o Pseudomiscio o Miscio Eglamorita. Di nuovo è l'infingardo luciferino che si diverte a tanagliare le vittime per poi sbertucciarne l'agonia. Lasciandole disfatte sotto il fuoco degli obici della corazzata etnologica. Mi pare che il mattacchione stia prendendo sottogamba il gioioso clima di legalità inaugurato dal Ministro dei Temporali. Non sa che è un reato rubare l'identità? Quasi quasi lo denuncio alla Polizia Postale, che possa "marcire in galera", come direbbe il simpatico leghista. Lo vedo già accostato a Battisti nel trionfo della legalità, le sue carni straziate in diretta da Porro, Sallusti, Giordano, Feltri, Belpietro, i liberisti armati per il portafoglio. Scherzo ovviamente. Nemmeno lo aspetterei sotto casa, un vile teme sempre di incontrare uno più grosso. Temo anzi che sia un genio. L'unico che ha capito che l'identità è una bara che ci seppellisce, che ha fatto tesoro dell'insegnamento dylaniano: nell'età del controllo totale, mai essere lì dove ti aspettano. Per un attimo ho persino pensato di fare come lui, spoofare la sua mail e presentarmi come Sir Eglamore. Ma poi mi sono detto che l'amata Maggiesfarm diventerebbe un casino, con Tizio che se la prende con Caio che invece è Tizio e così via, non so quanto si divertirebbero gli altri. Può darsi che sia questo il destino finale di Maggiesfarm, dissolversi in cometa, piuttosto che diventare l'ospizio dei dylaniati. Ma per ora evitiamolo, forse il nostro Bob ha ancora qualche cartuccia da sparare prima di attaccare la chitarra al chiodo. Ma poi, di che mi lamento, che sono anche pigro, e mi ritrovo attribuiti interventi ben fatti senza neanche dover digitare una virgola.

2. Chi ha ucciso il Babau?

Vale a dire, chi ha ucciso la cultura popolare? Nessuno canta più come Blind Willie McTell, ti amerò sempre Nettie Moore, ma non c'è rimasto nessuno che possa dirlo. Magari Sir Eglamore si trova un po' a disagio nel maneggiare il carteggio Marx-Engels, ma la questione la centra in pieno lo stesso. Cita le migliorate condizioni di vita delle classi popolari, e questo si può benissimo prendere come indicatore di una trasformazione più generale. C'è una frase del Manifesto in cui Marx e Engels suggeriscono chi è l'assassino, ed è una frase che è ripresa da un famoso libro sulla storia del modernismo, adottato tra l'altro da Carrera nelle sue lezioni americane



(e l'ultimo capitolo del libro s'intitola "Bringing It All Back Home"). La frase "Tutto ciò che è solido si mescola nell'aria", indica quella che è la caratteristica essenziale del Capitalismo, quella di smontare, decostruire ogni forma sociale o culturale preesistente usandone i pezzi per ricostruirla in forme che possano produrre valore. E' un processo incessante, perché c'è sempre una forma che produce più valore della forma precedente. Siamo pieni di città fantasma, di quartieri sventrati e ricostruiti infinite volte, montagne traforate, piane di ulivi riempite di pale eoliche, automobili elettriche per la cui ricarica si continua a bruciare petrolio, ma che intanto aprono una nuova dimensione di mercato, lampadine a basso consumo più di quelle di prima ma meno di quelle di dopo e così via. Lo si chiama "progresso", ma il fatto che non abbia una direzione precisa, razionale, non caotica, dovrebbe mettere in guardia: è l'accumulazione capitalistica. Il benessere che le persone a volte ne ricavano non ne è una conseguenza inevitabile, ma una ricaduta aleatoria, una variabile dipendente dalla redditività del processo economico. Il benessere può sussistere solo se è produttivo di nuovo capitale. Che non si tratti di una cosa a dimensione umana, ma della conseguenza di un'astrazione delirante, è indicato dal fatto che il processo non mira ad un equilibrio, ma viene pensato come quantitativamente infinito: risorse infinite, spazi infiniti, popolazione infinita, consumi infiniti. Non la qualità della vita, ma la quantità di capitale è la sua misura, e quando questo accumulo si ferma si ha la "recessione". Sir Eglamore l'azzecca ancora quando cita Desolation Row: sul ponte del Titanic, che rappresenta questa concezione del progresso, tutti cantano "Which Side Are You On?", da che parte stai. Non si tratta soltanto del disprezzo per il cicaleggio della politica di fronte alle cose immortali, ma del fatto che non ci sono due parti, perché sul ponte del Titanic, su quell'idea di progresso, siamo imbarcati tutti, destra e sinistra, proletari e borghesi, socialisti e liberali.

3. "I politici son tutti dei ladri"

Sir Eglamore, nella parte dello Pseudomiscio, si dedica poi allo sport oggi più in voga, sparare sul politico. Cosa non troppo difficile, visto il prognatismo che da tempo caratterizza il deputato medio. Ma non è detto che le cose più semplici siano anche le più giuste. Io faccio parte della categoria dei cocciuti che pensano ancora che tutto sia politico, proprio come negli anni 60, che lo si riconosca o meno è un altro paio di maniche. Gebianchi ha ragione quando sostiene che è quasi impossibile discernere tra contenuti politici e contenuti di altro genere, almeno per quello che di implicitamente politico c'è in ogni forma d' arte. La "Star Spangled Banner" suonata da Hendrix, ad esempio, è un gesto politico. Tutto sta nell' intendersi sul significato del termine, che non lo si consideri solo un insieme di misere contingenze e volgari interessi. Quando 2500 anni fa i Greci inventarono la democrazia, la politica era lo strumento per far vivere la polis. Infatti la città non è un insieme di case, una cinta muraria, quartieri e strade, ma è nel legame etico che unisce le persone. Atene può essere distrutta, ma la polis no, continua ad esistere nelle relazioni tra gli individui che la ricostruiranno materialmente. Il cittadino non può che essere “politico”, non può esistere altro che dentro la polis, perché al di fuori non è più nulla, torna ad uno stato di natura, al clan. Per un ateniese, non votare, non partecipare alla polis, era equivalente al suicidio. Non si può star fuori a qualcosa che è dentro di te. Se oggi le istituzioni della vecchia politica appaiono svuotate e insensate, non è perché lo sono sempre state, come pensa Sir Eglamore. Il motivo è che nell'aria non svaniscono solo le cose materiali, ma anche le aggregazioni sociali, le forme culturali, i legami interpersonali. Non solo l'organizzazione materiale del mondo, ma anche l'essere sociale delle persone rientra nel ciclo di dissoluzione e metamorfosi spinto dall'accumulazione capitalistica. La politica diventa fuffa quando viene depotenziata e svuotata da imperativi finanziari che la scavalcano, svuotandola, quando la comunità si trova di fronte a leggi globali che sovrascrivono le sue decisioni, quando la relazione dialogica tra individui concreti e razionali su cui si fonda la democrazia si stempera in un pulviscolo di passioni governate dalla televisione, nell' impersonalità delle relazioni riflesse dai social media.

4. Essere o non essere

A differenza del sottoscritto, sia Gebianchi che lo Pseudomiscio sono accomunati dal fatto di pensare che l'arte sia un'espressione dell' essere, più che dell' essere sociale. Per questo pensano che un capolavoro portato sulla Luna brilli ancora, testimoniando alle stelle. Io invece credo che Dylan facesse bene a leggere al ristorante libri di poesie, con le dita unte di pollo. Certo, per chi ha una rigorosa preparazione musicale, molte canzoni sono una banalità, ma la semplicità non è un criterio per giudicare la bellezza o l' universalità. Altrimenti l' arte diventa una tecnica e di fronte a un ritratto è meglio una fotografia. Anche quando un artista pensa di comunicare con gli dei, in realtà quello che costruisce è una macchina psico-sociale, che usa linguaggi codificati in un certo contesto, che si rivolge a persone che percepiranno i suoi linguaggi perché in possesso di determinate esperienze, dizionari interpretativi, impressioni estetiche tutti socialmente fondati. Il ragionamento che Gebianchi fa sui dialetti, dimostra che questo lo ha ben presente. Semo homini moderni, direbbe Brancaleone, quando ci immaginiamo un pasto prelibato non pensiamo certo alla salsa di pesce putrefatto che per i Romani era una delizia. Per questo non ha senso paragonare Dylan a Dante, o a Ovidio, ma ha senso confrontarlo con Joyce o con Eliot. In questi ultimi casi le macchine sociali sono ancora parzialmente simili, parzialmente sovrapponibili. Non importa qui stabilire chi era il più grande. Del resto la complessità che si trova in Dylan, se non arriva a questi vertici, farebbe comunque gola a tanti poeti che si trovano nelle antologie. Mentre però Sir Eglamore, per quello che ho capito, non nega che anche un menestrello popolare possa raggiungere livelli sublimi, per cui la comunicazione con l'essere, coerentemente, non dipende dall'istruzione scolastica o dalla classe di provenienza, ma dall' autoconsapevolezza, Gebianchi mi sembra pensare l' arte popolare come una forma di espressione minore, che difficilmente giunge ai livelli dell' universalità, negando con questo che le "classi inferiori" o le società rurali o tribali possano avere specifiche forme di comprensione del mondo, articolate quanto quelle accademiche. Non è forse questo in contraddizione col pensare l'essere come universale? Alle culture "non acculturate" è forse concesso di accedere ad un essere che è solo un "essere inferiore"? Dylan a questo ha già risposto, quando sostiene che Robert Johnson o Hank Williams per lui valgono come i grandi poeti delle antologie.

5. Dylan e l'angelo della Storia

C'è un pezzetto criptico nel famoso brano dell'intervista del 66: "Ma in ogni modo, la musica tradizionale è troppo irreale per morire. Non ha bisogno di essere protetta, nessuno le può fare del male. In quella musica c'è l' unica morte vera e di qualche valore che possa uscire da un giradischi oggi." È Greil Marcus che in "The Old Weird America" ci aiuta a capire il passaggio: a lui sembra come che Dylan stia parlando della prima facciata degli Harry Smith's "Songs" in cui i cantanti suonano come se fossero già morti, ma non perché il significato delle loro canzoni è stato fissato in anticipo in modo definitivo. "È come se stessero esplicitando una implicita premessa della vecchia religione del Sud: solo i morti possono rinascere". Dylan non è materialista, vede la tradizione in maniera mistico-religiosa. L'abisso senza fondo che il mistico attribuisce alle cose gli impedisce di oggettivarle, di trasformarle in identità da ripetere uguali a se stesse. Considerata così, la tradizione diventa un serbatoio di significati inespressi che a poco a poco vengono ad essere nel tempo. Per forza propria, secondo il mistico, per via della diversa prospettiva con cui noi le guardiamo per il materialista non ingenuo, ma la differenza ai fini pratici forse non è rilevante. Questo tesoro di significati può rivelarsi solo se proviene da un altro mondo, quello del passato, della storia, roba morta insomma. Solo in quanto morta questa materia si presta ad essere riplasmata dalla tensione di cui è carica la nostra prospettiva presente, perché è abbastanza lontana dal cicaleggio dell'attualità, e le polemiche contingenti, la politica spicciola, si sono ormai decantate lasciando libero campo a riflessioni di lungo respiro. La complessità contenuta nella tradizione non può servire a semplificare la realtà contemporanea, ma semmai a problematizzarla, consentendo di leggerla ad un livello più profondo. Portelli ne ha dato una spiegazione magistrale, commentando Hard Rain, che poteva implodere in una banale marcetta contro la "bomba", ma che invece, proprio perché Dylan riesce a leggere nei prototipi tradizionali le complicazioni dell'incontro col nuovo, non si riduce ad un'unica voce, ma a tante, ognuna delle quali esprime una contraddizione in cui ci possiamo riconoscere, che è anche politica, nel senso più elevato del termine. Queste concezioni le ritroviamo in Desolation Row. Come la Terra Desolata, con cui ha diverse analogie, la canzone contiene una riflessione sul senso del passato, sul che cosa possa significare per noi oggi l'immenso serbatoio dell'arte e della storia trascorsa, che ci appare come dice Eliot, come un "heap of broken images", un mucchio di immagini frantumate. Nell'ultima strofa della canzone,

I got your letter yesterday
About the time the door knob broke
When you asked how I was doing
Was that some kind of joke?
All these people that you mention
Yes, I know them, they're quite lame
I had to rearrange their faces
And give them all another name
Right now I don't feel so good
I don't want your letters no more
Not unless you mail them
From Desolation Row

scopriamo che tutto il componimento potrebbe essere una risposta a questa lettera, e che la realtà e la storia appaiono a Dylan proprio come apparivano a Eliot, caos, dolore, assurdo. Una volta capito questo, non si torna indietro, la maniglia della porta si rompe, la sensazione ti resta impressa per sempre. Mi chiedi anche come sto? Come credi ci si possa sentire una volta che ci si è resi conto che la vicenda umana è un racconto senza senso? - ironizza Dylan. Nel commentare questa strofa, Stephen Arnoff ( http://www.zeek.net/610dylan/ ), in un saggio contenuto nella raccolta curata da Carrera, "Parole nel Vento", osserva che si tratta di una lettera «illeggibile, persino offensiva, perché trascura il fatto che soltanto la realtà ricostruita può preservare un animo sensibile dal caos culturale del "mondo reale." Il narratore di Dylan vede le stesse facce del suo corrispondente, ma ognuna con un "altro nome", inserita dentro la sua personale griglia di desolazione, basata sugli unici termini che egli può comprendere ed accettare.» Quest'ultima strofa si guarda indietro, rivolta verso il resto della canzone allo stesso modo in cui l'angelo della storia di Walter Benjamin, ormai divenuto patrimonio della rete, rivolge il suo sguardo strabico verso il passato



Anche Dylan è dentro questa bufera, guarda con gli occhi dell'angelo, "vuole destare i morti e riconnettere i frantumi." Il solo modo che trova per farlo è cambiare i nomi e le facce che trova nel passato, nel bagaglio della tradizione, cercando di forzarli in segni che vengono dal presente e cercano un senso nel futuro. Soltanto se sapremo rileggerlo con la volontà di creare un senso a venire potremo redimere il passato. Potremo dire che non è stato invano, che voleva dire questo, che sì, "quelle ossa" potevano rivivere.

ciao, Miscio (quello vile).

Caro Miscio, l’idea di essere tutti sul ponte del Titanic mi spaventa a morte, ma purtroppo hai centrato in pieno il bersaglio, il nostro mondo, la nostra società, così come sopno0 oggi, sono destinati ad affondare per sempre e chi lo sa se di essi rimarrà un ricordo, magari anche lontanissimo, come una sensazione di deja vu indefinibile! Ci hanno detto che l’ universo è in espansione ma non ci hanno detto dove andrà a finire, ne come, ne quando, ne perchè. L’unica logica possibile è che, come tutte le cose, deve per forza avere un inizio ed una fine. Io non saprei dire se esiste qualcosa di infinito, di interminabile, che vada al di là del tempo come lo calcoliamo noi, l’unica cosa certa è che fra qualche miliardo di anni il sole avrà consumato tutta la sua energia e si spegnerà like a candle in the wind, trascinando con se nel buio il nostro minuscolo pianeta e tutto il sistema solare, ma come diceva Guccini con i Nomadi (quelli veri di Augusto, non la barzelletta/cover/band che gira l’Italia usurpando il glorioso nome “Nomadi”, ma forse Beppe Carletti tiene famiglia e c’hanno da maggnà e bevere e così si presta a questi vergognosi misfatti). Il nostro mondo è pieno e saturo di strade identiche alla dylaniana “Desolation Row”, strade che sono l' esempio palese del decadimento della nostra civiltà, luoghi nei quali i miti sociali vengono distrutti, luoghi nei quali la realtà della vita, desolata ed orrenda nella sua spettralità si avvicina fatalmente alla verità reale.
La tua disamina è veramente ottima, così buona da non lasciar spazio ad interpretazioni o commenti, ci si può credere o no, si può apprezzarla o spregiarla, ma così è e così resta. Una piccola lectio magistralis per la quale ti sono grato e che sono certo interesserà moltissimo la totalità dei nostri amici Maggiesfarmers. Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Giovedì 17 Gennaio 2019

Talkin' 10640 - dinve56

Oggetto: Dylan ed i folksingers

Salve Mister,
obbediente alle tue indicazioni, evito di dire la mia sulla interessantissima talkin' dell'ineguagliabile Miscio. Una sola considerazione: l'articolo di Ewan Mac Coll la dice lunga sullo sciovinismo, che non ha confini. Lo sanno anche i sassi che il patrimonio delle ballate popolari della Great Britain, che comprende ballate scozzesi, gallesi e chi più ne ha più ne metta, è giunto in America dove, ovviamente, è stato rielaborato e trasformato. Mi fermo qui, come promesso. In linea di massima ho qualche problema a capire i "puristi" di ogni tempo e di ogni luogo, ma, giacchè non li capisco ma li temo, colgo l'occasione per correggere un piccolo errore della mia talkin' 10630. In latino è "de senectute" con la "t" e non con la "d". Grazie per il sito e lunga vita! Carla.

Cara Carla, non è assolutamente proibito risponedere o criticare il contenuto di una mail. Io non ho detto che la risposta competeva esclusivamente al sempre più vile Miscio o al Prof. Bianchi, anzi, se vuoi dire la tua sappi che sei sempre la benvenuta. I puristi, in senso linguistico, sono coloro che mettono in atto ogni atteggiamento di protezione verso una lingua, al fine di eliminare da essa elementi considerati come minacciosi per la sua integrità, come forestierismi o neologismi. Detto oggi sembra uno scherzo, ma anche la nostra bellissima lingua è stata, per comodità, farcita con migliaia di espressioni di origine estera. Prima dello sbarco in Italia degli americani nella seconda guerra mondiale la gente, quando era d'accordo, era solita dire va bene, concordo, ora dicono tutti OK ma quasi nessuno sa cosa significa realmente OK! Questa sigla è formata dalle iniziali fonetiche delle due parole Zero Killed. Durante la guerra di secessione, alla fine di ogni giornata di battaglia, sulla lavagna di ogni compagnia veniva fatto il riepilogo della giornata dopo aver passato a setaccio il campo di battaglia per contare feriti e morti. Quando non c'erano vittime sulla lavagna veniva scritto OK che stava a significare che non c'erano stati morti in quel giorno, e questa era una cosa assolutamente positiva. Nella lingua inglese è consuetudine pronunciare la parola "zero" con una "O" chiusa, proprio come si pronucia in "okey", quindi o killed significava "nessun morto", che divenne immediatamente sinonimo di una cosa altamente positiva sulla quale erano tutti d'accordo. Qualcuno dice invece che sia un'espressione mutuata dalla lingua dei nativi americani Sioux, (la tribù di Toro Seduto, Nuvola Rossa e Cavallo Pazzo) nella quale la parola Hoka hey (pronunciata Hokehey) significava "va bene", "si può fare". Il termine Sioux deriva dall'espressione "meno che un serpente", usata con intento dispregiativo dagli Algonchini per indicare le popolazioni che vivevano nelle grandi pianure centrali degli Stati Uniti e del Canada meridionale, fra il fiume Platte fino al monte Heart e dalle foreste del Minnesota, fino al Missouri e poi alle montagne del Bighorn. L'equivoco nacque allorché alcuni esploratori francesi chiesero a un appartenente ai Chippewa, tradizionali avversari dei Sioux, il nome della vasta stirpe che popolava quelle terre. La logica risposta fu: "meno che una vipera" (rispetto alla "vipera intera" rappresentata ai loro occhi dagli Irochesi). La parte finale dell'espressione Nadowe-is-iw - singolare di Nadowe-is-iweg - che significava appunto "meno che vipera", servì per sempre a identificare il vasto insieme delle tribù Dakota e Lakota (varianti dello stesso termine che significa invece grosso modo "amico", "alleato", accomunate da una medesima lingua e da identiche tradizioni culturali. Il gruppo etnico dei Sioux era composto da sette diverse tribù, gli Oglala (Coloro-che-si-disperdono), gli Sichangu (o Cosce Bruciate ovvero Brulé), Mineconjou (più precisamente Mnikan'oju o Mnikowoju, ossia (Seminatori d'un campo vicino al fiume), gli Hunkpapa (Che-si-accampano-all'ingresso), gli Sihasapa (o Piedi Neri, da non confondere tuttavia con l'omonimo gruppo algonchino - cfr. Nitsitapi), gli Oohenonpa (o Due Marmitte) e gli Itazipcho (o Sans Arcs, da itazipa, "arco" e "čo", abbreviazione di čodan, "senza"). Naturalmente quell'errore si è trascinato fino ad oggi e tutti, quando parlano o pensano agli "Indiani" (altro termine generato dall'errore di Cristoforo Colombo che credette di aver raggiunto le Indie Orientali, ignaro invece di aver toccato le coste di un continente allora sconosciuto agli Europei) fanno riferimento ai nativi americani detti anche "pellirosse". Altra ipotesi, secondo l'opinione più diffusa nei dizionari di lingua inglese, l'espressione OK starebbe per Oll korrect, cioè "all correct", scritto deliberatamente in modo sbagliato per enfatizzarne il significato. Un'altra ipotesi la fa derivare dalla lingua bantu uou-key (trascrizione fonetica) che significa "certamente sì", l'espressione potrebbe così essere filtrata dalla lingua degli schiavi africani nell'uso statunitense. Un' altra ipotesi sostiene  che derivi da "Old Kinderhook", nomignolo  del presidente americano democratico Martin Van Buren, essendo il presidente nato a Kinderhook. Altri, specialmente gli Irlandesi, dicono che derivi dal gaelico och aye, che significa "oh sì", che testimonierebbe appunto la sua diffusione negli Stati Uniti a opera degli immigrati irlandesi. Altra interpretazione sostiene la teoria che riconduce la locuzione alla sigla di un nome proprio, solitamente di una persona preposta al controllo di prodotti, trattative, contratti, elenchi o simili, tra questi nomi figura quello di Otis Kendall, che agli inizi del XIX secolo lavorava al porto di New York, il suo lavoro consisteva nel controllare le merci in carico e scarico ed era solito apportare le iniziali del suo nome "O.K." sulle casse vidimate ed approvate. Altri ancora dicono provenire dall'espressione "0 Kelvin", pronunciata oh kay, indicante la temperatura di zero assoluto, tenendo presente che il termine "cool" viene usato anche  nella lingua inglese per dire "tutto bene". I Russi invece fanno risalire a loro l'origine dell'espressione, è loro convinzione che derivi da "очень хорошо" (trascrizione fonetica: ochen' khorosho): il grido che solevano urlare gli scaricatori del porto ucraino di Odessa agli equipaggi delle navi di tutto il mondo per indicare "tutto bene" (tutto il carico è stato stivato/scaricato perfettamente), l'uso del termine O.K., iniziali della trascrizione fonetica, si sarebbe così diffuso "via mare" anche al mondo occidentale. I greci invece reclamano la paternità del termine, Ola kalà (Όλα Καλά) che significa "tutto bene". Poi ognuno di noi può scegliere di credere a quella che gli sembra più corretta, ma almeno quando dirà OK saprà quello che sta dicendo. Altro grosso errore linguistico, fu commesso da Sua Eccellenza il Cav. Benito Mussolini in quello che è diventato il famoso  "discorso del bagnasciuga" del 24 giugno 1943, quando di fronte alle voci su un prossimo sbarco alleato in Sicilia (avvenuto effettivamente dopo pochi giorni, il 10 luglio), proclamò che ogni tentativo di sbarco sarebbe stato "congelato su quella linea che i marinai chiamano bagnasciuga", volendo indicare quella che in realtà era la battigia, cioè quella parte di spiaggia contro cui le onde sbattono al suolo. Invece il "bagnasciuga" o (in antico) linea di fior d'acqua (in inglese load lines) è quella parte di superficie della fiancata di una nave limitata dall'ideogramma di Plimsoll. In questo i puristi non hanno tutti i torti, anche se tu li temi. Una volta si diceva fine-settimana, oggi è d'obbligo dire week-end, tutto compreso si dice oggi all inclusive, il pubblico è diventata l'audience, gli ascolti televisivi sono lo share, il dietro le quinte il backstage, la guardia del corpo è il bodyguard, la previsione di spesa o stanziamento è il budget, la visita di controllo è il check up, la pausa caffè è il coffee break, i sondaggi di voto sono gli exit pool, la forma fisica è il fitness, il pettegolezzo è il gossip, la legge sul lavoro il jobs act, il capo carismatico è il leader, il trucco è il make up, le notizie sono le news, il manifesto è il poster, le voci o chiacchiere sono i rumours, la taglia è size, il finanziatore è lo sponsor, e potremmo continuare per alcune ore. Per quanto riguarda il tuo "de senectute" non preoccuparti, un errore di scrittura è scusabile, sapessi quanti ne faccio io! Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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quinte
Mercoledì 16 Gennaio 2019

Talkin' 10639 - gebianchi

Dunque dunque, sentendomi chiamato in causa dalle articolate e circostanziate riflessioni dell’esimio Miscio, non posso che replicare cercando di sgombrare il campo da alcuni fraintendimenti che a mio avviso inficiano le sue pur stimolanti riflessioni.

La prima; sostenere che (cito testualmente) “a cancellare la cultura popolare tanto amata dagli etnologi marxisti siano stati i progressi sociali delle classi subalterne”, mi pare affermazione assolutamente azzardata e decontestualizzata. Soprattutto, la ricerca antropologica marxista, quella italiana in particolare, da De Martino a Lombardi Satriani, da Lanternari al compianto Furio Jesi, direi che ha sempre considerato in misura estremamente marginale il ruolo della canzone nella sua duplice valenza, estetica e politica, concentrandosi piuttosto sulle dinamiche comportamentali connesse alla fonetica delle filastrocche popolari, o alle pratiche cultuali (non culturali) connesse alla canzone popolari nella sua forma e valenza di strumento tecnico in uso a gruppi circostanziati e funzionale a quelle che sono le dinamiche del rito (Vedi il noto Morte e Pianto rituale del De Martino). Oltretutto la distinzione tra canzone politica e canzone folclorica, del tutto inesistente nelle analisi crociane e solo parzialmente in quelle gramsciane, si basa su fattori puramente aleatori e decisamente non classificabili, stante le notevoli contaminazioni tra i due generi e soprattutto stante il fatto che storicamente, la canzone politica cominciò ad affermarsi solo nel momento in cui una classe sociale quale il proletariato urbano comincio’ a manifestare una precisa coscienza politica. Gramsci sosteneva che con la canzone popolare “Rafforziamo la nostra coscienza coi ricordi, con l’immergere il nostro spirito nel fiume della nostra tradizione, della nostra storia”, ed era pero’ sedotto dal canto politico che in quegli anni cominciava a muovere i suoi passi come riadattamento di canzoni di moda allora in voga il che rappresentava secondo Gramsci un chiaro esempio di contrapposizione tra il piano ufficiale e il piano non ufficiale, ossia tra l’egemoico ed il subalterno.

Una seconda obiezione riguarda la generalizzazione globalizzatrice che Miscio propone, includente dalla Hard Rain dylaniana al Bella Ciao delle mondariso vercellesi, il che rischia di semplificare eccessivamente un percorso di ricerca che è peculiare e differente da paese a paese, anzi da regione a regione, da zona a zona. Fermo restando che Hattie Carroll, a mio avviso, al di là della rivereberante luce universale che promana, rimane un pezzo fortemente politico o politicizzato, (direi più politico di così si muore!)…., e lo sottolineo perché Dylan fotografa in maniera impietosamente realistica un fatto di cronaca di cui fornisce nomi e cognomi senza metafore e giri di parole con riferimenti precisi ai politicanti del Maryland dell’epoca catapultandoci nello squallore razzista dell’america anni 50-60, e altrettanto politiche sono canzoni come Emmett Till o North country blues, tanto per citare, il punto non è capire se queste canzoni raggiungano o meno vette esteticamente o artisticamente elevate o meno. Non è questo il loro scopo, la loro funzione. Come già scrissi tempo addietro, una canzone, per sua natura presenta una necessaria e intrinseca banalità compositiva (sarebbe troppo lungo in questa sede spiegarne il motivo) che la allontana necessariamente dalle vette della grandiosità estetica. Il punto è che il canto politico o sociale non cerca questo riconoscimento, questa aulica patente di superiorità o di universalità, si accontenta della sua funzione sociale e di denuncia, mentre la canzone popolare tenta e chiede sovente, un accreditamento ufficiale nel pantheoon dell’arte con la A maiuscola. La polemica di Mac Coll è peraltro e pertanto stucchevole e irricevibile, dettata forse da malcelata invidia, di fatto quelle canzoni che parlavano di guerra e di masters of war o mettevano in campo i tormenti di Piero che tentenna con il moschetto in mano davanti al nemico finendo ammazzato dal nemico stesso, rappresentarono per quell’epoca un supporto importante ed una colonna sonora essenziale alla presa di coscienza di una generazione che di li’ a poco avrebbe nel bene o nel male animato una rivolta che, quanto meno sul piano sociale (chiedere a Sartre, Russell, Althusser, Focault etc etc….. per conferme) avrebbe avuto importanti riflessi sulle scelte individuali e persino sulla quotidianità. Le riflessioni di milioni di giovani su temi come l’obiezione di coscienza o sull’antimilitarismo diffuso è innegabile che dal pacifismo espresso da questi testi ricevettero un impulso significativo ed è assolutamente falso sostenere come fa Mc Coll che questo tipo di canto antimilitarista sia sempre esistito, per lo meno nella sua accezione politica. Basterebbe ricordare ad esempio una Re Gilardino, la ben nota ballata medievale (ma ce ne sono a bizzeffe di simili che partono dal medioevo e giungono sino ai primi del novecento) che narra del povero re morto in guerra e del lamento della sua sposa, canzone che non può ovviamente tener conto delle dinamiche sociali messe in campo dal marxismo (e non solo da quello) laddove questo individua nella guerra, la lotta costante tra classi sociali, tra potenti e poveracci, tra sfruttati e sfruttatori (analisi peraltro applicabile ad ogni tipo di guerra come sottolinea Claudio Pavone nel bel saggio Una guerra civile, utilizzando gli stessi strumenti anche nella sua monumentale storia della guerra di Liberazione e della resistenza partigiana).

In Italia, in particolar modo, la comparazione tra canto politico e canto folclorico segue logiche molto peculiari, e oltretutto è enormemente influenzata (particolare che Miscio sembra dimenticare) dal passaggio storico da una lingua dialettale diffusissima fino alla fine dell’ottocento all’italiano come lingua che con l’unità d’Italia tende timidamente ad espandersi coinvolgendo autori e cantastorie di paese che, per superare l’ostacolo dell’idioma zonale, cominciano a comporre versi in italiano. Peraltro molto spesso la canzone dialettale stessa vive contaminazioni linguistiche dettate da ponti di collegamento geografico dovute a motivi commerciali ed economici che plasmano l’idioma dialettale utilizzato nella composizione delle canzoni. Mi spiego meglio. Se, ad esempio in quel di Pavia o Alessandria, o Genova, o Milano si parlava un dialetto locale molto specifico, le canzoni composte in tutto questo territorio, sorta di koine geografica, erano invece scritte con in un idioma complesso, omnicomprensivo, direi una vera contaminazione culturale tesa a consentirne una diffusione massima in un ambito geografico tanto coinvolto da interessi anche economici comuni, tanto che le canzoni diventavano una sorta di esperanto universalmente diffuso in quello specifico territorio del tutto indipendente dai limiti imposti dalle divisioni cartografiche ufficiali. Gruppi come La ciapa rousa di Maurizio Martinotti o i Baraban di Aurelio Citelli hanno lavorato molto su queste contaminazioni, operando soprattutto in zone specifiche del Nord Italia, scoprendo interessanti stili e topos culturali comuni che spaziano dall’occitano al ligure passando per il lombardo e il piemontese. La canzone politica italiana, di fatto, nasce con il canto anarchico composto in italiano, con Pietro Gori e suoi anarchici scacciati senza colpa dall’Elvetico governo che schiavo d’altrui si rende, o dal lamento per la morte di Sante Caserio o per gli uccisi dal piombo fatal del “feroce monarchico Bava” (canzone sulla cui falsariga verrà scritto nel 1969, l’apocrifa ballata del Pinelli). I testi anarchici possono apparire datati, ingenui nella loro roboante ed aulica retorica, ma è indubitabile che, al pari dei loro coevi testi francesi posseggano una dignità assolutamente vigorosa, influenzando i bellissimi versi di quelle canzoni per nulla patriottarde che, pochi anni dopo, anziche’ inneggiare a Piavi mormoranti il 24 maggio, (e anche qui si tratta di canto politico), condannavano i Savoia in fuoco e mitragliatrici (“Fuoco e mitragliatrici/lo senti il cannone che spara/per conquistar la trincea/Savoia! Si va), o sbeffeggiavano Cadorna (E il general Cadorna l’è un figlio di puttana) oppure condannavano nella nota “Gorizia tu sei maledetta“, gli ufficiali che “se ne stanno sui letti di lana” mentre “qui si crepa gridando assassini, maledetti sarete un di’".

Furono i Cantacronache, a metà anni 50 a riscoprire questo patrimonio culturale, di fatto boicottato a lungo da un sistema che cantava di casette in Canadà, e a quell’esperienza, sfociata poi nel Bella Ciao del 1961, aderirono intellettuali dell’area torinese di gran vaglia e prestigio; da Umberto Eco a Italo Calvino (Dove vola l’avvoltoio), da Fausto Amodei (Per i morti di Reggio Emilia) a Sergio Liberovici, da Margherita Galante Garrone a Michele Straniero. Quel canto politico può apparire oggi tremendamente datato, superato, ma ragionando allora secondo i parametri dell’anacronisticità dovremmo allora buttare a bagno tutta la produzione artistica rinascimentale, dal Beato Angelico a Masaccio, da Piero della Francesca a Botticelli, tremendamente datati con le loro pale d’altare e i loro supplizi di San Sebastiano!!!

Infine un’ultima obiezione di metodo; stabilire secondo parametri aristotelici una partizione così netta tra canto politico e canzone popolare, è decisamente arbitrario; Miscio, con astuzia argomentativa….. cita l’esecrabile Pete Seeger, dimenticando che compagno di merende di questo grande interprete della folk song americana fu un certo Woody Guthrie le cui "Dust Bowl ballads" rappresentano ancora un vertice assoluto della folk-protest-political song americana. Val la pena ricordare peraltro che questo maledetto comunista, fu anche autore di splendide fiabe per bambini.

Un saluto a tutti i Farmers, Giuseppe Enrico Bianchi


Complimenti professore! Le sue argomentazioni brillantemente motivate sono impegnative da seguire sul piano della completa comprensione (bisognerebbe conoscere a fondo la storia delle canzoni di guerra e quelle folcloristiche, di come e dove sono nate e perchè. A volte succede come la storia del famosissimo "Adagio di Albinoni" che di Albinoni non ha nemmeno l'ombra. L'Adagio in sol minore (Mi 26), noto anche con la denominazione errata "Adagio di Albinoni", è una composizione musicale realizzata e pubblicata nel 1958 dal musicologo Remo Giazotto. Giazotto dichiarò di aver "ricostruito" il presunto Adagio sulla base di una serie di frammenti di Tomaso Albinoni che sarebbero stati ritrovati tra le macerie della biblioteca di Stato di Dresda – l'unica biblioteca a possedere partiture autografe albinoniane – in seguito al bombardamento della città avvenuto durante la seconda guerra mondiale. I frammenti sarebbero stati parte di un movimento lento di sonata (o di concerto) in sol minore per archi e organo, di cui purtroppo mai si sono avute certezze concrete. In verità, a partire dal 1998, anno della morte di Remo Giazotto, l'Adagio si è rivelato un lavoro interamente originale di Giazotto, giacché nessun frammento di notazione è stato trovato in possesso della Biblioteca Nazionale Sassone. Altro esempio può essere quello del celeberimo "Bolero" di Ravel che nella sua forma originale era di una noia mortale a causa della lentezza del tempo che non permetteva al pezzo di decollare, dovette attendere il genio di Arturo Toscanini che ne raddoppiò la velocità facendolo diventare un successo a livello mondiale. Queste storie, note a pochissimi, servono a dimostrare che il proverbio "Non è tutto oro quello che luccica" è dannatamente vero, ed anche noi a volte ci lasciamo suggestionare da parole e sentimenti, come succede nel caso delle più famose poesie e delle più famose canzoni. A volte una poesia o una canzone rappresentano, o hanno rappresentato, un momento importante o di svolta che ha segnato o cambiato la nostra vita e che ci ha fatto immedesimare come se fossimo noi i veri soggetti di quelle storie. Nascono così e si tramandano nel tempo i miti di uomini normali che assurgono a stato di mito o leggenda perche le loro poesie o le loro canzoni, specialmente dopo l'avvento della radio, hanno avuto la possibilità di avere una diffusione mondiale e di essere ascoltate o lette da milioni di persone. Se parliamo di poesie come possiamo ignorare la profonda tristezza ed il profondo amore per la vita del pessimista Giacomo Leopardi che ci fa naufragar con lui nel mare dell'immensità del suo pensiero. Ma Leopardi è solo un esempio tra tutti quelli che hanno scritto parole immortali, un esempio fra i più noti, senza nulla togliere a Manzoni, Carducci, Pascoli e all' immenso genio di Dante. Lo stesso discorso è valido nel mondo della canzone, alcuni parolieri hanno scritto versi che tutti conoscono a memoria meglio delle liriche dei grandi poeti passati. Come non andare con la mente a Mogol che ha fatto diventare celebre la musica di Battisti che è diventata la colonna sonora della vita di moltissimi italiani, Mogol che tira il gruppo di altri cantastorie di importanza nazionale come De Andrè, De Gregori, Bubola e Guccini. Stesso discorso per John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, David Bowie, Roger Waters, Freddy Mercury fino al più grande di tutti, cioè il nostro Bob Dylan. Ognuno di noi ha nel suo animo e nella sua mente "la canzone" alla quale è attaccato in modo viscerale, e tutti gli artisti che sono stati citati, ognuno con la sua grandezza ed importanza, ci hanno lasciato qualcosa che noi non dimenticheremo e che sarà perpetuato da quelli che verranno dopo di noi. Sembrano cose da vecchi nostalgici, ma sono cose reali con una grande importanza, forse molto personali ma comprensibili da tutti e soprattutto sostenute da valide ragioni sociali e culturali. Credo che nessuno di noi sarebbe capace di naufragar nel mare di Facebook o di Twitter, grandissime intuizioni rese possibili dalla tecnologia ma usate con la peggiore delle banalità umane, e forse anche questa è la chiave del loro succeso. Perlomeno su queste pagine è impossibile leggere sciocchezze del genere, forse a volte calchiamo un pò la mano nel cercare di sostenere le nostre opinioni con parole ed esempi non facili da comprendere, ma almeno c'è sempre qualcosa da imparare, e questo mi sembra altamente positivo. La ringrazio per la sua bellissima dissertazione e la saluto col massimo rispetto, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Lunedì 14 Gennaio 2019

Talkin' 10638 - cerutti.andrea70

Carissimo Mr.Tambourine,
grazie per il riassunto dei travagli di Street Legal, informazioni sempre preziose. Oggi ho pensato brevemente a "No time to think" che esprime chiaramente una empasse sulla direzione da prendere, che porterà alla trilogia cristiana come via di sbocco (non direi di fuga). La canzone pone in luce come ogni via filosofica, sessuale, ogni speculazione di pensiero abbia il suo limite, la sua noia, le sue domande senza risposta, con l'aggravante dell' assenza di tempo, di poter ragionare. Una impossibilità contingente, ma anche assoluta. È una canzone in cui chiunque può ritrovarsi, sarebbe anzi doveroso ritrovarsi: le grandi certezze teoriche mal si sposano con le donne e gli uomini di valore.
Oggi stavo ascoltando It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding). L' ho sviscerata un po' tutta in questi ultimi anni con l'aiuto anche delle note di Alessandro Carrera, la trovo una ballata\canzone sublime. A me piace nella versione di "Before the Flood" alla Los Angeles Arena. Mi fa venire i brividi quando la ascolto è sempre come la prima volta. Mette sotto la lente i primi anni del consumismo idiota, c'è la chiamata alle armi per il Vietnam, la creazione pubblicitaria dell'uomo che può diventare supereore, riuscire in quel che si vuole. Una straorinaria panoramica degli States di allora che rimane eterna, una ballata viva ancor oggi, viva oggi più che mai nelle nostre strade, "America di terza mano) come defini' bene le nostre strade Francesco Guccini.
Quell'aria da fine dei tempi che cala subito sulla scena della canzone, tu che puoi vincere quello che non è stato mai vinto, l'America retorica e puritana, guerrafondaia, dove alla fin fine è tutto futile. Ne fa da contraltare chi canta e fa capire che poi nella vita di tutti i giorni non è proprio così tutto scintillante e facile come i luoghi comuni vorrebbero fare intendere. Una canzone esistenziale e sociale dove ancora una volta la critica e contestazione non arriva per via politica, ma per via trascendentale, biblica per essere sintetici.
Quando termina la canzone pare che la Los Angeles Arena debba crollare da un momento all'altro tanta è stata forte la tensione del pezzo, tanto sono forti gli applausi. Strepitoso!
Non posso che salutare e tornare in cantina.
Ciao!!! Johnny in the basement.

Ciao Johnny, permettimi di complimentarmi con te perchè mi sembra che le tue osservazioni abbiano centrato il bersaglio. Le problematiche di Street legal si possono ricondurre a qualcosa che mette la parola fine ad una meravigliosa storia d'amore, la storia di Dylan e Sara, a completamento di tutto un discorso ch’era cominciato con Blood on the Tracks ed era proseguito per diversi anni, con Desire, Hard Rain e col film Renaldo & Clara. In questo senso Street Legal chiude il discorso sulla “fine dell’amore” , ma si pone anche come il seguito di Blonde on Blonde, per il suo cinico e antiromantico indagare sulla possibilità di un autentico rapporto uomo-donna, e in questo caso già il fatto di aver utilizzato come titolo un’espressione slang è indicativo.
Il linguaggio di Dylan in questo disco è quello di un visionario come non lo si vedeva da anni, metafisicamente sospeso sulle verità della vita con lucida follia. Lo accomuna però nella scelta musicale un persistente richiamo alla black music del momento. Infatti il disco è ricco di venature blues e soul, arricchito dell’apporto di fiati e cori in gran quantità. Questo certo per una esigenza personale, nell’ambizione di conquistare come artisti, dei territori fino ad allora inesplorati. Ma anche forse il semplice tentativo di mantenersi al passo coi tempi, di non lasciarsi superare da un mercato discografico, che già lo stava additando come un eroe superato dalle mode dopo il massacro della critica e dei giornali in seguito al fiasco di Renaldo & Clara.
Due temi base si affrontano in quest'opera, e sono i soliti: il caos, l'incomprensibilità delle cose e l'amore, ma l'ottica sta cambiando. Dylan ripensa ai sedici anni della sua attività in termini elusivi, sfuggenti, pensa alla possibilità di un «cambio della guardia» (Changing of the Guards) ma non si spiega, o non vuole spiegarsi chiaramente. Solo su una cosa è chiaro, e cioè che niente è chiaro, niente può essere detto nè deciso. No time to think è una testimonianza di totale impotenza interpretativa: le ideologie e le scelte possibili si affollano senza ordine e senza gerarchia, e scegliere è totalmente arbitrario a meno che, come nella vecchia I shall be Released, la verità non venga dall'esterno. Dall'amore non c'è più da aspettarsi molto. Da questo punto di vista Street-Legal è l'album meno sentimentale di Dylan. L' amore vi ha preso una consistenza tutta prosaica. In Is Your Love In Vain? Dylan chiede senza mezzi termini alla donna se sa cucinare e badare alla casa, perchè la loro vita sarà fatta anche di quello. Le canzoni più generiche, che qui più che altrove sembrano messe apposta per riempire un album che sarebbe completo anche con tre brani in meno, sono anch' esse prive di drammaticità e di sentimentalismo: sono delle semplici schermaglie tra fidanzati. Solo in Senor la donna torna a farsi inquietante, ma non è la sua presenza bensì la sua assenza, che rende intollerabile l'attesa al protagonista, in un luogo che per lui è straniero. Dylan sembra così aver completamente esaurito tutte le sue tematiche: finite tutte le utopie, da quelle sociali a quelle personali, finita la possibilità di trasformare l'accettazione del caos in forza positiva, in rinnovamento vitale. Ma il disco rappresenta solo un momento dell'evoluzione dylaniana, dell'artista che in seguito cambierà molte altre pelli, l'artista che ogni volta rinasce dopo essersi sentito morto, proprio come la Fenice, post fata resurgo / dopo la morte torno ad alzarmi, che è il motto del mitico uccello. Come diceva Goethe "Le nostre passioni sono vere e proprie fenici. Come la vecchia è bruciata, subito la nuova esce dalle ceneri". Lo diceva anche Metastasio "La fede degli amanti è come l’Araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa". Dylan si è rigenerato così tante volte che la sua immagine può essere tranquillamente accostata e fusa con quella della Fenice, in fondo anche Bob è diventato una cosa mitologica! Alla prossima uscita dalla cantina, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Talkin' 10637 - dinve56

Oggetto: Clydie King

Grazie degli ulteriori approfondimenti su "Street Legal". Ho apprezzato molto anche le spiegazioni linguistiche sul significato del titolo... qui, su ogni album di Dylan, si può scrivere un trattato! Voglio esprimere un mio commosso pensiero a Clydie King che ha lasciato questo mondo. I video di "Trouble no more" che ho avuto occasione di vedere mi hanno mostrato un artista accattivante e quelli in cui canta con Bob mi hanno reso evidente che tra loro c'era un legame umano e professionale intenso e bello, confermato dalle parole che Dylan ha reso alla rivista "Rolling Stone" il 10 gennaio :" She was my ultimate singing partner. No one ever came close. We were two soulmates". Che sia lei ad aver ispirato "Precious Angel" e "Covenant Woman"? Alla prossima. Lunga Vita! Carla

E' molto probabile che Clydie sia stata l'ispirazione per queste due canzoni, fra loro c'era complicità ed amore, qualcuno parlò anche di un figlio, d'altronde la sterzata violenta di Dylan doveva avere una motivazione che ne spiegasse almeno la ragione. Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Sabato 12 Gennaio 2019

Talkin' 10636 - miscio.tux

Mr. Tambourine,
sì, sono ancora Miscio. Non mi maledicano i Farmers, se abuso di Maggie’s Farm, ma in questi solitari giorni di festa ho provato nostalgia. Mi scuso per i toni incivili del mio ultimo messaggio, ma, modestia a parte, devo dire che la mia mail era proprio bella e, rileggendola, mi ha veramente fatto ridere; soprattutto la battuta gnoseologica, ma anche l’articolo di Aranzulla, l’insidia e la locanda. Sì, sì: davvero molto ridere, anche più degli interventi del sopravvalutatissimo Sir Eglamore che a volte, diciamolo, risulta proprio noioso e indigesto.
Mi sono un po’ perso nel groviglio delle mail apocrife, ma immagino che Eglamore sia ancora sdegnato per il plagio subito, oltre che per la nostra abissale ignoranza folclorica e per la cena mancata, pertanto provo io a rispondere al prof. Bianchi.

Credo che Eglamore abbia molto apprezzato la citazione di Croce, delle cui parole ha probabilmente qualche sfocato e mitico ricordo liceale che sicuramente, malgrado l’entusiasmo iniziale, non si è mai preso la briga di approfondire. Per il resto, se lo conosco bene, immagino sia piuttosto scettico. A parte il "potlach" dei baffuti e oceanici mangiatori di salmone (un indiano coi baffi è una vera aberrazione), popolazioni barbariche, appiedate e sterminabili, che per lui sicuramente stanno ai Sioux e agli Cheyenne come i Frigi stavano agli Ateniesi, credo che le sue perplessità maggiori vertano sulla questione dell’impegno politico nel folk.
Io temo che il solo pronunciare l’aggettivo “politico” causi a Eglamore crisi di tremito e di sudatio ansiosa, tanto che più verde dell’erba mi diventa. Per lui quello dell’impegno politico è un bacio avvelenato, qualsiasi prodotto artistico che, per ingenuità del suo creatore, venga a contatto con la contemporaneità nasce morto. Questo almeno è ciò che probabilmente pensa Eglamore. Dylan, anche nei momenti a maggior rischio di contagio (il 1963), con grande lucidità ha saputo tenersi su un livello lirico e impalpabile, così Hattie Carrol non è la sottoproletaria di colore sfruttata dalla borghesia latifondista del Maryland ma un paradigma universale di sofferenza e ingiustizia; Hard Rain non è pioggia radioattiva ma solo un indefinito presagio di tempi funesti. Prendiamo Eric Andersen, il meno politicizzato fra i giovani folksingers degli anni ’60, guarda caso è l’unico ancora vitale e credibile; in realtà dubito che l’Eric Andersen attuale piaccia a Eglamore, ma non ho dubbi che lo strumentalizzerebbe pur di prevalere dialetticamente.

Ma parliamo di musica tradizionale, anche in questo caso il collegamento ai fatti della contemporaneità è mortifero. Nel mondo della musica tradizionale vige una pratica: prendere una melodia preesistente e accostarla a un testo inedito per farne una canzone nuova. E’ un po’ quello che fanno gli ultras negli stadi con i loro inni barbarici, ed è quello che generalmente fa l’autore anonimo di canzoni folk politicizzate. The Foggy Dew ne è il tipico esempio: una meravigliosa e antica lirica d’amore irlandese eclissata da un celeberrimo canto indipendentista del 1916 (che probabilmente Eglamore a malincuore ammette non essere del tutto disprezzabile). Basta confrontarne le strofe finali per intuire la siderale distanza che le separa.
Originale:
A-down the hill I went at morn,
A-singing I did go,
A-down the hill I went at morn,
She answered soft and low,
"Yes! I wil be your own dear bride
And I know that you'll be true,"
Then sighed in my arms, and all her charms
Were hid in the foggy dew.

Parodia:
Ah, back through the glen I rode again
and my heart with grief was sore
For I parted then with valiant men
whom I never shall see more
But to and fro in my dreams I go
and I'd kneel and pray for you,
For slavery fled, O glorious dead,
When you fell in the foggy dew.

Anche Bella Ciao (Eglamore probabilmente la ritiene un’orribile patacca) ha un’origine simile anche se un po’ più intricata: mai cantata realmente dai partigiani, diventa un inno alla Resistenza nel dopoguerra; Giovanna Daffini ne individua l’origine in un canto delle mondine che si rivela invece apocrifo e addirittura successivo alla versione pseudo partigiana, una patacca della patacca. Bella Ciao è in realtà una storpiatura della ballata Fior di Tomba (Costantino Nigra 19). E si arriva sempre lì, alla rosa che avvolge il rovo, alla ballata epico narrativa, al Nigra e alle Child. La ballata è origine, apice e codice di tutta la musica tradizionale nordeuropea.

Ma proviamo anche ad ascoltare questi due canti popolari del centro Italia, due brani scelti a caso che certamente Eglamore conoscerà, una ballata antica e un canto politico degli anni ‘20:

IL MARITO GIUSTIZIERE (Costantino Nigra 30)
https://youtu.be/FXKWx79R-nA 

IL LAMENTO DEL CONTADINO
https://youtu.be/fS12gYvHMBs 

anche in questo caso basta un semplice sguardo alle strofe finali per capire quanto il canto politico, volgare e grossolano, non possa competere con la nobiltà dei canti più antichi:

Prese la spada in mano
La testa le tagliò oilà trullallà
La testa dié ‘no sbalzo
in mezza la sala andò oilà trullallà
in mezzo la sala andò

Così success'a' mie' finali
e si sta peggio de' maiali,
e si lavora quant'e vvoi
e i maltrattati siamo sempre noi.

Basterebbe applicare il filtro dei duecento anni per sapere se una canzone tradizionale è bella. La politica poi è misera contingenza e dovrebbe girare alla larga dall’arte.

Nel 1966 Dylan disse al giornalista di Playboy Nat Hentoff: “La musica tradizionale è basata su esagrammi. Viene dalle leggende, dalla Bibbia, dalle pestilenze, si occupa di vegetali e di morte. Nessuno la può uccidere. Tutte quelle canzoni che parlano di rose che escono dal cervello della gente e di amanti che in realtà sono oche e cigni che si trasformano in angeli non moriranno mai. Sono solo quei paranoici che pensano sempre che qualcuno gli stia portando via la carta igienica (Ewan MacColl n.d.r.), loro moriranno di sicuro. Canzoni come Which Side Are You On? e I Loves You, Porgy non sono canzoni folk, sono canzoni politiche. Sono già morte. Ovviamente, non è che la morte sia universalmente accettata. Voglio dire, ci si dovrebbe aspettare che la gente che si occupa di musica tradizionale capisca, proprio dalle canzoni, che il mistero è un fatto, un fatto tradizionale. Io le ascolto, le vecchie ballate. Ma non andrei ad ascoltarle a una festa. Potrei dare un resoconto dettagliato dell'effetto che mi fanno, ma forse certa gente penserebbe che la mia immaginazione mi ha fatto dare di volta il cervello. Mi fa ridere sapere che c'è chi ha la faccia tosta di pensare che io abbia una sorta di immaginazione allucinata. È una cosa che mi deprime. Ma in ogni modo, la musica tradizionale è troppo irreale per morire. Non ha bisogno di essere protetta, nessuno le può fare del male. In quella musica c'è l'unica morte vera e di qualche valore che possa uscire da un giradischi oggi. Ma la gente cerca di possederla, come fa con qualunque cosa di cui c'è grande richiesta (stava per concludersi il boom del Folk Revival n.d.r.). Ha tutto a che fare con un'ossessione di purezza. Io credo invece che la mancanza di significato della musica tradizionale sia sacra. Lo sanno tutti che io non sono un folksinger”

Which Side Are You On? È quella che cantano sul Titanic di Desolation Row mentre sta affondando; la deve proprio odiare Dylan questa canzone; roba da Pete Seeger. Si tratta comunque di un’analisi di una lucidità micidiale, l’unica svista è quella di aver ritenuto che un giradischi potesse diffondere musica tradizionale ancora viva, ma il discorso va contestualizzato nella dura polemica sulla musica tradizionale e le sue degenerazioni commerciali che esisteva al tempo. A questo proposito risulta di estremo interesse questo graffiante articolo, suppongo datato 1965, di Ewan MacColl (marito di Peggy Seeger e colonna portante del Folk Revival anglo-americano) sul rapporto fra tradizione e nuove canzoni.






MacColl, a differenza di Eglamore, non nega la possibilità di comporre nuove canzoni, e infatti lo fa, ma solo a condizione di rispettare rigorosamente i canoni della tradizione, perpetuandola. Così, nel suo repertorio, una mole sterminata di preziosissime registrazioni di materiale tradizionale, che Eglamore immagino veneri più di ogni altra cosa al mondo, convive con un significativo corpus di brani originali, qualche volta convincenti, molto più spesso imbarazzanti e datati, soprattutto se di impronta politica.

https://youtu.be/fjzMWumVhV8 

Forse a metà anni ’60 il mistero di cui ci parla Dylan ancora aleggiava, malgrado la musica tradizionale agonizzasse da tempo, ma oggi possiamo dire che, nonostante gli sforzi encomiabili di migliaia di piccoli eroi del Folk Revival, anche quell’ultimo stelo sia definitivamente rinsecchito, come il fiore di Unquiet Grave: https://en.wikipedia.org/wiki/The_Unquiet_Grave

Di fronte a una tomba non ci si vuol rassegnare, ma purtroppo è così: l’unica dimensione immaginabile per la musica tradizionale è quella museale: i sepolcri, il ricordo, la nostalgia. Dylan e MacColl da punti di vista diametralmente opposti si sono illusi sulle prospettive della musica tradizionale. La tecnologia e il benessere hanno ucciso la musica folk e la cultura popolare, ma questo è successo molto prima del 1965. Comunque sempre meglio un museo che vivere il presente, quindi lunga vita ai giradischi. Ma il paradosso è che a cancellare la cultura popolare tanto amata dagli etnomusicologi marxisti siano stati i progressi sociali delle classi subalterne da loro auspicati. L’etnologo marxista è una contraddizione in termini. Notai, possidenti terrieri, vescovi si sarebbero potuti occupare con più credibilità della musica tradizionale. Come sia possibile che uno studioso auspichi la distruzione del materiale di ricerca su cui si sta applicando è cosa di cui Eglamore non si capacita e di cui chiede spiegazione al prof. Bianchi. Più o meno è questo ciò che penso Sir Eglamore pensi.

Saluti a tutti, Miscio

Carissimo e sempre "vile" Miscio, vedo che vuoi cominciare l'anno col botto, e sia! Le tue mail sono sempre dei "trattati" coi quali esprimi approvazione o disprezzo, naturalmente abbondantemente motivati, per qualcuno o per qualcosa. Io mi sposto di fianco e lascio la parola al prode Sir Eglamore ed allo stimatissimo Prof. Bianchi che meglio di me potranno dissertare sulle tue asserzioni. Invece per la cena mancata ho già detto che è stata una esigenza di salute che non mi ha permesso di muovermi questa estate, ma spero che prima o poi ci sia un altra occasione per rimediare al mancato incontro. Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Venerdì 11 Gennaio 2019

Talkin' 10635 - dinve56

Salve Mister,
apprezzo anch'io "Street Legal", che ascolto spesso. L'album è esaminato in modo molto approfondito da Wilfrid Mellers nel saggio "Dio, mondo e significato in alcune canzoni recenti di Bob Dylan" , in "Parole nel vento..." pp.95-106. L' Autore del saggio sostiene le molteplici influenze letterarie e religiose presenti nelle canzoni di "Street Legal", ed in particolare i "Canti d'innocenza e d'esperienza" di Blake e gli "Hymns ancient and modern", la più popolare raccolta degli inni religiosi della Chiesa d'Inghilterra, pubblicata per la prima volta nel 1861 e successivamente più volte rivista ed ampliata. Proprio di "Is your love in vain?", di cui l'Autore della talkin' 10631 (Johhny in the basement) ha parlato in modo molto ampio e in sintonia con quello che anch'io ho capito del significato della canzone, Mellers dice che ha una grandeur spirituale che le deriva non solo dalle parole, ma anche dall'influenza musicale dell'innodia bianca americana. Mellers ritiene infatti che il tono dominante della canzone di cui parliamo, così come di tutto l'album "Street legal", sia innodico, e che sia riscontrabile sia l'influenza dell'inno folk rurale che quella degli inni delle chiese bianche riformate. Il saggio dice anche molto altro, ma queste sono le considerazioni principali che mi hanno davvero sorpreso e interessato. Buon anno a te e a tutti gli amici farmers, lunga vita. Carla.

Ciao Carla,
possiamo dire che la ragione dell’allora insuccesso di Street Legal e delle recensioni di sapore negativo furono originate da uno dei difetti, se così vogliamo chiamarli, più evidenti da sempre nel modo di fare di Bob, e cioè quello di disintetressarsi del risultato del disco dopo la fatica della composizione e della registrazionre, affidando la produzione dei suoi album a persone che non sempre si sono rivelate all’altezza del compito loro affidato e qualche volta prese dalla loro esigenza di “contare qualcosa” esageravano nel mixaggio del disco finendo per farlo assomigliare a qualche altra cosa, come nel caso di Daniel Lanois e la sua mania di aggiungere sovrapposizioni di strumenti alle takes originali per creare il suo marchio di fabbrica, il “Wall of Sound”. Ecco che un album bello come "Street Legal" diventa così criticato ed incompreso per la leggerezza della produzione di Don De Vito, trascurata e quasi dilettantesca. I fiati, che erano uno dei punti di forza dell'album, scomparivano nella versione originale in vinile. Per fortuna tutto fu rivisto e corretto nella scintillante versione in CD uscita oltre vent'anni dopo.
Il disco fu per i tempi un deciso cambio di rotta musicale per Dylan, che utilizzò arrangiamenti maggiormente pop-rock, si avvalse della collaborazione di un nutrito gruppo di coriste, e virò decisamente verso la black music. Sin dal titolo, Street Legal è una dichiarazione di intenti: le "street illegal" erano, negli anni cinquanta, le macchinette per il gioco d'azzardo, ma "street legal", nel linguaggio di strada, stava a significare un "tipo giusto", un "figo", un "dritto". Inoltre "Street legal" erano anche i motori delle macchine truccati per avere prestazioni migliori, che, dopo aver superato il controllo della sicurezza stradale, diventano leciti e legali.
Alla sua uscita il disco venne accolto malamente da gran parte della critica statunitense, in particolare a causa delle pesanti accuse di maschilismo riferite ai testi delle canzoni, nello specifico, uno dei versi maggiormente incriminati si trova nel brano Is Your Love In Vain? dove Dylan canta versi come: «Sai cucinare, sai cucire, sai coltivare fiori?» (Can you cook and sew, make flowers grow?). Il giornalista Greil Marcus, arrivò a definire Dylan "un sultano che sta valutando la serva per il suo harem".
Nel 1999, Street Legal viene ripubblicato in versione completamente remixata e rimasterizzata dalllo stesso Don DeVito che probabilmente aveva capito il suo errore iniziale. La nuova versione, che possiede un sound più ricco e corregge numerose imprecisioni della produzione originale, è stata in seguito utilizzata per tutte le riedizioni successive.
Come per i precedenti album, ci furono registrazioni non utilizzate provate durante le sessioni per Street-Legal e non incluse nella versione definitiva del disco. Si tratta di tre brani scritti da Dylan in collaborazione con una delle sue coriste, Helena Springs. Eric Clapton registrò in seguito una versione di Walk Out In the Rain.
Coming From The Heart (The Road Is Long) - (Bob Dylan & Helena Springs)
Stop Now - (Bob Dylan & Helena Springs)
Walk Out In The Rain - (Bob Dylan & Helena Springs)
“Street legal” fu considerato una specie di strano oggetto. Quando uscì, nell’estate del 1978, i giornalisti inglesi lo apprezzarono mentre quelli americani lo criticarono, non entrò fra la top ten delle classifiche e nel tempo venne gradatamente dimenticato. E’ un disco che merita d’essere riascoltato e naturalmente rivalutato. Contiene l’essenza di Bob Dylan in studio di registrazione, la sua ricerca per un nuovo tipo di sound, genialità e macroscopici errori compresi. Riflette il periodo turbolento attraversato da Dylan dopo il divorzio da Sara. E’ il disco che si interpone come lavoro di transizione fra i lavori del passato e la trilogia religiosa.
In questo disco la distanza dal Dylan classico è palese, si è nel 1978 e gli arrangiamenti risentono dell’ influenza della musica soul che aveva invaso il mercato, lo testimoniano la presenza delle coriste, dei fiati e di tutto il resto. Artisticamente è un lavoro meno riuscito di tanti dischi precedenti, attenti però, in Street Legal c’è l’abbozzo della evoluzione musicale di Dylan da non sottovalutare.
Street Legal venne pubblicato nel 1978 e i testi sono ancora oggi tra i più complessi dell’opera omnia dylaniana. La successiva conversione al Cristianesimo conferma l’impressione iniziale, le sonorità soul di questo disco possono essere dovute proprio al fatto che Dylan stava iniziando un nuovo persorso spirituale. Alla fine del 1978 infatti Bob entrò a far parte del movimento dei Cristiani Rinati. Nei primi mesi del 1979 frequentò un corso di biblistica alla Vineyard School of Discipleship a Reseda, nel sud della California, e successivamente produsse i tre album della cosidetta trilogia cristiana, sound da musica gospel, il primo dei quali fu Slow Train Coming.
I due lati del disco presentavano livelli di registrazione audio diversi e la qualità del suono non era delle migliori a causa della cattiva qualità della registrazione che ovattava il suono di gran parte degli strumenti. Per fortuna vent’anni dopo, un pò tardi a dire il vero, il disco venne rimasterizzato e pubblicato in versione CD in modo che tutto potette essere rivalutato come meritava.
Mellers ha ragione nella sua critica, Street Legal è davvero "Grandeur" quasi da inno sacro.

Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Giovedì 10 Gennaio 2019

CLYDIE KING CI HA LASCIATO, R.I.P.

Clydie King (21 agosto 1943 - 7 gennaio 2019) è stata una cantante americana, meglio conosciuta per il suo lavoro di session come voce di supporto. Scoperta dal cantautore Richard Berry, la King iniziò la sua carriera discografica nel 1956 con “Little Clydie and The Teens”, prima di diventare membro delle Raelettes, le ragazze del coro di supporto di Ray Charles per tre anni ed aver contribuito alle registrazioni degli anni '60 del produttore Phil Spector. Ha registrato singoli da solista per Specialty Records, Kent Records ed altri. La King ha fornito la voce di supporto per gli Humble Pie, che ha avuto un grande successo negli Stati Uniti, e ha continuato a diventare un cantante di session a richiesta, ha lavorato con Venetta Fields e Sherlie Matthews e registrato con BB King, The Rolling Stones, Steely Dan, Barbra Streisand, Bob Dylan, Linda Ronstadt, Joe Cocker, Dickey Betts, Joe Walsh e molti altri. È stata membro di “The Blackberries with Fields e Matthews” e ha fatto la corista nel tour di Joe Cocker “Mad Dogs e Englishmen”, che è diventato poi un film di successo. Nel 1971 era stata inserita nell'album Gandarva di Beaver and Krause. Ha cantato la voce solista in "Walkin' by the River" gospel song ispirato al Vangelo. Insieme a Merry Clayton, ha cantato le parti vocali del successo dei Lynyrd Skynyrd "Sweet Home Alabama".
Clydie King fece parte delle coriste di Dylan alla fine degli anni '70. Ebbe con Bob una relazione. "Mi vengono i brividi solo a sentirla respirare...", disse di lei Dylan. Sembra che fossero giunti sul punto di sposarsi. Secondo alcuni ebbe un figlio da Bob. E' stata legata anche a Mick Jagger.

Bob Dylan And Clydie King "Abraham, Martin And John"

  

Anybody here seen my old friend Abraham?
Can you tell me where he's gone?
He freed a lot of people,
But the good die young,
Know I just turned around and he's gone.
(Qualcuno qui ha visto il mio vecchio amico Abramo?
Puoi dirmi dove è andato?
Ha liberato un sacco di gente,
Ma il buono muore giovane,
So che mi sono appena voltato e se n'è andato).

Anybody here seen my old friend John?
Can you tell me where he's gone?
He freed a lot of people,
But the good die young,
Know I just turned around and he's gone.
(Qualcuno qui ha visto il mio vecchio amico John?
Puoi dirmi dove è andato?
Ha liberato un sacco di gente,
Ma il buono muore giovane,
So che mi sono appena voltato e se n'è andato).

Anybody here seen my old friend Martin?
Can you tell me where he's gone?
He freed a lot of people,
But the good die young,
Know I just turned around and he's gone.
(Qualcuno qui ha visto il mio vecchio amico Martin?
Puoi dirmi dove è andato?
Ha liberato un sacco di gente,
Ma il buono muore giovane,
So che mi sono appena voltato e se n'è andato).

Didn't you love the things that they stood for?
Didn't they try to find some good for you and me?
we'll be free, free someday
I know, be one day.
(Non amavi le cose che rappresentavano?
Non hanno provato a trovare qualcosa di buono per te e me?
saremo liberi, un giorno o l'altro
Lo so, un giorno).

Anybody here seen my old friend Bobby?
Can you tell me where he's gone?
But I see ‘em walkin'
Up over the hill
Abraham and Martin and John
(Qualcuno qui ha visto il mio vecchio amico Bobby?
Puoi dirmi dove è andato?
Ma li vedo camminare
Su per la collina
Abraham e Martin e John)

 

 
Mercoledì 9 Gennaio 2019

Talkin' 10634 - calabriaminimum

Caro Mr.Tambourine,come va?
Ti invio, sperando possa interessare alla platea di Maggie's Farm la prima parte di un mio componimento ispirato e dedicato a Bob Dylan, che finalmente sono riuscito a scrivere, incalzato anche dalla notizia del film di Luca Guadagnino su "Blood on the tracks".

Eccoti il link:

https://www.intertwine.it/it/read/9RAVC4U1/ostaggio-della-tristezza

Un abbraccio a tutti gli amici della Farm dal solito,
Dario Twist of fate

Ciao carissimo Dario, è un piacere sentirti ogni tanto e vedere che non ti dimentichi della vecchia Fattoria ya ya ho! Come al solito sei sempre un mago con la penna! Grazie di cuore, alla prossima, Mr.Tambourine, :o)

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New York, N.Y. - Beacon Theatre, November 27, 2018

di Barry Gloffke

Cammino in una fredda sera di fine autunno a New York, col sorriso che mi va da un orecchio all'altro. Quattro di una serie di sette spettacoli al Beacon sono già nel mio carnet. Dal mio punto di vista, stasera, il concerto era vicino alla perfezione. La voce di Bob era nitida e chiara. Ha inchiodato quasi tutte le parole e non ne ha cambiate molte. Ha accentuato e punteggiato i suoi testi con note lunghe e brevi ringhi. Il suo modo di suonare il piano era sensazionale. La sua armonica era appassionata. Il gruppo dei cowboy era perfetto. C'è stata un'interazione fantasticatra fra tutti i musicisti. I rock hanno dondolato. Il blues era crudo. Le canzoni lente erano ipnotizzanti. Ogni canzone è stata eseguita con passione e grandezza. Anche PAY IN BLOOD era una tacca sopra le versioni degli spettacoli precedenti. Ci sono stati alcuni momenti caotici come in TRYIN 'TO GET TO HEAVEN quando a un certo punto sembrava che la canzone stesse per crollare, con un crescendo di chitarre, pianoforte e batteria che si suonavano uno sull’altro, solo per essere salvati da un rapido riff o un cambiamento nella struttura della melodia. Ci sono stati momenti esplosivi come la roccheggiante GOTTA SERVE SOMEBODY,sì, o il trambusto nella raucaTHUNDER ON THE MOUNTAIN, grande batteria di George! Ci sono stati momenti di grande prodezze musicali in CRY A WHILE e EARLY ROMAN KINGS. Ci sono stati minacciosi brontolii in SCARLET TOWN e LOVE SICK. E infine, c'erano teneri momenti come la resa squisitamente bella di WHEN I PAINT MY MASTERPIECE o la versione straziante di DON’T THINK TWICE. La tenerezza, la solitudine, la disperazione e la sfida...a volte in una canzone, a volte tutto all'interno di una frase... irreale! Questo è il motivo per cui continuo ad andare a questi spettacoli. La ciliegina sulla torta stasera è stata una spettacolare BLOWIN' IN THE WIND, eccezionale lavoro di pianoforte e armonica di Bob. Dolce!! Tanto di cappello a Bob ed ai cowboys. Ci vediamo giovedì.

 

 
Martedì 8 Gennaio 2019

Talkin' 10633 - cat1990

Ciao e buon 2019!
Ti mando due immagini in due mail separate, per alleggerire i messaggi.
Sono stato a Vienna il mese scorso. Il parlamento è in restauro e la fontana della copertina di TEMPEST è parzialmente coperta dalle impalcature per i lavori, ma i viennesi hanno comunque omaggiato Bob Dylan con un cartello. Purtroppo la qualità dell’immagine è scarsa.
Aurelio

La seconda foto è per segnalare l’uscita della rivista, che può essere un utile strumento propedeutico a chi si sta avvicinando all’universo dylaniano. Grazie per quello che fai.
Aurelio

Ti ringrazio Aurelio, non importa se la qualità è scarsa, la foto testimonia ugualmente il rispetto dei Viennesi per Bob e questo ci può solo far gioire! Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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New York, N.Y. - Beacon Theatre, November 26, 2018

di Barry Gloffke

Un piovoso lunedì sera a New York. “Metti la tua mano nella mia e vedrò di non farti bagnare”. Terza notte delle sette al Beacon Theatre per Bob. Per me, sono a metà strada della mia odissea dylaniana di 10 giorni e sto amando ogni secondo di essa. Stasera la band è stata spettacolare ... davvero un ottimo lavoro tutta la notte da parte di Charlie e Donnie. Interazione piacevole in diversi numeri tra Bob ed i suddetti. George è andato ben oltre il suo solito splendore ritmico e percussivo stasera (forse stava cercando di impressionare Ringo Starr che era tra il pubblico). La voce di Bob era un po' più roca dei precedenti quattro spettacoli che ho visto, ma ha comunque eseguito una forte performance con molti interludi appassionati e giocosi. Quello che mi piace davvero di questo tour attuale è l'uso favoloso della sua armonica. Questo tour sicuramente ne beneficia. Stasera l'esecuzione dell'armonica di Bob è stata brillante e piena di sentimento. Anche il pianoforte era buono, non c’è più quel fastidioso pling-plong coi tasti al quale Bob si era ostinatamente aggrappato. Ora sprigiona un più ampio e melodico suono.
Standouts stasera per me erano IT AIN'T ME BABY (Donnie eccellente). Una versione minacciosa e grezza di CRY A WHILE. Un'interpretazione assolutamente geniale di MASTERPIECE. SCARLET TOWN (atmosfera fantastica e Bob che ringhiava pavoneggiandosi). EARLY ROMAN KINGS (brutalmente intensa). DON’T THINK TWICE era semplicemente bella ... graziosa e struggente. Una versione paludosa di LOVE SICK e infine una esuberante GOTTA SERVE SOMEBODY. Un altro show ben solido. Complimenti a Bob e alla band. Non vedo l'ora di vedere Bob e i Bobcats di nuovo stasera!
PS. Laurette, spero che tu sia riuscita ad entrare per vedere lo spettacolo.

 

 

Lunedì 7 Gennaio 2019

Tour 2019, nuova data in Portogallo

01 Maggio 2019 - Porto, Portugal - Coliseu do Porto

Ecco l'elenco delle date aggiornato ad oggi:

31 Marzo 2019 - Dusseldorf, Germany - Mitsubishi Electric Halle

02 Aprile 2019 - Würzburg, Germany - s.Oliver Arena
04 Aprile 2019 - Berlin, Germany - Mercedes-Benz Arena
05 Aprile 2019 - Magdeburg, Germany - GETEC Arena
07 Aprile 2019 - Prague, Czech Republic - Lucerna Palace - Great Hall
08 Aprile 2019 - Prague, Czech Republic - Lucerna Palace - Great Hall
09 Aprile 2019 - Prague - Czech Republic - Lucerna Palace - Great Hall
11 Aprile 2019 - Paris, France - Grand Rex
12 Aprile 2019 - Paris, France - Grand Rex
13 Aprile 2019 - Paris, France - Grand Rex
16 Aprile 2019 - Vienna, Austria - Konzerthaus
17 Aprile 2019 - Vienna, Austria - Konzerthaus
19 Aprile 2019 - Innsbruck, Austria - Olympiahalle
20 Aprile 2019 - Augsburg, Germany - Schwabenhalle
22 Aprile 2019 - Locarno, Switzerland - Palexpo Locarno
25 Aprile 2019 - Pamplona, Spain - Navarra Arena
26 Aprile 2019 - Bilbao, Spain - Bilbao Exhibition Centre
28 Aprile 2019 - Gijón, Spain - Sports Palace President Adolfo Suárez
29 Aprile 2019 - Santiago de Compostela, Spain - Pavillón Multiusos Fontes do Sar

01 Maggio 2019 - Porto, Portugal - Coliseu do Porto
03 Maggio 2019 - Seville, Spain - Fibes Auditorium
04 Maggio 2019 - Malaga, Spain - Marenostrum Castle Park
05 Maggio 2019 - Murcia, Spain - Plaza de Toros
07 Maggio 2019 - Valencia, Spain - Plaza de Toros de Valencia

21 Giugno 2019 - Bergen, Norway - Koengen
24 Giugno 2019 - Helsinki, Finland - Hartwall Arena
26 Giugno 2019 - Stockholm, Sweden - Ericsson Globe
28 Giugno 2019 - Gothenberg, Sweden - Scandinavium
29 Giugno 2019 - Oslo, Norway - Spektrum

05 Luglio 2019 - Hamburg, Germany - Barclaycard Arena
06 Luglio 2019 - Braunschweig, Germany - Volkswagen Halle
07 Luglio 2019 - Mainz, Germany - Volkspark
09 Luglio 2019 - Erfurt, Germany - Messehalle
10 Luglio 2019 - Stuttgart, Germany - Jazzopen
12 Luglio 2019 - London, England - BST Hyde Park
14 Luglio 2019 - Kilkenny, Ireland - Nowlan Park

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New York, N.Y. - Beacon Theatre, November 24, 2018

di Laurette Maillet

Il primo spettacolo al Beacon era stata solo una prova generale. E' stato solo l’occasione per stabilirmi a New York per 10 giorni. Il primo show era stata una prova generale per Bob e il suo gruppo. Non del tutto, però, visto che sono in circolazione da molto tempo, in questa formazione dal 4 ottobre Phoenix. Ma il teatro Beacon è casa per loro: un teatro piccolo e confortevole, splendidamente decorato in rosso e oro, vicino a Central Park. Bob e la sua band vi hanno suonato 5 spettacoli l'anno scorso. Qust’anno ben 7 spettacoli. Ed eccomi qui, ancora una volta a New York. Mi siedo comodamente per il secondo show. Conosco la routine, il palco è chiuso da una tenda rossa e non ci saranno sorprese o ingressi spettacolari. Ecco che suonano la solita musica come intro. Il sipario si alza e tutti sono al loro posto. Conosco la set list e non ci saranno cambiamenti. Io non vengo a vedere lo spettacoilo per avere una sorpresa, non ho aspettative del genere. Ciò che deve essere sarà, il pubblico è rispettoso e caloroso. Le canzoni "classiche" sono immediatamente riconosciute e "Like a rolling stone" è cantaao insieme a gran parte del pubblico .... io e i miei vicini. "Don’t think twice" è letteralmente mozzafiato. George ha lasciato il palco perchè non usa la batteria in questa canzone. Tony, Charlie e Donnie stanno solo aggiungendo un tocco di ritmo al piano di Bobby. Il teatro è improvvisamente tutto tranquillo. Noi siamo tutti sospesi al fraseggio di Bob. Come può farlo? Fa cantare a tutti "Like a rolling stone" e improvvisamente tutto tace! Bob è "vivo"; chiaro e forte con i testi, aggiungendo un po' di fantasia, qua e là, e questo porta un sorriso sul volto di Tony. Mi dispiace che lui non faccia più “Love sick” al centro del palco. 19 canzoni sono al pianoforte, in piedi o seduto, ad eccezione di "Scarlet town". La teatralità c’è direi; torsioni del corpo e movimento delle mani in aria. Mostra un Bob Dylan magro e in forma a 77 anni. Mi sento come se fossi nel mio salotto con un mucchio diamici che si divertono molto. Il suono è perfetto, al limite forte in "Thunder on the mountain". Non posso abbassare il volume ... Non mi preoccupo, visto che la prossima "Soon after midnight" è dolce e calma. "Gotta serve somebody" è cantata anche da alcune persone dietro di me. Non so se loro hanno capito che i testi sono strani! Mi alzo non appena Bob si muove al centro della scena. È il suo primo saluto. Tornerà per un "tutti insieme All along the watchtower" in stile reggae. "Blowin’ in the wind" è un inno alla fratellanza. Mi sento come se stessi facendo una catena di mani con i miei vicini... sarebbe troppo! Mi alzo in piedi. Tutti sembrano essere soddisfatti quando Bob finalmente china la testa e il sipario cala. Bene, notte Bobby. A presto.

 

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