DOVE VA LA MUSICA/ Da Dylan a
Springsteen, la vendita dei diritti - di Paolo Vites
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Sabato 29 Gennaio 2022
Talkin' 11947 -
lucaciuti
Oggetto: Recensione Triplicate
Ciao io ci provo...mi chiamo Luca e adoro
Dylan da quando le sue note riempivano i weekend della mia infanzia
grazie a mio padre...ho collaborato fino al 2019 con un magazine online
per il quale ho scritto alcune recensioni di Dylan. Una di queste é
Triplicate. Non penso di crearvi grane legali perché da quanto mi
risulta il vecchio database non é online. Semplicemente mi piace
scrivere e vorrei dare un contributo alla vostra interessantissima
pagina.
Un saluto.
“I premi sono per le reginette di bellezza”. Così
afferma Sepùlveda, per bocca di un indignato Klaus Kucimavic nel
celeberrimo “Patagonia Express”. Deve averla pensata così anche Bob
Dylan una volta messo al corrente dell’assegnazione al Premio Nobel per
la letteratura. Come lo scrittore cileno, anche il menestrello di Duluth
ha fatto della libertà artistica e dell’impegno politico dei punti fermi
nella propria carriera; Dylan è sempre stato un antidivo, poco avvezzo
alle logiche dello star system e del red carpet, sfiorando talvolta
atteggiamenti ai limiti dell’arroganza. Vietato stupirsi, semplicemente
questo è Dylan, e chi lo conosce non poteva aspettarsi niente di meno.
Parlare di lui è semplicemente fantascienza, definire la sua musica un
mondo a parte è riduttivo, è “una autentica geografia, un universo
semiotico, un’intera cultura concentrata in un unico performer”, come lo
ha definìto Alessandro Carrera nel suo “La Voce di Bob Dylan - Una
Spiegazione dell’America”. Dylan ha schiuso più di tutti le porte del
pop alla tradizione e viceversa, mostrandosi altresì capace di tornare
alla semplicità degli accordi e delle emozioni fondamentali.
Per il suo trentottesimo disco in studio Dylan non lascia né raddoppia
ma, per la prima volta nella sua carriera, si fa addirittura in tre,
caratterizzando sempre di più in senso imprevedibile e inaffidabile il
suo peregrinaggio artistico. Lo fa attingendo ancora una volta a
quell’autentico universo parallelo rappresentato dalle canzoni
tradizionali americane. D’altra parte Dylan non ha mai nascosto il suo
amore per la musica degli anni ’50, passione già emersa nell’ultima fase
della sua carriera, quella da “Time Out Of Mind” in avanti (parliamo
degli ultimi vent’anni…), che ha portato il nostro ad abbracciare uno
stile ben definito portato avanti con alcuni dischi fra i migliori della
sua carriera. “Triplicate” si compone di ben trenta composizioni dei più
grandi songwriters americani, suddivise per tema e rilette da Dylan
secondo il suo straordinario talento. Dylan non è nuovo a questo tipo di
operazioni, dai tempi del suo debutto numerose sono state le riletture
della tradizione americana, per arrivare sino al recentissimo “Fallen
Angels” (2016). Trenta canzoni divise in tre dischi distinti, mutuate
dal repertorio di autori americani come Charles Strouse e Lee Adams
(“Once Upon A Time”), Harold Arlen e Ted Koehler (“Stormy Weather”),
Harold Hupfield (“As Time Goes By”) e Cy Coleman e Carolyn Leigh (“The
Best Is Yet To Come”). Delicati ritmi shuffle, tappeti di hammond e
fiati che disegnano splendidi notturni, fraseggi di chitarre anni ’50 e
di settime diminuite, con “Triplicate” Dylan pesca nel lato più nobile e
colto della musica yankee, quello delle Big Bands, delle colonne sonore
anni ’50 e del soul. Dylan continua a rappresentare con ineguagliata
maestria i sogni e le paure dell’America profonda e recondita, senza
tronfi patriottisimi. Brani a cavallo fra il soul e il blues, ideali per
serate passate in qualche fumoso club in compagnia di una splendida
donna, in cui la voce di Dylan assume per l’ennesima volta in carriera
dei tratti inediti a metà fra il crooner e il singer d’autore.
Diciamolo chiaro, “Triplicate” non è certo uno di quei dischi che si
ascoltano con disinvoltura, la vastità e la compattezza dell’opera
metteranno a dura prova anche il pubblico più old school oriented.
Diciamo che se subite il fascino di un certo tipo di sonorità retrò,
quelle dei vostri nonni per esempio, l’ascolto di “Triplicate” potrebbe
essere l’equivalente di un viaggio straordinario. Per gli altri,
potrebbe essere un modo curioso per confrontarsi con un arzillo
vecchietto di settantasei anni continua, in qualche modo, a fare la
storia e a raccontarla.
Grazie Luca per la tua
recensione! Certamente Bob ha un modo tutto suo di fare le cose che più
gli piacciono, e Triplicate e Fallen Angels, pur con tutto il loro
valore sonoro e documentaristico di un mondo che è stata la gioventù di
Dylan, quando, nelle serate di Hibbing, molto probabilmente la musica
trasmessa dalle radio era proprio quella perchè Elvis e tutta la
rivoluzione al suo seguito era ancora di là da venire. Dylan ha voluto
cantare quelle canzoni che, da piccolo, sono state la sua colonna sonora
serale e testimoniare così che la musica americana spazia nei più
disparati campi sonori, e non per questo la musica "datata od old style"
che dir si voglia sia una cosa da dimenticare. Certo non era quello che
i fans si aspettavano da lui, ma questo a lui non interessava, per lui
contano le sue idee e non quelle degli altri, e, ad onor del vero,
dobbiamo dire che non ha mai fallito. Grazie per il tuo scritto e spero
che ce ne mandi altri, se ti piace scrivere queste pagine sono proprio
quello che fa per te. Alla prossima, live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
Ciao, ti invio questo articolo pubblicato
oggi da la Repubblica.
Contiene imprecisioni e banalità, ma può interessare.
Grazie per quello che fai. Aurelio.
Caro Aurelio, ti
ringrazio e mi scuso per non aver pubblicato prima la tua mail, ma ho
dovuto pubblicare l'articolo in questione "L'addio di Bob Dylan alle
utopie" di Anna Lombardi con il link diretto il giorno 27, in quanto la
riproduzione era protetta da un copyright. Comunque hai ragione,
l'articolo è proprio stiracchiato e per noi dylaniani sembra essere
robetta scontata e banale. Ma, ad onor del vero, diciamo grazie a chi ha
scritto il pezzo che, nell' intento era positivo, poi, quando qualcuno
parla di Dylan è sempre una cosa piacevole, anche se a volte gli scritti
sono superficiali e mancano di quella profondità di analisi che per noi
è "il cibo quotidiano". Penso che Dylan è un nome che fa sempre notizia
e che molte volte chi scrive non è un fan sfegatato e quindi sia
costretto a fare dei riassunti di quello che ha letto, certo che se
invece di Himming avesse scritto almeno il nome giusto Hibbing sarebbe
stato per lo meno non criticabile. Probabilmente è solo una svista,
anch'io ne ho fatte tante in questi tanti anni che gerstisco il sito, ma
nessuno è perfetto, nemmeno Bob, in fondo ne ha fatta qualcuna delle sue
anche lui, pur essendo una mente geniale e potremmo dire unica. Tutto
sommato, come diceva Aristotele, il maestro di color che sanno, “Le
persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e
non esistono”. Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Venerdì 28 Gennaio 2022
Rough and Rowdy Ways: un Dylan ruvido
nell’era dei Millenials
E’ un Dylan diverso quello che torna a calcare le scene. Fermamente
convinto del fatto che ogni sette anni il nostro corpo possa mutare,
l’Autore si presenta con un pugno di canzoni durante l’ora più buia. Ad
attenderlo, manco a farlo apposta sono davvero Rough and Rowdy Times.
Già il tempo, i tempi: chi meglio di un artista con una carriera alle
spalle lunga mezzo secolo, potrebbe giocare con il tempo, con lo spazio?
Bob Dylan aveva scritto queste canzoni presumibilmente prima
dell’emergenza da Covid-19, specialmente prima che l’America tornasse a
bruciare. Ed è strano non abbia citato, in un disco dove c’è tanto
cinema l’Orson Welles che parlando dell’antica Roma elogiava le qualità
dell’orchestra di Nerone, che suonava magnificamente, mentre il mondo
intorno bruciava. Non sappiamo se Dylan sia un appassionato di Paolo
Sorrentino e della sua Grande Bellezza, ma ricordiamo di certo la sua
passione per Fellini e per Claudia Cardinale. Canzoni che inneggiano
alla satira, come i classici greci prima, latini poi. La gente diceva
che era una spugna; lui si definiva uno spedizioniere musicale per il
quale i diritti di proprietà erano provvisori, scriveva Daniel Mark
Epstein in "The Ballad of Bob Dylan".
Rough and Rowdy Ways ha un titolo che fa il verso, strizzando l’occhio a
uno dei suoi dischi meno apprezzati dalla critica: Street-Legal. Altro
contesto, altra epoca. Street-Legal usciva in piena esplosione punk e
new wave; giustamente non venne capito, né apprezzato, se non a distanza
di tempo. Era un lavoro enigmatico e oscuro, proprio come questo Rough
and Rowdy Ways: comune denominatore è l’energia, in quel caso legata
alla crisi matrimoniale, stavolta invece più spirituale, trascendentale.
Per certi versi questo disco segna un ritorno, a distanza di otto anni
dall’ultimo lavoro autografo: Tempest del 2012. Nella sua lunga e
sterminata produzione in studio, lo spedizioniere musicale Bob Dylan non
si era mai fermato così a lungo. L’ultima lunga pausa, come autore di
canzoni, era stata proprio negli anni novanta, quando dopo Oh, Mercy e
il meno importante Under the Red Sky, era tornato a incidere brani
tradizionali e cover. Ci fu poi il ritorno con Time Out of Mind, lavoro
che di fatto riaccese la miccia della creatività, da cui arrivarono in
successione quattro nuovi lavori, tutti di livello medio-alto. Quasi dei
capolavori, sicuramente dei classici contemporanei. Alla sua maniera. Ed
era tanto che non scriveva e non raccontava storie con un taglio così
evocativo, ispirato: dichiaratamente cinematografico. Difficile e
dispendioso citare tutti i rimandi e annotare tutti i nomi contenuti in
questo pregevole ritorno discografico. Di certo balza agli occhi un
richiamo all’horror, al gotico nordamericano. Poe e Lovecraft, ma per
restare nell’ambito dell’immaginario pop, Dylan parla il linguaggio
della Hollywood classica, tirando in ballo Al Pacino e Marlon Brando,
Indiana Jones e Nightmare, Boris Karloff e American Graffiti, Marilyn
Monroe, Elvis Presley e Frank Sinatra, Woody Allen, Buster Keaton e Bob
Fosse, riportando tutto a casa, compreso il mito, includendo i poeti e
gli eroi, includendo la propria esperienza e questo scomodo fardello.
Shakespeare, he’s in the alley, ma è una tragedia ancora una volta
filtrata attraverso uno schermo cinematografico, come nella pellicola
del 1953 di Joseph L. Mankiewicz, con Marlon Brando e James Mason.
L’atmosfera ricorda anche una vecchia pellicola di Vincent Price, mentre
aleggia il fantasma di Robert Mitchum in The Night of the Hunter. Spirit
on the water! Spettri, trascendenza e oscurità. Il baratro, così come la
fine, è prossimo. Conduce però non in un luogo allegorico, ma
semplicemente al Black Horse Tavern di Armageddon Street.
Oggi più che mai è davvero
facile riavvolgere il nastro e far partire un brano a caso, una volta ho
visto un film che parlava di un uomo che attraversava il deserto ed era
interpretato da Gregory Peck. Veniva ucciso da un ragazzo assetato di
gloria che cercava di farsi un nome. Tutto ciò avviene prima di giungere
dalle parti di Key West, girando la manopola di una vecchia radio
valvolare analogica. Ironia della sorta, Dylan citando stazioni radio
pirata lontane nel tempo e nella memoria ci riporta alle suggestioni di
In the Days Before Rock ‘N’ Roll, brano di Van Morrison dove comparivano
proprio le frequenze di Luxembourg e Budapest. E’ come se ci fosse la
piena volontà di trascinare sulle spalle o solo nella memoria, tutto ciò
che è stato, capace di viaggiare leggero, come una piccola valigia,
portando dietro tutte le cose importanti e anche quelle futili. C’è
l’idea di America e di Occidente, c’è la voce di una Nazione, oppure no.
C’è un riferimento alla Terra di Oz, ma anche ai presidenti degli Stati
Uniti che Dylan ha conosciuto e attraversato, forse con indifferenza,
più probabile con piena coscienza. Non è certo casuale il riferimento a
Ginsberg, Corso e Kerouac, le maggiori voci della Beat Generation. Senso
di appartenenza? Probabilmente. In un disco che fa della citazione la
sua arma prediletta, è necessario menzionare almeno Billy “The Kid”
Emerson e Jimmy Reed, così come Louis Armstrong e Bud Powell. Non può
mancare un riferimento alla Sacra Bibbia, immancabile totem dylaniano.
Sceglietelo da voi però il salmo che preferite. Solo un suggerimento:
visti i tempi evitate il Libro della Rivelazione. I opened my heart to
the world and the world came in.
Rough and Rowdy Ways: focus on the tracks
My Own Version of You è una delle tre gemme prezioso di questo disco. Il
passo è sinuoso ed elegante: una nuova, audace, Ain’t Talkin'. Più
aggraziata, meno sentenziosa e definitiva. Quasi a dare lo start al
disco, dopo una falsa partenza e un blues-stomp ingannevole e
fuorviante. Il testo è esemplare, un affresco che trasuda un gusto per
il gotico. Un vero e proprio racconto in prima persona, davvero simile a
quelli a cui ci aveva abituato negli anni sessanta e settanta. Un
ennesimo ritorno con impeccabile e implacabile sagacia. Un Bob Dylan
sardonico e mefistofelico, a metà tra Poe, Lovecraft e Mary Shelley. Un
nuovo classico?
Black Rider è un altro brano capolavoro, sia da un punto di vista
stilistico che formale. A metà tra un racconto di Italo Calvino e il
Cavaliere Nero di Proietti. Ricorda per certe atmosfere e intarsi di
chitarra il Leonard Cohen andaluso e il Tom Waits più teatrale e oscuro.
Key West (Philosopher Pirate) è un pezzo dedicato alla città della
Florida dove il regista Joe Dante aveva ambientato uno dei suoi film più
ispirati, Matinée, pellicola del 1993, che si svolgeva durante la crisi
dei missili di Cuba dell’ottobre 1962. Dylan descrive questo posto come
una specie di paradiso in terra attraverso un ispirato e poetico flusso
di coscienza dove trovano spazio anche i poeti beat Ginsberg, Corso e
Kerouac. La melodia fa pensare subito a The Band e alla fisarmonica di
Garth Hudson, ma anche al Tom Waits di Cold Cold Ground. “Key West è il
posto migliore dove trovarsi se si cerca l’immortalità, Key West è il
paradiso divino. Se hai perso il senno, lo ritroverai là. Key West è
sulla linea dell’orizzonte”. Un pezzo che da solo vale il disco, se non
fosse che stiamo parlando di uno degli album più ispirati di Bob Dylan
degli ultimi 30 anni.
Dario Greco, blogger
Giovedì 27 Gennaio 2022
Talkin' 11945 -
benedettolandi
Oggetto: Serie TV "Monterossi" - Colonna
sonora con alcune canzoni di Bob Dylan.
Mi piace seguire le serie tv, in particolare quelle di fantascenza e i
gialli polizieschi. In questi giorni è uscita la serie tv Monterossi e
visto che si trattava di un giallo ho deciso di iniziare a guardarla. La
serie è tratta dai romanzi di Alessandro Robecchi,
"Questa non è una canzone d'amore", e "Di rabbia e di vento", è girata a
Milano ai giorni nostri. La prima puntata inizia con il sottofondo di
Knocking on Heaven's door, e già questo mi ha sorpreso, ed ho così
iniziato a seguire tutta la serie. Nel frattempo leggendo del
personaggio Carlo Monterossi, interpretato da Fabrizio Bentivoglio, il
quale nella serie è un autore televisivo, vedo che è un grande
appassionato di Bob Dylan, infatti nel suo appartamento accanto al suo
stereo ha molti vinili di Dylan e anche un quadro con la foto di Bob
sulla copertina di "Infidels". E' proprio li che va a finire il
proiettile con cui un uomo incappucciato tenta di ucciderlo, e in
seguito a quel tentativo di omicidio, fortunatamente per lui andato a
vuoto, cerca di capire il motivo dell'attentato indagando per conto
proprio in parallelo alla Polizia.Tanto che diventa amico del
Sovrintendente Tarcisio Ghezzi. Negli episodi si sente in sottofondo
un'armonica che riempie le scene e che ricorda il suono dell'armonica
del primo Dylan. Altre canzoni negli episodi sono "Girl from the north
country", "Don't think twice,it's all right", "Nettie More", "Hurricane"
e "Like a rolling stone".
Molto bella una delle scene finali dove Monterossi e il Sovrintendente
si ritrovano sulla tomba di una ragazza sfortunata che avevano
conosciuto durante le indagini e citano Like a rolling stone:
"Monterossi:Quando non hai niente, non hai niente da perdere, sei
invisibile adesso", ed il Sovrintendente aggiunge: "Non hai segreti da
nascondre".
In coclusione complimenti allo scrittore Alessandro Robecchi e a
Monterossi/Bentivoglio un Dylaniato vero.
Un saluto, Benedetto.
Grazie Benedetto,
sapevo che molti di voi hanno seguito gli episodi di "Monterossi" e che
nelle puntate c'erano alcune canzoni di Bob! Certamente meglio Bob che
altri, con tutto il rispetto per gli altri artisti, ma sai, noi
dylaniati abbiamo una debolezza per Bob!!! Grazie del tuo piacevole
commento, alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Ciao Tambourine,
nel mio percorso di completamento della discografia dylaniana ho da poco
aggiunto alla mia collezione More Blood, More Tracks - vol. 14 delle
Bootleg Series, il bellissimo Springtime in New York (vol. 16) mentre a
breve mi arriverà Travelin' Thru (vol. 15) che ho notato è pubblicizzato
nella home page di bobdylan.com, mentre non si trova nella sezione
Albums del sito...
Hai delucidazioni in proposito?
Saluti, Simone.
Caro Simone, più di
una volta ho espresso grossi dubbi sulla gestione del sito di Bob.
Certamente è un sito vasto e richiede moltissima attenzione per non
commettere errori. Comunque perchè il Vol.14 delle Bootleg Series non
figura nella pagina che elenca tutti gli albums di Bob è un grosso
mistero per noi, probabilmente ci sarà una ragione, ma non non la
sappiamo, l'unica cosa che possiamo dire è quello che diceva
sempre Maurizio Ferrini nella mitica trasmissione "Quelli della
notte" di Renzo Arbore nella quale interpretava il ruolo di un
rappresentante di pedalò della fantomatica ditta la "Cesenautica",
lanciando il popolarissimo tormentone "Non capisco, ma mi adeguo"..!
Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Bob Dylan ha venduto a Sony l'intero
catalogo -
clicca qui
Riguardo la vendita di tutto il materiale
di dylan registrato alla sony, se ho ben capito la sony stessa a questo
punto può far uscire, volendo, tutte le registrazione del net senza
vincolo dell autore o il suo benestare, in piena autonomia e libertà.
Credo anch'io che sia
così. Grazie per la segnalazione, la notizia è stata data ieri sera al
telegiornale, pare che la cifra sia 200 milioni di dollari!!! Alla
prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Martedì 25 Gennaio 2022
Talkin' 11942 -
alunni.f
Ciao Mr. Tambourine,
non so se la cosa può interessare, ma ho tradotto due delle mie canzoni
preferite di Dylan, Tangled up in blue e Simple twist of fate, da Blood
on the tracks. Ad ogni modo te le mando in calce alla mail.
Un caloroso saluto e grazie mille per tenere il sito sempre vivo e
aggiornato. Francesco Alunni
Nel groviglio dell'amarezza
Una mattina presto che il sole splendeva
ero sdraiato a letto,
a domandarmi se lei fosse così cambiata,
se i capelli li portasse ancora rossi.
I suoi l’avevano detto che la nostra vita assieme
sarebbe stata di sicuro dura.
A loro non era mai piaciuto il vestito fatto in casa della sposina,
il conto in banca del maritino non era poi abbastanza grande.
E io me ne stavo sul ciglio della strada,
la pioggia che mi cadeva nelle scarpe,
intanto che mi dirigevo verso la costa est.
Dio sa cosa avevo pagato per venirne fuori,
nel groviglio dell'amarezza.
Era sposata la prima volta che ci incontrammo,
in procinto di divorziare.
L’aiutai a uscir fuori da una brutta situazione, credo,
ma usai un pò troppo le maniere forti.
Guidammo quella macchina tanto lontano quanto potemmo,
l’abbandonammo a ovest,
ci separammo una sera scura e triste
entrambi d’accordo che fosse la cosa migliore.
Lei si voltò per guardarmi
mentre io camminavo via,
la sentii dire alle mie spalle:
“Ci rivedremo di nuovo un giorno, lungo il viale”,
nel groviglio dell'amarezza.
Avevo un lavoro nelle grandi foreste del nord,
facendo il cuoco per un breve periodo,
ma non è che mi piacesse così tanto
e un giorno l’ascia semplicemente cadde.
Così andai alla deriva fino a New Orleans
dove ebbi la fortuna di trovare un impiego,
lavorando per un po’ su un peschereccio, subito fuori Delacroix.
Ma tutto il tempo ero solo,
il passato mi stava alle calcagna,
di donne ne vidi molte
ma lei non mi uscì mai di testa e così ero sempre più
nel groviglio dell'amarezza.
Lei lavorava in un bar con le cameriere
in topless
e io mi ci fermai per una birra.
Continuavo a fissare il suo profilo
così chiaro sotto la luce del riflettore.
E più tardi quando la folla scemava,
e io stavo per fare la stessa cosa,
eccola dietro la mia sedia,
mi disse: “Non conosco il tuo nome?”.
Io borbottai qualcosa a mezza voce,
lei studiò le rughe del mio viso.
Devo ammettere che mi sentii un po’ a disagio
quando si chinò a legarmi i lacci delle scarpe,
nel groviglio dell'amarezza.
Lei accese un fornello della stufa e mi offrì un tiro.
“Pensavo che non mi avresti mai detto ciao” mi disse, “Sembri un tipo
taciturno”.
Poi aprì un libro di poesie e me lo porse,
scritto da un poeta italiano del tredicesimo secolo.
E ognuna di quelle parole risuonava vera
e fiammeggiava come un carbone ardente,
traboccando da ogni pagina
come se fosse stata scritta nella mia anima da me per te,
nel groviglio dell'amarezza.
Vivevo con loro a Montague Street
in un seminterrato sotto le scale.
C’era musica nei caffè la sera
e in giro aria di rivoluzione.
Poi lui cominciò a trattare schiavi
e qualcosa dentro di lui morì.
Lei dovette vendere tutto ciò che possedeva
e dentro di lei si fece il gelo.
E quando alla fine la situazione precipitò
io mi ritirai in me stesso.
L’unica cosa che sapessi fare
era tirare avanti come un uccello che volava
nel groviglio dell'amarezza.
Così adesso torno di nuovo indietro,
devo trovarla in qualche modo.
Tutte le persone che conoscevamo
non sono che un’illusione per me ora.
Alcuni sono matematici,
altre mogli di falegnami.
Non so come tutto sia cominciato,
non so cosa facciano delle loro vite.
Ma io, io sono ancora per strada
diretto a un altro locale.
Abbiamo sempre avuto lo stesso modo di sentire,
solo che la vedevamo da un diverso punto di vista,
nel groviglio dell'amarezza.
Sedettero insieme nel parco
mentre il cielo della sera scuriva.
Lei lo guardò e lui sentì una scintilla pizzicarlo fin nelle ossa:
fu allora che si sentì solo e desiderò d’aver tirato dritto
e si mise in guardia da una semplice piega del destino.
Passeggiarono lungo il vecchio canale,
un po’ confusi, lo ricordo bene,
e si fermarono in uno strano albergo con un neon che brillava
sgargiante.
Lui sentì il calore della notte colpirlo come un treno merci
che viaggiava insieme a una semplice piega del destino.
Un sassofono suonava in qualche posto lontano,
mentre lei passava accanto al porticato,
intanto che la luce irrompeva per una logora tapparella dove lui si
stava svegliando.
Lei lasciò cadere una moneta nella tazza di un cieco al portone
e si dimenticò di una semplice piega del destino.
Lui si svegliò, la stanza spoglia,
non la vide da nessuna parte;
si disse che non gli importava, spinse la finestra che si spalancò.
Sentì un vuoto dentro col quale non sapeva proprio relazionarsi,
determinato da una semplice piega del destino.
Lui ascolta il ticchettare degli orologi
e cammina con un pappagallo parlante.
Le fa la posta presso i moli del porto dove giungono tutti i velieri.
Forse lei se lo sceglierà di nuovo, quanto a lungo dovrà lui aspettare?
Ancora una volta per una semplice piega del destino.
La gente mi dice che è un peccato
il troppo sapere e sentire nell’intimo.
Ancora credo che fosse lei la mia gemella, ma ho perduto l'anello.
Lei è nata in primavera, ma io sono nato troppo tardi:
tutta colpa di una semplice piega del destino.
Caro Francesco, ho
letto con piacere le tue traduzioni e, naturalmente, ho fatto il
confronto con le traduzioni pubblicate nel sito. Al di là di qualche
piccola differenza nella traduzione di qualche parola, ho constatato che
non hai assolutamente cambiato il senso del testo. Che dire,
complimentissimi e grazie, alla prossima, live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
30 Le migliori recensioni di Bob Dylan
Triplicate testato
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Sabato 22 Gennaio 2022
Talkin' 11941 -
dinve56
Oggetto: Romance in Durango
Salve Mister Tambourine,
prima di tutto grazie per aver corretto la mia talkin'
11938 del 14
gennaio, anzi meglio, per averla completata inserendo un'informazione
importante. La simpatica parodia di Stefano (talkin'
11940) di "Romance
in Durango", mi ha indotto a riascoltare la canzone di Bob Dylan e
Jacques Levy. Settima traccia dell'album "Desire", "Romance in Durango"
è una canzone dal ritmo rapido e coinvolgente, ben lontana dalle usuali
sonorità dylaniane, tendenti - quando non è rock - al tono elegiaco
(scusate l'utilizzo di termini letterari, ma non saprei definire
altrimenti certo sound del Nostro). Racconta l'avventura dell' io poetico
con Magdalena. Stanno fuggendo verso Durango, citta reale, capitale
dello Stato Federale di Durango, nel Messico. L' io Poetico chiede a
Magdalena, e, insieme, al lettore, se sia stato lui a colpire con la sua
arma un certo Ramon, in una cantina, in un luogo non meglio precisato.
Dramma della gelosia? Sembrerebbe di sì. La "collisione" tra cultura
anglosassone e cultura ispanica è evidente. Nelle strofe 3,6,10,13,
l' io poetico utilizza lo spagnolo. Dice infatti il testo:" no llores mi
querida/ Dios nos vigila...Agarrame, mi vida...". L' io poetico promette
a Magdalena che, giunti a Durango, balleranno il fandango. Il fandango è
un'antica danza ispanica. L'immagine più letterariamente poetica del
testo è nella quarta strofa, dove Dylan poeta dice "oltre le rovine
atzeche ed i fantasmi della nostra gente/ zoccoli come nacchere sulla
pietra/ di notte sogno le campane del villaggio/ poi vedo il viso
insanguinato di Ramon". Dylan, con Levy, crea questa metafora
bellissima, secondo me, tra le nacchere, usate nel fandango, e lo
scalpiccio degli zoccoli del cavallo sulla pietra. Il cawboy che fugge a
cavallo con Magdalena e gli zoccoli del suo cavallo sulla pietra come
nacchere, è una similitudine che evoca, in un unico verso, un'immagine
ed un suono. La conclusione della canzone è ambigua. Il protagonista
(l'ho chiamato io poetico... sono la stessa cosa, fondamentalmente)
crede di essere stato colpito e dice all'amata Magdalena :" Svelta
Magdalena, prendi il mio fucile/guarda sulle colline quel lampo di
luce/mira bene piccola mia/potremmo non uscirne vivi stanotte". Non ho
mai sentito il fandango, ma sarei curiosa di sapere se il ritmo di
questa bellissima canzone - bella la musica e bello il testo - sia in
qualche modo simile al ritmo ed alla musicalità della danza spagnola.
Saluti. Lunga vita. Carla.
Cara Carla, condivido
la tua disamina di Romance in Durango e mi piace l'accostamento che hai
fatto tra le nacchere e gli zoccoli del cavallo che sembrerebbero
dettare e dare un ritmo continuativo e gioioso al pezzo dylaniano. Il
fandango è uno stile musicale spagnolo; il termine contraddistingue
anche la danza omonima in ritmo ternario (3/4 o 6/8), che si balla in
coppia ed è accompagnata con nacchere e chitarra e, talora, cantata.
Considerata la caratteristica della danza, l'espressione "Fandango" è
stata utilizzata come sinonimo di trambusto (ajetreo), tumulto o anche
come esibizione di maestria. Essendo una miscela eclettica di danze
popolari e flamenco, il Fandango ha radici profonde nella cultura che
risale al periodo barocco e alla corte reale di Madrid, in Spagna. Le
origini della danza Fandango e la creazione della musica Fandango sono
talvolta intese come risalenti alla prima cultura romana e greca, e
talvolta sono associate come espressione erotica della danza che era
particolarmente popolare a Roma. Tuttavia, i puristi affermano che le
vere origini della musica Fandango e il Fandango come unica mossa di
danza iniziano in realtà con la presenza di compositori italiani nella
corte reale spagnola durante il periodo barocco. In effetti, a Luigi
Boccherini viene spesso attribuito lo sviluppo del primo lento Fandango
a Madrid. Queste miscele di danza spagnola con sensibilità europea hanno
creato una danza e un accompagnamento musicale che sarebbero iniziati
come una melodia lenta e delicata, per poi aumentare di tempo man mano
che la musica e la danza avanzavano. La costruzione lenta che porta alla
conclusione è stata inizialmente creata per la danza solista, ma in
pochissimo tempo ha coinvolto le coppie ballando e ha creato variazioni
sulla premessa originale. Prima della fine del secolo, il Fandango era
saldamente inserito come una danza spagnola essenziale. La produzione di
musica e danza di Fandango è caratterizzata da un modello ¾ che inizia
con un minore e poi passa a un maggiore. Le nacchere sono state incluse
nella musica all’inizio e rimangono ancora una parte importante del
Fandango. Nella pratica, il Fandango ha un aspetto non dissimile dalla
tip tap, con un rapido movimento del piede di passi intenzionali che
portano naturalmente ai passi successivi. Un individuo può eseguire la
danza Fandango, ma la danza può essere eseguita da una coppia.
Il Fandango è stata un’attrazione popolare anche negli Stati Uniti per
molti anni, in particolare nella parte sud-occidentale del paese.
Utilizzato spesso in spettacoli teatrali e parte delle istruzioni di
danza di base in molti studi di danza, il Fandango è considerato un
elemento essenziale quando si tratta di imparare mosse di danza da
utilizzare nella società educata. Dylan , fanatico com'è di tutti i tipi
di musica, conosceva certamente questa danza importata dalla Spagna,
quindi non c'è da stupirsi se ha inserito il ballo come conclusione
della fuga dei due protagonisti della canzone, fuga che avviene verso la
città di Durango, ufficialmente Victoria de Durango, che è la città più
popolosa nonché capitale dello stato federale di Durango, in Messico.
Durango è uno Stato del Messico situato nella parte
centro-settentrionale del paese. Confina a nord-ovest con lo Stato del
Chihuahua, a nord-est con lo Stato del Coahuila, a sud-est con lo Stato
Zacatecas, a sud con lo Stato Nayarit e a est con lo Stato di Sinaloa.
La capitale è Victoria de Durango (chiamata abitualmente Durango), il
cui nome origina da quello del primo presidente messicano, Guadalupe
Victoria, che era originario dello Stato.
Romance in Durango è
la settima traccia dell'album "Desire". Il primo verso della canzone
sembra essere stato ispirato da una cartolina inviata a Jaques Levy dal
commediografo Jack Gelber raffigurante dei peperoncini. Da questo verso
si svilupperà poi tutta la canzone che ha come protagonisti due
fidanzati che fuggono verso Durango dopo che lui ha ucciso una persona
chiamata Ramon in un'osteria.
La canzone è stata tradotta in italiano da Massimo Bubola e Fabrizio De
André, ed inserita nell'album "Rimini"; i due traducono il ritornello
della canzone (che nell'originale è una lingua inventata anglo-ispanica)
in una sorta di dialetto meridionale (simile all'abruzzese), lasciando
inalterata la struttura narrativa del testo.
Una cover di questa canzone, nella versione tradotta da Bubola e De
André, è stata incisa dal cantautore lombardo Andrea Parodi insieme al
cantautore fiorentino Massimiliano Larocca con un arrangiamento Tex-mex,
ed inclusa nell'antologia-tributo a Fabrizio De André Duemila papaveri
rossi.
Ecco la traduzione del testo in modo che tutti possano capire la
liricità del testo anche se la canzone parla di una fuga dopo un
omicidio.
Avventura a Durango
(Dylan/Levi)
Peperoncini rossi nel sole cocente
Polvere sulla faccia e sul mantello
Io e Maddalena in fuga
Credo che stavolta riusciremo a fuggire
Ho venduto la chitarra al figlio del fornaio
per qualche briciola e un posto dove nasconderci
ma potrò sempre comprarne un'altra
e suonerò per Maddalena mentre cavalchiamo
Non piangere, mia cara
Dio ci proteggerà
Presto i cavalli ci porteranno a Durango
Stringimi, vita mia
Presto il deserto finirà
Presto danzeremo il fandango
Oltre le rovini dei tempi aztechi
e i fantasmi della nostra gente
Il suono degli zoccoli come nacchere sulla pietra
di notte sogno le campane del villaggio
e la faccia insanguinata di Ramon
Sono stato io a sparargli in cantina
Era la mia mano a tenere la pistola?
Andiamo, scappiamo, Maddalena
I cani abbaiano quel che è fatto è fatto
Non piangere, mia cara
Dio ci proteggerà
Presto i cavalli ci porteranno a Durango
Stringimi, vita mia
Presto il deserto finirà
Presto danzeremo il fandango
Alla corrida sedieremo all'ombra
e guarderemo il torero ergersi solo
Berremo tequila dove sedevano i nostri nonni
Quando combattevano con Villa a Torreón
Il prete dirà le sue vecchie preghiere
nella chiesetta da questa parte del villaggio
porterò i miei stivali nuovi e un orecchino d'oro
e tu splenderai come i diamanti del tuo abito nuziale
La strada è lungo ma la fine è vicina
La fiesta è già cominciata
Il volto di Dio apparirà
coi suoi sibilanti occhi verdi di ossidiana
Non piangere, mia cara
Dio ci proteggerà
Presto i cavalli ci porteranno a Durango
Stringimi, vita mia
Presto il deserto finirà
Presto danzeremo il fandango
E' un tuono quello che ho sentito?
La mia testa vibra, sento un dolore intenso
Siedimi vicino, non dire nulla
Oh, sono riusciti a uccidermi?
Svelta, Maddalena, prendi il mio fucile
Guarda sulle colline, quel colpo di luce
Mira bene, piccola mia
potremmo non riuscire a superare la notte
Non piangere, mia cara
Dio ci proteggerà
Presto i cavalli ci porteranno a Durango
Stringimi, vita mia
Presto il deserto finirà
Presto danzeremo il fandango
Se ti interessa anche
vedere come si balla il Fandango clicca sullink sotto:
Romance in Durango (Dolor in Durango)
(testo di Stefano Catena)
Patatine fritte Sotto il sole cocente
ketchup e senape sul mantello
Io e la mia senora ce ne andremo
Arriveremo a Durango sotto un cielo stellato.
Non piangere amica mia
Se il Big burger ti dole nella panza
Un medico presto troveremo lungo la strada.
Non piangere bella mia la medicina ti darà
Ed il mal di panza in un baleno sparirà
E balleremo il fandango.
Ho venduto la pistola
per il digestivo mi hai vomitato sul vestito.
Piangevi sotto la luna e il cuscino tra i dolori
vedevi il Ramon in lontananza
mi hai detto corri presto
che me la sto facendo sotto.
Tieni duro bella mia l'arrivo non è lontano
un gabinetto alla stazione troveremo.
Grazie Stef, alla
prossima, Mr.Tambourine, :o)
Martedì 18 Gennaio 2022
Bob Dylan, donne e femminismo: una relazione complicata
clicca qui
Gli 80 anni di Bob Dylan, l'uomo-mondo
senza tempo
clicca qui
Lunedì 17 Gennaio 2022
Talkin' 11939 -
renzoalessi
Carissimo, ho visto l'interessante
articolo sul disco di Gian Pieretti "NOBEL", da folle ricercatore di
tutto quello che sa di "BOB" ho sconfinante desiderio di acquisirlo, mi
sapete indicare un sito o qualcosa di simile, grazie BOB FOREVER !!!!
Renzo.
Caro Renzo, purtroppo
credo che "Nobel" pubblicato nel 2019 dopo essere stato bloccato per 2
anni per motivi non noti, sia purtroppo oggi un disco introvabile. Se
qualcuno dei nostri lettori ne fosse in possesso e volesse vendertelo o
regalartelo può scrivere alla Fattoria! Di questo disco ho trovato il
video del brano "Una pioggia forte cadrà" che ho trovato avere un testo
molto bello ed abbastanza in armonia con l'originale. Se saprò qualcosa
te lo farò sapere. SE vuoi saperne di più Pieretti puopi leggere la
pagina:
https://it.wikipedia.org/wiki/Nobel_(album). Alla prossima,
Mr.Tambourine, :o)
A chi pensava Bob Dylan quando scrisse
“Like a Rolling Stone?”
clicca qui
Venerdì 14 Gennaio 2022
Talkin' 11938 -
dinve56
Oggetto: Talkin'
11937 e recensione dei Basement Tapes
Buongiorno Mr.Tambourine, mi è piaciuta
la breve poesia di "catestef", perchè mi comunica due idee che ritengo
valide : la prima è che Dylan sia un poeta destinato a durare nel tempo
come Omero e Dante; la seconda idea è che sia un eroe americano, cioè,
per me, un eroe della libertà, della gioventù e dell'ottimismo. Foscolo
pensava che l' unica immortalità sia quella dei poeti... non so, è
difficile dire se sia proprio così. Certo è che i poeti più suggestivi e
in grado di comunicare ancora idee, sentimenti, passioni attraverso i
secoli e i millenni, sono quelli che segnano gli albori di una civiltà :
Omero di quella greca e occidentale, Dante di quella neo-latina e Dylan
di quella del Nuovo Mondo che si "separa" letterariamente e
culturalmente dalla madre patria inglese.
I "Basament Tapes" sono la prova inconfutabile che la produzione
musicale dylaniana è immensa. Sono convinta che il tempo, la sensibilità
e il gusto dei fan selezioneranno un "canone", cioè una scelta di testi
ritenuti altamente significativi e artisticamente validi. Saluti a tutti
i Farmer e lunga vita! Carla.
Carissima Carla, son
davvero contento di leggerti di nuovo. Mi piace come affronti gli
argomenti e come trai sempre delle indicazioni e conclusioni assai
precise e condivisibili. Inoltre rendi impossibile confutarti qualcosa
perchè tutto ciò che scrivi è di una giustezza indiscutibile. Ottimo il
tuo trittico Omero-Dante-Dylan, anche se l'accostamento Omero/Dante con
Dylan potrebbe sembrare una scortesia verso i due grandi (forse solo uno
perchè non siamo sicuri che Omero sia esistito o che sia solo un nome
che raccoglie la maggior parte della tradizione orale ellenica, gli aedi
del tempo cantavano ognuno una loro "Iliade" personale, finchè
l'introduzione della scrittura permise di raggruppare tutti questi
episodi ed attribuirli al nome Omero), ma pensandoci bene nessuno, dopo
Dante e specialmente nel nostro secolo ha avuto un impatto maggiore
sulla persone. Non penso che Bob sia un filosofo, forse è solo uno che
aveva il dono di saper dire quello che aveva da dire, influenzando
milioni di persone con il suo trasformismo letterale e poetico. Molti
non hanno capito (peggio per loro), molti lo hanno contestato (peggio
per loro), molti hanno contestato chi gli ha riconosciuto le sue
capacità di influenzare le masse assegnandogli il Nobel (peggio per
loro), a noi Bob va benissimo così, con le sue strabilianti ed
inconcepibili e inclassificabili trasformazioni artistiche. Resto in
attesa della tua prossima, un abbraccio, Mr.Tambourine, :o)
Timothée Chalamet interpreterà Bob
Dylan
clicca qui
Giovedì 13 Gennaio 2022
Talkin' 11937 -
catestef
Ti invio questa mia breve composizione,
spero che piaccia e sia gradita.
Per Bob Dylan
(testo di S.Catena)
Con i tuoi versi di poesia
Con la tua chitarra e armonia
Con i tuoi testi Immortali
Canti a Dio e agli esseri umani.
Bob Dylan c’e’ sempre stato
Dicesti una volta ad un giornalista
Lo credo anche io, ci sarai sempre
Come Omero e Dante
Su questo vecchio mondo
Come un eroe Americano.
Caro Stefano, grazie
per le tue parole rivolte a Bob! Tutti dobbiamo essergli grati e
riconoscenti perchè con le sue frasi ha suscitato in noi emozioni e
sensazioni diverse che si sono stampate nella nostra memoria, come se
fossero le tavole della legge dylaniana! Alla prossima, Mr.Tambourine,
:o)
Bob Dylan, non ancora chiusa la causa
per i diritti dell'album "Desire"
clicca qui
Mercoledì 12 Gennaio 2022
The Basement Tapes (1975)
The Basement Tapes and The Bootleg Series Vol. 11 (1975)
"L'idea era di registrare dei demo per altri artisti. Non sono mai stati
concepiti per essere pubblicati, per diventare un disco, per essere
presentati al pubblico". Fortunatamente Robbie Robertson ci conferma ciò
che appare evidente dopo l'ascolto di questo doppio disco pubblicato per
la prima volta il 26 giugno 1975. Otto dei 24 brani sono eseguiti da The
Band, senza Dylan, ma bisogna tenere un altro numero ben più imponente e
voluminoso, per questa raccolta che conta 139 tracce complessive. Le
registrazioni risalgono però al periodo che va da giugno 1967 al 1968.
Successivamente verranno eseguite delle sovraincisioni durante il 1975.
La gestazione di questo disco non è quindi molto omogenea, così come la
scaletta. Le composizioni sono di Dylan, Robbie Robertson, Richard
Manuel e Rick Danko, alcune delle quali scritte in collaborazione a
quattro mani. Il materiale include almeno 4-5 brani che entreranno di
diritto nella storia della musica popolare, ma la cosa più importante,
in termini di documento storico è come avvengono le sessions e le prove.
Resta da dire che non si può parlare di un vero lavoro in studio, ma che
sarebbe riduttivo dire che si tratti di semplici provini, visto anche il
valore e l'intensità con cui vengono eseguite. Purtroppo le
registrazioni e l' acustica della cantina renderanno il suono
decisamente lo-fi, ma se il disco viene ascoltato oggi il problema non
sussiste, dato che spesso la musica viene spesso prodotta in modo
simile, anche se la tecnologia ha fatto passi in avanti, naturalmente.
Escludendo il primo triennio (1962-1964) più qualche occasionale
ripensamento, Bob Dylan ha scritto, inciso e pubblicato dischi
supportato da una band elettrica o comunque elettro-acustica. Nonostante
abbia pubblicato solo 6 album su 39 con questo tipo di line-up per
moltissimi lui sarà sempre una voce folk, un menestrello armato di
chitarra acustica e armonica pronto a regalare note emozioni e nuove
canzoni al mondo. Questa premessa obbligatoria ci conduce nella cantina
più famosa degli anni sessanta. Perlomeno per un certo tipo di pubblico
affascinato dal fenomeno crescente del folk rock. Di quel genere
musicale che oggi abbiamo imparato a chiamare Americana. The Basement
Tapes sono una mappa alternativa, cartina tornasole di un gruppo che
stava muovendo i primi passi e di un autore già celebre e incensato alla
ricerca di ispirazione di un nuovo sound del groove con cui prima o poi
sarebbe tornato a far parlare di sé. Ufficialmente queste registrazioni
risalgono al periodo 1966-1967 ma il disco venne pubblicato dalla
Columbia Records solo durante l' estate del 1975. Bob Dylan all' epoca
era già tornato sia in studio che dal vivo, prima con "The Band" e
successivamente con un altro nucleo di musicisti che lo avrebbero
accompagnato in studio e nelle esibizioni live di quel carrozzone noto
come Rolling Thunder Revue. Le canzoni e le registrazioni, eccettuate
alcune sovraincisioni che fecero più danno che altro, risalgono quindi a
circa 8 anni prima. E questo non è certo un elemento trascurabile per un
artista sfuggente e mutevole come il Nostro.
La qualità è rozza, cruda, l'approccio diretto, spontaneo e
inconsapevolmente lo-fi. In maniera libera e informale prende vita un
ritratto totale della cultura americana, attingendo da ogni vena
pulsante della storia della musica degli States. Qui respiriamo l' aria
di pianure sterminate, dei deserti e sentiamo gli odori della terra, dei
fiumi, percependo infinite sfumature cromatiche di questo luogo
infinito. I testi si ispirano gioco-forza a quell' America rurale,
entrando nelle viscere di personaggi che sono al contempo santi e
peccatori, prostitute e vergini, amanti del vizio alla ricerca della
salvezza dell'anima. Il fatto che Bob Dylan e The Band si siano chiusi a
fare questa musica arcana e blasfema mentre il mondo sta andando a ferro
e fuoco, è un dettaglio da non trascurare. In effetti ascoltando bene
tra le tracce, qualcosa si avverte anche. Tears of Rage, You Aint' Goin'
Nowhere, This Wheel's on Fire e I Shall Be Realesed (che tuttavia non
sarà inclusa nel doppio album, ma pubblicata separatamente prima da The
Band e poi dallo stesso Dylan.) sono figlie illegittime di questi tempi
turbolenti e solo per alcuni mitizzati e ancora oggi celebrati come una
stagione irripetibile. Nota a parte per il brano I’m Not There,
pubblicato ufficialmente solo nel 2007 come colonna sonora dell’omonimo
film ispirato alle molte vite di Dylan e diretto dal talentuoso e
visionario regista statunitense Todd Haynes (ma della pellicola e della
colonna sonora vi parlerò in maniera estesa in un post a parte, più in
là nel tempo).
Non tutto il lavoro verrà però svolto invano, visto che The Byrds,
Peter, Paul and Mary e soprattutto i britannici Manfred Mann sapranno
valorizzare questo materiale. Personalmente ho sempre apprezzato molto
un brano come Goin' to Apaculpo o lo stesso Million Dollar Bash, mentre
il valore di Quinn the Eskimo (Mighty Quinn) è certificato dal primo
posto di questo singolo nelle classifiche UK, nella versione dei Manfred
Mann.
Che dite, ne valeva la pena raccogliersi in uno scantinato con un gruppo
di amici, cane sdraiato sul pavimento a fare da groupie casuale?
A rendere giustizia a queste takes ci penserà il tempo e la storia,
visto che nel 2014 viene pubblicata la compilation di registrazioni
edite, inedite, nastri demo e versioni alternative che troverete su The
Bootleg Series Vol.11: The Basement Tapes Complete. Se posso suggerirvi,
vi consiglierei di recuperare direttamente questa versione delle
incisioni, se non siete dei completisti anche in versione RAW a due
compact disc. Trentotto tracce che fanno da mappa riduttiva rispetto
alla versione completa da 139 tracce e 6 cd.
Dario Twist of Fate
Martedì 11 Gennaio 2022
Talkin' 11936 -
benede
Oggetto: Bob Dylan 1987
Ho sempre pensato che il 1987 fosse stato
per Dylan un anno molto importante, per quanto riguarda le esibizioni
live. Proprio durante quei concerti ritrova la sua imprevedibilità nel
suonare le canzoni. Nell'estate inizia un mini tour con i Grateful Dead,
il 4 luglio a Foxborough, poi Philadelphia, East Rutherford, Eugene,
Oakland per finire ad Anaheim il 26.
Ma secondo me i vertici vocali e musicali vengono raggiunti con il tour
europeo "Temples in Flames", insieme a Tom Petty, gli Heartbreakers, the
Queens of Rhythm e la partecipazione di Roger Mc Guinn.
Il tour parte da Tel-Aviv il 5 settembre e l'ultima canzone eseguita è
un tradizional, Go Down,Moses che verrà eseguita soltanto quella sera e
nell'ultimo concerto a Londra il 17 ottobre.
Go Down, Moses
When Israel was in Egypt's land
Let my people go
Oppressed so hard they could not stand
Let my people go
Go down, Moses, way down in Egypt's land
Tell ol' Pharaoh, Let my people go.
Thus saith the Lord, bold Moses said,
Let my people go,
If not, I'll smite your first-born dead,
Let my people go.
Go down...
No more shall they in bondage toil,
Let my people go,
Let them come out with Egypt's spoil,
Let my people go.
Go down...
The Lord told Moses what to do,
Let my people go,
To lead the Hebrew children through,
Let my people go.
Go down...
O come along Moses, you'll not get lost,
Let my people go,
Stretch out your rod and come across,
Let my people go.
Go down...
As Israel stood by the waterside,
Let my people go,
At God's command it did divide,
Let my people go.
Go down...
When they reached the other shore,
Let my people go,
They sang a song of triumph o'er,
Let my people go.
Go down...
Pharaoh said he'd go across,
Let my people go,
But Pharaoh and his host were lost,
Let my people go.
Go down...
Jordan shall stand up like a wall,
Let my people go,
And the walls of Jericho shall fall,
Let my people go.
Go down...
Your foes shall not before you stand,
Let my people go,
And you'll possess fair Canaan's land,
Let my people go.
Go down...
O let us all from bondage flee,
Let my people go,
And let us all in Christ be free,
Let my people go.
Go down...
We need not always weep and mourn,
Let my people go,
And wear these slavery chains forlorn,
Let my people go.
Il 1987 e' anche l'anno che ho visto per la prima volta Dylan, a Modena
il 12 settembre all'ex autodromo.
In quella larga distesa c'era molta confusione quando è arrivato sul
palco, e questo ha fatto si che avessi difficoltà a riconoscere il primo
brano, Rainy day Women 12&35. Ricordo la su figura vestita di bianco come
la chitarra acustica anch'essa bianca, bellissima. E semmai ci fosse
stata la prova toccai con mano che dal vivo Dylan reinventa le sue
canzoni con nuove melodie, anche musicalmente.
Tre giorni dopo a Dortmund fece una grandissima versione a inizio
spettacolo di Knokin' On Heaven's Door
con una voce potentissima.
Il tour andava avanti, rividi Bob a Verona il primo ottobre e a Milano il
4/10.
Il concerto di Verona fu bellissimo, come lo era l' Arena quella sera. La
prima canzone fu When the night comes falling from the sky, perfetta per
inziare uno spettacolo, ma quando cominciò a cantare LARS, mi resi conto
che stavo assistendo ad una delle più grandi interpretazioni di quella
canzone, per come intonò la prima strofa, dentro di me sperai che
qualcuno stesse registrando il concerto perchè non vedevo l'ora di
poterlo risentire. Questo avvenne tempo dopo ed ebbi la conferma di
quello che pensavo quella sera davanti al mito.
Della data di Milano ricordo una grade versione di Don't think
twice,it's all right, eseguita soltanto con piano e chitarra, di Benmont
Tench e Mike Campbell, come Tomorrow is a long time a Londra. Poi c'è
Forever Young cantata diverse volte, con una lunga introduzione di
armonica.
Ma è a Locarno che succede qualcosa, come scrive Dylan in Chronicles
vol.1, nelle prime date aveva cantato circa ottanta canzoni diverse, per
mettersi alla prova, e tutto andava per il meglio senza problemi, ma
quella sera gli successe qualcosa, vuoi anche per il maltempo il vento e
la pioggia copiosa, ebbe difficoltà a fare uscire fuori la sua voce, non
era piacevole essere in quella situazione davanti a circa ottomila
persone. Molte delle tecniche che aveva usato non funzionavano, poi
all'improvviso, come scrive, pronunciò il suo incantesimo per far
arretrare il diavolo. Istantaneamente fu come avere liberato un
purosangue, e tutto ritornò e in più di una dimensione. Era avvenuta una
metamorfosi davanti a tutti, ma forse non era stata percepita.
"Adesso l'energia mi veniva da cento angoli diversi, completamente
imprevedibili. Possedevo una facoltà nuova che sembrava superare tutti
gli altri umani requisiti. Se mai avessi voluto una nuova motivazione, ora
l'avevo. Era come se fossi diventato un artista nuovo, uno sconosciuto nel
senso della parola.
In piu' di trent'anni di concerti, questo era un luogo che non avevo mai
visto e in cui non ero mai stato. Se non esisteva, qualcuno avrebbe dovuto
inventarlo per me".
Bob Dylan preso da questo nuovo entusiasmo e questa nuova voglia di
cantare, diede mandato ad Elliot Roberts, il quale aveva organizzato i
suoi concerti di quell'anno, di fissare nuove e numerose date per l'anno
dopo.
Nel 1988 da Concord il 7 giugno, partiva ufficialmente il Never Ending
Tour. Le date furono 71, la band che accompagnò Dylan era formata da
G.E.Smith alla chitarra, Kenny Aaronson al basso e Christofer Parker alla
batteria.
Temples in Flames Tour - Europa 1987.
SETTEMBRE
5 Tel-Aviv, IsraelHayarkon Park
7 Jerusalem, IsraelSultan's Pool
10 Basel, SwitzerlandSt. Jakobshalle
12 Modena, ItalyArea Ex Autodromo
13 Turin, ItalyPalasport
15 Dortmund, West GermanyWestfalenhalle 1
16 Nuremberg, West GermanyFrankenhalle
17 East Berlin, East GermanyTreptower Festwiese
19 Rotterdam, The NetherlandsSportpaleis Ahoy
20 Hanover, West GermanyMessehalle 20
21 Copenhagen, DenmarkValby Hallen
23 Helsinki, FinlandJäähalli
25 Gothenburg, SwedenScandinavium
26 Stockholm, SwedenJohanneshovs Isstadion
28 Frankfurt, West GermanyFesthalle
29 Stuttgart, West GermanyHanns Martin Schleyerhalle
30 Munich, West GermanyOlympiahalle
OTTOBRE
1 Verona, ItalyArena di Verona
3 Rome, ItalyRoma Palaeur
4 Milan, ItalyArena Civica di Milano
5 Locarno, SwitzerlandPiazza Grande
7 Paris, FranceP.O.P.B. Bercy
8 Brussels, BelgiumVorst Nationaal
10 Birmingham, EnglandInternational Arena, National Exhibition Center
11 Birmingham, EnglandInternational Arena, National Exhibition Center
12 Birmingham, EnglandInternational Arena, National Exhibition Center
14 London, EnglandWembley Arena
15 London, EnglandWembley Arena
16 London, EnglandWembley Arena
17 London, EnglandWembley Arena
Fine prima parte.
Benedetto.
Bravissimo Benedetto,
bellissimo il tuo ricordo di questo importantissiomo periodo della
carriera/live di Bob. A Verona e Milano c'ero anch'io, erano le prime
volte che vedevo Bob!!! Ora restiamo in attesa della seconda parte per
continuare questo bellissimo ricordo dylaniano. A presto, Mr.Tambourine,
:o)
Sabato 8 Gennaio 2022
Talkin' 11935 -
benede/catestef
Un pò di sano gossip. Avete visto come
Bob Dylan ha decorato casa sua con le luci natalizie?
Carissimi
Benedetto e Stefano, ho ritenuto giusto accumunarvi nella stessa mail
perchè tutti e due mi avete fatto la medesima segnalazione. Molto
probabilmente questo Merrill Markoe, il giornalista vicino di casa di
Bob, soffre della della Sindrome di Procuste. Chi ne soffre prova
un’invidia per i successi degli altri e, per sentirsi meglio, può
arrivare anche a fare azioni per sabotarli. Non a caso questa patologia
prende il nome da un brigante della mitologia Greca, famoso per la sua
indole di torturatore, che non tollerava chi era diverso o migliore di
lui. Le sue vittime infatti venivano fatte sdraiare in un letto e se non
si adattavano perfettamente alla lunghezza subivano due tipi di sevizie:
a chi sporgeva venivano amputate le gambe, mentre chi era più corto
venivano stirati gli arti. In seguito, questo mito è stato usato nella
psicologia per quelle persone che non riescono a sopportare il successo
degli altri e mossi da un’invia tremenda verso chi reputano migliore,
fanno di tutto per umiliarli e boicottarli.
Può capitare a tutti di incontrare una persona che invece di gioire
delle nostre vittorie, faccia di tutto per metterci i bastoni tra le
ruote. Ma il post ed il commento di Markoe mi sembra banale, ed uso
questo termine per cortesia, così come trovo ottusamente stupido cercare
di dare una interpretazione correlata alle canzoni di Dylan guardando la
disposizione delle luci. Mi sembra proprio una cosa ancora più sciocca
del "Grande fratello", intendo più sciocca riferendomi all'attuale GFVIP
condotto da Alfonso Signorini che ha trasformato la trasmissione (che
già in partenza non aveva pretese filosofiche, in una copia del giornale
che dirige, giornale che vive di gossip e chiacchiericcio su altre
persone, naturalmente persone famose, perchè quello che faccio io non
interesserebbe e non attirerebbe l'attenzione di nessun morboso
telespettatore. Il titolo della trasmissione, s'ispira all'omonimo
personaggio del romanzo "1984" di George Orwell (quello di "La fattoria
degli animali" tanto per intenderci), romanzo nel quale Orwell immagina
che nel futuro, (infatti 1984 deriva dalla inversione delle ultime due
cifre dell'anno 1948, anno di stesura del romanzo), il mondo sia
dominato da un Grande Fratello che nessuno conosce che detta legge nello
stato totalitario di Oceania attraverso l'uso delle telecamere con le
quali sorveglia costantemente e reprime il libero arbitrio dei suoi
cittadini. Lo slogan del libro "Il Grande Fratello vi guarda" si
riferisce al meccanismo del programma televisivo, nel quale gli autori
della trasmissione (il Grande Fratello appunto) hanno il controllo della
situazione in casa. Purtroppo oggi, a mio modesto avviso, non c’è più
l’eroe tragico W. Smith di 1984, che tenta disperatamente di sfuggire
all’occhio vigile del controllo per riaffermare la sua individualità, ma
ci sono milioni di individui in tutto il mondo che, pur di raggiungere
notorietà ed il successo, chiedono volontariamente di essere
eterodiretti, ignorando la propria dignità e consegnandosi
strumentalmente nelle mani di perversi meccanismi televisivi che
generano i moderni eroi anti-eroi. Questo significa che ognuno di noi ha
un suo prezzo, e vi confesso che se mi pagassero profumatamente, un due
o tre mesi di cretinate la farei volentieri anch'io nella casa! Detto
questo mi chiedo de davvero ci sono persone che siano interessate a come
e se Dylan decori la sua casa con le luci natalizie..........Come dice
la locuzione "De gustibus non disputandum est"! Vi ringrazio per la
segnalazione che, molto contortamente, mi ha dato modo di esprimere un
mio modo di vedere una cosa il cui scopo non riesco a capire!!! Ma non
importa, penso di sopravvivere anche senza capire, alla prossima,
Mr.Tambourine, :o)
Venerdì 7 Gennaio 2022
Bob Dylan: la sua accusatrice ora
cambia versione
clicca qui
Fallen Angels, secondo capitolo dell'omaggio di Bob Dylan al
Great American Songbook è una sorprendente raccolta di classici della
canzone americana popolare che ricalca a grandi linee il manifesto
programmatico a cui avevamo assistito due anni prima, con il
predecessore Shadows in the Night. Trentasettesimo lavoro in studio,
registrato con la stessa band che lo accompagna dal vivo, più l'aggiunta
del chitarrista Dean Parks, per irrobustire la line-up, propone
una selezione di dodici brani, undici dei quali erano stati in
precedenza registrati e pubblicati da Frank Sinatra. L'eccezione
è rappresentata da uno dei brani più coinvolgenti di questo disco: la
traccia numero cinque, Skylark. Questo brano è una composizione a
firma di Johnny Mercer e Hoagy Carmichael, del 1941.
Carmichael deve la propria fama a brani come "Stardust", "Georgia on My
Mind", "The Nearness of You", "Heart and Soul" e “Baltimore Oriole”,
brani scritti principalmente durante gli anni quaranta. Dello stesso
co-autore di Skylark è anche il brano That Old Black Magic, firmato da
Harold Arlen e Johnny Mercer. Per sfatare il luogo comune
secondo cui Fallen Angels non rappresenterebbe una importante produzione
all'interno della discografia di Bob Dylan, vorrei citare la recensione
di Mat Snow, il quale sulle colonne di Mojo sostiene come Dylan in
queste registrazioni ci consegni una specie di memoriale sentimentale,
le quali apparentemente non hanno niente in comune con le sue canzoni
elettrizzanti e moderne ma ben radicate in alcune composizione come
Moonlight, Spirit on the Water, Soon After Midnight o Life is Hard.
Sembra scontato, eppure questo disco si fa notare per la bellezza e la
limpidezza degli arrangiamenti, per la qualità della produzione e per la
voce sempre più presente e dinamica, visto il materiale che va a
trattare.
Andy Gill su The Independent ha scritto, "il tocco sobrio e la pastosa
chitarra pedal-steel di Donnie Herron impongono uno stato d'animo
country morbido ma colloquiale dietro l'elegante e stanco canto di
Dylan". Allo stesso modo, Jim Farber di Entertainment Weekly ha scritto:
"Dylan si posa su queste parole con ironica delicatezza. La sua voce può
essere roca e danneggiata da decenni di esibizioni, ma c'è bellezza nel
suo carattere. Offrendo una interpretazione compassata di queste canzoni
d’amore perduto e di passione ardente la malinconia dell'esperienza".
Helen Brown nella sua recensione (dopo avergli assegnato cinque stelle)
per The Daily Telegraph ha elogiato le capacità vocali di Dylan
nell'album, affermando: "Anche se alcune persone hanno sempre sostenuto
che Dylan "non sa cantare", la verità è che, come Sinatra, ha sempre
avuto un talento straordinario per trasmettere un testo. Qui lo vediamo
muoversi con disinvoltura sui versi di Johnny Mercer".
Per farla breve Fallen Angels è come una lezione di storia rilassata con
tanti colpi di scena enigmatici che sovverte gli archetipi del
romanticismo, dell’eroismo e delle connessioni interpersonali per
rivelare qualcosa di più sinistro sulle intenzioni umane, il tutto
racchiuso in una bellissima musicalità di primissimo ordine.
Non è così scontato per Bob Dylan realizzare suonare e cantare un lavoro
così coeso, sobrio, concentrato e dinamico. Una sfida vinta a mani
basse, con un repertorio solo apparentemente e superficialmente distante
dalle sue corde. Sicuramente più significativo di tanti album pubblicati
dai suoi colleghi maggiormente dotati come Willie Nelson, Rod Stewart,
lo stesso Van Morrison o Linda Ronstadt.
Da veri appassionati del genere non possiamo non citare almeno i titoli
di brani come "Polka Dots and Moonbeams", "All the Way", "All or Nothing
at All", "That Old Black Magic" e la conclusiva ed eterna "Come Rain or
Come Shine". Prodotto da Bob Dylan con lo pseudonimo di Jack Frost,
questo disco è stato realizzato tra il 2015 e il 2016 nei Capitol
Studios di Los Angeles ed è stato pubblicato per Columbia Records il 20
maggio 2016.
Il pregiudizio verso questa operazione Sinatra lo delegittima rendendolo
un disco difficile da scovare per chi non rientri nella categoria
dell'appassionato del genere e del completista. Da rivalutare e
riascoltare. Non a caso la rivista musicale Mojo lo inserisce tra i
migliori 50 dischi del 2016, dove occupa la posizione numero 20.
Giudizio che ci sentiamo di condividere e sposare in toto.
Dario Twist of Fate
"Ricorda, è meglio essere una vecchia gloria che non essere mai stato
nessuno" (Tiny Tim).
Il fatto che un outsider come Tiny Tim sia arrivato al successo, seppure
breve, è senza dubbio da imputare all’appetito per le stranezze tipico
degli anni ’60, quelli dell’etica/estetica del Freak Out!, perennemente
alla ricerca di un pop non allineato e dalla follia liberatoria e
sovversiva.
Eppure, rispetto a molti altri weird acts dell’epoca, questo bizzarro
personaggio incarnava a suo modo un’innocenza e una purezza in cui la
Love Generation si rispecchiava in pieno.
Al secolo Herbert Khaury nato a New York nel 1932, Tiny Tim era un omone
grande e grosso, dall’enorme naso aquilino e dai lunghi capelli
disordinati. Nonostante in realtà fosse un maniaco della pulizia e non
avesse passato un giorno della sua vita senza farsi una doccia, dava
sempre l’impressione di una certa untuosità. Si presentava sul
palcoscenico in maniera quasi imbarazzata, il volto ricoperto di uno
strato di cerone bianco, e tirava fuori da un sacchetto di carta il suo
fido ukulele; i suoi occhi roteavano in maniera ambigua, caricati di
un’enfasi melodrammatica fuori luogo. E quando incominciava a cantare,
arrivava l’ultimo shock. Da quel volto vagamente inquietante si levava
un incredibile, tremolante falsetto da bambina. Come se una Shirley
Temple fosse rimasta imprigionata nel corpo di un gigante.
Ad aumentare l’effetto straniante
contribuiva anche la scelta dei brani eseguiti da Tiny Tim sul suo
ukulele: quasi invariabilmente oscure melodie degli anni ’20 o ’30, dal
sapore già antico, reinterpretati in maniera affettata e ironica.
Facile sospettare che si trattasse di un personaggio creato a tavolino,
con l’intento di perturbare e al tempo stesso di suscitare una risata. E
le risate di sicuro non infastidivano Tiny Tim. Ma il vero segreto di
questo eccentrico artista è che non portava alcuna maschera. Tiny Tim
era sempre rimasto un bambino.
Justin Martell, autore della biografia più completa sull’artista
(Eternal Troubadour: The Improbable Life of Tiny Tim, con A. Wray
Mcdonald), ha avuto occasione di decifrare alcuni diari di Tiny,
compilati talvolta in scrittura bustrofedica: e qui si scopre che
effettivamente per poco egli evitò l’ospedale psichiatrico.
Che i tratti peculiari della sua personalità avessero o meno a che fare
con qualche disturbo nello spettro autistico, come è stato ipotizzato,
l’unica cosa certa è che il suo infantilismo non era una messinscena. In
grado di ricordare i nomi di chiunque incontrasse, mostrava un rispetto
d’altri tempi per qualsiasi interlocutore – fino a riferirsi alle sue
tre mogli chiamandole invariabilmente “signorina”: Miss Vicki, Miss Jan,
Miss Sue. I primi due matrimoni fallirono anche per il suo dichiarato
disgusto per il sesso, alle cui tentazioni resisteva strenuamente, da
fervente cristiano. Un altro elemento che fece scalpore all’epoca era
proprio il candore e la schiettezza con cui Tiny Tim parlava
pubblicamente della sua vita sessuale, o dell’assenza della stessa.
“Ringrazio Dio che mi ha dato la capacità di guardare tranquillamente le
donne nude e avere solo pensieri puri”, diceva.
A sentire lui, era stato proprio Gesù che
gli aveva rivelato l’abilità di cantare in falsetto, nonostante il suo
timbro di baritono naturale (che spesso utilizzava come “seconda voce”,
da alternare al registro più alto). “Stavo cercando uno stile originale
che non suonasse come Tony Bennett o chiunque altro. Così pregai il
Signore, e mi risvegliai con questa voce acuta e verso il 1954
partecipavo già a concorsi per principianti, e vincevo”.
Il palco era evidentemente tutta la sua vita, e che il pubblico lo
trovasse buffo oppure che ne apprezzasse le qualità canore era tutto
sommato indifferente: a Tiny Tim interessava portare gioia. Questa era
la sua ingenua idea di show business – si trattava soltanto di essere
amato, e di contraccambiare l’affetto regalando un po’ di allegria.
Tiny era un avido ricercatore d’archivio della musica americana di
inizio secolo, di cui possedeva una conoscenza enciclopedica. Idolatrava
i classici crooner come Rudy Vallee, Bing Crosby e Russ Columbo: e in un
certo senso proprio ai suoi eroi faceva il verso, quando cantava degli
standard come Livin’ In The Sunlight, Lovin’ In The Moonlight o My Way.
Il suo humor cartoonesco non cessava comunque mai di essere rispettoso e
reverenziale.
Tiny Tim ebbe un clamoroso e inaspettato successo nel 1968 con il
singolo Tiptoe Through The Tulips, che raggiunse il diciassettesimo
posto della classifica annuale; l’album di debutto da cui era tratto,
God Bless Tiny Tim, godette di analoga fortuna di critica e pubblico.
Di colpo proiettato verso un’implausibile fama, accettò l’anno seguente
di sposare la fidanzata Victoria Budinger in diretta TV al Tonight Show
di Johnny Carson, di fronte a un’audience da record di 40 milioni di
spettatori.
Nel 1970 si esibì al famoso rock festival dell’Isola di Wight, dopo Joan
Baez e prima di Miles Davis; con la sua versione di There’ll Always Be
An England riuscì, nelle parole della stampa, a rubare la scena “senza
un singolo strumento elettrico”.
Ma il trionfo non durò a lungo: Tiny Tim
ritornò poco dopo alla relativa oscurità che lo avrebbe accompagnato per
il resto della sua carriera. Durante tutti gli anni ’80 e ’90 visse di
alterne fortune, tra matrimoni falliti e difficoltà economiche, invitato
sporadicamente a programmi televisivi o radiofonici, e incidendo album
in cui i suoi amati brani del passato erano inframezzati a cover di
successi pop contemporanei (dagli AC/DC ai Bee Gees, da Joan Jett ai
Doors).
Secondo una delle leggende che circolano sul suo conto, ogni volta che
faceva una telefonata chiedeva al suo interlocutore: “hai fatto partire
il registratore?”
E in effetti in ogni intervista Tiny sembrava sempre intento a costruire
una sua personale mitologia, a sviluppare il suo ideale romantico di
artista “maestro di confusione”, spiazzante, sfuggente a qualsiasi
categoria. Secondo alcuni, rimase sempre “un reietto solitario inebriato
dalla fama”; anche quando la fama l’aveva ormai abbandonato. L’uomo che
un tempo si accompagnava con i Beatles o con Bob Dylan, invitato a tutti
i compleanni delle star, a poco a poco venne dimenticato e finì a
suonare per pochi spiccioli in locali di terz’ordine, e perfino nei
circhi. “Finché la mia voce resiste, e c’è un Holiday Inn che mi
aspetta, va tutto alla grande”.
Come performer non smise mai di esibirsi, instancabilmente impegnato in
logoranti tour attraverso gli States che alla fine richiesero il dazio:
malato di cuore, contro il parere del medico Tiny Tim decise di
continuare a cantare di fronte ai suoi sempre meno numerosi fan. Il
secondo, fatale infarto arrivò il 30 novembre 1996 sul palcoscenico di
una serata di beneficenza, mentre cantava la sua hit più celebre, Tiptoe
Through The Tulips.
E proprio così, “in punta di piedi”, come
recitava la canzone, quest’essere eternamente romantico, idealista, di
rara gentilezza lasciò il mondo, e la scena, senza grande clamore. Il
pubblico se n’era già andato, e la sala era ormai semivuota.