Auguro a tutti gli amici
della Fattoria di passare
le feste natalizie e di capodanno nel miglior
modo possibile, in pace, serenità e tranquillità.
Ci aggiorniamo a dopo l’Epifania!
De Gregori e il compleanno di Santa
Lucia
clicca qui
Mercoledì 22 Dicembre 2021
Good as I been to You | World Gone Wrong (1992-1993)
Per analizzare in modo strutturato gli
album folk e tradizionali pubblicati da Bob Dylan durante i primi anni
novanta bisogna fare prima qualche passo indietro. Per una maggiore
comprensione della sua vicenda artistica, della scena musicale
turbolenta e fertile, di quel decennio appena iniziato, ma che già aveva
mostrato vento di cambiamento. In effetti c'era stato più di uno squillo
da parte delle nuove leve musicali e di una generazione che si sarebbe
presa con autorevolezza le luci della ribalta.
Bisogna partire proprio da quel programma televisivo di enorme successo
e impatto che fu appunto l'Unplugged, ma anche lo stesso palinsesto di
MTV potrebbe aiutarci a compiere una ricognizione efficace e polifonica.
Dire che Bob Dylan alla soglia del nuovo millennio era un artista senza
più molto da dire è un luogo comune da sfatare con ogni mezzo, legale e
illegale. Stiamo parlando di un autore e di un interprete che aveva
influenzato almeno una generazione di autori ora maturi e imposti sul
mercato discografico, i cui prodotti di grandissima qualità erano
destinati a durare nel tempo. Si pensi ad esempio a gente come Tom
Petty, che raccolse proprio a cavallo tra gli anni ottanta e i novanta
il testimone, così come lo stesso Bruce Springsteen, Tom Waits, ma anche
i Pearl Jam e in special modo Eddie Vedder, proprio come Bono Vox degli
U2. Gli U2 nel 1988 resero omaggio alla musica statunitense che li aveva
ispirati, nella loro lunga cavalcata verso il successo planetario. Senza
soffermarsi troppo sul singolo artista, band o chitarrista, il lascito
di Dylan era evidente e influente. Basti citare un singolo successo dei
Guns ‘N’ Roses come la rilettura di Knockin' on Heaven's Door, brano che
porta la formazione capitanata da Slash e da Axl Rose ai vertici delle
classifiche e dei gradimenti di un pubblico stratificato ed eterogeneo.
Eppure Bob Dylan non veniva certo da un decennio facile e ricco di
successi e gratificazioni discografiche. È vero che aveva prodotto e
pubblicato durante gli anni ottanta due dei suoi album migliori e di
maggior successo come Infidels del 1983 prodotto da Mark Knopfler dei
Dire Straits (altra band profondamente ispirata e in debito nei
confronti di His Bobness) e soprattutto il più recente successo di Oh,
Mercy prodotto stavolta dal mago del suono (U2, Robbie Robertson, Peter
Gabriel) Daniel Lanois. Il polistrumentista canadese aveva infatti
stravolto e modernizzato gli arrangiamenti delle canzoni di Dylan,
aiutandolo e dirigendolo verso una nuova visione di consapevolezza e di
brillantezza essenziale del sound. Dylan negli anni ottanta sembrava
sempre più perso e arroccato sulle proprie convinzioni. A detta della
critica non era altro che un ferro vecchio del rock e del folk. Nessuno
acquistava e ascoltava più la sua musica, in un decennio dove il
concetto fatalista dell'usa e getta aveva preso il sopravvento. Del
resto fu un decennio per niente facile per le vecchie glorie della
musica d'autore, come possiamo vedere dando uno sguardo ad artisti come
lo stesso Neil Young, Van Morrison e altri. In particolare però Dylan
era colpevole di un delitto capitale: aveva pubblicato almeno due album
nella seconda metà degli anni ottanta che la critica e il pubblico aveva
salutato come i suoi peggiori lavori dai tempi di Self Portrait. Come
sempre la storia e il tempo sono galantuomini, ma anche tra il suo
zoccolo duro di sostenitori questi dischi non erano affatto piaciuti.
La resurrezione però ancora una volta è dietro l'angolo. Proprio
nell'anno peggiore, quello in cui diede alla stampe il fiacco Down in
the Groove, dove anche i critici e il pubblico più affezionato salva
forse 2-3 canzoni, come la pimpante e allegra "Silvio", Dylan torna alla
luce e lo fa con quello che gli riesce meglio da quando si è imposto nei
circuiti folk newyorkesi dei primi anni sessanta: torna a esibirsi dal
vivo con una certa continuità e autorevolezza. Non che prima fosse
fermo, anzi, era reduce da almeno due tour con band che rispondono ai
nomi di Tom Petty and the Heartbreakers e dei Grateful Dead di Jerry
Garcia. Circola in questo periodo un bel live su Youtube di un Dylan in
spolvero che divide il palco con Garcia & Co. Oh, Mercy e in parte Under
the Red Sky, il sequel del 1990, bilanciano quindi gli insuccessi di
Knocked Out Loaded e di Down in the Groove, ma c'è un problema. E non è
affatto un dettaglio da poco. A Dylan, autore tra i più imponenti degli
ultimi 25-30 anni mancano ora le canzoni, o meglio i pezzi giusti per
restare a galla, vendere qualche disco e continuare a esibirsi in
concerti e festival.
A questo punto l'idea appare chiara. Un ritorno alle origini di
menestrello e di folksinger. Del resto non era forse lui il Wonder Boy
degli anni sessanta, il principe della scena newyorkese che si impose al
pubblico e convinse il grande talent scout John Hammond a metterlo sotto
contratto con la Columbia Records? Era lui e ogni tanto forse gli piace
ricordarselo. Con questi due album che non contengono nessun brano
autografo, ma che si avvalgono di nuovi e squillanti arrangiamenti, Bob
Dylan torna alle atmosfere pacate e acustiche dei suoi esordi. I dischi
forse non sono dei capolavori, ma basta ascoltare anche solo i brani
scartati, gli outtakes che verranno pubblicate nel tempo per stabilire
le giuste gerarchie su chi sia ancora una volta il principe e il maggior
interprete della scena folk e tradizionale Made in Usa. Basta ascoltare
il brano Mary and the Soldier contenuta nel Bootleg Series Vol. 8 - Tell
Tale Signs per capire chi resta uno degli interpreti più efficaci in
termini di Contemporary folk music. Oppure per chi non concepisce e non
digerisce i dischi dedicati al Great American Songbook, consiglierei di
recuperare la sua versione di You Belong to me, la classica ballata
romantica, portata al successo da Ella Fitzgerald, Patti Page e Dean
Martin. Il brano eseguito da Bob Dylan e presente nella colonna sonora
del film di Oliver Stone è una outtakes di Good as I Beene to You del
1992. Oggi, a distanza di quasi 30 anni, possiamo facilmente affermare
come World Gone Wrong e appunto il sopra citato Good as I Beene to You
siano qualcosa in più che esercizi di stile o dischi di livello
accettabile. Sono una testimonianza di un artista che decide quale
strada seguire, contro i propri interessi commerciali, contro quello che
le radio e il sistema discografico imponeva. C'è chi in quegli anni si
era permesso il lusso di "consigliare" a Dylan di ritirarsi. Bene, a
distanza di 29 anni Dylan continua a fare la sua musica per il suo
pubblico, senza compromessi e senza bisogno di chiedere permesso e scusa
a nessuno.
A questo punto vi pongo la domanda che Soffia nel Web: chi era il vero
artista grunge negli anni ‘90?
Ciao a tutti, ho scoperto ieri, per caso,
che anche il genio del rock e della chitarra Jimi Hendrix ha fatto il
suo bravo album di Natale!!!
Lascio a Voi ogni commento. Margherita
Dell'Orto
Ti giuro, cara
Margherita, che non la avevo nemmeno immaginata una cosa così, mi sono e
ci siamo lamentati in tanti del disco di Bob. Qualche altro nome che si
è sentito in dovere di pubblicare un disco natalizio? Sono andato a
vedere in Internet, Barbra Streisand, The Beach Boys, Johnny Cash,
l'immensa Aretha Franklin, Dolly Parton, Robbie Williams, Rod Stewart,
"The King" Elvis Presley, Willie Nelson, Andrea Bocelli, James Brown
tanto per citarne alcuni, lasciando perdere i classici tipo Nat King
Cole, Sinatra, Bing Crosby e moltissimi altri. Allora mi sono chiesto,
ma perchè io e tanti altri ci siamo lamentati del disco di Bob? Questo
per dire che a volte si prendono di petto alcune cose e si rifiutano
perchè non sono in sintonia con le nostre idee, e tante volte si
sbaglia. Bravo Bob dunque! Grazie per la segnalazione, alla prossima,
Mr.Tambourine, :o)
Il fotografo Jerry Schatzberg, in questa intervista racconta come furono
scattate e poi scelte, le foto per la copertina e interno del primo
doppio disco del rock, Blonde on Blonde. La Columbia,dato il cospicuo
numero di canzoni registrate da Dylan, e con la famosa “Sad Eyed Lady of
The Lowlands” che occupava l’intero quarto lato del disco, fu costretta
a stamparlo in due vinili.
Benede’.
Grazie Benedè, ne
approfitto per farti tantissimi auguri per le feste prossime!
Mr.Tambourine, :o)
Conferito a Ricky Gianco il Premio
Gigi Vesigna
clicca qui
(Nota di
Mr.Tambourine: Ricordo che allo spettacolo pomeridiano dei Beatles al
Velodromo Vigorelli di Milano Ricky Gianco era presente nelle prime file
assieme a tutti quelli del Clan Celentano, e riuscì a rubare il
cappellino di John Lennon mentre questi stava discendendo la rampa che
portava agli spogliatoi. L' ho invidiato per anni ed annorum per quel
gesto che gli fruttò il possesso del mitico cappellino di John, ma lui
aveva accesso al retropalco mentre io, pur essendo nelle prime file a
poche sedie da Iva Zanicchi non potei muovermi e dovetti stare a vedere
l'accaduto. Sicuramente Gianco ha ancora in casa come cimelio quel
cappellino!)
Eric Clapton vince la causa contro
chiaveva messo in vendita un suo bootleg
clicca qui
Lunedì 20 Dicembre 2021
Bob Dylan (album omonimo - 1962)
Illustrazione originale di Elena Artese
Nessuno, forse nemmeno il grande talent scout John Hammond poteva
prevedere quello che sarebbe accaduto, in chiave retrospettiva dopo quel
1962.
Eppure è proprio da questa data, 19 marzo 1962 che bisogna iniziare, se
si vuole ripercorrere in maniera coerente e completa la vicenda
artistica di Bob Dylan. Dai primi timidi tentativi di scrittura, che
sono appunto contenuti in questo esordio. I brani autografi sono due:
Talkin' New York e soprattutto Song to Woody, dedicata proprio al suo
mito, Woody Guthrie, la principale fonte di ispirazione per
questo acerbo cantautore. Eppure nel disco si sente anche altro, inclusi
brani che faranno da lì a breve la fortuna dei loro esecutori. Pensiamo
ad esempio a un pezzo come House of the Risin' Sun, che di lì a breve
avrebbe fatto la fortuna di Eric Burdon e dei suoi Animals. Ci
sono poi altre canzoni che meritano una citazione e una analisi più
approfondita, come ad esempio Baby Let Me Follow You Down, brano
tradizionale, come lo era anche House of Risin' Sun, arrangiato da
Eric Von Schmidt, che resterà però appiccicato a Dylan per
lunghissimo tempo.
Che dire di You're No Good? Brano che di fatto rappresenta il primo vero
approccio che si possa fare in maniera filologica con la musica di Bob
Dylan. Il pezzo che apre il disco è una composizione di Jesse Fuller e
mostra tutte le fragilità e le speranze di questo giovane chitarrista e
interprete che aveva fatto tanta strada per arrivare in quel di New York
per coronare il suo sogno di musicista. Certe volte la vita è davvero
strana, come racconterà molto tempo dopo nel suo mirabile memoriale,
Chronicles - Volume Uno.
Dylan arriva a New York City in un freddo mattino d'inverno del 1961,
per farsi strada tra le amicizie e i salotti radical-chic del Café Wha,
del Gerde's Folk City e del Gaslight.
Bastano dunque due sessioni di registrazioni che daranno vita a 36
minuti e 54 secondi di musica, per questo importante esordio per la
musica d'autore nordamericana. Eppure in quel 1962 tutto questo sarà
riservato davvero a pochissimi fruitori. Il disco infatti, pur
avvalendosi di una etichetta importante come la Columbia non venderà
moltissimo prima del 1964, quando però il fenomeno Dylan sarà già
esploso a livello mediatico specialmente negli Stati Uniti. Arriverà
alla 13esima posizione nel Regno Unito, tre anni dopo la sua
pubblicazione. Nemmeno la critica musicale gli riserva un trattamento di
favore, ma non sarà l'unica volta in cui un nuovo disco di Bob Dylan
verrà rivalutato a distanza di tempo. Del resto questa è la condizione
che un musicista imperfetto e personale deve imparare a gestire. Bob
Dylan non ha mai convinto tutto il pubblico e la critica, non è un
cantante perfetto, né un chitarrista eccezionale, ma sopperisce con la
personalità, il gusto e il carisma innato, queste carenze congenite.
Il suo disco d'esordio, ascoltato oggi, costituisce un modello di
paragone importante, rispetto a quello che avrebbe realizzato nel tempo,
alla sua maturità artistica, vocale e musicale. Eppure è davvero
incredibile non soffermarsi sui tratti distintivi e sulle qualità di
questo esordio. Non sappiamo bene se il merito sia da spartire con chi
gli aveva insegnato gli arrangiamenti di certi brani, fatto sta che oggi
tutti quei nomi sono solo ricordi sbiaditi, mentre la stella di Dylan
splende nel firmamento in maniera sempre più potente e brillante, segno
che il tempo è galantuomo con gli uomini di ingegno, di talento e di
passione. E Bob Dylan possedeva e possiede tutte queste qualità, se ci
consentite di esprimere un giudizio.
George Harrison & Friends: la storia
di "The Concert for Bangla Desh"
clicca qui
Sabato 18 Dicembre 2021
Bob
Dylan - Queen Jane Approximately
Venerdì 17 Dicembre 2021
Triplicate (2017)
Triplicate è il 38esimo lavoro in studio
di Bob Dylan e come per i due precedenti non contiene brani autografi,
visto che è dedicato ai classici della canzone americana il cui minimo
comun denominatore è rappresentato dal fatto che fanno parte del
repertorio di Frank Sinatra. Tre dischi ciascuno dei quali segue un suo
filo tematico. Il primo disco si intitola 'Til the Sun Goes Down e
comprende composizioni che vanno da September Of My Years fino a Once
Upon a Time, passando per My One and Only Love, Stormy Weather e I Could
Have Told You. Il secondo si chiama Devil Dolls e comprende As Time Goes
By, P.S. I Love You, Imagination, The Best Is Yet to Come e Here's That
Rainy Day. Chiude la sequenza il terzo volume: Comin' Home Late dove
troviamo brani come Sentimental Journey, Stardust e These Foolish
Things, tra le composizioni.
La band che lo accompagna, in grande spolvero, è la solita degli ultimi
lavori in studio e live. Tony Garnier al basso, Charlie Sexton alla
chitarra, Donnie Herron alla steel guitar, George Receli alla batteria e
Dean Parks sempre alla chitarra. Come per i precedenti lavori la
produzione è di Dylan stesso sotto lo pseudonimo di Jack Frost. I tre
singoli il cui compito è quello di promuovere il triplo disco sono "I
Could Have Told You", "My One and Only Love", and "Stardust". A rendere
questo disco davvero speciale, più che il materiale inciso ci pensa però
il momento storico in cui verrà pubblicato. E infatti il 31 marzo 2017,
formalmente seppur si tratti di un disco di standard e cover già molto
popolari, la prima uscita discografica post-Nobel per la Letteratura,
premio che l’artista statunitense aveva ricevuto il 13 ottobre 2016 “per
aver creato nuove espressioni poetiche nella grande tradizione musicale
americana.” Potrebbe sembrare solo una casualità, così come lo è la
durata dei singoli dischi, 32 minuti cadauno, numero fortunato che
simboleggia la luce, tanto per citare la Cabala. Difficile dare un
giudizio di merito su questo terzo omaggio alla canzone americana
d'altri tempi. Si tratta di una scelta che spiazza non poco, ma che se
ascoltata nel giusto contesto ci trasporta in un altro tempo, in
un'altra dimensione.
Il manifesto programmatico resta lo stesso dei precedenti Shadows in the
Night del 2014 e Fallen Angels del 2016. Dischi suonati molto bene con
una band dal vivo in studio, dove Dylan sfoggia una voce davvero calda,
avvolgente, ispirata come non mai. Allora dov’è il problema, ammesso che
ve ne sia uno? Come sempre la percezione del pubblico. Forse un pò
stanco di sentire il loro autore e cantante preferito alle prese con una
verde milonga alla ricerca del traditional pop standards di sinatriana
memoria. Triplicate forse è un pò' eccessivo, se ascoltato nella sua
interezza, ma ci piace pensare a come sarebbe stato uno spezzatino dei
tre volumi, ridotto a 16-18 tracce totali. Forse il capitolo più
ispirato e sentito di questo omaggio all'epoca d'oro della canzone pop
anni quaranta e cinquanta. Dylan è senza alcun dubbio alla ricerca del
suo tempo perduto, di quella mitica radio ascoltata nelle case
d'infanzia nel suo amato Minnesota.
Un lavoro perfettamente in linea con la sua attività parallela di dj
radiofonico, visto che in precedenza aveva allietato il pubblico
dell'etere con il suo pregevole Theme Time Radio Hour. Non capita tutti
i giorni di sentire cantare un premio Nobel per la letteratura, ma è
comprensibile che il suo pubblico, lo zoccolo duro scalpiti per
ascoltare brani autografi e originali, scritti e arrangiati di proprio
pugno. Oggi naturalmente sappiamo che da quel 31 marzo 2017 dovranno
trascorrere ancora tre lunghi anni e due mesi. Anche se con Dylan non è
mai banale parlare di tempo e di spazio. Abbiamo imparato a conoscerlo
bene, il suo essere sempre e per sempre Time out of mind.
Dario Twist of Fate
Giovedì 16 Dicembre 2021
Bob Dylan e la canzone scritta ispirandosi
ai Beatles
clicca qui
Ciao Mr.Tambourine,
secondo la foto allegata, che è il manifesto ufficiale del mitico
festival di Woodstock, dice che il festival durò tre giorni, ma Franco,
il chitarrista del mio gruppo, dice che i giorni furono quattro. Qual’è
la realtà? Ciao e grazie, Pierluigi.
Dipende da come si giudica la questione e come
si considera il tempo. Se prendi la cosa dal lato “orologio” Woodstock durò
quattro giorni, cominciò Venerdì pomeriggio alle 17:07 con Richie Havens
e terminò Lunedì mattina alle 11:00 con l’esibizione di Hendrix. Quindi,
venerdì, sabato, domenica e lunedì sarebbero quattro giorni.
Se invece si considera la cosa dal lato delle esibizioni la faccenda
cambia. Visto che le mattinate erano esenti da performances e
che le esibizioni cominciavano al pomeriggio andando avanti fino a
notte inoltrata avremmo questo: Venerdì pomeriggio - Sabato mattina
prima dell’alba viene considerato il primo giorno, da Sabato pomeriggio
- Domenica mattina prima dell’alba il secondo giorno, da Domenica
pomeriggio - Lunedì mattina alla 11:00 il terzo giorno, anche se in
realtà sono quattro giorni.
L’ultimo artista ad esibirsi fu Jimi Hendrix. Sono le nove di mattina di
lunedì 18 agosto 1969, quando Jimi sale sul palco del festival di
Woodstock che, ufficialmente, avrebbe dovuto concludersi il giorno
prima. Insiste per suonare, nonostante la sua nota ritrosia a esibirsi
di fronte a grandi folle… ma a dargli una mano interviene il fatto che
dei circa 400.000 presenti che avevano invaso l’area nei giorni
precedenti, solo 40.000 circa sono rimasti lì.
Ma non è tutto: pubblico a parte, Jimi deve fare i conti con una backing
band dall’equilibrio totalmente rivoluzionato. Solo un mese prima,
infatti, il gruppo degli "Experience" (composto da Hendrix, dal
batterista “Mitch” Mitchell e dal bassista Noel Redding) è stato scosso
dall’abbandono di Redding, sostituito al volo con Billy Cox.
Jimi è così teso che non dorme da tre giorni. Ma, nonostante la
stanchezza, quando sale sul palco è abbastanza lucido da correggere lo
speaker che presenta la band come The Jimi Hendrix Experience: «Abbiamo
deciso di cambiare tutto e di chiamare la band Gypsy Sun and Rainbows.
Per farla breve, prendeteci un pò come un gruppo di gypsys!».
La chitarra che Hendrix suona in occasione del concerto di Woodstock è
una fra le più iconiche del suo ampio parco strumenti. Si tratta di una
Fender Stratocaster, in colorazione Olympic White, del 1968 con numero
seriale #240981, manico in acero e body in ontano. Jimi aveva acquistato
la chitarra a New York, in un negozio di strumenti. Fra le “apparizioni”
live più importanti della Woodstock Strat sembra ci siano stati anche il
Newport Pop Festival e l’ultimo concerto in assoluto di Hendrix, quello
all’isola di Fehmarn a settembre del 1970 (“sembra”, in quanto non è
chiaro se Jimi abbia usato sempre quella chitarra o una identica che si
differenzierebbe solo per una piccola ammaccatura sulla parte inferiore,
sotto il pickup al ponte).
Oggi la chitarra di Woodstock – debitamente autenticata – fa parte della
collezione ospitata presso l’Experience Music Project Museum di Seattle.
Io ebbi l’occasione di vedere il film originale nel 1970 ad Amsterdam in
quadrofonia, versione che durava oltre le quattro ore e mezza. La
versione che fu mandata nelle sale cinematografiche fu invece tagliata e
ridotta a 184 minuti, e molti artisti furono esclusi dal film forse per
questioni di soldi o forse solo di tempistica perchè un film di oltre 4
ore non sarebbe stato possibile ditribuirlo in tutte le sale
cinematografiche.
Ecco di seguito come si susseguirono le esibizioni:
Il Festival iniziò alle 5:07 pomeridiane
quando Richie Havens, Paul "Deano" Williams e Ben Zebulon salirono sul
palco.
Venerdì 15 Agosto 1969
Richie Havens - 5:07 p.m. – 5:30 p.m
Richie Havens - guitar, vocals
Paul "Deano" Williams - guitar, vocals
Daniel Ben Zebulon - congas
Swami Satchidananda - 6:00 p.m. – 6:15 p.m.
Discorso di apertura
Sweetwater - 6:15 p.m. – 7:00 p.m.
Nansi Nevins – vocals, guitar
Fred Herrera – bass, vocals
Alex Del Zoppo – keyboards, vocals
Albert Moore – flute, vocals
R.G. Carlyle – guitar, bongos, vocals
Pete Cobain – congas
Alan Malarowitz – drums
August Burns – cello
Bert Sommer - 7:15 p.m. – 7:45 p.m.
Bert Sommer – guitar, vocals
Ira Stone – guitar, keyboards, harmonica
Charlie Bilello – bass
Tim Hardin - 8:30 p.m. – 9:15 p.m.
Tim Hardin – vocals, guitar
Richard Bock – cello
Ralph Towner – guitar, piano
Gilles Malkine – guitar
Glen Moore – bass
Muruga Booker – drums
Sabato 16 Agosto 1969
Ravi Shankar - 12:00 a.m. – 12:45 a.m
Ravi Shankar – sitar
Alla Rakha – tabla
Maya Kulkarni – tambura
Melanie - 1:00 a.m. – 1:30 a.m.
Melanie Safka – guitar, vocals
Arlo Guthrie - 1:45 a.m. – 2:15 a.m.
Arlo Guthrie – vocals, guitar
John Pilla – guitar
Bob Arkin – bass
Paul Motian – drums
Joan Baez - 3:00 a.m. – 3:45 a.m.
Joan Baez – vocals, guitar
Jeffrey Shurtleff – guitar, vocals
Richard Festinger – guitar
Quill - 12:15 p.m. – 1:00 p.m.
Dan Cole – vocals
Jon Cole – bass, vocals
Norman Rogers – guitar, vocals
Phil Thayer – keyboards, saxophone, flute
Roger North – drums
Country Joe McDonald - 1:20 p.m. – 1:30 p.m.
Country Joe McDonald – guitar, vocals
Santana - 2:00 p.m. – 2:45 p.m.
Carlos Santana – guitar
Gregg Rolie – vocals, keyboards
David Brown – bass
Michael Shrieve – drums
Michael Carabello – timbales, congas, percussion
José Areas – trumpet, timbales, congas, percussion
John Sebastian - 3:30 p.m. – 3:55 p.m.
John Sebastian – guitar, vocals
Keef Hartley Band - 4:45 p.m. – 5:30 p.m.
Keef Hartley – drums
Miller Anderson – guitar, vocals
Gary Thain – bass
Jimmy Jewell – saxophone
Henry Lowther – trumpet, violin
The Incredible String Band - 6:00 p.m. – 6:30 p.m.
Mike Heron – vocals, guitar, piano, various instruments
Robin Williamson – vocals, guitar, piano, violin
Licorice McKechnie – organ, vocals
Rose Simpson – bass, recorder, vocals, percussion
Canned Heat - 7:30 p.m. – 8:30 p.m.
Alan "Blind Owl" Wilson – guitar, harmonica, vocals
Bob "The Bear" Hite – vocals, harmonica
Harvey Mandel – guitar
Larry Taylor – bass
Adolfo "Fito" de la Parra – drums
Mountain - 9:00 p.m. – 10:00 p.m.
Leslie West – guitar, vocals
Felix Pappalardi – bass, vocals
Steve Knight – keyboards
N.D. Smart – drums
Grateful Dead - 10:30 p.m. – 12:05 a.m.
Jerry Garcia – guitar, vocals
Bob Weir – guitar, vocals
Ron "Pigpen" McKernan – keyboards, harmonica, percussion, vocals
Tom Constanten – keyboards
Phil Lesh – bass, vocals
Bill Kreutzmann – drums
Mickey Hart – drums
John Fogerty – vocals, guitar, harmonica, piano
Tom Fogerty – guitar, vocals
Stu Cook – bass
Doug Clifford – drums
Janis Joplin and the Kozmic Blues Band - 2:00 a.m. – 3:00 a.m.
Janis Joplin – vocals
Terry Clements – tenor saxophone
Cornelius "Snooky" Flowers – baritone saxophone, vocals
Luis Gasca – trumpet
John Till – guitar
Richard Kermode – keyboards
Brad Campbell – bass
Maury Baker – drums
Sly & the Family Stone - 3:30 a.m. – 4:20 a.m.
Sly Stone – keyboards, vocals
Freddie Stone – guitar, vocals
Jerry Martini – saxophone
Cynthia Robinson – trumpet
Rose Stone – keyboards, vocals
Larry Graham – bass, vocals
Gregg Errico – drums
The Who - 5:00 a.m. – 6:05 a.m
Roger Daltrey – vocals
Pete Townshend – guitar, vocals
John Entwistle – bass, vocals
Keith Moon – drums
Jefferson Airplane - 8:00 a.m. – 9:40 a.m.
Grace Slick – vocals
Marty Balin – vocals, percussion
Paul Kantner – guitar, vocals
Jorma Kaukonen – guitar, vocals
Jack Casady – bass
Spencer Dryden – drums
Nicky Hopkins – piano
Joe Cocker and the Grease Band - 2:00 p.m. – 3:25 p.m.
Joe Cocker – vocals
Chris Stainton – keyboards
Henry McCullough – guitar, vocals
Alan Spenner – bass, vocals
Bruce Rowland – drums
Temporale che durò tre ore
Country Joe and the Fish - 6:30 p.m. – 8:00 p.m.
Country Joe McDonald – vocals, guitar
Barry "The Fish" Melton – guitar, vocals
Mark Kapner – keyboards
Doug Metzner – bass
Greg Dewey – drums
Ten Years After - 8:15 p.m. – 9:15 p.m.
Alvin Lee – guitar, vocals
Chick Churchill – keyboards
Leo Lyons – bass
Ric Lee – drums
The Band - 10:00 p.m. – 10:50 p.m.
Robbie Robertson – guitar, vocals
Richard Manuel – piano, organ, vocals
Garth Hudson – organ, piano
Rick Danko – bass, vocals
Levon Helm – drums, mandolin, vocals
Lunwedì 18 Agosto 1969
Johnny Winter - 12:00 a.m. – 1:05 a.m.
Johnny Winter – guitar, vocals
Tommy Shannon – bass
Uncle John Turner – drums
Edgar Winter – keyboards, saxophone, vocals
Blood, Sweat & Tears - 1:30 a.m. – 2:30 a.m.
David Clayton-Thomas – vocals, guitar
Steve Katz – guitar, harmonica, vocals
Dick Halligan – keyboards, trombone, flute
Jerry Hyman – trombone
Fred Lipsius – alto sax, piano
Lew Soloff – trumpet, flugelhorn
Chuck Winfield – trumpet, flugelhorn
Jim Fielder – bass
Bobby Colomby – drums
David Crosby – guitar, vocals
Stephen Stills – guitar, vocals
Graham Nash – guitar, vocals
Neil Young – guitar, keyboards, vocals
Greg Reeves – bass
Dallas Taylor – drums
Paul Butterfield Blues Band - 6:00 a.m. – 6:45 a.m.
Paul Butterfield – vocals, harmonica
Buzz Feiten – guitar
Rod Hicks – bass
David Sanborn – alto saxophone
Gene Dinwiddie – tenor saxophone, vocals
Trevor Lawrence – baritone saxophone
Keith Johnson – trumpet
Steve Madaio – trumpet
Phillip Wilson – drums
Sha Na Na 7:30 a.m. – 8:00 a.m.
Donny York – vocals
Rob Leonard – vocals
Alan Cooper – vocals
Frederick "Dennis" Greene – vocals
Dave Garrett – vocals
Rich Joffe – vocals
Scott Powell – vocals
Joe Witkin – keyboards
Henry Gross – guitar
Elliot "Gino" Cahn – guitar
Bruce "Bruno" Clarke – bass
Jocko Marcellino – drums
Jimi Hendrix - 9:00 a.m. – 11:10 a.m.
Jimi Hendrix – guitar, vocals
Larry Lee – guitar, vocals
Billy Cox – bass, vocals
Mitch Mitchell – drums
Juma Sultan – percussion
Gerardo Velez – congas
Ti segnalo l’uscita di questo volume, il
terzo, raccolta di testi tradotti da Alessandro Carrera, che vanno dal
1983 al 2020, da Infidels a Rough and Rowdy Ways. Lavoro molto
dettagliato, diviso per anno, album e con traduzioni bellissime, che
cercano di mantenere la ritmica e la rima dell’originale. Queste le note
all’opera:
Bob Dylan incarna da più di mezzo secolo lo spirito dell'America - e per
suo tramite lo spirito del mondo. I suoi testi, fusi con le musiche cui
hanno dato anima e senso, hanno generato canzoni che sono diventate le
fondamenta di un sogno collettivo. L'ultimo dei tre volumi di Lyrics,
1983-2020, arriva fino ai "modi rozzi e rumorosi" di Rough and Rowdy
Ways, con l'incredibile viaggio di Murder Most Foul. Sono gli anni delle
migliaia di date del Never Ending Tour, dell'Oscar per Things Have
Changed e del premio Nobel per la Letteratura. Una produzione poetica
qui organizzata cronologicamente e arricchita di una traduzione e un
apparato di note, entrambi a cura di Alessandro Carrera.
Ti ringrazio per la
segnalazione caro Benedetto, alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
Lunedì 13 Dicembre 2021
Talkin' 11930 -
gabriele.bassi
Ciao! Grazie per la risposta… ma mi
riferivo alla versione completa, 18 CD… impossibile da trovare??
Grazie! Gabriele.
Scusa la disattenzione
Gabriele, ha rimediato l'amico Andrea Brillo però ha trovato quello che
cerchi tu, costa una cifra e pare non sia disponibile in Italia, prova a
vedere se si riesce a farlo spedire nel nostro paese, guarda sotto! Alla
prossima, Mr.Tambourine, :o)
E' proprio questa,
grazie un migliaio di volte, :o) Mr.Tambourine, :o)
Sabato 11 Dicembre 2021
Talkin' 11928 -
gabriele.bassi
Oggetto: Domanda
Ciao e grazie del lavoro che fate.
Una domanda: esiste la possibilità di trovare in giro da qualche parte
la Cutting Edge Collector's edition??
Grazie, Gabriele.
Ce n'è una copia in
vendita su EBAY,
CLICCA QUI senza perdere tempo! Alla prossima, Mr.Tambourine,
:o)
David Bowie, la storia di "Song for
Bob Dylan"
clicca qui
Giovedì 9 Dicembre 2021
Hershey, Pennsylvania - Hershey
Theatre - November 16, 2021
di Mark Kraynak
È bello vedere Bob di nuovo on the road. Le nuove canzoni suonate dal
vivo erano molto avvincenti. È uscito solo due volte da dietro il
pianoforte ed era un pò instabile sulle gambe, ma ha 80 anni. Molte
delle canzoni sono state eseguite in un grande stile rock n roll
originale. È stato fantastico vedere le nuove canzoni avere una forte
accoglienza. Ha giocato un bel pò con i testi di “Masterpiece”. Si
poteva vederlo mischiare i fogli dei testi mentre suonava. Di sicuro
adoro quei pantaloni con la striscia sul lato. Bob deve averne un
centinaio di paia. Uno spettacolo molto bello. Mark Kraynak
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
di Laurette Maillet
Pat ha accettato di venire con me e portarmi al spettacolo di Hershey.
Sono quattro ore di macchina. Facciamo tutto bene e facciamo il check-in
all' Harrisburg/Hershey Ecolodge alle 16:00. Ci riposiamo un pò prima di
dirigerci verso il locale. Un bel teatro. Ho comprato due biglietti da
Ticketmaster senza problemi. Il teatro è carino, ben arredato. I nostri
posti non sono dei migliori ma comunque a terra. Bob sale sul palco in
tempo. L' intro di Stravinsky è sempre più breve. Io non ricordo nemmeno
più di averla sentita! Il palcoscenico è sterile come al solito, tranne
che per gli strumenti.
"Whatching the river flows" è iniziata con un pò di incertezza e
confusione. Il pubblico nonha reagito male ma è restato seduto.
“I contain multitudes”, Bob è al pianoforte e non al centro della scena.
Bob scompare spesso dietro il pianoforte.
“False prophet” è stato il momento clou stasera per me. Potente e la
band era ben assiema.
“When I paint my masterpiece” mi commuove sempre. vorrei che potesse
essere così anche per me.
"Black Rider". La voce di Bob è potente e lui è al pianoforte. Chiudo
gli occhi per le lunghe canzoni e mi concentro sulla dizione di Bobby.
Forte e chiara. Sta rivendicando la sua poesia. La band è abbastanza
buona per fare il backup spesso e adeguatamente, in particolare Donnie
con la steel guitar aggiunge un tocco di malinconia anche con il violino
o col mandolino. A volte suona una balalaika. Ho voglia di ballare.
“Melancholy Mood” inizia con un morbido intro della band. Bob è seduto
sul suo sgabello al pianoforte, di lato rispetto al pubblico. Fuori dal
comune! Starà in piedi e terrà in mano il microfono centrale, tra Tony
Garnier e Bob Britt, ma rimarrà statico, come se gli facesse male la
schiena. Quella canzone è troppo corta per me. Ma questo è l'unico pezzo
che Bob farà al centro palco stasera.
“Gotta serve somebody” farà reagire il pubblico con un forte applauso.
Le ultime tre canzoni mancano di energia. La voce di Bob è stanca. il
suo tentativo di modulazione in “Mother of muses” si perde in una voce
stridula! È stanco! Lasciamo rapidamente la sede e per un puro caso
l'autobus di Bob sta arrivando davanti a noi. Ciao ciao Bobby. Abbi cura
di te,ci vediamo a New York!
È innegabile come la lunga e rilevante carriera di Bob Dylan possa
essere analizzata in base a diverse fasi, epoche, bruschi balzi
temporali in avanti, indietro e in orizzontale. C’è stato però durante
questi dieci anni un momento cruciale, un crossroad, l’ennesimo, il
quale pare essere sfuggito alla critica mainstream. Mi riferisco a
quella fase inaugurata con “Love and Theft” album del ritorno del 2001,
erroneamente considerato sequel del precedente Time Out Of Mind, dove il
Nostro cambiò praticamente modus operandi. Da lì in poi realizzò tre
dischi composti da inediti, l’ultimo dei quali risponde al nome di
Tempest, del 2012. Successivamente iniziò la pubblicazione di quello che
venne giustamente definito come il suo Great American Songbook. Tre
volumi per cinque album, il primo dei quali si intitola appunto Shadows
in the Night, disco concept composto da dieci tracce standard pop,
portate al successo da Frank Sinatra, a cavallo tra gli anni quaranta e
il 1963.
Ora, chi conosce bene Dylan avrà imparato che i dettagli non solo fanno
la differenza, ma vanno a tratteggiare il quadro nel suo insieme. C’ è
un luogo comune e un refrain che con Dylan suona in continuazione: è un
artista enigmatico, non si capisce mai dove voglia andare a parare.
Potrebbe essere veritiero, se prendessimo in analisi la sua carriera tra
gli anni sessanta e i primi novanta. Da quel momento in poi però,
diciamo più o meno in seguito alla pubblicazione della trasmissione
televisiva Unplugged, qualcosa cambia e in positivo. Era il 1995 e Dylan
veniva giustamente considerato superato, non in linea né al passo coi
tempi, non era nemmeno giudicato un nume tutelare del movimento grunge,
a differenza del suo illustre collega, Neil Young. Dato praticamente per
bollito, Dylan aveva però un paio di carte da giocare. Una di queste fu
richiamare il produttore Daniel Lanois per una nuova avventura in sala
di incisione. Ne uscirà quello che ad oggi è considerato uno dei suoi
successi più importanti, dalla seconda metà degli anni settanta in poi.
Ma questa è storia, passata. My back pages, direbbe His Bobness!
Realizzare questo disco è stato un autentico privilegio. Tutti
conoscevamo molto bene questi brani. È stato fatto tutto dal vivo, forse
in una o due registrazioni. Senza alcuna sovra incisione. Niente cuffie,
niente cabina di registrazione per il cantante. Di cover ne sono state
fatte abbastanza: seppellite. Quello che io e la mia band stiamo
tentando è il procedimento inverso. Disseppellire i pezzi dalla tomba,
per riportarli alla luce del giorno. Perché questa band non lavora con
il favore delle tenebre, o meglio non sempre.
Questo il manifesto programmatico espresso dal suo autore, prima del
lancio di Shadows in the Night. Oggi invece, con un titolo speculare,
stiamo ascoltando e soprattutto visionando un nuovo format dylanesco. Si
tratta di questo incantevole film in bianco e nero che risponde al nome
di Shadow Kingdom. Ancora una volta Dylan spiazza, destabilizza,
distorce tempo, prospettiva e pensiero. Noi appassionati, succubi e
senza alcuna possibilità di redenzione, non possiamo far altro che
prendere o lasciare. Chiaramente nel mio caso prendo. Del resto il
manifesto programmatico è eloquente.
Parte come se fosse un episodio pilota diretto da David Lynch e
ideato in coppia con Mark Frost. Quasi uno spin off di Roy Orbison and
Friends: A Black and White Night, il celebre speciale andato in onda
appena prima della prima stagione di Twin Peaks. Perché è vero un fatto:
si scrive Bon Bon Club in Marseille, ma si legge Bang Bang Bar,
Roadhouse. Siamo dalle parti dell’Impero della mente, dove David Lynch
potrebbe senz'altro farci da anfitrione. La suggestione è possibile,
come abbiamo potuto vedere anche da certi indizi e suggerimenti lanciati
dallo stesso regista di Missoula, il quale di recente aveva affermato:
“Amo Bob Dylan. Non c’è nessuno come lui. È unico e semplicemente
fantastico.” Ora, fin qui niente di strano, pur trattandosi di uno come
Lynch! Del resto già nel suo disco del 2013, The Big Dream, Lynch aveva
omaggiato Dylan, eseguendo una versione sperimentale di un brano
giovanile e disperato come The Ballad of Hollis Brown, tratto da The
Times They Are a-Changin'. Stavolta invece è stato Bob Dylan a
sconfinare nei territori battuti dal visionario regista americano.
Certo, in Shadow Kingdom ci sono altri riferimenti a parte quello
evidente di Velluto blu o Twin Peaks, visto che l’atmosfera ricalca,
almeno in parte il Quest show CBC TV – Canada, la cui messa in
onda risale al 1964. C’è anche un frammento preso da I’m Not There, con
quelle sequenze in bianco e nero ideate dal regista Todd Haynes,
e se vogliamo potremmo vederci anche uno stile in debito verso l' Hal
Ashby di Bound for Glory.
È pacifico affermare come l’immaginario dylaniano, musicale e non,
difficilmente si spinga oltre la prima metà degli anni sessanta. Si
pensi ad esempio alla serie di quadri intitolata The Beaten Path
(dallo stesso Dylan) e di evidente ispirazione hopperiana, nel senso di
Edward. Tutti elementi che si rincorrono e affiorano durante le visioni
fumè e volutamente retrò di questo progetto Shadow Kingdom. Nome
suggestivo che stavolta non delude né trascende le aspettative. E non ho
nemmeno parlato di musica, ma con Dylan, dopo oltre 59 anni di carriera
alle spalle, può diventare davvero accessorio, se non superfluo,
talvolta. E' scontato affermare che si tratti di uno dei cinque artisti
più influenti del Novecento, dove gli altri potrebbero essere Frank
Sinatra, Elvis Presley, Johnny Cash, John Lennon e David Bowie.
Forse stavolta il Poeta dell’elettricità è davvero riuscito a dipingere
il suo capolavoro? Non a caso la canzone di apertura, prestata per lungo
tempo ai sodali The Band si intitola appunto When I Paint My
Masterpiece.
Dario Greco
Martedì 7 Dicembre 2021
Talkin' 11927 -
catestef
Oggetto: Buffa idea
Per cortesia Mister Tamburino contatti
Bobby e gli dica di inserire questi miei versi nella sua Union Sundow e
cambiare la paternità del testo in Dylan/Catena e cantare la nuova
versione nei prossimi concerti. Grazie prego arrivederci.
La mia borsa viene dalla Cina
I pomodori dal brasile
La mia cinta dal pakistan
L' orologio dal vietnam
Sono nato in italy
Vorrei comprare italiano
Al supermercato
Il made in italy
Ha il prezzo triplicato.
Stefano C.
Caro Stefano, perchè
non provi tu direttamente a scrivere a Bob? Anni fa un mio compagno di
scuola scrisse, non ricordo per quale ricorrenza o motivo, alla Regina
d'Inghliterra e, con sua grande sorpresa, ricevette dopo un mese la
risposta da Buckingham Palace con la firma della regina Elisabetta,
anche se probabilmente non era stata Lei a firmarla. Non si sa mai nella
vita, quello che non succede in cent'anni può accadere in un attimo.
La posta di Bob di
solito viene spedita a questo indirizzo :
Bob Dylan
c/o Columbia Records
550 Madison Avenue
New York, NY 10022-3211, USA
Email address: foggy@bobdylan.com
L' indirizzo di casa di Dylan è il seguente:
Dylan Robert - 29400 Bluewater Road, Malibu, CA 90265 - U.S.A.
Van Morisson, "Saint Dominic's"
Preview (1972) - di Dario Greco
clicca qui
Sabato 4 Dicembre 2021
Washington, D.C. - The Anthem -
December 2, 2021
1. Watching The River Flow
2. Most Likely You Go Your Way (and I'll Go Mine)
3. I Contain Multitudes
4. False Prophet
5. When I Paint My Masterpiece
6. Black Rider
7. I'll Be Your Baby Tonight
8. My Own Version of You
9. Early Roman Kings
10. To Be Alone With You
11. Key West (Philosopher Pirate)
12. Gotta Serve Somebody
13. I've Made Up My Mind To Give Myself To You
14. Melancholy Mood
15. Mother of Muses
16. Goodbye Jimmy Reed
University Of Illinois - Champaign,
Illinois - 22 September 1985 - Farm Aid Concert
Bob Dylan (vocal & guitar)
Tom Petty (guitar)
Mike Campbell (guitar)
Benmont Tench (keyboards)
Howie Epstein (bass)
Stan Lynch (drums)
Elisecia Wright, Queen Esther Marrow, Debra Byrd, Madelyn Quebec
(backing vocals)
BELLISSIMO!!! Grazie
per la segnalazione, stai connesso, combinazione sto preparando un bel paginone sulle
Queens of Rhythm!!! Alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
Hershey, Pennsylvania - Hershey
Theatre - November 16, 2021
di Futzi Wailer
Dopo un viaggio di 6 ore che poteva essere solo di quattro, siamo
entrati in quello che Bob chiama “città del cioccolato”. Il locale è in
un edificio in pietra che sembra più simile a un museo che a un teatro.
All'interno sembra un castello. Abbiamo avuto posti in prima fila
direttamente di fronte a Bob. Il palco è fantastico e il pavimento si
illumina quando la band sale sul palco illuminandoli in un bagliore
inquietante. Le tende dietro il palco erano di un rosso cremisi,
particolarmente efficaci durante Black Rider e My Own Version Of You. Il
suono era quasi perfetto anche se noi pensavamo che la chitarra di Bob
Britt fosse un pò rumorosa e la batteria spesso impercettibile.
La voce di Bob era cristallina. Le canzoni di Rough & Rowdy Ways erano
messe in evidenza, le canzoni più vecchie meno. I nuovi arrangiamenti
erano per le mie orecchie inferiori alle versioni registrate o anche
precedenti concerti con l'eccezione di Every Grain Of Sand. Non mi è mai
piaciuta la canzone dal vivo ma questa volta che Bob l’ha acchiappata!
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
di David Mendick
Veramente un miracolo. Bob Dylan torna sul palco. Segretamente lo
speravo anche se lui egoisticamente potrebbe non suonare mai più dal
vivo.
Grazie a Dio è tornato e mi sono unito al tour nel teatro più bello che
si possa desiderare. Ed è anche vero che a 80 anni il live di Dylan è
meglio che mai. Certo che dovrebbe suonare così tante canzoni dal nuovo
album. La musica è fatta per essere ascoltata dal vivo e questo album
suona meglio dal vivo. Melanchony era puro Sinatra. E ho visto Sinatra.
Dylan ha incantato il pubblico. Non vedo l'ora di unirmi al tour a
Philadelphia. È stato divertente ritrovare alcuni vecchi fans di Bob
prima del concerto, Howie, Eric e Ava che portava una tutina pazza.
Giovedì 2 Dicembre 2021
Philadelphia, Pennsylvania - The Met -
November 30, 2021
1. Watching The River Flow
2. Most Likely You Go Your Way (and I'll Go Mine)
3. I Contain Multitudes
4. False Prophet
5. When I Paint My Masterpiece
6. Black Rider
7. I'll Be Your Baby Tonight
8. My Own Version of You
9. Early Roman Kings
10. To Be Alone With You
11. Key West (Philosopher Pirate)
12. Gotta Serve Somebody
13. I've Made Up My Mind To Give Myself To You
14. Melancholy Mood
15. Mother of Muses
16. Goodbye Jimmy Reed
Ciao Tamburino. Ti mando questo link dove
si parla delle cover di canzoni di Dylan. Oggi si parla di "Black
Diamond Bay". Suonata da nientemeno che Jacques levy che l' ha scritta
con Bob. Non sapevo che Levy fosse anche musicista. Non male. Spero che
piaccia a voi tutti. Ciao. Sempre bello leggerti.
Grazie
Marco, Levy era un songwriter, uno psicologo ed un regista teatrale. A
metà degli anni settanta, Levy incontrò Bob Dylan tramite Roger McGuinn
col quale Levy collaborava da anni per le canzoni dei Byrds. Dopo
l’incontro, i due iniziarono una collaborazione per "Isis" e ad altre
sei canzoni che sono apparse nell'album Desire del 1976 di Dylan. Tra
queste c’era anche "Hurricane" e "Joey" (un'ode al gangster e sicario
della mafia americana Joe Gallo), canzone per la quale Dylan fu
ferocemente criticato. Levy è stato il regista di entrambe le tappe del
1975 e del 1976 della Rolling Thunder Revue di Dylan. Nemmeno io sapevo
che era anche musicista, forse, come dice quel brutto proverbio "andando
con lo zoppo si impara a zoppicare"! Ricordati la prossima volta di
allegare il link alla mail, così mi eviti di stare a cercare!!! :o) Alla
prossima, Mr.Tambourine, :o)
Mercoledì 1 Dicembre 2021
Philadelphia, Pennsylvania - The Met -
November 29, 2021
1. Watching The River Flow
2. Most Likely You Go Your Way (and I'll Go Mine)
3. I Contain Multitudes
4. False Prophet
5. When I Paint My Masterpiece
6. Black Rider
7. I'll Be Your Baby Tonight
8. My Own Version of You
9. Early Roman Kings
10. To Be Alone With You
11. Key West (Philosopher Pirate)
12. Gotta Serve Somebody
13. I've Made Up My Mind To Give Myself To You
14. Melancholy Mood
15. Mother of Muses
16. Goodbye Jimmy Reed