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sito italiano di BOB DYLAN

creato da Michele " Napoleon in rags" Murino - curato da Mr.Tambourine

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1st ANNUAL BATTLE OF THE DYLAN COVER BAND

organizzato da dylanradio.com

Band/artista italiani partecipanti

Blind Willie McTell - Dylan Dogs
Señor - Gianni Zanata
Things Have Changed - Mr.AntonDjango's Band
Don't Think Twice (It's Alright) - Slow Train Band
Everything is Broken - Sub-Terranei
This Wheel's on Fire - The Beards
Workingman's Blues #2 - The Blackstones
Slow Train - Maggie's Farm Southern Band

la Battaglia si svolge a votazioni , quindi è importante che tutti i Maggiesfarmers si colleghino a radiodylam.com ed esprimano il loro voto per la loro band/artista preferito . Essendo l'elenco arrivato a 44 artisti ( per ora) le canzoni verranno tramesse a gruppi la prima settimana , troverete l'ordine su dylanradio.com , le canzoni che avranno ricevuto più voti passeranno il turno alla settimana successiva e così via . quindi è importantissimo che cominciate a votare da subito dopo l'inizio se volete che la vostra band/artista vada avanti nella battaglia.

Supportate la vosta band/artista preferito !!!

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nella barra menù in testa alla pagina cliccate Web-Player, collegate il PC ad un buon impianto stereo e buon ascolto
 

Come votare

Prima di tutto dovete essere registrati , andate alla homepage della radio http://www.dylanradio.com/ , sulla destra in alto c’è “Log-in” e subito sotto “Register now” , cliccate su “register now” e fate la registrazione , la risposta alla domanda   antispam è - zimmerman -.

Ogni utente può esprimere solo un voto , quindi se avete due o tre indirizzi e-mail fate tre registrazioni.

Quando trasmetteranno le canzoni ( le trasmetteranno a gruppi in diversi momenti della giornata , nella finestra verde centrale della homepage dove c’è scritto “Now Playing” ci sarà un link che vi porterà all’elenco delle canzoni in gara che stanno trasmettendo in quel momento , cliccando il link appare l’elenco , e di fianco ad ogni titolo e Band/artista ci sarà il buttom “vote” , cliccatelo ed il vostro voto sarà registrato. Ricordo che non si può esprimere più di un voto con lo stesso indirizzo e-mail , quindi ripeto , se avete diverse mail fate più registrazioni , oppure coinvolgete più amici possibile. Portare una delle nostre band in finale sarà dura ma non impossibile , ma con il vostro supporto forse ce la faremo.
 

 

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LE NEWS

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Sabato 31 Gennaio 2009

The Battle of The Dylan Cover Bands

Domani 1 Febbraio scatta La Battaglia , sono salite a 44 le bands/artisti partecipanti , come dice dylanradio , successo oltre ogni previsione , 8 di queste sono italiane , ricordatevi di votare per le nostre bands !

1 Not Dark Yet (4:17) Ben Schuurmans
2 Like a Rolling Stone (7:35) Blood on the Tracks
3 I Was Young When I Left Home (5:39) Chris Leone
4 Blind Willie McTell (5:56) Dylan Dogs
5 Tomorrow Is A Long Time (3:41) Dylanesque
6 Oben Auf Dem Wachturm (All Along The Watchtower) (3:48) Ernst Schultz
7 Man In The Long Black Coat (4:13) Gerry Markopoulos
8 Tonight I'll Be Staying Here With You (3:58) Ghosts of Electricity
9 Señor (2:29) Gianni Zanata
10 Ballad of a Thin Man (5:27) Group Therapy
11 Subterranean Homesick Blues (2:41) Highway 61 Revisited
12 Lovesick (6:07) How many roads
13 Simple Twist of Fate (4:34) Jacques Mees
14 Tangled Up In Blue (4:49) Jeremy Mayle
15 It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry (3:40) Kokomo
16 Slow Train (5:23) Maggie's Farm Southern Band
17 Du Liesst Mich In Der Tür Stehen, Heulend (Standing in the Doorway) (8:38) Manfred Maurenbrecher
18 Desolation Row (10:46) Many Bright Things
19 Make You Feel My Love (3:43) Mickey The Hat
20 Tangled Up In Blue (4:19) Mike Rice
21 Things Have Changed (4:01) Mr.AntonDjango's Band
22 Most Likely You Go Your Way and I'll Go Mine (6:14) My Bootheels
23 Buckets of Rain (4:33) Nathan Wayne
24 Things Have Changed (Russian) (5:14) Oksana Mysina and Oxy Rocks
25 I Want You (4:19) Pat Guadagno
26 Just Like A Woman (4:20) PetTommy
27 All Along The Watchtower (8:11) robobob
28 To Make You Feel My Love (3:07) Sebbo
29 Don't Think Twice (It's Alright) (4:42) Slow Train Band
30 Positively 4th Street (3:44) Steph Buhé
31 Everything is Broken (4:21) Sub-Terranei
32 This Wheel's on Fire (5:39) The Beards
33 Workingman's Blues #2 (6:13) The Blackstones

34 Shot of Love (3:29) The Devilish DoubleDylans
35 Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again (4:08) The Duet
36 Seeing the Real You at Last (4:02) The Highlights
37 Blind Willie McTell (4:41) The New Fools
38 Hurricane (8:07) The Phantom Engineers
39 Ballad of a Thin Man (7:05) The Royal Alberts
40 Jokerman (6:28) Tokyo Bob with Never Mending Tour Band
41 When The Deal Goes Down (5:15) Tony Villiers
42 Gotta Serve Somebody (5:44) WilBurt&Co.
43 Blind Willie McTell (5:34) Zelda Smyth
44 Tight Connection To My Heart (3:58) Zimming Point


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Live 1975: the rolling thunder revue                               clicca qui

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IL MISTERIOSO NORMAN RAEBEN

di Bert Cartwright
traduzione di Michele Murino


Norman Raeben è stato uno dei personaggi più influenti nella vita di Bob Dylan. Fu Norman Raeben, ebbe a dichiarare Dylan, che - alla metà degli anni '70 - fu capace di rinnovare la sua abilità nel comporre canzoni. Dylan fece capire anche che l'insegnamento e l'influenza ricevuti da Norman alterarono in maniera così profonda la sua visione della vita che sua moglie Sara non riuscì più a comprenderlo, e questo fu uno dei fattori che contribuirono alla dissoluzione del matrimonio di Dylan. E' alquanto strano che, data l'importanza dell'influenza di Norman Raeben su Bob Dylan, egli non viene mai menzionato nelle biografie pubblicate negli anni '80.

Dylan parlò per la prima volta di Raeben nel corso di alcune interviste che egli rilasciò nel 1978 per promuovere il suo film, Renaldo & Clara, sebbene per un certo periodo di tempo egli non volle identificare in maniera specifica quell'uomo. "Non c'è nessuno come lui", raccontò Dylan a Pete Oppel, giornalista del Dallas Morning News.
"Preferisco non dire il suo nome. E' davvero una persona speciale, e non voglio creargli problemi".
"Era solo un vecchio" - disse Dylan a Ron Rosenbaum di Playboy - "Il suo nome non significherebbe niente per te".

L'interesse di Dylan nei confronti di Norman iniziò in un certo giorno del 1974, quando alcuni amici di Sara arrivarono a casa loro per una visita:

"Parlavano di verità, di amore e di bellezza e di tutte quelle parole che avevo sentito per anni, e riuscirono a definirle tutte quante al punto che io non riuscivo a crederci... Chiesi loro "Dove avete trovato queste definizioni?" e loro mi risposero raccontandomi del loro maestro".

Sufficientemente impressionato, Dylan cercò di mettersi in contatto con l'insegnante la volta successiva che si trovò New York. Era la primavera del 1974 quando Dylan fece capolino con la sua testa dietro la porta di Norman:

"Norman mi disse "Vuoi dipingere?" e allora io risposi "Beh, sai, pensavo a qualcosa del genere". Norman mi disse "Bene, non so nemmeno se meriti di essere qui. Fammi vedere quello che sei in grado di fare". Così mi mise davanti questo vaso e mi disse: "Vedi questo vaso?". E me lo lasciò davanti per circa 30 secondi e poi lo fece sparire e mi disse "Disegnalo". Beh, voglio dire, iniziai a disegnarlo ma non ero in grado di ricordare un cazzo di quel vaso. Lo avevo osservato ma non lo avevo visto. Poi Norman diede un occhiata a quello che avevo disegnato e disse "OK, puoi restare". E mi disse di fare tredici quadri... Beh, io non ero andato lì per dipingere, ero andato lì solo per vedere che succedeva. Andò a finire che rimasi lì per due mesi. Quel tizio era straordinario..."

Quando Dylan ripensò a quello che era successo durante quei due mesi arrivò alla conclusione che era stato trasformato al punto che per sua moglie era diventato uno sconosciuto:

"Quella cosa mi cambiò completamente. Andavo a casa e mia moglie non riusciva a capirmi. Non riuscì a capirmi dopo di allora. Fu in quel momento che il nostro matrimonio cominciò ad andare a rotoli. Sara non sapeva mai di cosa stessi parlando, o cosa stessi pensando. Nè io ero in grado di spiegarglielo".

Dylan parlò di Norman a Pete Oppel, descrivendo con parole più che casuali quale fosse la tecnica di insegnamento che Norman utilizzava nel suo studio all'undicesimo piano della Carnegie Hall:

"Cinque giorni alla settimana andavo nel suo studio, e nei rimanenti due giorni della settimana non facevo che pensare a quando ci sarei andato. In genere rimanevo lì dalle otto alle quattro. Ho fatto questo per due mesi..."

"In quella classe c'erano persone come vecchie signore, ricche vecchie signore che venivano dalla Florida, che sedevano vicine ad un poliziotto fuori servizio, che sedeva vicino ad un autista di autobus, che sedeva vicino ad un avvocato... Tutti i generi di persone. Uno studente di arte che era stato cacciato da ogni università. Giovani ragazze che lo adoravano. Un paio di tipi seri che venivano lì e pulivano dopo le lezioni, pulivano solo il posto. Un sacco di differenti tipi di persone che tu non avresti mai pensato fossero interessate alla pittura. Ed infatti non si trattava di pittura, era qualcos'altro..."

"Norman parlava in continuazione, dalle otto e trenta alle quattro, e parlava sette lingue. Mi diceva cose a proposito di me stesso mentre io stavo facendo qualcosa, disegnando qualcosa. Io non ero in grado di dipingere. Pensavo di esserne in grado. Ma non sapevo disegnare".

Sembra, allora, che Norman fosse interessato più alla metafisica che alla tecnica. Il suo metodo di insegnamento aveva a che fare con le realtà estreme che potevano essere espresse in una varietà di modi. Non è certo che Norman fece di Dylan un pittore più bravo ma chiaramente lo cambiò:

"Avevo incontrato diversi maghi, ma questo tipo è più potente di qualsiasi mago che io abbia mai incontrato. Ti guardava e ti diceva quel che tu eri. E non giocava al riguardo. Se tu eri interessato a venirne a capo, potevi stare lì e sforzarti di venirne a capo. Facevi il lavoro tutto da solo. Lui era solo una specie di guida, o qualcosa del genere..."

Fu solo un po' di tempo dopo che riuscii finalmente ad identificare il misterioso uomo che Dylan chiamava Norman, come Norman Raeben, nato in Russia nel 1901, che era venuto in vacanza negli U.S.A con la propria famiglia quando aveva tre anni e a 14 anni vi si era trasferito permanentemente. Il padre di Norman era il famoso scrittore Yiddish, Sholem Aleichem (1859-1916), un uomo oggi meglio conosciuto per aver creato il personaggio di Tvye, la cui vita romanzata venne adattata per il musical "Il violinsita sul tetto". Il cambiamento più notevole che derivò dai mesi che Dylan passò nello studio di Norman Raeben riguardava la maniera in cui componeva i testi delle sue canzoni.

Dylan disse a Jonathan Cott di Rolling Stone che, dopo il suo incidente motociclistico del 29 luglio 1968, scoprì di non essere più in grado di comporre liberamente come aveva fatto fino a quel momento:

"Da quel momento in poi ebbi una sorta di amnesia. Ora puoi prendere questa dichiarazione letteralmente o metafisicamente come meglio credi ma questo fu quello che mi successe. Mi ci volle un sacco di tempo prima che riuscissi di nuovo a fare in maniera consapevole quello che prima facevo in maniera inconsapevole".

Dylan ripetè il concetto a Malt Damsker:

"E' come se fossi stato colto da amnesia all'improvviso... Non ero in grado di imparare a fare quello che ero sempre stato capace di fare in maniera naturale, cose come Highway 61 Revisited. Voglio dire, non puoi sederti e scrivere quelle cose in maniera consapevole perchè è qualcosa che ha a che fare con la sospensione del tempo..."

Nel corso di un'intervista con Jonathan Cott, Dylan descrive i suoi album John Wesley Harding e Nashville Skyline come delle prove:

"...per afferrare qualcosa che mi conducesse laddove pensavo che avrei dovuto essere... ma non mi portò da nessuna parte. Ero convinto che non avrei più fatto niente altro..."

Fu con questa sensazione di quasi disperazione per non riuscire più a comporre come faceva un tempo che Dylan ebbe la "buona sorte" di incontrare Norman, "che mi insegnò come riuscire a vedere":

"Mise insieme la mia mente, la mia mano ed il mio occhio, in una maniera tale da permettermi di fare in maniera consapevole quello che sentivo in maniera inconscia".

Il tempo trascorso insieme a Norman aiutò la psiche di Dylan tanto da ridirigerla in maniera sufficiente a fargli scrivere alcune nuove canzoni, le canzoni che furono poi incluse in quello che è ancora oggi il suo album più celebrato, Blood On The Tracks:

"Tutti furono concordi nel dire che quel mio album era un qualcosa di davvero diverso dal solito, e quel che era diverso era il fatto che esisteva un codice nei testi, ed anche che non esisteva il senso del tempo..."

Dylan fece ulteriori tentativi per spiegare il concetto di "assenza di tempo" nelle sue nuove canzoni in una conversazione con Matt Damsker:

"Con Blood On The Tracks feci in maniera consapevole quel che in genere facevo inconsciamente. Non lo eseguii bene. Non avevo la capacità di eseguirlo correttamente. Ma avevo scritto le canzoni... quelle che avevano quella frammentazione del tempo, in cui il tempo non esisteva, nel tentativo di rendere il centro della narrazione come una magnifica lente sotto il sole. Fare questa cosa in maniera consapevole è un trucco che io ho utilizzato per la prima volta con Blood On The Tracks. Sapevo come fare perchè avevo imparato la tecnica... In realtà avevo un insegnante per quello..."

Nel libretto allegato a Biograph un commento di Cameron Crowe a proposito di Blood On The Tracks sembra essere il risultato di un'osservazione non accreditata dello stesso Dylan:

"Ispirato a detta della stampa e della gente dalla rottura del suo matrimonio con Sara, l'album deriva molto del proprio stile dall'interesse di Dylan per la pittura. Le canzoni affondano in profondità ed il loro senso della prospettiva e della realtà è in continuo mutamento".

"I continui mutamenti" sono il risultato del senso di assenza del tempo che caratterizza il LP. Parlando con la sua amica Mary Travers (di Peter, Paul and Mary) il 26 aprile del 1975, Dylan fece un commento a proposito del concetto di tempo, spiegando che egli aveva cercato non solo di fare in modo che "il passato, il presente ed il futuro esistessero tutti", ma anche che "fossero tutti presenti nello stesso momento", qualcosa che egli aveva appreso da Norman.

"Tu hai ieri, oggi e domani tutti nello stesso spazio e c'è molto poco che non puoi immaginarti succeda".

L'affermazione rilasciata da Dylan a Matt Damsker secondo la quale non aveva eseguito le canzoni di Blood On The Tracks particolarmente bene può essere sorprendente ma, proseguì Dylan, "esse potevano essere modificate...".
Infatti, Dylan ha continuamente rielaborato quelle canzoni, cambiando i testi più volte come ad esempio in brani come "Simple Twist Of Fate" e "Tangled Up In Blue". Dylan lega insieme l'idea di tempo e di cambiamento all'idea di canzone-come-un-quadro con specifico riferimento a "Tangled Up In Blue" nelle note di Biograph, dove dice a proposito della canzone:

"Stavo solo cercando di scriverla come fosse un quadro in cui tu puoi vedere le diverse singole parti ma puoi anche vedere il totale del dipinto. Con quella canzone in particolare era quello che stavo cercando di fare... con il concetto di tempo, ed il modo in cui i personaggi cambiano dalla prima persona alla terza persona, e non sei mai sicuro del tutto se stia parlando la terza o la prima. Ma quando getti uno sguardo d'insieme al totale non ha molta importanza".

Il dissolvimento dei personaggi e del tempo nelle canzoni dell'album Blood On The Tracks fu un traguardo notevole; Dylan cercò di applicare la stessa tecnica al suo film Renaldo & Clara. Parlando dell'influenza del pensiero di Norman Raeben, Dylan richiamò l'attenzione di Jonathan Cott su Renaldo & Clara:

"...anche in quel film ho utilizzato quella caratteristica dell'assenza di tempo. E credo che quel concetto di creazione sia più reale e vero di quella che invece possiede il senso del tempo... Il film crea e contiene il tempo. Ecco quel che dovrebbe fare, dovrebbe contenere il tempo, respirare in quel tempo e fermare il tempo nel farlo. E' come quando osservi un quadro di Cézanne, ti perdi in quel dipinto per un certo periodo di tempo. E nel frattempo respiri, il tempo passa ma tu non te ne accorgi. Sei come sotto l'influsso di una magia".

Non c'è da stupirsi, dunque, se Dylan fu molto scocciato da coloro che criticavano il film per la sua eccessiva durata e forse non è inappropriato menzionare una sua dichiarazione di fastidio più recente rivolta a coloro i quali tentavano di etichettare una delle canzoni senza tempo e senza personaggi di Blood On The Tracks:

"'You’re A Big Girl Now', beh, ho letto che questa canzone parlerebbe di mia moglie. Vorrei che la gente mi chiedesse il permesso prima di uscirsene con cose del genere".

Dylan un tempo era in grado di creare canzoni in cui era assente il concetto di tempo e che avevano le caratteristiche di un dipinto. Molte volte egli fece dei paralleli tra la canzone e la pittura, come per esempio nella presentazione del brano "Love Minus Zero/No Limit" nei concerti del 1965 durante i quali introduceva la canzone definendola un "dipinto castano e argento" o ancora un "dipinto porpora", ma solo dopo aver studiato con Norman Raeben egli fu in grado di ricatturare la sua apparentemente perduta capacità di scrivere canzoni simili, ora con la notevole differenza di una composizione consapevole. E se Blood On The Tracks fu il primo tentativo di tradurre in canzone quello che Dylan aveva appreso da Norman, fu Street-Legal a rappresentare il culmine di questa tecnica di tempo/non-tempo. Così Dylan dichiarò a Matt Damsker:

"Mai fino a Blood On The Tracks ero riuscito ad ottenere quello che volevo ottenere, ed una volta che ci riuscii, questo non avvenne nè con Blood On The Tracks nè con Desire. Fu con Street-Legal che giunsi più vicino a quello che volevo esprimere con la mia musica. E' qualcosa che ha a che fare con un'illusione di tempo. Voglio dire che le canzoni sono necessariamente caratterizzate da una illusione di tempo. E' stato un vecchio che mi insegnò tutto ciò ed io cercai di imparare tutto quello che potevo..."
Bert Cartwright

(fonte: maggiesfarm.it)

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"Il Dubbio" di Shanley                                                     clicca qui

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WAR CHILD - HEROES VOL. 1                                    clicca qui

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La scomparsa di John Martin                                           clicca qui

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Farewell John! - di Dario Twist of Fate                           clicca qui

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John Martyn - Small Hours

 

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Venerdi 30 Gennaio 2009

Bob Dylan vende "Blowin' In The Wind" al supermercato                     clicca qui

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TTS : Dignity # 2 - La traduzione in italiano    clicca qui

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Bob Dylan (1965) Highway 61 Revisited

Scritto da D.F.

Titolo: Highway 61 Revisited Autore: Bob Dylan Produttore: Bob Johnston Anno: 1965 Etichetta: Columbia Elemento:

Recensire un album di Bob Dylan, o anche instaurare una discussione sulla sua vita e le sue opere, può rivelarsi problematico. Per il semplice motivo che non parliamo di un autore qualsiasi di canzoni più o meno riuscite, ma di una figura che è entrata a far parte del panorama iconografico del '900, al fianco di altri personaggi come Papa Giovanni Paolo II, Maradona o Nelson Mandela. Egli è il folk singer per eccellenza, il "portavoce di una generazione" (ruolo che egli ha sempre disprezzato) colui che ha l'elevato l'invettiva e la polemica ad arte, coinvolgendo nel frattempo milioni di fan pronti a decifrare i suoi allucinati deliri lirici e a seguire, ora con rabbia, ora con ammirazione, i suoi continui cambiamenti stilistici. Dylan, da par suo, non si è mai piegato alle regole di nessuno: al Newport Folk Festival del 1965 si presenta sul palco con una vera e propria band rock e martella i presenti con un sound dalla durezza senza precedenti nel suo stesso catalogo. La reazione fu spaventosa: fischi e urla dal pubblico, composto da fanatici che vedevano nella chitarra elettrica il simbolo del commercialismo più barbaro, e che consideravano ormai Dylan come colui che disprezzava i potenti e la Bomba, quello pungente e moralizzante di "Masters Of War", il paladino del folk impegnato. Durante la lavorazione di "Another Side Of Bob Dylan", nel 1964, dichiara: "Ora c'è un mucchio di gente che fa canzoni di accusa. Capisci, accusando tutte le cose sbagliate. Io non voglio più scrivere per la gente. Capisci, essere un portavoce.... d'ora in poi voglio scrivere dall'interno". E in quella direzione si muove anche "Highway 61 Revisited". è uno degli album più apprezzati dalla stesso Dylan: "Non mi verrà mai un altro album come quello. è pieno di roba che io ascolterei". Non a caso.

"Highway 61 Revisited" rappresenta una svolta nella carriera di Bob Dylan, e l'iniziale "Like A Rolling Stones" ci tiene a dirlo ben chiaro: dopo un secco colpo di rullante una chitarra rigorosamente elettrica accompagna il tempo incalzante dettato dai tambourine, e il folk acustico degli anni precedenti si trasforma in una miscela acida e urbana, perfetta accompagnatrice del pungente ritratto dipinto da Dylan, quello di una ragazza che ha perso tutto ed è costretta ad adattarsi alle durezze di ogni giorno:

"Once upon a time you dressed so fine
You threw the bums a dime in your prime, didn't you?
People'd call, say, "Beware doll, you're bound to fall"
You thought they were all kiddin' you
You used to laugh about
Everybody that was hangin' out
Now you don't talk so loud
Now you don't seem so proud
About having to be scrounging for your next meal.

How does it feel
How does it feel
To be without a home
Like a complete unknown
Like a rolling stone?"

Coverizzata da Rolling Stones (d'obbligo, si direbbe) e Jimi Hendrix, ci si chiede se questa aspra ballata rock non sia rivolta da Dylan a Dylan stesso, quello che ha abbandonato la strada vecchia per quella nuova. Resterà un enigma. La ruvidezza del sound si trasferisce anche alla seguente "Tombstone Blues", un country rock a tutta velocità che mette in mostra il pallino di Dylan per il surrealismo e quel ritornello enigmatico che sembra riprendere per un attimo le sue tematiche "politiche":

"Mama's in the fact'ry
She ain't got no shoes
Daddy's in the alley
He's lookin' for the fuse
I'm in the streets
With the tombstone blues"

La struttura riprende quella della canzone precedente: la musica fa da sottofondo al delirio torrenziale di Dylan, le parti strumentali sono limitate. Il blues malinconico di "It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry" riprende una classica immagine della "musica del diavolo" ed è appena più contenuta del solito, l'armonica graffiante di Dylan fa il resto: una perla minore incastonata in un album di diamanti. Ma un altro dei brani storici di Dylan è "Ballad Of A Thin Man", un pianoforte cupo e misterioso introduce il tremolo della chitarra e i sibili sinistri delle tastiere, con la batteria sciatta e strascicata e sostenere i versi sarcastici di Dylan:

"You walk into the room
With your pencil in your hand
You see somebody naked
And you say, "Who is that man?"
You try so hard
But you don't understand
Just what you'll say
When you get home

Because something is happening here
But you don't know what it is
Do you, Mister Jones?"

Il testo non da alcun indizio per identificare il Signor Jones vituperato da Dylan nel testo, più probabile che egli ce l'avesse con la classe giornalistica in generale, con la quale il non proprio accomodante Robert Zimmerman aveva avuto qualche problema. Un'altra delle classiche litanie di Dylan, la musica va più o meno per conto suo in un delirio free form di tremolo e tastiere che ha il compito di sceneggiare sonoramente il racconto del cantante. Di tutt'altra fattura il rock dolce e ritmato di "Queen Jane Approximately", la quale potrebbe essere una canzone d'amore, di gelosia, rimpianto o addirittura di tutt'e e tre le cose:

"When your mother sends back all your invitations
And your father to your sister he explains
That you're tired of yourself and all of your creations
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?

Now when all of the flower ladies want back what they have lent you
And the smell of their roses does not remain
And all of your children start to resent you
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?"

Ancora una volta, la Regina Jane è un personaggio che solo Dylan potrebbe identificare con certezza. Ma dietro all'enigmaticità delle parole colpisce il dolce rimpianto delle chitarre, il pianoforte al tempo stesso gioioso e malinconico, la dizione nostalgica e appassionata di Dylan e il suo scatenato assolo all'armonica posto in chiusura. Seguendo la prassi dei cambiamenti più o meno bruschi ma ben concatenati che regola quest'album, tutt'altro che disposto a ripiegare su questa o quelle sonorità soltanto, la title-track è una versione amfetaminica e demente di "Tombstone Blues", il ritmo trascinante fa da sfondo ai suoni scoppiettanti e assurdi delle chitarre e al fluire spigliato delle note del pianoforte, mentre il testo è un altro dei pastiche surreal-drogati di Dylan:

"Well Mack the Finger said to Louie the King
I got forty red white and blue shoe strings
And a thousand telephones that don't ring
Do you know where I can get rid of these things
And Louie the King said let me think for a minute son
And he said yes I think it can be easily done
Just take everything down to Highway 61."

Dylan decide, dopo questa straniante fetta di rock'n' roll, di proseguire con un brano ancora diverso: "Just Like Tom Thumb's Blues" è un altro rock contemplativo e soffice come "Queen Jane", in cui Dylan dimostra che, nonostante la sua immagine hipster e il suo sarcasmo surreale da drogato ad oltranza, egli è interessato anche alla parte meno dolce dell'amore, allo smarrimento della solitudine:

"When you're lost in the rain in Juarez
And it's Eastertime too
And your gravity fails
And negativity don't pull you through
Don't put on any airs
When you're down on Rue Morgue Avenue
They got some hungry women there
And they really make a mess outa you"

Sembra quasi di sentire il Jim Morrison di "Strange Days" in questi versi sconsolati, quelli dell'uomo che trova consolazione solo nel sesso. è una canzone commovente chiusa ancora una volta da un assolo di armonica cortesia dello stesso Dylan, perfetta introduzione all'ultimo, fluviale brano dell'album: "Desolation Row". è inutile citare brandelli di testo, riportare le bizzarre citazioni di Dylan (tra le quali si contano Einstein, T.S. Eliot ed Ezra Pound, Ofelia e il Titanic) per descrivere quella che è, sostanzialmente, una visione apolittica ed altrettanto impenetrabile rispetto alle altre creazioni che compogono "Highway 61". Il vero colpo sono le sonorità che egli impiega per sceneggiare il suo discorso: non più i suoni grezzi della chitarra elettrica, ma quelli caldi e al tempo stesso mesti della chitarra acustica, nello stile del Dylan pre-Newport Festival, per confezionare il suo personalissimo "bestiario" della razza umana: scienzati, poeti e figure bibliche si trovano tutte nello stesso Vicolo della Desolazione, dove Dylan riduce tutti allo status di figure vuote e insignificanti, come a voler ridurre al nulla il loro valore: non più un'invettiva, dunque, ma una sorta di anti-manifesto dell'umanità, umiliata nei suoi miti e dipinta come un truce ammasso di mostruosità alla ricerca di un senso. Resta uno dei brani più difficili e visionari della musica tutta.

Dylan percorrerà ancora una lunga strana dopo quest'album (le atmosfere impalpabili e metafisiche di "Blonde On Blonde", il fascino delle allusioni bibliche e della scarna semplicità di "John Wesley Harding", i deliri-prediche di stampo grettamente religioso dei suoi "album della conversione", come "Saved" e "Slow Train Coming", o l'incomprensibile e sconnesso ammasso di stranezze che è "Self Portrait" fino al più recente e vendutissimo "Modern Times") ed egli ne combinerà un po' di tutte i colori: un libro ("Tarantula") qualche film da attore in cui egli è stato giudicato più che altro come "dilettantesco" e "ridicolo" (il suo "Renaldo And Clara") e le sue più recenti collaborazioni con personaggi come Slash ("Under The Red Sky") e Daniel Lanois ("Oh Mercy"). In questo colorito panorama "Highway 61 Revisited" sopravvive non solo come la geniale reinvenzione personale di un artista mai pronto a soddisfare le aspettative altrui, sempre alla ricerca di una personalissima voce, ma anche come quello che ha reso la figura del cantautore popolare quanto i gruppi pop come Beatles e Beach Boys. Egli ne ha avuto per tutti: lo slang stradaiolo dei giovani, le aspre invettive politiche che il "Movement" degli anni '60 voleva far proprie, i criptici ma affettuosi ritratti d'amore del folk tradizionale, la malinconia agonizzante del blues, il moralismo rigido e talvolta un po' bigotto del country. Ma in nessun caso egli ha copiato questi generi. Bob Dylan piegava anche loro alla sua sensibilità. Finchè ogni album non era, inequivocabilmente, un'altra pagina della sua storia e anche della nostra, come appassionati ascoltatori di musica.

01. Like a Rolling Stone
02. Tombstone Blues
03. It Takes a Lot to Laugh, It Takes a Train to Cry
04. From a Buick 6
05. Ballad of a Thin Man
06. Queen Jane Approximately
07. Highway 61 Revisited
08. Just Like Tom Thumb's Blues
09. Desolation Row

(fonte: panopticonmag.com)

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Ry Cooder e Nick Lowe insieme sul palco in Italia                                      clicca qui

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Heath Leger: il primo anniversario della sua scomparsa                            clicca qui

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Libri : Bob Dylan. Un profilo - di Vico Dario                                               clicca qui

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A Genova Faber in mostra, la nostra "visita"                                               clicca qui

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Watchmen: La colonna sonora                                                                        clicca qui

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The Gram Parson tribute

Keith Richards - Hickory Wind

 

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Giovedi 29 Gennaio 2009

The Battle of The Dylan Cover Bands

Sono saliti a 34 le bands/artisti partecipanti , sono sette italiane , ricordatevi di votare per le nostre bands !

1 Not Dark Yet (4:17) Ben Schuurmans
2 Like a Rolling Stone (7:35) Blood on the Tracks
3 Blind Willie McTell (5:56) Dylan Dogs
4 Oben Auf Dem Wachturm (All Along The Watchtower) (3:48) Ernst Schultz
5 Man In The Long Black Coat (4:13) Gerry Markopoulos
6 Señor (2:29) Gianni Zanata
7 Ballad of a Thin Man (5:27) Group Therapy
8 Lovesick (6:07) How Many Roads
9 Simple Twist of Fate (4:34) Jacques Mees
10 Tangled Up In Blue (4:49) Jeremy Mayle
11 Du Liesst Mich In Der Tür Stehen, Heulend (Standing in the Doorway) (8:38) Manfred Maurenbrecher
12 Desolation Row (10:46) Many Bright Things
13 Tangled Up In Blue (4:19) Mike Rice
14 Things Have Changed (4:01) Mr.AntonDjango's Band
15 Most Likely You Go Your Way and I'll Go Mine (6:14) My Bootheels
16 Buckets of Rain (4:33) Nathan Wayne
17 Things Have Changed (Russian) (5:14) Oksana Mysina and Oxy Rocks
18 I Want You (4:19) Pat Guadagno
19 Just Like A Woman (4:20) PetTommy
20 All Along The Watchtower (8:11) robobob
21 Don't Think Twice (It's Alright) (4:42) Slow Train Band
22 Positively 4th Street (3:44) Steph Buhé
23 Everything is Broken (4:21) Sub-Terranei
24 This Wheel's on Fire (5:39) The Beards
25 Workingman's Blues #2 (6:13) The Blackstones

26 Shot of Love (3:29) The Devilish DoubleDylans
27 Seeing the Real You at Last (4:02) The Highlights
28 Blind Willie McTell (4:41) The New Fools
29 Hurricane (8:07) The Phantom Engineers
30 Ballad of a Thin Man (7:05) The Royal Alberts
31 When The Deal Goes Down (5:15) Tony Villiers
32 Gotta Serve Somebody (5:44) WilBurt&Co.
33 Blind Willie McTell (5:34) Zelda Smyth
34 Tight Connection To My Heart (3:58) Zimming Point

Quando la Battle comincerà vi diremo come fare a votare per la vostra band preferita

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Aprite le porte al biscazziere - di DarioTtwist of Fate              clicca qui

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Edie , ascesa e caduta della susperstar della Factory                clicca qui

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L'uomo che scriveva canzoni forti come tuoni                             clicca qui

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Libri : La voce di Bob Dylan   - di Alessandro Carrera             clicca qui

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Bob Dylan Revisited - tredici fumetti per tredici canzoni          clicca qui

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BLOOD ON THE TRACKS

Title: Blood on the tracks
Data Uscita: 2003
Genre: Cantautore
Production: Columbia Sony

Tracklist
1. Tangled Up in Blue - 5:40
2. Simple Twist of Fate - 4:18
3. You're a Big Girl Now - 4:36
4. Idiot Wind - 7:45
5. You're Gonna Make Me Lonesome When You Go -- 2:58
6. Meet Me in the Morning - 4:19
7. Lily, Rosemary and the Jack of Hearts - 8:50
8. If You See Her, Say Hello - 4:46
9. Shelter from the Storm - 4:59
10. Buckets of Rain - 3:29

MUSICISTI
Artista
* Bob Dylan - voce, chitarra, armonica, tastiere
Altri musicisti
* Bill Peterson - basso
* Eric Weissberg - banjo, chitarra
* Tony Brown - basso
* Charlie Brown - chitarra
* Bill Berg - batteria
* Buddy Cage - chitarra steel
* Barry Kornfeld - chitarra
* Richard Crooks - batteria
* Paul Griffin - organo, tastiere
* Gregg Inhofer - tastiere
* Tom McFaul - tastiere
* Chris Weber - chitarra, chitarra 12 corde
* Kevin Odegard - chitarra

Da un precursore come è stato Bob Dylan è facile aspettarsi sempre e comunque di tutto.Anche che a metà anni '70 pubblichi un lavoro che potrebbe essere benissimo di dieci anni prima. Sì perché "Blood On The Tracks" odora di folk cantautorale come poco materiale del menestrello.
E' essenzialmente il disco più acustico mai fatto da Dylan, ma ciononostante non è un passo indietro nella produzione artistica di Mr. Robert Allen Zimmerman. E' un album costruito interamente sul tema della delusione amorosa, e la sua esecuzione (quasi totalmente chitarra e voce) può, ad un primo ascolto, far pensare ad un lavoro amatoriale. Ed è questo l'esito al quale vuole pervenire Dylan, per il quale le origini (della musica in generale non solo della sua) sono sempre state punto di riferimento perenne, mai rinnegate dalle svolte rock.
Dylan, reduce da lavori male accolti dalla critica a cavallo tra anni '60 e '70, quando per alcuni era già artisticamente vecchio, ci fa riassaporare in queste ottime dieci tracce, il suo lato migliore di folk-singer sentimentale. Il titolo stesso ("Blood On The Tracks" è significativo della passione che travolse l'autore nella composizione di questo lavoro indubbiamente molto ispirato.
I successi non mancano a partire dall' iniziale "Tangled Up In Blue", ritmica composizione folk-blues, che ci racconta il flashback di un incontro problematico fra un uomo ed una donna. L'uomo, povero (in tutti sensi) e disperato (personaggio tipico in molti brani anche precedenti di Dylan) e la donna, solitamente diversa da come appare ad un primo incontro, sono un po' il filo conduttore dell'intero lavoro.
Nel secondo pezzo, "Simple Twist Of Fate", forse uno dei migliori brani fingerpicking di Dylan, si cerca di rendere più comprensibili le delusioni (in particolare amorose) e di prendere la vita come viene, tanto ciò che succede è solo un banale "attorcigliarsi" del destino.
Dedica alla figura femminile anche nel terzo brano "You're A Big Girl Now" (il cui inizio mi ricorda ogni volta "Giorno di pioggia" di Francesco De Gregori, peraltro precedente) nel quale si arriva alla conclusione che le stranezze della donna sono motivate semplicemente dal fatto che lei non è altro che una ragazza cresciuta.
Dylan in questo disco è un uomo maturo, che riesce più lucidamente a capire l'altro sesso e non come nei dischi della gioventù dove sarcasmo e ironia sull'argomento abbondano. Qui la riflessione è più seria ma mai comunque banale e scontata, come anche nella quasi-arrabbiata cantata di "Idiot wind".
Il folk esasperato di "You're Gonna Make Me Lonesome When You Go" che può sembrare un ritorno alle ironie giovanili, è invece una serena constatazione di come un uomo rimane dopo l'abbandono da parte della sua amata. La maniera distaccata del canto di Dylan può far sì che le canzoni non siano sentite dall'artista, pur essendo invece tutte autobiografiche.
Non può mancare il più classico dei blues della desolazione che qui è "Meet Me In The Morning". Nel successivo brano, "Lily, Rosemary and the Jack of The Tearts", che pecca di eccessiva lungaggine, l'atmosfera è western e l'armonica iniziale è suonata in maniera molto innovativa, quasi distorta. Il ritmo complessivo è decisamente trascinante ma come già detto, è forse eccessiva la durata del pezzo.
Le ultime tre canzoni sono forse le migliori di un album che ha decisamente pochi colpi bassi. La prima del trittico conclusivo,"If You See Her Say Hello" è probabilmente la più bella canzone d'amore scritta da Dylan (commovente l'arpeggio iniziale di circa quaranta secondi). Il brano è un indiretto colloquio con l'amata, tramite una persona terza. Dylan vuole negare il suo stato d'animo da uomo deluso di fronte alla donna che l'ha lasciato, pur provando una disperata nostalgia per lei. Bellissima la versione italiana di Franceso De Gregori (vero e proprio discepolo di Dylan) che si intitola "Non dirle che non è così" (che poi oltre ad essere un verso tradotto della canzone originale, è anche il significato della stessa).
Altro cult è la celeberrima "Shelter From The Storm", bellissimo racconto dell'incontro con l'amata che gli offre apparentemente la serenità e la felicità. Si chiude con "Buckets Of Rain" in cui la metafora della pioggia dovrebbe rappresentare le lacrime versate per colpa dell'amore. La pioggia come le lacrime lavano il vecchio e lasciano posto al nuovo: bisogna quindi lasciare il passato alle spalle. La conclusione è perfetta con questo brano che testimonia la logica fine di un amore che non può mai comunque prescindere l'incerdere della vita.
Dylan, se mai con questo album abbia voluto azzerarsi, ci è riuscitio come meglio non poteva. Essere capace di tornare alle origini, pur con la consapevolezza di avere dieci anni di più, è il pregio che ha l'autore nello stendere questo lavoro. Testimonianza viva di come Dylan sappia ogni volta partire da zero, nella discografia del menestrello questo disco è seriamente candidato al posto di capolavoro assoluto.

(fonte: h33t.com)

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Non Solo Jocker: Heath Ledger                                                                   clicca qui

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Crosby Stills and Nash - Documentary

 

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Mercoledi 28 Gennaio 2009

TTS : Can't escape from you - La traduzione in italiano                          clicca qui

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In questo periodo non ci sono news succose , solo robetta di routine , notiziole dove viene citato il nome di Bob Dylan , articoli che sfruttano il suo nome per avere un pò più di attenzione. Anche le fonti ufficiali hanno poco da dire , il sito ufficiale niente , expectingrain è pieno di link su Obama , Beatles , artisti vari collegati in qualche modo a Bob, boblinks è fermo dalla fine del tour dell'anno passato. Anche loro non sanno dove andare a pescare , e allora accontentiamoci di rimestare nel  passato , in fondo ci sono saggi piacevolisssimi da rileggere e che magari erano finiti nel dimenticatoio. Una rispolverata non può fare che piacere , in mancanza di novità attuali.

Scrivevano.....

BOB DYLAN: POKER SERVITO

di Michele Murino

Soltanto 4 anni fa Bob Dylan raccoglieva premi a man bassa nel corso della serata dedicata alla consegna dei Grammy Awards al Radio City Music Hall di New York per il suo pluricelebrato album "Time out of mind", unanimemente riconosciuto da critica e pubblico come uno dei grandi capolavori dell'artista americano.
All'epoca sarebbe stato alquanto azzardato anche solo ipotizzare che l'album successivo sarebbe stato di un livello addirittura superiore
a "Time out of mind"...
Sarebbe stato un pò come dire, ritornando agli anni 70, che il disco successivo a "Blood on the tracks" gli sarebbe stato superiore... C'era il rischio di essere tacciati di blasfemia...
Ed invece quel diavolo di un Dylan (perchè ormai è chiaro che ha fatto un patto con Messer Satanasso) ci ha lasciati di nuovo tutti a bocca aperta e ci ha buttato lì con non-chalance un poker servito portandosi a casa il ricco piatto mentre noi ancora stavamo guardando le nostre carte...
Il poker servito in questione è "Love and Theft", il nuovo album del cantautore americano (com'e limitativo questo termine) e non sembri fuori luogo il paragone con il tavolo da gioco dal momento che in un recente video promozionale per il nuovo album Dylan appare appunto intento a giocare a poker con Ricky Jay, un celebre "maestro delle carte" americano.
Dylan, che ha da poco compiuto sessant'anni ed è fresco di un prestigioso premio Oscar per "Things have changed" dalla colonna sonora del film "Wonder Boys", sembra aver sublimato in una sorta di "distilleria della musica" oltre 70 anni di musica
americana in un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti con meta finale il delta del Mississippi, "riportando tutto a casa" ancora una volta
(come nel caso del rivoluzionario "Bringing it all back home", album della metà degli anni '60), riscoprendo le radici della musica americana e riconsegnandocele in 12 brani che sono tra i migliori dell'intera produzione dylaniana Il disco è già ascoltabile in anteprima sulla Rete grazie agli innumerevoli siti che, come sempre avviene in queste occasioni, riescono a mettere a disposizione dei navigatori le canzoni prima ancora che il disco esca nei negozi (uscita prevista in Europa il 10 settembre ed in U.S.A. il giorno successivo).
12 perle, quelle di "Love and Theft", le più splendenti delle quali sono senza dubbio "Mississippi", "High Water" e "Sugar baby"...
Il primo è un classico pezzo alla Dylan che inchioda l'ascoltatore alla sedia dalla prima all'ultima nota con un ritmo lento ed assolutamente affascinante, memore in taluni passaggi delle atmosfere di "Oh Mercy", altro pluricelebrato album dylaniano del 1989.
E pensare che "Mississippi" era un brano scartato da Bob ai tempi di "Time out of mind" e "regalato" a Sheryl Crow che ne aveva fatto una bella versione qualche anno fa, ma che naturalmente sparisce al confronto con questa di Dylan il quale ha completamente riveduto e corretto la canzone riscrivendone la melodia ed ottenendo quello che diventerà senza dubbio uno dei suoi capolavori di sempre.
Di "High Water" colpisce soprattutto la voce di Dylan che ricorda certi blues che cantava quando aveva 20 anni oltre al "terrificante" tappeto sonoro che martella tutto il brano con banjo e chitarre e che gli conferisce un sound assolutamente suggestivo.
"Sugar Baby" è una dolce ballata che ha anch'essa reminiscenze di "Oh Mercy" e, comunque, del sound di Daniel Lanois (produttore di quell'album così come di "Time out of mind"). Il testo trasuda poesia in più di una strofa.
Un secondo trio di gemme rare, dal sapore antico, è costituito da "Moonlight", "Po' boy" e "Bye and Bye".
La prima è una delle migliori canzoni di "amore e non amore" di Dylan, sorretta da una melodia vecchio stile assolutamente affascinante e da un cantato di Bob che trasmette allo stesso tempo infinita dolcezza e malinconia.
"Po' boy", forse la migliore dell'album in quanto a performance canora, vede Dylan ritornare a certi fraseggi tirati, a certi "inside jokes"
tipici delle sue canzoni degli anni '60, sorta di strofe al limite della parodia come nel caso di quella che recita: "Otello disse a Desdemona:
"Ho freddo... Dammi una coperta ... Ad ogni modo cosa ne è stato di quel vino avvelenato?", lei rispose: "L'ho dato a te, l'hai bevuto..".
Quanto a "Bye and Bye", in questo caso Bob si diverte in parte a fare il verso alla celebre "Blue Moon" col risultato di rischiare di oscurare l'originale.
Poi c'è la corposa parte rock/blues dell'album che presenta alcune delle cose migliori realizzate da Dylan in questo genere, da "Lonesome day blues" (un martellante blues che non avrebbe sfigurato su "Blonde on blonde"), a "Summer days" (un trascinante rock'n'roll in stile Elvis in cui Bob canta in maniera superba le veloci strofe del brano), da "Tweedle Dee and Tweedle Dum" (un rock-a-billy caratterizzato ancora una volta da una superba performance canora oltre che da un intrigante giro di chitarre) a "Cry awhile" fino alla potente, travolgente, tiratissima "Honest with me", un infuocato blues che cita addirittura un verso di Sinatra nella prima strofa.
E poi c'è un altro pezzo di eccelsa fattura come "Floater" in cui è da segnalare il bellissimo violino di Larry Campbell che fa da contrappunto alle strofe della canzone.
A proposito dei musicisti, oltre al chitarrista Larry Campbell già citato hanno suonato Tony Garnier (basso) Charlie Sexton (chitarra) Dave Kemper (batteria) - ossia la band che accompagna Dylan in tour - con l'aggiunta di Augie Meyers, già presente in Time out of mind, che ha suonato le tastiere.
Un grandissimo album dunque che a differenza del precedente "Time out of mind" spazia a 360 gradi sia dal punto di vista musicale che dei testi e che ci riconsegna un Dylan molto più "vitale" e "raggiante" rispetto a quello di 4/5 anni fa che sembrava essersi un pò ripiegato su se stesso in una sorta di angolo oscuro in cui l'atmosfera non poteva che essere malinconica e crepuscolare (e che gli aveva permesso di realizzare con "Time out of mind" uno dei suoi migliori album di sempre).
Un album che per certi versi stupisce dal momento che, pur muovendo da epoche antiche, è caratterizzato da una freschezza ed immediatezza come pochi album di Dylan. Non a caso la Columbia, casa discografica produttrice dell'album, ha rilasciato dichiarazioni che definiscono "Love and Theft" come un "album per le masse", non indirizzato, dunque, esclusivamente ai fans di Dylan.
Numerose sono le citazioni ed i rimandi che Dylan sembra essersi divertito a disseminare nei 12 testi di Love and Theft, da Frank Sinatra a Charlie Patton, da Shakespeare a Lewis Carroll, da F. Scott Fitzgerald a Big Joe Turner fino al "demoniaco" bluesman del Delta, Robert Johnson.
Una nota finale merita il titolo dell'album, alquanto inusitato apparentemente, ma che potrebbe essere spiegato come una dichiarazione
di Dylan che "ruba" dal passato pescando a piene mani dai classici della sua epoca (ma anche di quelle precedenti) quasi come se Bob volesse dirci che "è lecito rubare per amore".

Michele Murino

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Torna Bob Dylan, il poeta scomodo che non vuole essere un mito

Giorni fa s'e' presentato in scena vestito di nero, il cravattino a fiocco come un giocatore di poker nel vecchio West, la chitarra imbracciata come un fucile e l'immancabile armonica a bocca. Bentornato, Bob Dylan. Sfiorando i 60 anni (ne ha 58), domenica sera il patriarca del rock si riaffaccia a Roma, nella stessa scalinata del Palazzo della Civilta' del Lavoro all'Eur in cui si era esibito nel giugno 1989, per il Roma Live Festival. In due ore scarse, intensissime, Bob Dylan non disse una parola al pubblico, offrendogli per la maggior parte del tempo la schiena. The times they are a changin', i tempi stanno cambiando, canta Dylan, ma non per lui, che resta il solito vecchio ruvido, irsuto ragazzo contro. In questo tour Dylan, come d'abitudine, cambia scaletta ogni volta. In Danimarca nel bis, davanti a 70 mila persone, ha risuonato Blowin' in the wind, che prima divenne l'inno dei militanti per i diritti civili in Usa e poi si trasformo' in una poesia studiata nei licei americani. Sfiorando i 60, Dylan dimostra tutte le cicatrici del tempo: il volto segnato, la voce arrochita e inasprita da una malattia poi superata. Che cosa resta, in fondo, dopo i suoi versi? La sua rivoluzione e' quella di un orizzonte espressivo molto piu' largo rispetto a prima. Folksinger di protesta? Anche, ma non solo. Pacifista? Anche, ma non solo. Poeta scomodo certo. Scomodo, elusivo, segreto, si e' sempre rifiutato di farsi fissare in un archetipo. Il suo ebraismo e' nel suo essere sempre altrove. E diventato un modello, un leader ideologico contro la sua volonta'. Bob Dylan e' la voce degli uomini soli. Nella sua vita non ha mai fatto quello che la gente si aspettava da lui. Dal tradimento di Newport, quando contamino' il folk con i ritmi del rock, si e' cucito sulla pelle un nuovo stile. Ogni volta reinventa i suoi pezzi, rendendoli irriconoscibili, asciugando la sua anima. Cosi' qualche fan si e' perso per strada, e le anime ingenue hanno detto che Dylan ha fatto a pezzi il suo mito. Una parabola che richiama quella di Igor Stravinsky. Gli anni della rabbia e dei sit in ribelli non ci sono piu'. Una volta disse che non ha nulla a che fare con i Sixties, di cui non aveva compreso il senso. C'e' piuttosto l'America visionaria di Melville. Quello che io posso fare di eroico ha detto in una delle sue rare interviste e' trascinare la gente con la mia chitarra. Dylan continua a dare l'impressione di essere un uomo solo. Nel Giovane Holden, il romanzo della generazione che per prima ha ascoltato Bob Dylan, la piccola sorellina Phoebe domanda a un autista di taxi: Dove volano le anatre del Central Park quando il lago e' ghiacciato?. Il primo Dylan non e' lontano dal giovane Holden. Ma nessuno, finora, ha scoperto il luogo dove egli si nasconde quando il lago e' ghiacciato. Dylan torna dopo il concerto del 6 giugno '91 al Palaeur. Domenica i nostalgici andranno a rincorrere la loro gioventu'. Settemila posti all'Eur. I biglietti (nelle abituali prevendite) costano 40.000 lire.

Cappelli Valerio -
Pagina 47 (3 luglio 1998) - Corriere della Sera

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Thanksgiving, 1976

di Paolo Vites

Alcuni di loro sono morti. Altri si sono ritirati dalle scene. Nessuno, comunque, è stato più in grado di superare quello che, musicalmente, questi uomini e donne avevano fatto fino a quel giorno. Che era il 25 novembre 1976, quando uno dopo l’altro sfilarono sul palco del Winterland di San Francisco i più brillanti esponenti di una generazione che con le loro canzoni avevano cantato utopie, speranze, disillusioni di un momento storico unico di quel secolo, il 900. Stavano dicendo addio, ma non lo sapevano. Ma suonarono come se fosse stata l'ultima notte della loro vita, meglio di ogni altra volta.

Fu la sera dell’ultimo valzer, quando Van Morrison scalciando come un indemoniato terrorizzò quanti lo stavano guardando. Quando Eric Clapton tornò a suonare la chitarra solista da dio, come non faceva da anni. Sembrava non volersi fermare più. Quando Neil Young si presentò sul palco con il naso impolverato di cocaina (che il regista abilmente fece scomparire, su sua richiesta, dalle immagini del film). Quando Bob Dylan con i suoi vecchi amici con cui aveva sconvolto il mondo esattamente dieci anni prima, tornò a suonare “fucking loud”, facendo riecheggiare la voce di Walt Whitman su un palcoscenico rock. E quando Ronnie Hawkins lanciò ancora una volta quell’urlo, quello del rock’n’roll. Joni Mitchell seduceva e incantava, mentre, pacioso e con lo sguardo di chi sapeva già come sarebbe andata a finire, Muddy Waters benediceva tutti e The Band mandava in scena l’ultima esibizione di un’America che era già scomparsa con i morti della Guerra di secessione.

Fu l’ultimo valzer del rock, e il regista di Taxi Driver lo coglieva con capacità a tutt’oggi insuperabile: non si vedono mai gli spettatori, nel suo film. Questa è una celebrazione di quegli uomini sul palco.
“Ecco cosa è L’ultimo valzer” dice nel film Robbie Robertson. “Sedici anni on the road. Un numero che ti fa paura. Non potrei vivere per vent’anni sulla strada. Non penso di poter neanche discutere una cosa del genere”. Avrebbe tenuto fede a quelle parole. Non  sarebbe più tornato on the road.

(fonte; gamblin-ramblin/blogspot.com)

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Libri :  «Non sono mai partito»                                                                   clicca qui

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Esce il disco del Boss: “La musica può ancora cambiare il mondo"        clicca qui

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Bruce Springsteen dischi                                                                             clicca qui

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My Chemical Romance nella colonna sonora di Watchmen                    clicca qui

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Teatro : Stefano Accorsi e Lucilla Morlacchi - "Il Dubbio"                   clicca qui

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Bob Dylan & Van Morrison : Crazy Love

 

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Martedi 27 Gennaio 2009

Dal New Yorker - di Nat Hentoff - Parte quinta  (Dean Spencer News)               clicca qui

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Libri : Alias Bob Dylan - Marco Denti                                                           clicca qui

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Ricordando Marc Bolan and T. Rex                                                               clicca qui

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Libri : Bob Dylan - di Murino Michele - Esposito Salvatore                       clicca qui

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Quando McGuinn salì sul palco con Springsteen

Mr Tambourine Bruce

di Paolo Vites

Presentato come "l'incredibile Roger McGuinn", qualche sera fa, nella città dove risiede da anni, Orlando, Florida, l'ex leader e fondatore dei Byrds - "negli anni 60 l'unico gruppo americano di cui essere orgogliosi" come diceva Tom Petty - è salito sul palco della E Street Band. Nel corso del tour americano 2008, in quasi ogni città dove si trova a suonare, Springsteen ha preso la bella abitudine di invitare qualche gloria locale. Sono particolarmente contento, ad esempio, del duetto a Houston con il formidabile Alejandro Escovedo, uno che non ha mai raccolto abbastanza rispetto ai bellissimi dischi incisi.
Roger McGuinn, ovviamente, è più di una gloria locale, è una gloria mondiale. "Quando avevo 15 anni" dirà Bruce ad Orlando "comprai il primo disco dei Byrds e lo ascoltai circa 200 volte consecutive nei giorni seguenti". Feci così anch'io quando avevo 14 anni e comprai (solo perché vidi che c'erano diverse canzoni a firma Bob Dylan, non sapevo manco chi fossero) quel disco. Non me ne sono mai stancato e a quello ho aggiunto via via tutti i dischi dei Byrds (e quelli di Roger McGuinn, peraltro, e quelli meravigliosi di Gene Clark, e quelli di David Crosby e anche un paio di Chris Hillman). Sono stati certamente il più grande gruppo americano di tutti i tempi, e non solo nella fase iniziale, ma anche quando, andati via uno dopo l'altro, rimase solo McGuinn con musicisti occasionali, che poi rispondevano sempre a nomi di grandissima classe, ad esempio Gram Parsons.
Hanno attraversato tutto quello che c'era da attraversare, dalla psichedelia affrontata ben prima dei Beatles, all'invenzione del country-rock, il tutto con quel magico suono jingle jangle che ancora oggi si sente in giro, ad esempio nell'ultimo dei REM.
Eccoli, in tutta la loro gloria giovanile, a dar vita a una avventura senza paragoni, a bordo di una magica nave roteante.

(fonte: gamblin--ramblin.blogspot.com)

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TUTTA LA GRANDE FEDE IN UNA PICCOLA GRANDE ESIBIZIONE DI BOB DYLAN

di David Zard

Non voglio dilungarmi su quello che tutti o quasi tutti hanno visto in
televisione, ma voglio fare un racconto di quello che succedeva dietro il
palco fino all'esibizione di Bob Dylan.
Dopo molte peripezie sono riuscito ad entrare, ad un certo punto l'ingresso
era stato bloccato perché arrivava S.S. il Pontefice, poi finalmente
entriamo e ci dirigiamo verso i camerini degli artisti situati dietro il palco.
Incontro Barry Dickins, agente europeo di Dylan, poi incontro il suo Manager
Jeff Kramer e così, via via, tutti i componenti dell'entourage di Dylan, ma
di lui nemmeno l'ombra: era rinchiuso nei camerini assalito da mille dubbi
ed indecisioni. Mi informano che nelle ultime due ore la scaletta era
cambiata cinque volte e l'unica canzone fissa era Forever Young che Bob
Dylan voleva dedicare al Papa.
Blowin' in the wind era una richiesta degli organizzatori dell'evento, ma é
sparita dalla lista delle canzoni non appena i ragazzi hanno rivolto delle
domande a S.S. basate sulla poesia di Dylan ed il Papa ha risposto come
tutti abbiamo visto.
Ero seduto nei camerini di Dylan, quando Jeff Kramer mi chiede se era
obbligatorio fare come tutti gli artisti, e cioé omaggiare il Papa dopo la
loro esibizione, ed io gli ho risposto che sarebbe stato brutto o almeno di
cattivo gusto non farlo, allora mi é stato detto che Dylan non poteva
baciargli la mano o l'anello dato che Dylan non era Cristiano né tanto meno
Cattolico; ed io gli ho confermato che sarebbe bastato un segno di riverenza
e di rispetto.
- l'incontro "Bob wants to see you", ed allora mi alzo assieme a mio figlio e mi dirigo
verso il suo camerino. Dylan mi stava aspettando fuori dalla porta e,
vedendo mio figlio Clemente, gli dice che se lo ricordava molto più piccolo
e Clemente: "Are you Bob Dylan ?" E lui: "No Bob is in the lunch room eating
pickles" ("No, Bob e nella sala da pranzo che mangia dei sottaceti"). Poi si
rivolge a me e mi chiede informazioni su cosa hanno scritto i giornali
riguardo la sua partecipazione all'evento, perché "sai due anni fa ero stato
invitato a cantare per i Buddisti in Giappone ed hanno scritto che ero
diventato Buddista", allora io gli ho spiegato che lui non rende la vita
facile ai giornalisti, dato che raramente rilascia interviste e allora loro
si devono inventare qualche cosa. Un pacato risolino, e poi mi chiede come
sta mia madre e se fa ancora il Cous Cous; io per tutta risposta lo invito a
passare le prossime festività ebraiche a casa mia e lui mi risponde che per
Rosh Asshana (il capo d'anno ebraico) sarà a Londra ma Yom Kippur lo deve
passare con i suoi figli in America ed è solo per questa ragione che ha
rinunciato ad esibirsi in altri paesi d'Europa.
Arriva l'ora di salire sul palco, il Papa ha appena iniziato il suo
intervento e Dylan mi chiede cosa ha detto, io traduco le parole di Blowin'
In The Wind e lui mi interrompe dicendo che le conosce ma quando il Papa
inizia a parlare di Cristo sempre sui toni della canzone dice: "Queste non le ho scritte io".
"Cosa ne pensi se cantassi il Kol Nidre, usciamo vivi da qui?"
Io allora: "Perché hai accettato di fare questa manifestazione, non sapevi
che era una manifestazione religiosa ?"
"Io canto per tutti, gli ebrei non discriminano e non hanno mai discriminato
nessuno. E poi le benedizioni da chiunque arrivino sono sempre benedizioni.
Blessings are blessings". E si avvia sul palco, dopo aver accarezzato sulla
testa Clemente, mio figlio, quasi volesse benedirlo.

(fonte: www.maggiesfarm.it)

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Roger McGuinn: Roger McGuinn

Recensione di: mien_mo_man , (Friday, January 02, 2009)

E' il 1973 e Roger McGuinn ci prova in tutti i modi. Scioglie i Byrds per com'erano ormai composti, ricompatta la vecchia line up, sebbene non abbastanza per dar vita ad un progetto serio, e poi finisce per provarci pure in solitario. Mentre David Crosby e Gene Clark avevano già dischi solisti all'attivo, e mentre tutti gli altri erano stati in altre bands, duos o consorzi vari, il più egotico degli Uccelli aveva scelto di non staccarsi dal "suo" monicker fino alla fine, forse perché convinto che i Byrds fossero lui, chissà. Resta il fatto che in "Roger McGuinn" il nostro risulta avere una freschezza compositiva che nelle ultime prove della sua band non venne registrata, e men che meno la si trovò nel disco del tentato ritorno ai vecchi fasti. Omonimi, i due ultimi dischi, "Roger McGuinn" l'uno e "Byrds" l'altro, il primo tutto sommato indovinato ed il secondo nient'affatto.
Qui, seppur limitatamente, Roger dà sfogo alle sue predilezioni musicali, cimentandosi nella folk song in puro stile mentore-Dylan "I'm So Restless", in cui il vecchio Bob ci piazza un'armonica a bocca, o nel jazz-rock di "My New Woman", e d'altronde si sapeva dell'amore di Roger per il sax di Coltrane sin dai tempi di "Eight Miles High".
C'è pure il root-rock senza fronzoli di "Lost My Drivin' Wheel", non il più carico del pianeta root-rock ma comunque con un discreto incedere, quindi un surf rock nostalgico (in questo disco ci suona pure Bruce Johnson), un folk vecchio di un decennio che parte raga-rock ed invece diventa purissima Byrds' melody.
C'è un po' di tutto, dunque, dal country contemporaneo di "Bag Full Of Money", al bluesuccio acustico ed anche piuttosto scazzato di "Hanoi Hannah"; anche un esperimento caraibico, ed immancabilmente due traditionals, specialità tipica del nostro, grande professional del riarrangiamento.
L'unico cruccio è che i brani sono quasi tutti un po' troppo facili, prevedibili, passabili, per un easy listening efficace ma che non può paragonarsi affatto alla grandiosità dei giganti del suo tempo, a cominciare dai suoi ex compagni d'avventura, per proseguire quindi coi suoi acerrimi rivali dei tempi d'oro, e per finire col suo mentore (e migliore amico nel music business) Bob Dylan.
Anzi no, non per finire con Dylan, ma per finire con se stesso, il Roger McGuinn che, senza Gene Clark e senza David Crosby, prese il fidato Chris Hillman ed assieme a lui creò l'eccezionale "The Notorious Byrd Brothers".
Un autore, allora e purtroppo per l'ultima volta, capace di molto di più di quanto raccolto in questo disco.

(fonte: debaser.it)

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Cesare Cremonini - "Figli di un rè"                                          clicca qui

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Teatro:"Il dubbio" di Castellitto coinvolge il pubblico           clicca qui

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The Derek Trucks Band con "Down in the flood"                    clicca qui

 

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Lunedi 26 Gennaio 2009

Talking Bob Dylan Blues - Parte 442                                                             clicca qui

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Parte il 1° Febbraio la prima Battle of the Dylan Cover Bands , ecco l'elenco dei partecipanti :

1 Not Dark Yet (4:17) Ben Schuurmans
2 Like a Rolling Stone (7:35) Blood on the Tracks
3 Oben Auf Dem Wachturm (All Along The Watchtower) (3:48) Ernst Schultz
4 Señor (2:29) Gianni Zanata
5 Ballad of a Thin Man (5:27) Group Therapy
6 Lovesick (6:07) HOW MANY ROADS
7 Simple Twist of Fate (4:34) Jacques Mees
8 Tangled Up In Blue (4:49) Jeremy Mayle
9 Desolation Row (10:46) Many Bright Things
10 Tangled Up In Blue (4:19) Mike Rice
11 Most Likely You Go Your Way and I'll Go Mine (6:14) My Bootheels
12 Buckets of Rain (4:33) Nathan Wayne
13 Things Have Changed (Russian) (5:14) Oksana Mysina and Oxy Rocks
14 I Want You (4:19) Pat Guadagno
15 Just Like A Woman (4:20) PetTommy
16 Don't Think Twice (It's Alright) (4:42) Slow Train Band
17 Positively 4th Street (3:44) Steph Buhé
18 This Wheel's on Fire (5:39) The Beards
19 Workingman's Blues #2 (6:13) The Blackstones
20 Shot of Love (3:29) The Devilish DoubleDylans
21 Seeing the Real You at Last (4:02) The Highlights
22 Blind Willie McTell (4:41) The New Fools
23 Hurricane (8:07) The Phantom Engineers
24 When The Deal Goes Down (5:15) Tony Villiers
25 Gotta Serve Somebody (5:44) WilBurt&Co.
26 Blind Willie McTell (5:34) Zelda Smyth
27 Tight Connection To My Heart (3:58) Zimming Point

 

In rosso sono le bands italiane partecipanti , please , quando avrete un attimo di tempo votate  per una delle nostre bands , vi faremo sapere come fare quando la battaglia partirà.

Per richiedere l'ascolto di uno di questi pezzi è semplice , seguite le istruzioni :

1) Digitare http://www.dylanradio.com/

2) In alto , nella Home page , nel menù cliccare su "Browse songs"

3) In cima alla pagina ci sono le lettere dell'alfabeto , cliccare la lettera scelta ( esempio : Don't think twice della Slow Train Band - cliccare la D )

4) Seguire l'elenco delle canzoni finchè troverete quella desiderata

5) Di fianco all'elenco dei titoli , per ogni canzone troverete la scritta "request"

6) Cliccate su "request" , si aprirà la finestra della canzone scelta , a questo punto è sufficiente digitare ( se volete , non è obbligatorio ) il vostro nome e il testo della dedica e cliccare il bottone "dedicate it" , entro un'oretta la canzone da voi scelta verrà messa in onda.

Cliccate , sempre nel menù in cima alla Home Page la scritta "Web Player" , si aprirà una finestrella e , collegando il computer al vostro impianto HIFI potrete ascoltare tutte le canzoni che volete 24 ore su 24.

Supportiamo le nostre bands !!!!!

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Dal New Yorker - di Nat Hentoff - Parte quarta  (Dean Spencer News)               clicca qui

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La pittura di Bob in video                                                                                 clicca qui

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Quando c'erano Sexton e Campbell......

BOB DYLAN
10/07/01 Brescia, Piazza Duomo

Stasera la piazza è più ordinata e silenziosa, forse per i posti seduti, forse per il rispetto che si deve a un concerto di Bob Dylan. Faccio fatica a pensare ad una serata migliore di quella di ieri con Neil Young, ma, se è vero che Bob era nel backstage, non dovrebbe essere da meno. In tirbuna vip si vedono Fernanda Pivano, Dori Grezzi e Lawrence Ferlinghetti seduti vicini, poi Francesco De Gregori, Giorgio Cordini, mentre tra il pubblico questa volta scorgo Alberto Fortis. Qualcuno indossa anche un cappello di pelle di leopardo.
Mi sento già fremere al pensiero.
Poco dopo le 21.00 compare Charlie "occhi azzurri" Sexton in un elegante completo grigio, seguito a ruota da Larry Campbell, capelli lunghi e aria misteriosa, aumentata dal lungo abito nero. Alla batteria spunta un basco, mentre Tony Garnier fa il suo ingresso quasi coperto dal contrabbasso. Non riesco a vedere da quale parte entri Bob, ma me lo trovo davanti in un completo nero con l'unica concessione di una righina bianca sul fianco dei pantaloni all'insegna della massima professionalità artistica. Mentre le casse stanno ancora diffondendo "La sinfonia del nuovo mondo" di Dvorak, parte un mezzo bluegrass, spinto dal contrabbasso; solo nel finale riesco a riconoscere "Rovin' gambler".
Uno sguardo per iniziare "The times they are a-changin'" in una versione densa in cui il leggendario brano folk si tramuta in una sostenuta country-song; Dylan appare svogliato, accenna qualche assolo, poi lascia perdere e va a dire qualcosa a un roadie, per tornare al microfono con la folla che lo acclama. "Desolation row" aumenta i giri, Bob tira la sua acustica fino al blues, gratta ogni singola parola con una voce seccata dal tempo e mostra il ghigno a chi lo osanna dalle prime file.
Non ci sono stati saluti, nemmeno una parola, anche il gruppo mantiene la stessa serietà che distingue chiunque suoni con Dylan. L'arte richiede tutta la dedizione possibile e nessuno come lui ne è conscio.
Il tempo che Bob imbracci una Fender e Charlie Sexton una Gibson nera che comincia a sussultare un boogie sporco, pieno di accordi secchi: "Maggie's Farm"! Bob la parla per intero e mette tutto il fiato in un incredibile finale in cui detta gli stacchi con l'armonica a polmoni aperti. Non si fa in tempo ad esultare che la slide di Larry Campbell introduce "Just like a woman", rovinata solo dalle stelline che qualcuno accende dai balconi attorno, ma il bridge cantato da Bob su "It was raining from the first / And I was dying there of first" è talmente cupo e intenso da spazzare via tutto, prima delle commoventi note conclusive dell'armonica.
Non riesco a capacitarmi di come il gruppo stia suonando alla grandissima: Larry Campbell passa dalla slide al violino, Sexton lavora su non so quante chitarre, basso e batteria spingono come meglio non si può. "If you see her say hello", "Don't think twice, it's all right", il blues stoppato di "Masters of war", graffiata anche da un dobro, e "One too many mornings" formano una sequenza che vorrei riuscire a registrare dentro di me in ogni nota. "Stuck inside of mobile" inizia la parte più elettrica del concerto ed è una delle cose più belle della serata: Dylan e Sexton eseguono contemporaneamente diversi assoli alle chitarre producendo un impasto di grande qualità. Bob spezzetta ogni singola parola con una pausa aumentando così l'effetto delle battute del "Memphis blues".
Con "Positively 4th street" e "Drifter's escape" scoppia il caos sotto il palco, nessuno rimane seduto, anche chi ha prenotato le poltroncine blu è costretto ad alzarsi. Ad ogni sguardo verso Sexton, Bob entra con un assolo che poi trattiene forse per evitare il plauso della folla e per andare a riprenderlo da un angolo diverso. "Rainy day women # 12 & 35" è una ulteriore accellerata e anche l'occasione per presentare la band prima di scendere dal palco.
Si ricomincia con "Things have changed" più sporca e nera che su disco; qua Bob si concede una Fender personalizzata con tanto di firma sul manico. "Like a rolling stone" non ha invece nulla della concessione, ma una potenza che Dylan aumenta quasi urlando "you got no secrets to conceal": la voce di Bob non è mai stata bella, ma proprio quell'essere così roca e nasale ne ha fatto di riflesso l'unica in grado di cantare parole come arte. L'esecuzione è magistrale con i musicisti in riga sul fronte del palco a puntare gli strumenti verso il pubblico.
Qua ce ne sarebbe già più che abbastanza, ma Sexton e Campbell si avvicinano ai microfoni e intonano un profondissimo coro: "Knockin' on heaven's door"! La versione che Bob ne fa è romantica e decisa allo stesso tempo, dettata dal basso acustico di Tony. Dylan praticamente parla il testo, mentre i due chitarristi ripetono ai cori la melodia del ritornello.
Degli accordi ruvidissimi ed elettrici lanciano nella piazza "All along the watchtower" con Sexton che ribalta il famoso riff spaccando l'aria fino al maestoso finale. I ritmi della band e il canto di Bob dissacrano i suoi più grandi successi e rendono arduo ogni tentativo della folla di accompagnare le canzoni che così riescono a meravigliare ancora di più. Questi mutamenti permettono tra l'altro a Dylan di riaffermare se stesso e il suo talento di fronte a un pubblico che non smetterebbe mai di volerlo come in passato.
E allora "I shall be released" si veste di un lieve blues che poi si libera nel toccante ritornello, sostenuto ancora dai cori celesti di Sexton e Campbell. "Highway 61 revisited" è una botta continua di boogie e bluegrass con tutte le luci accese sulla piazza; mi dà i brividi sentirmi addosso gli sguardi di Sexton e anche gli occhi stretti di Bob girati nella mia direzione. Il finale è esaltante e Garnier sale letteralmente sulla batteria per le ultime battute.
Le chitarre acustiche tornano a distendersi per "Blowin' in the wind", arricchita da una serie di brevi assoli che Dylan lancia all'interno della canzone. Tutto finisce con un lungo coro a tre voci a ripetere il ritornello più famoso della storia del rock: "the answer my friend is blowin' in the wind".
Mi fermo un po' in piazza per cercare di prendere coscienza di quanto ho visto, vorrei che restasse nella memoria il più possibile. L'aria sembra più leggera, come dopo un improvviso cambiamento atmosferico, ma mai ho assistito a un temporale di una tale bellezza.
Mi accendo una sigaretta e me ne resto qui, ancora per qualche minuto, accanto a queste canzoni.

Articolo di: Christian Verzeletti
(fonte: mescalina.it)

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Scrivevano.......

I fantasmi di Manchester

di Michele Murino
(estratto da "The Artist n.2)

"Play fucking loud!!!". Con questa frase entrata ormai nella leggenda del Rock un Bob Dylan rabbioso si rivolse a Robbie Robertson ed ai suoi "complici", membri di "The Hawks" (la futura "The Band", immortalata nel celebre film "The Last Waltz" di Martin Scorsese) prima dell'esecuzione di una rovente Like a rolling stone che riversò sul pubblico inglese una travolgente marea sonica dalla dirompente ed inarrestabile potenza dopo la velenosa incitazione di Dylan: "Suonate fottutamente forte!!!" ("Play fucking loud!!!", per l'appunto).
Era il 17 maggio del 1966. Il luogo: la "Free Trade Hall" di Manchester, Inghilterra.
"Complici" abbiamo scritto. Ma qual era il "crimine" di cui si erano macchiati questi talentuosi ragazzotti canadesi guidati dall'anfetaminico Dylan della metà degli anni 60, l'artista che "indicava la strada" (come ebbe a dire John Lennon) e che solo un anno prima aveva gettato alle ortiche la sua chitarra acustica, con la quale aveva rinnovato la musica folk, imbracciando una lucente chitarra elettrica e spiazzando al Festival di Newport del 1965 i suoi fans "fondamentalisti", i cosiddetti puristi del folk che solo anelavano di ascoltare le dolci ballate inglesi, irlandesi ed appalachiane o quelle impegnate e politiche di Woody Guthrie e Pete Seeger, tra gli altri, che costituivano la base dei primi lavori del giovane Dylan?

Il crimine in questione era stato il "tradimento" di Dylan, il rinnegato vendutosi al sistema per far soldi e diventato nel giro di un anno e di un paio di album una rockstar con tanto di occhiali scuri, abbigliamento "punk" ed atteggiamenti da divo e che aveva, a dir loro, rinnegato gli ideali ed i vecchi amici pur di arricchire e diventare un'icona della musica rock.

Quella sera del 17 maggio del '66, a Manchester, la contestazione che aveva accompagnato il tour inglese di quell'anno raggiunse l'apice quando iniziò una vera e propria guerra a distanza tra il pubblico da una parte e Dylan and The Hawks, dileggiati, fischiati e contestati dai fans inglesi nel set elettrico della seconda parte dello show,dall'altra.

Finchè uno spettatore più intraprendente degli altri si rivolse direttamente a Dylan gridando a pieni polmoni il celebre insulto: "Judas!!!", entrato anch'esso di diritto nella storia e nella leggenda del Rock e provocando la reazione di Dylan di cui parlavamo all'inizio con la risposta della rockstar sibilata tra i denti: "I don't believe you!"... "You're a liar!" (Non ti credo... Sei un bugiardo) e poi con quel furente"Play fucking loud!!!" rivolto a The Hawks frementi sui loro strumenti e che diede inizio alla torrenziale "Like a rolling stone".

Negli anni recenti un'interazione simile tra Dylan ed il pubblico sì è andata facendo sempre più improbabile. Fatta eccezione per rari casi come quelli degli show a cavallo tra la fine dei '70 e l'inizio degli '80 in cui il Dylan "predicatore" (quello che si era convertito alla religione dei "Cristiani Rinati", lui ebreo di nascita) dialogava col pubblico tenendo lunghi sermoni.

Era il periodo del cosiddetto "Gospel Tour" (il tour evangelico) con Dylan che, tra una canzone e l'altra, predicava la Verità della Bibbia parlando della fine del mondo, della battaglia finale dell'Armageddon e del nuovo Avvento di Gesù Cristo. Il suo tentativo di "convertire" i propri fans venne commentato ironicamente dalla critica che non credette alla sincerità dell'artista (il premio per l'originalità, come
sottolineato da Clinton Heylin nel suo "Jokerman - Vita e arte di Bob Dylan ", andò al New Musical Express che titolò: "Dylan è Dio! E' ufficiale!").

Per il resto, soprattutto negli anni '90 ed in questo primo scorcio degli anni 2000, i concerti di Dylan hanno visto un artista quasi completamente disinteressato del pubblico, chiuso nel suo mutismo (con la sola eccezione delle poche rituali parole per la presentazione dei musicisti che lo accompagnano) e concentrato esclusivamente sull'esecuzione dei brani.
Eppure nel recente concerto del Filaforum di Assago del 20 aprile è accaduto qualcosa che, fatte le debite proporzioni, ha riportato con la mente a quella lontana, leggendaria sera di Manchester, col pubblico milanese che ha fischiato Dylan e con l'artista che, proprio come nel 66, ha iniziato tutta una serie di plateali gesti di "vendetta" nei confronti dell'audience, una serie di ripicche che hanno instaurato un dialogo a distanza con gli spettatori, ciò che come dicevamo prima era diventato sempre più improbabile in tempi recenti.

All'uscita di Dylan e della band sul palco del Filafourm, mentre già Charlie Sexton (chitarra solista), Larry Campbell (chitarra, slide, violino, mandolino...), George Receli (batteria) e Tony Garnier (basso) avevano dato il via ai primi accordi di "Humming Bird", un traditional che di recente Dylan propone sovente in apertura del proprio show, una sigaretta accesa vola dalle prime file dell'audience "minacciosamente" in direzione di Dylan appena posizionatosi al microfono.

La reazione è stata immediata e teatrale. Dylan visibilmente adirato tira platealmente indietro il microfono e si posiziona sul fondo del palco, molto lontano dalla prima fila di spettatori. Parlotta con uno dei tecnici di palco dando ordine di puntare fortissime ed accecanti luci sugli spettatori, allerta la security per individuare eventuali responsabili di gesti sconsiderati.

Potrebbe sembrare esagerata la reazione di Dylan se non che si deve tenere conto di tutta una serie di elementi che in parte la giustificano. Solo il giorno prima del concerto di Dylan a Milano un aereo si era schiantato contro il grattacielo Pirelli con una dinamica dell'episodio che aveva tragicamente ricordato quella degli aerei di linea dirottati dai terroristi e schiantatisi contro le torri gemelle del World Trade Center di New York l'11settembre 2001 causando migliaia di morti.

Un episodio, quello del "Pirellone", che nel momento in cui Dylan sale sul palco di Milano non è ancora chiarito tanto che l'ipotesi dell'attentato, nel momento in cui scriviamo, è ancora al vaglio degli investigatori. Solo poco tempo prima del concerto di Dylan proprio a Milano erano stati arrestati terroristi presumibilmente affiliati ad Al-Qaeida, l'organizzazione terroristica dietro la tragedia dell'11 settembre. La guerra tra Palestinesi ed Israeliani di quei giorni vedeva proseguire la sua escalation di terrore e morte.

E Dylan è ebreo, oltre che cittadino americano. E la sua posizione filo-israeliana è addirittura diventata una canzone, quella "Neighborhood bully" dall'album "Infidels" in cui Dylan si schierava dalla parte di Israele cantando: "Bè, il bullo del quartiere è solo uno. I suoi nemici dicono che è sul loro territorio. Loro sono più numerosi circa un milione contro uno. Lui non ha nessun posto dove scappare, nessun posto dove correre. Il bullo del quartiere è stato sbattuto via da ogni terra. Girovaga per il mondo, è un esiliato. Ha visto disperdere la sua famiglia, la sua gente perseguitata e dilaniata. È sempre sotto processo per il solo fatto di essere nato. C'è un cappio al suo collo ed un fucile puntato alla sua schiena. E la licenza di ucciderlo è concessa a qualsiasi maniaco".

Laddove il "bullo del quartiere" è naturalmente Israele.

Inoltre come scritto dal giornalista ed esperto "dylanologo" Paolo Vites "solo qualche giorno prima proprio a Milano un concerto di Mary J. Blige era stato annulllato per “paura di attacchi terroristici ai cittadini americani”. Tutti ricordiamo l’allarme lanciato dal governo americano nei giorni di Pasqua di possibili attentati in territorio italiano. Ovviamente Dylan e il suo management erano bene al corrente di queste cose; inoltre il riff che Charlie Sexton, chitarrista della band di Dylan, esegue quando cominciano All
Along the watchtower presenta alcune note che riprendono la colonna sonora del famoso film di Otto Preminger, Exodus, degli anni cinquanta, un film che celebra la nascita dello stato di Israele.

E’ ovvio che si tratta di una dichiarazione di sostegno totale da parte di Dylan allo stato di Israele in questa guerra che sta divampando in questi mesi in medio oriente. Quindi Dylan va sul palco in questo tour europeo con una grande paura di essere bersaglio di qualche sostenitore dei palestinesi".

Dunque mentre Larry Campbell e Charlie Sexton (che oltre a suonare la chitarra fanno le seconde voci ed i cori in alcuni pezzi nei concerti di Dylan) attaccano a cantare "Humming Bird", clamorosamente Dylan resta muto tanto che anche gli altri non cantano più una volta resisi conto della cosa. La scelta polemica di Dylan è evidente. Si rifiuta di cantare in segno di protesta. Il brano diventa così uno strumentale e Dylan si aggira per il palco visibilmente adirato mentre il pubblico si chiede cosa stia succedendo. Quando poi
Dylan si tira indietro l'asta del microfono verso il fondo del palco posizionandosi il più lontano possibile dal pubblico i fantasmi di Manchester si materializzano.

Sembra una dichiarazione di guerra e gli accecanti riflettori puntati sul pubblico fanno il resto, tanto
che dopo le prime canzoni ed in particolare sul brano "Visions of Johanna" (neanche a farlo apposta una canzone del lontano '66 eseguita anche nel famoso concerto della contestazione di Manchester) avviene l' impensabile: il pubblico fischia Dylan.

La contestazione avviene in particolare da parte delle ali di pubblico posizionate sui lati del palco nei posti a sedere. Costoro sono evidentemente accecati dalle luci e praticamente non riescono a vedere il palco. La tensione è palpabile. Dylan non sembra darsene per inteso e continua a suonare in maniera cattiva, concentrato, duro, magari tornando con la mente ad oltre 25 anni prima ed a quei fischi  di Manchester.

Dopo questa apertura shock il concerto prosegue con la consueta (per questo tour) "The Times they are a-changin'" e l'altrettanto "solita" It's all right mà (I'm only bleeding). La prima perla dello show è Love minus zero/No limit seguita dal brano che molti attendevano di sentire in questo tour: "Solid rock", un brano del "periodo cristiano" prima citato e che solo qualche giorno prima Dylan aveva ripescato dopo la bellezza di 21 anni.
Un riferimento forse all'attuale situazione mondiale... Ai morti israeliani e palestinesi in Terra Santa (nel brano Dylan parla infatti di "popoli che aspettano che giunga una falsa pace" e dice "Io sono aggrappato ad una solida roccia creata prima della creazione stessa del mondo/ E non la lascerò, non posso lasciarla, non la lascerò").

Il sesto brano è Positively 4th street, altro brano "cattivo" del periodo acido dei '60, forse "dedicato" al
pubblico che fischia? Poi il primo dei brani da "Love and theft" il nuovissimo e pluriosannato album di Bob: Lonesome day blues che al pari di Solid Rock scatena pubblico e band. Seguono una "consueta" Stuck Inside of Mobile with the Memphis Blues Again ed una bellissima Visions of Johanna sulla quale come detto i fischi del pubblico si fanno sempre più sonori.

Seguono Masters of war, Boots of spanish leather e Summer Days, altra perla del nuovo album, travolgente e bellissima come a Ravenna il giorno prima. Poi la tenera Make you feel my love e la tiratissima The Wicked Messenger con tanto di grande armonica di Bob. A chiudere la prima parte ancora un brano dagli anni '60 (anni che la fanno da padrone in questo tour, ed in genere negli show degli ultimi
anni): Leopard-skin pill-box hat. I bis iniziano con una cover di Buddy Holly, Not fade away e prosegue e si conclude con i soliti classici, osannati dal pubblico, quali Knockin' on Heaven's door, Blowin' in the wind ed All along the watchtower. E naturalmente Like a rolling stone. E chissà che, prima del brano, anche stavolta Dylan non abbia esclamato proprio come in quella lontana serata del 66: "Play fucking loud!!!".

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Reportage.....

Cosenza 2006 , il vento idiota                                                             clicca qui

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Paul McCartney operato al cuore                                                     clicca qui

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Paul McCartney e Dolly Parton nel nuovo disco di Cat Stevens     clicca qui

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Jesse Dylan gira il nuovo clip di Cat Stevens                                     clicca qui

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Libri : Bob Dylan 1962-2002. 40 anni di canzoni - Paolo Vites       clicca qui

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Rod Stewart - Downtown Train ( Tom Waits )

 

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Domenica 25 Gennaio 2009

 

THE MAD DOGS , THE ENGLISHMEN & JOE COCKER

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Sabato 24 Gennaio 2009

Chi è Bob Dylan ?

Tempo fa ero al bar con gli amici e come al solito , nel nostro gruppo , non si parla di calcio ma di musica. Il discordo era su Bob Dylan ed ognuno di noi scavava nei meandri della sua memoria per trovare i momenti più belli che Bob gli aveva regalato , quelle cose che , senza sapere il preciso perchè , ti rimangono dentro per tutta la vita. C’era uno appoggiato al bar che ascoltava , chissà se capiva , improvvisamente si avvicina al nostro tavolo e chiede “ Chi è Bob Dylan”.:
E' la domanda più scema, ma è anche allo stesso tempo la più tremenda che si possa fare. Chi è Bob Dylan? Ma come , porco giuda mondo cane , come si fa a chiedere chi è Bob Dylan , .......ma soprattutto come si fa a rispondere.....?
“ Da che banda egnet pò te ? “ ha chiesto Ernesto nel suo slang bresciano d.o.c..
“ Io viene da Senegal “ ha risposto il poverino quasi impaurito dalla domanda di Ernesto.
“ Ecu , bravu , turna a cà tua “ ha detto Ernesto , che non è razzista per niente , ma voleva solo dire che è impossibile , così sui due piedi , rispondere ad una domanda del genere.
Il caro Senegalese , una persona a modo che da anni vive nella mia città e che conosco molto bene , se n’è andato mortificato , biascicando tra le labbra sottovoce un bel vafanculo.
“Però - dico io – non facile rispondere , anche per noi che ci tacciamo di sapere tutto , da che parte si comincia a rispondere a questa domanda ?”
“ Non si risponde-– dice Elio - al mio paese si dice “Chi sà sà , chi sà mia ciapa soeu el va a cà”-
“ Troppo comoda - dico io - te la cavi con un proverbio e buonanotte ai suonatori , ma se dovessi rispondere davvero ? Fai il caso che a chiedertelo , invece del Senegalese , fosse stata una bionda calibro 44 ?”.
“ Uhmmmmm....certo che la cosa cambia....non si può fare la figura di merda davanti ad una sventola del genere!”.
“ Già – lo incalzo . ed allora ?”.
“Bha...le direi...ti và di uscire con me , in un paio di mesi ti spiego tutto!”.
“Dopo.....“ dicono sorridendo gli altri facendo girare l’indice teso.
“ Perchè , tu cosa le diresti ?” dice Elio rivolto a Maurizio detto Mau.
Le direi “ Ce l’hai un computer ?
( Lei risponde “ Si” )
“ Allora digita www.maggiesfarm.it , c’è tutto quello che riguarda Bob Dylan , quando hai letto tutto , fra tre mesi torna qui , ti offrirò una coppa di Champagne”.
Risata generale.
“Bene ragazzi , è l’ora della pappa , a domani”.
“A domani “ rispondono mentre indossano i loro cappotti.
Gia , come si fa a rispondere ad una domanda del genere...........?

Mr.Tambourine

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Il Vaticano approda su Youtube                                                                  clicca qui

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Libri : Bob Dylan. La repubblica invisibile                                                clicca qui
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Bob Dylan e il Poker - di Dario Twist of Fate                                              clicca qui

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Libri : Sounes Howard - Bob Dylan                                                              clicca qui

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Oxford a caccia di un nuovo professore di poesia                                        clicca qui

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Rolling Stone in edicola con un inserto                                                         clicca qui

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Bruce Springsteen: il mio sogno si è realizzato con Obama                        clicca qui

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The Felice Brothers                                                                                        clicca qui

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Le tribute bands italiane :

             The Beards    clicca qui

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Andrea Del Monte & The Hat Band - Il giro del mondo

 

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Venerdi 23 Gennaio 2009

Corte Ue: i diritti delle canzoni di Bob Dylan sono della Sony                   clicca qui

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Tour : Le prime date certe dei grandi del rock                                             clicca qui

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Grandi concerti, gli Oasis faranno da apripista                                            clicca qui

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«Il dubbio» a Roma fino all' 8 febbraio                                                          clicca qui

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L’intervista a David Zard                                                                                clicca qui

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 "Working On A Dream", l'ultimo album di Bruce Springsteen                 clicca qui

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De Andrè : Dieci fuori moda                                                                           clicca qui

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Tolentino: il ricordo di Fabrizio De Andrè                                                   clicca qui

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Renzo Cozzani : Senor (Tales of yankee power) in italian language

 

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Giovedi 22 Gennaio 2009

Stasera in TV su Sky "Io non sono qui"                                                        clicca qui

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Scrivevano.....

Don’t Look Back 65 Tour Deluxe Edition

di Paolo Vites

Nuova edizione con un intero dvd di immagini inedite del primo e più importante documentario rock

“Eravamo in un parco di Londra” racconta D.A. Pennebaker “e un poliziotto si infilò tra la telecamera e Bob. Allora andammo sul tetto del Savoy Hotel dove alloggiavamo ma c’era un vento infernale e i fogli che Dylan doveva tenere in mano volarono per tutta Londra. Alla fine andammo in un vicolo dietro l’hotel e riuscimmo nell’impresa”. Quello che l’ottantenne regista di questo film-documentario (nonché di Monterey Pop Festival e tanto altro ancora) racconta è la storia dietro uno dei primi (e ancor oggi formidabile) videoclip della storia, quello del primo brano elettrico inciso da Bob Dylan, Subterranean Homesick Blues, un video copiato un po’ da tutti. Dei due filmati abortiti, quello relativo alla scena sul tetto è presente nella nuova edizione di Don’t Look Back.
Bob Dylan e Pennebaker sono proprietari al 50% dei diritti inerenti questo documentario, autentica applicazione del concetto di cinéma vérité alla musica rock – inutile dire che si spera che tutti i lettori di questa rivista l’abbiano già visto almeno una volta – e quando ne viene prodotta una nuova edizione si ritrovano insieme a discuterne i dettagli.
Don’t Look Back era infatti stato già ristampato su dvd alcuni anni fa, con unica novità i commenti dello stesso regista e dell’allora tour manager di Dylan, Bob Neuwirth.
Anche questa volta i due si sono ritrovati, e visto che il progetto prevedeva l’inserimento di circa un’ora di nuove immagini rimaste in archivio (Pennebaker ha ancora materiale per circa 25 ore di filmati) come sempre in questi casi, l’autore di Blowin’ In The Wind ha fatto il diavolo a quattro. Ha raccontato infatti Pennebaker che Dylan voleva tagliare quasi tutto, al che l’anziano regista è sbottato in un “Finiscila di rompere le palle. Se mi lasci usare queste immagini ti regalo il mio pianoforte”. Dylan avrebbe accettato lo scambio, per chiedersi il giorno dopo: “Ma che cavolo me ne faccio di un altro pianoforte?”.
Anche relativamente alle nuove immagini ci sono i commenti di Pennebaker e di Neuwirth; mancano ovviamente anche questa volta quelli del cantautore.
Quello che esce da questi nuovi filmati è un Dylan più amichevole con fan e giornalisti (ad esempio lascia sedere sul palco alcune ragazze che non erano riuscite a trovare i biglietti per il concerto) di quello che si decise di presentare quarant’anni fa: la domanda che già circola fra dylanologi a buon mercato, sconvolgendo i sonni di chi evidentemente ha pochi pensieri per la testa, è perché allora si decise di dare un’immagine del musicista così “antipatica”. Non è che Bob Dylan fosse antipatico e scortese: se ancor oggi Lou Reed va in giro dicendo “I’m Lou Reed, I’m cool”, ci si dimentica che la “coolness” applicata alla musica rock l’ha inventata proprio Dylan durante quello che fu il suo ultimo tour acustico, nella primavera del 1965, appunto il soggetto di Don’t Look Back. Onestamente, chi scrive trova più affascinante questo modo di porsi della bonarietà “pacche sulle spalle” di uno come Bruce Springsteen…
Del nuovo materiale va sottolineata la presenza di una Nico ancora in era pre Velvet Underground (anche qui Lou Reed è arrivato dopo: con lei Dylan in quel periodo ebbe una breve love story sottolineata dal brano I’ll Keep It With Mine che a lei dedicò) intenta a discutere con Albert Grossman (se Dylan in questo film “inventa” il ruolo della rock star, il serafico manager inventa il ruolo appunto del “rock manager”, un autentico rullo compressore che passa sopra tutto e tutti per fare gli interessi del proprio artista – nonché i suoi ovviamente). Musicalmente invece piace la scena in cui Dylan esegue, su richiesta di un imberbe Donovan, la sua Let Me Die In My Footsteps senza riuscire a ricordarsi le parole, ma soprattutto Dylan che esegue al pianoforte per Tom Wilson il brano Phantom Engineer che poi uscirà con titolo diverso sull’album Highway 61 Revisited.
C’è qualche duetto carino con Joan Baez (in uno, Dylan sembra sfoderare la vocina country che poi debutterà ufficialmente solo su Nashville Skyline) e ci sono ben cinque performance dal vivo in più rispetto alla prima edizione: It Ain’t Me, Babe; It’s All Over Now, Baby Blue; Love Minus Zero / No Limit; To Ramona; Hattie Carroll, quest’ultima era stata tagliata nel film originale.
Oltre a una edizione standard in doppio dvd, Don’t Look Back è disponibile in edizione deluxe contenente un libro di 168 pagine con la sceneggiatura originale del film e circa 200 foto (riproduzione di quello che veniva venduto quando il film uscì la prima volta al cinema, nel 1968) e un “flipbook” con le immagini del video di Subterranean Homesick Blues
Accogliamo tutto questo con gratitudine; ci permettiamo di chiedere ai due soci in affari (Dylan & Pennebaker) se adesso non sarebbe l’ora di mettere su dvd l’intero Eat The Document (vedi foto in questa pagina) il film che girarono durante il tour inglese del 1966 e che giace a prendere polvere da qualche parte da quasi quarant’anni…

(fonte: jamonline.it)

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Don’t Look Back - 65 Tour DeLuxe Edition - Bob Dylan

di Riccardo Bertoncelli

Nella primavera del 1965 Bob Dylan intraprese un lungo tour in Gran Bretagna, il suo primo di sempre. Vi restò più di un mese, dal 26 aprile al 2 giugno, tenendo una dozzina di concerti, girando due special per la BBC e incontrando giornalisti e musicisti, accompagnato da alcuni amici e dalla piccola troupe del regista Donn Pennebaker. L’idea era quella di documentare il viaggio nella Terra Promessa del rock di allora, la Swingin’ Britain di Beatles, Animals, Stones e di girare anche un videoclip, ma allora non si chiamava così, per il primo singolo tratto dal nuovo album appena uscito, Subterranean Homesick Blues. Dylan aveva visto uno Scopitone, il buffo juke box con immagini che girava in Francia e in Italia, e gli era piaciuta l’idea di sceneggiare la sua musica. Nacque così quella ripresa celebre di Bobby impacciatissimo che gira grandi fogli di carta con il riassunto del testo, in un vicolo londinese in compagnia di Ginsberg e Ringo Starr.

In un sondaggio che mi sto inventando, credo che il 90 per cento dei dylaniani non hard core risponderebbe di conoscere quel promo (e le sue citazioni - vedi Ligabue nel video di Almeno credo) ma di non avere mai visto il film che Pennebaker finì per ricavare e che andò a chiamarsi Don’t Look Back. La cosa è tutt’altro che misteriosa. Dylan viaggiava a una velocità supersonica in quei giorni, giusto il tempo di montare il film e di sottoporlo all’approvazione e la storia era già appassita. Tre mesi soltanto (Newport, 25 luglio 1965) e il ragazzetto timido con la chitarra acustica non c’era più, spazzato via dal turbine della tempesta elettrica; e tempo 15 mesi, 29 luglio 1966, un fortunato incidente in moto lo avrebbe levato proprio fisicamente dalle scene, e per un pezzo. Quando Pennebaker allestì la prima di Don’t Look Back era il maggio 1967, i mesi della clausura più severa dell’abate Dylan, e in mezzo erano venuti Highway 61, Blonde On Blonde e un altro tour britannico, questa volta elettrico - erano passate due ere geologiche, insomma, più una dinastia Ming. Anche per quello il film fu accolto tiepidamente e prese subito la via delle sale d’essai e delle gallerie d’arte. Svanì abbastanza in fretta, anche se finì per incassare un milione di dollari, rivelandosi un buon affare. Ogni tanto ricompariva, ma sempre clandestinamente, e ogni tanto il signor D ne parlava, sfogliando la margherita delle sue lune: gli era piaciuta, non gli era piaciuta, si poteva fare meglio, andava bene così.

Negli ultimi anni Dylan ci stupisce, le sue margherite finiscono sempre con il petalo giusto. Così, in occasione del quarantennale, Don’t Look Back viene riproposto in un delizioso cofanetto di 2 DVD con tutta una corona di bonus e di extra intorno alla versione originale. C’è un molto divertente commentary in cui Pennebaker e Neuwirth appuntano i loro ricordi mentre scorrono le immagini, come se fossero sul divano accanto allo spettatore: ci sono cinque bonus con registrazioni dal vivo di quel tour, purtroppo solo in audio; una versione alternate del promo che dicevamo, questa volta in campagna, con Dylan imbranatissimo che proprio non riesce a star dietro alla musica; e c’è un intero Don’t Look Back "alternativo", 65 Revisited, montato apposta per questa edizione con una (minima) parte del girato rimasto quarant’anni negli archivi - in tutto pare fossero una ventina di ore, volendo c’è materiale per altre edizioni, se i pronipoti vorranno.

Pennebaker fu bravo e gli andò bene, la sua creatura è invecchiata con grazia. In quella primavera del 1965 non era ancora il maestro riconosciuto del cinema a luce rock (vedi Monterey Pop) ma un originale emergente che venerava il cinema veritè e predicava un’arte del documentario slegata da precise sceneggiature. Il film doveva farsi quasi da sé, questa la sua idea, la camera e gli eventi dovevano portare il regista, non il contrario. Così fece per Don’t Look Back e fu bersagliato dalle critiche, per l’assenza di un plot vero e proprio e per l’atmosfera enigmatica che finì per caratterizzare le riprese. Io trovo invece che quel montaggio nervoso, sconnesso, sia un elisir di lunga vita cinematografica, specie nella prima parte, e che la vaghezza del racconto, la sua non linearità siano un segno caratteristico (e una felice intuizione, anche, del personaggio Dylan come sarebbe poi venuto a delinearsi).

Tutto è scombinato, tutto appare e scompare, niente è spiegato con precisione ma il quadro che ne viene è trasparente. Si vede Dylan ossessionato dall’idea del "messaggio", che implora di ascoltare semplicemente le sue canzoni. Parlano chiaro, giura, ma nessuno gli crede: i giornalisti che gli girano intorno sono generici di un’altra generazione, lontani anni luce dal suo pensiero e da ogni feeling con la nuova generazione. Dylan si sforza di essere gentile, anche se sbotta ferocemente con un redattore del Time, ma è parco di risposte, elude, divaga, esagera. Spiega di essere "un buon cantante, come Caruso", giura di "non credere a niente", non ricorda bene se ha fratelli e sorelle. A una reporter che tocca un filo giusto e gli domanda se ha mai letto la Bibbia, risponde: "Una volta l’ho sfogliata."

Suonano diverse canzoni nel corso del film, un mix giudizioso di vecchio Dylan folk e nuovo Dylan chissà-che, di Times They Are A Changin’ e Bringing It All Back Home. Non sono mai riprese complete, è sempre un mordi e fuggi perchè "non era al centro del palco che si svolgeva la storia", per usare le parole del regista, "ma fuori, intorno". La camera preferisce infilarsi in auto, nei camerini, in hotel, andare a riprendere un litigio ubriaco durante una festa o ficcare il naso nelle trattative del manager Albert Grossman con Granada e BBC per uno special televisivo. C’è un pizzico di Beatlemania, anche, ragazzine invasate che passano il tempo fuori dall’hotel e si emozionano davanti al loro idolo. Ma Dylan è ben di più che un pupazzetto teenage, è un culto per i musicisti e per il mondo dello spettacolo, ed ecco una sfilata di Re Magi al suo cospetto: Alan Price, Paul Jones, John Mayall, naturalmente Donovan, "la risposta Brit a Dylan", che viene scherzosamente tirato in ballo fin dall’inizio e a un certo appare, ed è anche bravo, canta una To Sing For You da fermare il respiro ricordandoci che in quella primavera del 65 tante cose giravano bene nel mondo della musica nuova, non solo Dylan.

Non dimenticheremo Joan Baez. È al seguito del tour, ride, scherza e suona dietro le quinte, viene presa in giro per la sua voce spaccacristalli ma Dylan non la chiama mai in scena a duettare, come tanto avrebbe voluto. Il 23 maggio tiene lei un concerto a Londra e potrebbe essere finalmente l’occasione: ma Bobby non c’è, è malato, in quelle cinque settimane di Gran Bretagna (più un viaggio in Portogallo) ci sta anche un ricovero in ospedale.

Pennebaker fu bravo, lo abbiamo detto, ma anche fortunato. Intercettò Dylan nel momento cruciale della sua vita, immortalò il suo cambio di livrea, per usare un termine zoologico. In certe scene del film lo si vede ancora fragile e tenerello, in una sequenza presa a prestito da un altro regista appare come sulla copertina di Times They Are A-Changin’, giovane vecchio figlio di Guthrie. Cambia la musica, girano vertiginosamente i pensieri, cambia l’immagine. Prima che finisca Don’t Look Back Dylan è diventato la Sibilla giacca stretta e occhiali scuri che ci accompagnerà nell’anno più pazzo e felice della sua esistenza, l’Amleto beat che Jan Persson immortalerà in quella foto emblematica al castello di Elsinore. Non so per voi, ma per me quella stagione è il Dylan più Dylan, nel cuore più ricco e vibrante del rock. Con questi due DVD in aggiunta al documentario di Scorsese, non posso chiedere di meglio.

(fonte: delrock.it)

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Articolo di: Maurizio Pratelli Del 03/08/07

Quando nel 1967 viene presentata la prima di “Don’t Look Back” nella sala del Presidio Theatre di San Francisco, Bob Dylan non c’è. Coerentemente con il fatto che il Dylan ripreso nella pellicola di D.A. Penenbaker non esiste più, è solo un bel ricordo. Nel 1967 siamo infatti già oltre il nuovo capolavoro “Blonde on Blonde” e quel ragazzino con la lingua lunga e il sorriso strafottente che fa impazzire i giornalisti durante il tour inglese del 1965, è già consegnato al passato.
D’altra parte nel luglio del ‘65, a soli due mesi da quelle riprese, Bob ha già abbandonato la sua chitarra acustica per lanciarsi nelle tanto contestate fughe elettriche di Newport.
Inseguire i suoi ritmi è impossibile, un anno dylaniano corrisponde ad almeno un lustro umano. Solo l’incidente motociclistico, come noto, riesce a dilatare i suoi ritmi serrati. Ed è proprio per questo motivo che “fermarlo” in queste riprese è un vero e proprio miracolo, un sorta di impresa cinematografica. Insomma tutti i fan di Dylan dovrebbero essere eternamente riconoscenti al regista americano per questo preziosissimo lavoro che ha trovato quest’anno, a 40 anni dalla sua originaria pubblicazione, una meravigliosa ristampa Deluxe Edition con un secondo importante dvd inedito.
Perchè se è vero che il Dylan acustico è una meravigliosa meteora, è altrettanto vero che quel Dylan, soprattutto quel Dylan, rimane protagonista di uno dei momenti più importanti della storia della musica moderna. Il suo sbarco in terra inglese è un momento imperdibile, sia dal punto di vista musicale, sia dal punto di vista culturale. Perchè al centro dell’attenzione non ci sono solo le sue canzoni, ma ciò che Dylan, negli anni ’60, secondo molti dovrebbe rappresentare. Nessuno riuscirà però a chiuderlo in qualche gabbia, tanto meno in quella del cantautore di protesta che tanto sarebbe piaciuta a Joan Baez.
Dylan si lancia così in sproloqui (a volte persino divertenti) con i giornalisti, discute animatamente con i fan e qua e là è ripreso durante qualche concerto. Spezzoni memorabili in cui le sue canzoni brillano sotto un solo riflettore che illumina un “piccolo uomo” armato di chitarra, armonica e microfono, solo sul palco.
Dopo essersi chiesto “Who is Donovan?”, se lo ritrova in albergo mentre timidamente prova ad accennare “To Sing for You”. Poi si riprende la chitarra e con l’aria di quello che sembra dire “aspetta ora te la faccio sentire io una canzone...”, intona “It’ All Over Now Baby Blue“.
C’è qui tutto un costume d’altri tempi: un futuro sindaco di Londra che gli chiede se qualche canzone la scrive lui..., c’è Albert Grossman, il manager di Dylan, che cerca ingaggi da duemila sterline attraverso Tito Burns, ossequioso produttore inglese, e c’è un pubblico, molto british, ancora in giacca e cravatta.
Quel Dylan che abbiamo subito perso, quel menestrello che ancora tanti rimpiangono, è qui. In questo documentario che testimonia semplicemente la sua grandezza.

(fonte: mescalina.it)

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Desire - Bob Dylan                                                                                         clicca qui

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The Beards - AIN'T ME BABE

 

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Mercoledi 21 Gennaio 2009

Hattie Carroll , un'altro dubbio scomparso                                 clicca qui

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A Milano chiude il Rolling Stone!                                                  clicca qui

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Dai diamanti non nasce niente                                                         clicca qui

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Giuseppe Gazerro with Mr.Antondjango's Band - Subterranean Homesick Blues

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VAN MORRISON - I Can't Stop Loving You

 

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Martedi 20 Gennaio 2009

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Teatro/ Roma, domani al Valle "Il dubbio" con le musiche di Bob Dylan     clicca qui

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Scrivevano.....

BOB DYLAN CANTA PER IL PAPA

Repubblica — 27 agosto 1997 pagina 43 sezione: SPETTACOLI E TV

BOLOGNA - A 56 anni, Bob Dylan accetta di cantare davanti al Papa. E il lento viaggio ch' era iniziato nel '79, quando con Slow Train Coming il figlio di ebrei russi immigrati in America aveva annunciato al mondo la sua rinascita in Cristo, giunge a compimento. Gli organizzatori del concerto del 27 settembre prossimo a Bologna, annunciano che "la trattativa è avanzatissima", e si stanno discutendo particolari tecnici come l' ampiezza del palco e le caratteristiche del service.
Reduce da una malattia, l' istoplasmosi, che in primavera ha fatto temere per la sua vita, Bob Dylan farà ritorno in Italia dopo sette anni. Quest' oggi suona a Indianapolis, una delle ultime date del tour americano. Il 30 settembre uscirà il suo nuovo album, il quarantunesimo, Time out of Mind. Tre giorni prima, il 27 a Bologna e in mondovisione tivù, davanti al Papa, con Bob Dylan canteranno anche Lucio Dalla e Andrea Bocelli, accompagnato dall' Orchestra Toscanini di Parma. Adriano Celentano è disposto a fare altrettanto solo se la Rai, con la quale ha una causa in corso, non lo riprenderà. Ieri ha suggerito che la sua esibizione sia collocata in apertura di serata, così da non interferire con la diretta, ma la Rai, per voce del capostruttura Mario Maffucci non intende accettare condizioni: "E' l' ultima delle cose che potranno accadere". "Celentano canterà se farà la pace con la Rai", taglia corto monsignor Ernesto Vecchi, provicario del cardinal Biffi e grande motore dell' evento bolognese.
Finora il Papa non ha mai assistito a un concerto rock. Per la prima volta, in occasione del Congresso Nazionale Eucaristico - un evento di preghiera promosso dalla Chiesa di Bologna sul tema di "Gesù Cristo unico Salvatore del mondo ieri oggi e sempre" - la musica rock e la musica dei "nuovi comunicatori" viene accolta e considerata un tramite tra il messaggio evangelico e i giovani. La Curia preferisce non parlare di concerto, bensì di "veglia musicale" per 300mila giovani che trascorreranno la notte in un' immensa area alle porte di Bologna in attesa della messa dell' indomani mattina. E la presenza di Bob Dylan acquista un valore simbolico senza eguali. Monsignor Vecchi spiega che "la Chiesa accoglie tutto quel che di vero, di bello e di buono giunge dalla società, poiché tutto quel che è vero, bello e buono giunge da Dio", e la musica di Bob Dylan non solo "è vera ed è bella", ma dà voce a "un' evoluzione spirituale molto interessante". Distingue tra un primo Dylan, che aderì a Woodstock e "al suo messaggio di liberazione attraverso il sesso e la droga" e un secondo ravveduto Dylan, "che è cresciuto, è cambiato, si è avvicinato al cristianesimo e ha rivisto le sue idee anche in materia di contraccezione e aborto". Allo stesso modo, continua il vicario di Biffi, "esiste un rock demenziale, deteriore, e un rock capace di esprimere contenuti poetici e spirituali". A quest' ultimo la Chiesa rivolge la sua attenzione: "Abbiamo pensato che l' incontro in musica tra il Santo Padre e i giovani potesse poggiare su quattro pilastri: Bob Dylan, Andrea Bocelli, Lucio Dalla e Adriano Celentano. Celentano professa la sua fede in maniera un po' originale, ma noi speriamo che faccia la pace con la Rai".

Brunella Torresin

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(S)parlando dei Beatles                                                                                      clicca qui

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Oltre 40 anni di Beatles e per qualcuno non sono serviti...                             clicca qui

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The Blackstones - Highway 61 Revisited

 

a
Lunedi 19 Gennaio 2009

Talking Bob Dylan Blues - Parte 441                                                              clicca qui

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Dal New Yorker - di Nat Hentoff - Parte Prima - (Dean Spencer News)     clicca qui

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Scrivevano......

Bob Dylan celebra il raduno dei reduci

Repubblica — 29 luglio 2001 pagina 7 sezione: PALERMO

TAORMINA : Stivali da cow boy, giacca e pantaloni neri, camicia tutta abbottonata: alle 9,40 della sera Bob Dylan, il Mito, appare sul palco del Teatro antico e l' ala sinistra della platea, che conta un centinaio di americani, va in visibilio. Basta aspettare un po' e Mister Tambourine si esibisce in un assolo di armonica che dura cinque minuti buoni. Proprio Dylan che nel 1965 al festival di Newport sconvolse i puristi del folk presentandosi con una band elettrica, adesso sembra salvare l' anima alle sue canzoni grazie alla sincerità della versione acustica, anche se gli arrangiamenti elettrici non sono del tutto accantonati. Tutt' attorno il palco si consuma la festa del gran revival dei Settanta. Alle 7 della sera un uomo brizzolato, con la barba di tre giorni arriva davanti al bar Trinacria. Si ferma e ad alta voce domanda: «Posso salutare un vero reduce degli anni Settanta?». L' effetto è travolgente: si girano sei uomini (anche loro più o meno brizzolati) da altrettanti tavolini. Ognuno convinto di essere lui il «vero reduce» di cui alla domanda. Alle 7 della sera, Bob Dylan sta ancora giocando ai quattro cantoni in una delle sue tre suite e il suo popolo di reduci ha tutto il tempo di mangiare una granita o bere una birra. L' Etna ruggisce dietro il Teatro antico, si intravede il suo magma maestoso che inquieta e affascina tutti. Compreso il signor Allen Zimmerman che durante il concerto ha dovuto dare le spalle al vulcano ma, prima e dopo la performance, se l' è goduto fino in fondo. Cioè s' è fatto recintare una terrazza del Timeo, proprio vicino alla passerella che lo ha portato dall' albergo al teatro. In quella terrazza, Dylan s' è gustato l' Etna. In silenzio, senza curiosi né reduci. Alla bellezza del teatro, hanno detto quelli della sua crew, era preparato ma al vulcano in eruzione no. Al centro delle due contemplazioni magmatiche, si è incastonato il concerto. Alle 21,40 il ritornello "Glory glory" suona come un' adunata intimista per tutti quelli che dal pomeriggio attendono l' evento e gli inevitabili evergreen del repertorio li premiano come s' aspettavano e com' era giusto che fosse. Dylan non può fare a meno di raccontare quello che succedeva trent' anni fa. Quando un terzo degli spettatori del suo concerto dietro al vulcano non era nemmeno nato. L' idea di affidarsi a strumenti acustici anche per altri due suoi, immensi successi come Knockin' on heaven' s door e l' immancabile Blowin' in the wind, sembra il modo migliore per raccontare un pezzo di storia che resiste nel tempo. Anche ai pentimenti e ai ripensamenti di chi visse gli anni formidabili. «Ho rinnegato tante cose del Sessantotto - dice Paolo Guzzetta, arrivato da Palermo a metà mattina - praticamente quasi tutto. Ma Dylan no. Lui è la mia coerenza rivoluzionaria». «Siamo arrivati a Taormina da Barcellona alle 10 di mattina - racconta, con finta irritazione Luca Sidonti, 25 anni, una laurea alla Bocconi e un amico che lo ha precettato per il concerto - Sono un grande appassionato di Dylan ma saremmo anche potuti andare al mare prima di presidiare il teatro». Luca si rifarà come buona parte dei reduci, con le birre del dopo concerto, mentre Bob starà lì, sulla terrazza del Timeo a contemplare la lava.                                             Massimo Morello
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Un tempo immemorabile. A Seattle

di Paolo Vites

The phone don't ring
And the sun refused to shine
Never thought I'd have to pay so dearly
For what was already mine
For such a long, long time
We made mad love
Shadow love
Random love
And abandoned love
Accidentally like a martyr

The hurt gets worse and the heart gets harder
The days slide by
Should have done, should have done, we all sigh
Never thought I'd ever be so lonely
After such a long, long time
Time out of mind

Nell’autunno del 2002 Bob Dylan si apprestava a riprendere la strada per una nuova serie di concerti. Non era niente di nuovo, apparentemente, solo una nuova tappa del Never Ending Tour che questa volta sarebbe cominciata da Seattle, nord California.
Niente di nuovo, ma in realtà molto di nuovo. Quella serie di concerti avrebbe segnato un nuovo, ma drammatico, cambiamento, nell’approccio live del cantautore americano. Niente di nuovo neanche qui, visto che era tutta la vita che Dylan lo faceva. Per alcuni (probabilmente solo io) l’inizio della sua parabola discendente.
La sera del 4 ottobre, a Seattle, quando sul palco si notò la presenza di un pianoforte elettrico modello Casio, tutti si chiesero se Dylan avesse assoldato un tastierista. Invece sarebbe stato lui a mettersi dietro alle tastiere. Non lo avrebbe fatto per tutta la serata, ma ben presto sì, quello sarebbe diventato il suo strumento preferito, e addio alla chitarra. Il che dura tutt’oggi, anche se nel tempo Dylan ha imparato a conoscere i vari tasti che la caratterizzano, adesso preferendo la sonorità “organo” a quella “pianoforte”. Con un solo problema: Bob Dylan non sa suonare né il pianoforte né l’organo. Il suo, quella sera, era un “plink plonk” scoordinato e fuori tempo, il più delle volte tenuto saggiamente nascosto nel mixeraggio complessivo degli strumenti dal palco.

Non era solo lo strumento del cantautore che cambiava, ma anche la voce. Nulla di nuovo ancora una volta: in quarant’anni di carriera Bob Dylan aveva più volte cambiato la voce di quante volte io abbia cambiato automobile in vent’anni (e ne ho cambiate parecchie). Ogni volta, però, era una sfumatura, un approccio, un qualcosa di diverso, ma che fondamentalmente lasciava intatta la voce. Che non è mai stata bella, per gli standard di Tin Pan Alley, ma affascinante, inquietante, tagliente, sardonica, con quel fraseggio unico che nessuna ha mai avuto nel campo della musica popolare. Adesso invece era solo una voce affaticata. Che mostrava, sera dopo sera, gli inevitabili segni di un deterioramento impossibile a fermarsi. Qualche spiritoso gli affibbiò un nuovo (niente di nuovo…) soprannome: The wolfman, l’uomo lupo. A volte gli mancava il respiro, altre quella voce un tempo orgogliosa e sprezzante crollava a terra in un rantolo doloroso.

E se vi sembra abbastanza, no, non lo è ancora. Non era finita qua. Quella sera a Seattle avrebbe mostrato altro ancora. Dopo una iniziale, rara, ma suonata recentemente anche in Europa, Solid Rock, il quarto pezzo in scaletta lasciò il pubblico a domandarsi se stesse ascoltando un inedito di Dylan. Solo quelli, là in mezzo, che conoscevano uno dei più grandi songwriter americani di sempre (a volte mi viene da pensare, il più grande – dopo Dylan naturalmente) ebbero un sussulto. Erano le note, seppur affaticate nella versione di Dylan, della straordinaria Accidentally like a Martyr. L’autore? Mister Warren Zevon.
Non sarebbe finita lì, perché nel corso della stessa serata di Zevon avrebbe eseguito anche la violenta Boom Boom Mancini e la dolcissima, tristissima Mutineer.

Che sta succedendo qui, mister Jones? Il mondo dei fan si sarebbe scatenato a cercare la risposta su Internet, per scoprire che Bob Dylan aveva deciso di omaggiare un amico morente. Warren Zevon era stato dichiarato malato terminale: il tumore che lo aveva colpito gli lasciava pochi mesi di vita. Per tutto quel tour autunnale Dyan avrebbe continuato ad omaggiarlo, senza mai perdersi in banali discorsetti dal palco sul perché e percome avesse deciso di cantare quelle canzoni: era la musica che parlava, non c’era bisogno di aggiungere altro. Come dire: queste canzoni sono troppo belle perché vadano dimenticate e se adesso il suo autore non può più cantarle, allora lo farò io, un'ultima volta. E poi, le sere dopo,inserendo altri pezzi di Zevon in scaletta, ad esempio Lawyers, Guns and Money. Mai, nella storia del rock, si era assistito a una cosa del genere. Di solito, i tributi si fanno quando l’amico è già nella cassa. Interrogato (Zevon si sarebbe recato a vederlo quando il cantautore avrebbe suonato a Los Angeles, qualche sera dopo), Warren avrebbe detto che queste esecuzioni di sue canzoni da parte di Bob Dylan erano il punto più alto della sua carriera.
Se Mutineer la si può ascoltare nel tributo su cd Enjoy Every Sandwich, fu Accidentally like a Martyr il momento più commovente di questo evento. Ogni sera Bob Dylan, cercando di recuperare ciò che restava della sua voce, avrebbe lasciato srotolare la splendida e maestosa melodia del brano, fino al punto in cui la canzone dice “time out of miiiiiiind”. Già, proprio come il titolo del suo disco di qualche anno prima, Time out of Mind. Un tempo immemorabile, dove risiedono la pietà, la bellezza, il sogno e la speranza. Della vita che non muore. Dove esiste quella “tower of song” di cui canta Leonard Cohen, Dove i poeti, i santi e i peccatori si ritrovano. In un tempo immemorabile. Dove ogni sera trovava rifugio, nel cantarla, il cuore addolorato di Bob Dylan.
Che si può ascoltare qua: http://www.box.net/shared/static/t5sjjbdc3i.mp3

Quel tour avrebbe visto Dylan, sin dalla serata di Seattle, affrontare altre cover: una sorprendente, esplosiva e virulenta Brown Sugar degli Stones; Old Man di Neil Young (che sembrava cucita apposta per lui visto l’argomento toccato…) e finanche una incredibile End of the Innocence, del cantante degli yuppie per eccellenza, Don Henley. Che nella versione di Bob Dylan diventava magnificente.

Era diventato il “cover tour”, il tour delle cover, e in modo sorprendente erano proprio questi brani altrui che Dylan eseguiva nel modo migliore, lasciando noia e routine alle sole sue canzoni. Per quando il tour avrebbe raggiunto New York, per le sue ultime date, era morto un altro grande amico, George Harrison. Nella sera del 13 novembre una nuova cover sarebbe stata aggiunta, per una sola e unica volta: Something.
Warren Zevon, invece, sarebbe morto undici mesi dopo quella sera di Seattle, il 3 settembre 2003. Nel suo ultimo disco, registrato durante la malattia e pubblicato postumo, ringraziava Bob Dylan cantando la canzone di chi si appresta al grande e ultimo viaggio, Knockin’ on Heaven’s Door.

(fonte: gamblin--ramblin.blogspot.com)

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Elvis e Bob - di Michele Murino                                                                     clicca qui

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Neil Young, arriva il nuovo album ‘Fork in the road’.

Il portavoce di Neil Young ha confermato a fonti USA che “Fork in the road” è sia il titolo dell’imminente nuovo singolo del menestrello canadese, sia quello dell’album. Young ha recentemente postato su YouTube, e anche –in apertura- sul suo sito ufficiale, un divertente video in cui interpreta la canzone mentre mangia una mela in cui sono state posizionate delle cuffie. “Fork in the road” va così ad aggiungersi alla variegata e complessa discografia del bardo di Toronto, che comprende tre volumi della serie “Archive performance series” ai quali sono poi da aggiungere 34 album solisti, 3 di studio e 3 compilation con i Buffalo Springfield, 6 complessivi come Crosby, Stills, Nash & Young, 1 accreditato alla Stills-Nash Band, 4 colonne sonore interamente o parzialmente sue, 6 live non d’archivio e 3 compilation. Per il video del nuovo brano clicca qui:

neilyoung.com/forkintheroad/forkintheroadvideo.html

(fonte: rockol.it)

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Fabrizio De André schedato dalla polizia                                                       clicca qui

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Laura Pausini World Tour 2009                                                                     clicca qui

 

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Domenica 18 Gennaio 2009

 

FABRIZIO DE ANDRE'

 

 

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Sabato 17 Gennaio 2009

Le Dylan tribute band italiane : Slow Train Band   

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Ricordo di Fabrizo De Andrè                                                            clicca qui

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Cast e scaletta del nuovo War Child                                                  clicca qui

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Libri : Lenny Bruce , come parlare sporco e influenzare la gente

Lenny Bruce (1925-1966), uno dei miti della 'controcultura Hip' degli anni '60 e '70, uno dei più importanti e rivoluzionari show man degli USA , colui che trasformò il modo di ridere degli americani e che li costrinse a guardare nei loro lati oscuri, si racconta in questa autobiografia, pubblicata in edizione economica con una presentazione di Daniele Luttazzi. La sua ossessione nel combattere e demistificare il sistema dell'american-way-of-life lo trasformò in una delle più illustri vittime della censura americana: Bob Dylan gli dedicò una canzone, Dustin Hoffman nel 1974 gli diede il volto nel bel film di Bob Fosse intitolato semplicemente "Lenny". Chi era Lenny Bruce? Bruce è stato il più acuto "intaccatore di tabù" in attività di servizio nel mondo dello spettacolo americano degli anni '60. Fu un iconoclasta, un demolitore della stupidità che emerse in un momento di profondo conflitto della società statunitense: una classe in conflitto, in attrito, contro un'altra classe come l'ignoranza contro il sapere, la stupidità contro l'intelligenza, il puritanesimo contro il piacere, la maggioranza contro le minoranze, la comoda ipocrisia contro l'ardua sincerità, i bianchi contro i neri, lo sciovinismo contro l'internazionalismo, il prezzo contro il valore, le vendite contro i servizi, il sospetto contro la fiducia, la morte contro la vita... Chiamato anche il John Coltrane del cabaret, Bruce fu un personaggio geniale, spregiudicato e blasfemo e in anticipo sui tempi: considerato un sovversivo, trascorse la maggior parte della sua vita d'artista a combattere contro le accuse e i processi per oscenità e oltraggio al pudore. Bruce fu un personaggio controverso ma brillante, che rivoluzionò l'idea di comicità nella cultura americana e fu sabotato dalla censura fino alla morte: morì a 41 anni, devastato dai fallimenti personali, dalla mole di processi, dalla censura, dall'ostruzionismo professionale e dalla droga: una delle sue frasi più celebri contro la censura rimane: "If you can't say 'fuck', you can't say 'Fuck the governement'".

(fonte:bol.it)

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Video : Bob Dylan: Lenny Bruce                                                          clicca qui

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Wood , Young e Dylan nel prossimo album di Jerry Lee lewis

Jerry Lee Lewis ha assunto il chitarrista dei Rolling Stones Ron Wood come collaboratore per il suo prossimo album. Neil Young , il bassista Richy Rosas , Bob Dylan , il batterista Jim Keltner hanno inoltre collaborato all’album , ancora senza nome , di futura uscita.

(Fonte: contactmusic.com)

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Scrivevano.....

Figli di rockstar? Condannati al flop

Da Jakob Dylan a Lisa Marie Presley nessuno riesce a seguire le orme paterne

Sono cresciuti all' ombra dei miti rock e pop, non si fanno condizionare, però la fama dei padri li schiaccia. Nessuno riesce a essere altrettanto grande. Solo Jeff Buckley ha superato papà Tim, tragica voce folk. Poi, a 31 anni, è annegato nel Mississippi. Destino o maledizione? Colpa del complesso d' Edipo o del talento che non si trasmette con il dna? La storia dei padri e figli del rock è lunga e ha esempi illustri: Nancy e Frank Sinatra, Nat «King» e Natalie Cole, Bob e Ziggy Marley. E se Harper Simon, erede di Paul, ha preso la strada del cinema, nella musica scalpitano le nuove generazioni. Non contano i nomi: Enrique, Sean, Jakob, Nona. Ma i cognomi: Iglesias, Lennon, Dylan, Gaye. Ahmet & Dweezil Zappa hanno organizzato un tour per suonare la musica di papà Frank. Il successo     l' ha raggiunto Enrique Iglesias, che dopo aver venduto 15 milioni di dischi (ma Julio è a quota cento) ha pure sposato la bella Anna Kournikova. In autunno pubblica il nuovo album. Della sua adolescenza ha un ricordo anonimo: «Sono stato un ragazzo normale. Non vedo spesso mio padre, però lo ammiro come uomo e come artista, perché ha saputo bilanciare le due cose». «Se nasci in mezzo alla musica e l' ami, ti appartiene. Che tu abbia successo o no», ha detto Otis Redding III, figlio della celebre voce soul. Negli anni Ottanta formò un trio con il fratello maggiore Derek e il cugino Mark Locket. Gravita ancora nel mondo della musica, suona la chitarra e compone canzoni. Ma di lui si sa poco. Schivi e taciturni, i figli del rock, quando possono, evitano la prima linea. Jakob Dylan, che assomiglia a Bob com' era trent' anni fa, ha cancellato il suo nome entrando nei Wallflowers. Anche lui, come il papà, compone, canta e suona la chitarra. «Non mi nascondo in una band», sostiene lui, che con il gruppo ha appena pubblicato il quinto album «Rebel, sweetheart» e ha sempre schivato le domande sull' inarrivabile genitore. Ultimamente si è aperto: «Era affettuoso. Veniva a tutte le partite di baseball quando ero piccolo». Ha scelto l' «invisibilità» Zack Starkey, che suona la batteria con Who e Oasis ed è pure salito su un palco con l' augusto genitore, Ringo Starr. Più tormentate le vicende in casa di un altro Beatle: Julian Lennon, il 43enne figlio di John e della sua prima moglie Cynthia, dopo una discreta carriera negli anni ' 80 ora vuole ripubblicare i suoi vecchi album. Non ha un bel ricordo di Lennon senior: «Da lui ho imparato come non essere un padre». Anche il fratellastro Sean (la mamma è Yoko Ono) voleva fare il musicista. Ha inciso due album negli anni ' 90, poi il silenzio. Fra le donne preme Nona Gaye che aveva nove anni quando Marvin Gaye fu ucciso dal proprio padre. Anche se è stato il cinema a darle la fama ( Ali e i sequel di Matrix) sta incidendo il secondo album: «La musica è lo specchio della mia eredità familiare. Recitare riguarda soltanto me». Si sta facendo largo, a fatica, Shana Morrison, discendente di Van Morrison: «I discografici volevano che aggiungessi alle mie canzoni un contributo di papà. Ho risposto che era occupato». La prende con filosofia Kelly che non disdegna di cantare con il padre Ozzy Osbourne dei Black Sabbath. Lisa Marie Presley invece ha pagato caro il confronto con «King» Elvis. Il suo primo cd l' ha inciso nel 2003, a 35 anni, ed è stato un flop: «Mi terrorizzava il paragone con Elvis». In Italia è andata male ai figli di Celentano e a Massimo Modugno, figlio di Domenico. Marco Morandi ha preferito darsi al musical. Più fortuna ha avuto Cristiano De Andrè. Dj Francesco - il padre è Roby Facchinetti dei Pooh - da Sanremo è approdato all' «Isola dei famosi». Ultima arrivata, Irene Fornaciari, figlia di Zucchero: «Il giudizio di papà? Non lo temo».

Cesarale Sandra

Pagina 37 - (27 luglio 2005) - Corriere della Sera

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Video : Bob Dylan Aosta 2008 -Like a rolling stone                                clicca qui

 

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Venerdi 16 Gennaio 2009

L'inventore della "Stratocaster" morto a L.A.

Don Randall , l’uomo che ha inventato il nome “Stratocaster” per la Fender , rendendola un marchio inconfondibile su tutti i palchi del mondo , è morto il 23 dicembre nella sua casa di Santa Ana ( California) per cause dovute all’età , aveva 91 anni , così riferisce il Los AngelesTime.
Randall ha disegnato per Leo Fender la chitarra elettrica che più ha avuto successo sul mercato mondiale , usata dai più famosi musicisti  come Ritchie Valens , Eric Clapton e Jimi Hendrix , che hanno dato fama e risalto al marchio Fender negli ultimi tre decenni..
Tom Wheeler , ex-redattore della rivista Guitar Player , dice che Randall ha cambiato il modo di vedere e suonare la chitarra , e aggiunge “ E’ altamente improbabile che la Fender avesse potuto raggiungere il successo che ha avuto in tutto il mondo senza Randall”.
Randall era nato il 30 ottobre 1917 , a Kendrick , Idaho , venendo in California al seguito della sua famiglia qualdo aveva 10 anni.

(Fonte: Los angeles Time)

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Diverse storie sulla nascita della "Strato"

Tutto iniziò in California a Fullerton, vicino Los Angeles, dove era ubicata la sede della FENDER MUSICAL INSTRUMENT COMPANY. Almeno 3 persone furono gli artefici di questo prodotto di straordinario successo: Leo Fender (foto a sinistra), Freddie Tavares e Bill Carson. Altre persone hanno avuto un ruolo ma solo da quando iniziò la produzione nel ‘54, Donald Randall, George Fullerton e Rex Galleon.
Quando iniziò tutto quanto?
“Cominciammo a lavorare alla Stratocaster nel 1951 - disse Leo Fender - perché avevamo bisogno di un nuovo tipo di chitarra con il vibrato come risposta all'offensiva del Bigsby (Il Bigsby è quella leva di aspetto retrò che permette il vibrato, Fender ne sviluppò uno tutto suo). Fu molto prima che Freddie (Tavares) venisse a lavorare con noi, deve essere stato nel '51. Avevamo già realizzato i disegni del manico e della cassa, anche i pick up, lo ricordo bene perché fu prima che ci trasferissimo da Pomona Street, avevo la maggior parte del materiale già nel magazzino.” Freddie Tavares contraddisse però Leo: “Incontrai Leo Fender nel Marzo del ‘53, suonavo la steel guitar in un club e mi fu presentato da un musicista di nome Noel Boggs. Noel mi disse che Leo cercava qualcuno che lavorasse con lui ad un progetto di una nuova chitarra elettrica. Il primo effettivo compito che ebbi fu quello di realizzare la Stratocaster sul tavolo da disegno, era Aprile o Maggio del ‘53, Leo disse che avevamo bisogno di una nuova chitarra, io gli dissi quanto distanti dovessero essere le corde tra loro, quanto lontano il ponte. Avevo tutti quei parametri e dissi quale fosse la scala della chitarra e il posizionamento delle corde, partimmo da lì”. Comunque la Stratocaster non cominciò a prendere forma fin quando Tavares si unì a Leo.
C'è perfino una terza versione, quella di Bill Carson, chitarrista country & western: “Cominciammo a parlarne nel ‘52 ma non si fece nulla di veramente concreto fino agli inizi del ‘53, come ben ricordo”. Abbiamo quindi tre versioni diverse sul “big bang” della Stratocaster, 1951, 1952 e 1953. E' innegabile che Fender volesse una nuova chitarra, una chitarra elettrica di nuova concezione estetica e tecnica, chiaramente superiore alla Telecaster e provvisto di una leva per il vibrato (assente nella Tele) per soddisfare le esigenze dei nuovi chitarristi.
Bill Carson rivendicò la quasi totalità delle idee che portarono alla realizzazione della Stratocaster:
“Il 95% delle idee applicate alla Stratocaster sono mie, non potevo realizzarle perché non avevo alcuna nozione di meccanica né di progettazione, non intendevo nemmeno farne un prodotto commerciale. Leo pensò che avrebbe potuto essere prodotta in serie.”
Bill Carson fu più tardi indicato dalla CBS/FENDER come “l’uomo per il quale la Stratocaster fu ideata”, quando uscì nel 1979 l’Anniversary Stratocaster. E' un fatto certo che Leo Fender tenesse in grande considerazione l'opinione dei chitarristi, come affermò Tavares: “Una delle ragioni del successo di Leo fu che ogni musicista da lui conosciuto è sempre stato il benvenuto nella nostra fabbrica.”
Cosa permise di riconoscere a prima vista la Stratocaster? Era diversa da ogni tipo di chitarra realizzata prima: la cassa armonica fu ristretta rispetto alle concorrenti, venne realizzata con due spalle mancanti al posto di una sola. La spalla mancante è quell'incavo che permette l'alloggiamento della mano del chitarrista sul manico mentre suona le note acute in fondo al manico. La Gibson Les Paul, per esempio, ha un incavo solo (fatta eccezione per il modello SG), l'originale “Comfort Contour Body” (la parte della chitarra che appoggia sul fianco del chitarrista è scavata, in modo da risultare più comoda), la leva del vibrato (antagonista della leva Bigsby), l'alloggiamento delle corde, che non partono dal ponte ma attraversano tutta la cassa della chitarra, i sei piroli non sono alloggiati a tre per volta ma sono tutti e sei disposti sulla paletta in un'unica fila.
La realizzazione del vibrato causò dei problemi, venne realizzata unendo una leva al ponte e mettendo 5 molle in un alloggiamento creato nella parte posteriore della cassa. Il primo modello non diede garanzie sufficienti, venne quindi realizzato il secondo. Il 30 Agosto 1954 Leo Fender presentò richiesta di brevetto per un “Tremolo device for stringed instruments” (meccanismo di tremolo per strumenti a corda) e il 10 Aprile 1956 la realizzazione di Fender venne brevettata con il numero 2,741,146.
Veniamo ai pickups Fender. La Stratocaster ha 3 pickups, perché? Per una “geniale” intuizione di Leo Fender: “Avevo nel magazzino una scorta di selettori solo a 3 posizioni”
Riportò Tavares: “Leo disse che era normale che una chitarra elettrica avesse due pickups quindi ne volle tre!”.
La scelta cadde su avvolgimenti a singola bobina, i “single coil”, che danno quel suono "bright" così riconoscibile, meglio ancora se abbinato ad un ampli valvolare Fender, tipo il Twin Reverb (mio modesto parere) o ad una testata Hiwatt DR-103 (sempre mio parere...).

Nel 1954 si partì con la commercializzazione, con due versioni: con il vibrato (“Tremolo”) e non (“Hardtail”). Il prezzo era di 249.50 dollari per il modello con il Tremolo e 229.50 per quello senza. Inizialmente si scelse la colorazione “sunburst”, un tono di giallo e uno  di nero che sfumano verso l'estremità del body (2-color sunburst).
Possiamo dividere la vita della Fender Stratocaster in vari periodi cronologici:
- La prima emissione con manico in acero. 1954 - 1959
- Il periodo pre-CBS con la tastiera (applicata sul manico) in palissandro. 1959 - 1965
- I primi anni del periodo CBS. 1965 - 1971
- Il periodo CBS con il “Tilt Neck”. 1971 - 1981
- Il periodo canto del cigno CBS 1981 - 1985.
- L'inizio dell'era post-CBS 1985 - …

(fonte: strat71.altervista.org)

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Scrivevano.....

"Factory Girl"

Dylan contro un film in uscita: «Mi diffama» La storia racconta di una sua presunta storia d'amore con Edie Sedgwick, una modella che morì suicida nel 1971.

WASHINGTON - Un film in uscita ha messo in allarme Bob Dylan, che ha chiesto ai suoi avvocati di bloccare il lungometraggio su una delle attrici di Andy Warhol che, a suo dire, lo diffama. Il film «Factory Girl» racconta la tragica storia di Edie Sedgwick, una delle modelle preferite della celebre "Factory" artistica di Warhol, che dopo un breve momento di fama non riusci a uscire dalla tossicodipendenza e si suicidò nel 1971 con una overdose.
LA STORIA D'AMORE FATALE - Nel film, con Sienna Miller nel ruolo della protagonista, viene dato ampio spazio alla storia d'amore tra Bob Dylan e la ragazza, che secondo alcuni venne celebrata da Dylan nella canzone "Just like a woman". Stando alla sceneggiatura Edie Sedgwick venne abbandonata in tronco dal cantante che la lasciò piombare nella depressione più cupa. Nel film il personaggio di Dylan è chiamato con un altro nome, Danny Quinn, ma chiunque veda la pellicola non ha il minimo dubbio sulla identità del cinico amante della modella. I legali di Dylan hanno chiesto che il film non venga proiettato perché «diffamatorio». "Factory Girl" dovrebbe uscire sugli schermi americani il 27 dicembre prossimo.

(fonte: corriere.it)

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Video : Bob Dylan - Blowin' in the wind - Trento 2008 live                              clicca qui

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Video : Bob Dylan - Floater (Too Much to Ask)                                                clicca qui

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Video : Al Diesan & Pino Tocco "Oh Sister" - Trevignano July 12th 2008    clicca qui

 

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Giovedi 15 Gennaio 2009

ROURKE AND DYLAN'S LATE NIGHT PHONE CALLS LED TO FRIENDSHIP

01/12/2009 07:16:58 PM

Mickey Rourke ha ricevuto una inaspettata telefonata nel cuore della notte da Bob Dylan e conseguentemente la loro conversazione si è svolta sui casi della vita e sulla loro lunga amicizia.
La Wrestler-star è apparso nel leggendario film Masked and Anonymous del 2003 , e la coppia parlava spesso del carattere di Rourke.
Ma l’attore , che descrive Dylan come la persona più interessante del mondo , è rimasto scioccato dall’aver ricevuto una telefonata notturna dal cantante.
Rourke ha detto . “ L’ho conosciuto diversi anni fa ed abbiamo parlato di lui al telefono. Bene , lui non è un gran parlatore al telefono , non è stata una gran chiacchierata. Ho avuto l’opportunità di avere una parte in un suo film e l’ho sfruttata. Mi ha chiamato nel mezzo della notte ed io ho detto “ Chi è ?” e lui ha detto “ Bob” ed io ho detto “ Bob chi ?” allora lui ha detto “ Lo sai....Bob! Oh fuck...Bob Dylan”.
Mi voleva chiedere cosa avrebbe dovuto fare in una scena dove non aveva nessun dialogo , ed io gli ho detto , “ Perchè non fare qualche attività ?” Gli ho dato qualche piccolo consiglio su cosa fare , siamo davvero amici da lungo tempo ”.

(fonte: contactmusic.com)

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TTS : High Water ( for Charlie Patton ) - la traduzione in italiano                  clicca qui

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Scrivevano......

PRONTO? SONO BOB DYLAN...

Repubblica — 24 giugno 1993 pagina 34

ROMA - Il telefono squilla, e dall' altra parte del filo una inconfondibile voce nasale annuncia: "Hallo, I' m Bob Dylan". Ecco una di quelle situazioni che non ci saremmo mai sognati di poter vivere. Abbiamo al telefono Bob Dylan, che chiama dalla Grecia, nella imminenza del suo breve tour italiano (debutterà domani a Napoli, e poi sarà sabato a Pisa e domenica a Milano). Ci racconta che in Grecia fa molto caldo ma sta andando tutto bene. Lo stupore è d' obbligo, non tanto per la mitica incorporeità del personaggio, proverbialmente distante e irraggiungibile, ma proprio perché nella sua introversa carriera di interviste ne ha concesse così poche da poterle contare sulle dita di una sola mano. Unico precedente, in Italia, una folle conferenza stampa a Verona nel corso della quale rispose evasivamente e sarcasticamente alle domande dei giornalisti. Il motivo di questa decisione, considerando che da decenni Dylan è braccato da richieste di colloqui, rimarrà un mistero. Eppure sta accadendo, e perdipiù lui è anche cortesissimo, disponibile a chiacchierare, anche se le risposte sono molto sintetiche, com' è nel suo stile. Ne approfittiamo subito. Mister Dylan, nei suoi concerti si ha l' impressione che le sue canzoni, anche le più antiche, siano sempre diverse. Perchè questi continui cambiamenti? "Il tempo permette che ci siano sempre nuovi significati nelle canzoni, anche in quelle di molto tempo fa, ed è importante cercare sempre questi nuovi significati. Certo, il corpo della canzone è sempre lo stesso, il significato centrale non cambia, anche se indossa nuovi vestiti". Dylan parla lentamente, ed è perfino comprensibile, molto di più di quanto non lo sia sul palco dove stravolge e rende irriconoscibili anche i suoi testi più celebri. Come mai ha scelto di incidere un disco come Good as I been to you, tutto acustico e con canzoni non sue? "E' successo assolutamente per caso. Mi è bastato un po' di tempo in studio per incidere queste canzoni che per me sono molto importanti, che mi hanno accompagnato per anni. E le ho trattate come canzoni, non come delle cover. Ci ho messo poco ad inciderle perché in fondo sono dei pezzi folk e non hanno bisogno di molti ornamenti". A proposito di dischi acustici. E' vero che le hanno proposto di registrare un concerto ' unplugged' ? "Sì, ne abbiamo discusso. Ma ora non so bene, diciamo che, quando sarà il momento, è una cosa che potrebbe accadere". Non si è sentito talvolta prigioniero di un' immagine che non le corrispondeva del tutto? "L' importante è riuscire a fregarsene, a non porre molta attenzione su questo. Seguendo la propria strada, ogni giorno è diverso. Sì, un tempo mi succedeva di non sentirmi compreso, è vero, era un problema, ma adesso non ci penso più, anche perché è cambiata la gente. Non sono visto alla stessa maniera di un tempo. Mi sento molto più libero da queste limitazioni". Considerato il suo travagliato rapporto con la religione, cosa ne pensa oggi che la religione viene usata come strumento di guerra? "Il fatto è che c' è molta politica nella religione, com' è sempre stato. Non è possibile diversamente. La politica è dovunque". A proposito di questo ha un' idea di quello che sta capitando in Italia? "Sì, lo so, la politica sta traboccando". Crede che la musica possa fare qualcosa per questo? "Dipende da quale musica sia. Ma di sicuro ogni musica ha la possibilità di superare le barriere". Per la prima volta si è esposto accanto ad un politico, come nel caso di Bill Clinton. Come mai? "Mah, è successo perché era stato già eletto, non ho partecipato alla campagna elettorale. Se era la prima volta? Forse sì, forse no, ma comunque il fatto è che prima nessuno mi aveva invitato lì". Il dialogo scorre lieve, leggero. Dylan ci racconta dei vecchi tempi, della difficoltà di essere cresciuto in una famiglia non musicale, e non risparmia battute ad effetto: "Contrariamente a quanto spesso si dice, la prima importante folgorazione musicale l' ho avuto ascoltando Elvis Presley". Ancora più stupefacente è la risposta alla domanda sui libri che più lo hanno influenzato agli inizi della sua carriera. Ne ricorda uno soprattutto: Il Principe di Machiavelli. Quando gli chiediamo di specificare il suo disco preferito tra tutti quelli che ha inciso, risponde elusivamente: "Quello che devo ancora fare" ma spende parole di elogio per il suo pubblico italiano: "Mi piace molto. Gli italiani capiscono, hanno sempre capito". Non è mai stato a Napoli prima d' ora ma si ricorda tutte le città in cui ha suonato: Bologna, Milano, Roma, Pisa, un paio di volte a Verona, Aosta, Genova. Ci racconta che sta lavorando ad un nuovo disco che uscirà entro la fine dell' anno e che sta preparando un grande tour insieme a Santana. Al pubblico italiano non vuol dire nulla di particolare perché: "Tutto quello che ho da dire lo dico nelle mie canzoni". Ma c' è ancora una sorpresa, e forse la più stravagante di tutte. Dichiara che in questo periodo ascolta molta musica classica, e quando gli chiediamo di rivelarci i suoi sogni, riprende a parlare con piacere: "Oggi non ci sono più sogni, la maggior parte dei sogni è finita. Ma per quanto riguarda la musica ci sono dei sogni che vorrei realizzare, per esempio un disco di musica classica. Per questo sto già lavorando con un' orchestra filarmonica. Tra non molto vorrei realizzare un disco del genere, chissà...". E la telefonata finisce tra cordiali saluti e arrivederci in Italia, lasciandoci un inevitabile dubbio: ma sarà stato davvero Dylan?                                        di GINO CASTALDO

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Quarant'anni dopo, il Vaticano perdona John Lennon                                  clicca qui

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Kristin Scott Thomas sarà la zia di John Lennon

pubblicato: domenica 11 gennaio 2009 da Simona in: Anticipazioni Attori Cinema News Europeo Biopic.

Kristin Scott Thomas e Anne-Marie Duff sono entrate nel cast di Nowhere Boy, debutto alla regia di Sam Taylor-Wood, biopic che ripercorre gli anni dell’infanzia e della gioventù del più celebre dei Beatles: John Lennon.
La sceneggiatura porta la firma di Matt Greenhalgh e parla approfonditamente del periodo in cui Lennon ha vissuto con zia e mamma e del fondamentale rapporto di amicizia con Paul McCartney, negli anni precedenti la conquista del successo.Vedremo Kristin Scott Thomas nei panni della zia del cantautore, Mimì, mentre Anne-Marie Duff in quelli di sua madre Julia. Nel ruolo di Lennon, il giovane Aaron Johnson.
Le riprese avranno inizio a Liverpool il prossimo marzo, agli Ealing Studios di Londra.

Fonte: Variety

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De André, il bardo di Genova piace alla sinistra e alla destra                          clicca qui

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Le Dylan tribute band italiane : P.M.A. - Progetto Maestro Alberto   

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Dal rock di Dylan al pop di Ferro : Roma capitale della musica                        clicca qui

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Video : Robert Johnson-32-20 Blues                                                                      clicca qui

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Video : Mississippi - Bob Dylan / Tell Tale Signs: The Bootleg Series Vol. 8     clicca qui

 

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Mercoledi 14 Gennaio 2009

Intervista a Jon Sulkow , il creatore del sito di Bob Dylan

By James Sullivan  - Globe Correspondent / January 13, 2009

Di notte , Jon Sulkow e Will Claflin suonano il basso e la chitarra per la rock band di Boston “Dear Leader”. Di giorno , questi signori miti ed educati fanno widgets. Sulkow è il fondatore della PROD4ever , una compagnia in rapida crescita specializzata nel progettare e realizzare siti web per i musicisti. Dopo essere partiti con lavori locali per la Fenway Recordings and Mission of Burma , la compagnia ha raggiunto i fasti dei grandi siti internet , creando i siti per Bob Dylan , Madonna , Radiohead e numerosi altri.
Abbiamo parlato con Sulkow , 39 anni , su come si svolge il suo lavoro.

D: Così Bob Dylan vi ha inviato una e-mail per cambiare i caratteri del sito ?
R: (ridendo) No , raramente parliamo con gli artisti. Con Dylan , stiamo lavorando con il suo manager...e con la Columbia Records. Abbiamo sentito cose come “ Bob vi vuole per realizzargli un sito pulsante”.

D: Per il sito , che non è di pop-music , avete lavorato con la” storia vivente”.
R: Questa è stata l’idea. Il suo nome e qualcuna delle sue canzoni sono così significanti , evocative per molta gente , volevamo che il sito esprimesse questo sentimento , ora è quasi un blog.

D: Stranamente , il sito dei Dear Leader è di base un blog.
R: (ridendo) Non ho fatto io il sito , ho scelto di essere separato da quello , come lo stato con la chiesa.

D: Quabdo hai iniziato ad essere interpellato dalle maggiori etichette discografiche ?
R: I ragazzi dei “Dispatch” ci hanno presentato a quelli di Guster della Warner Bros. Abbiamo realizzato un piccolo audio player per loro , così la Warner bros. Ha cominciato a chiamarci diverse volte. Una volta hanno detto “ Vi piacerebbe lavorare per Madonna.com ?”.

D: Venendo da un mondo diverso , c’è stata una parte di te che ha esclamato “ Oh , grande. Madonna?”.
R: No. L’ho vista come una grande opportunità. Stavo leggendo tutti quei libri giapponesi ed ho applicato un sacco di cose scritte li , sono finite dentro al sito , costantemente revisionato , e questo ha dato un ottimo responso. Mi sento come se facessi siti che appaiono luminosi solo dal di fuori , ma lavorando con un artista puoi scavare più a fondo.

D: Hai appena fatto la votazione online per la NHL’s . Lo sport professionistico ha capito davvero qual’era il suo mercato , come rendere i loro marchi più interessanti allineandosi alla cultura pop.
R: Quello che faccio non è limitato alla musica….Tutte le Companies vorrebbero essere delle rock star , ed io le aiuto a diventarlo.

(fonte: Globe Newspaper Company)

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TTS : 30-20 blues ( Robert Johnson ) - la traduzione in italiano            clicca qui

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Dentro la bocca stringevi le parole                                                            clicca qui

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DE ANDRE'/ 4. Dieci anni fuori moda                                                      clicca qui

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Le Dylan tribute band italiane : The Rolling Thunder Band    

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John Lennon canta ubriaco

Il brano 'battuto' per 30mila euro
La registrazione inedita di 'Just Because’ di Lloyd Price cantata dal Beatle alticcio è andata a ruba. L'interpretazione messa in vendita risale al "weekend perduto": i famosi 18 mesi dopo la rottura del cantante con Yoko Ono.

New York, 22 dicembre 2008 - Un brano di Lennon 'battuto' all'asta per 30mila euro. La registrazione inedita di 'Just Because’ di Lloyd Price cantata dal Beatle ubriaco è andata a ruba.
La portavoce della casa d'aste Bonhams and Butterfields ha commentato: "Erano sei minuti e 16 secondi di John che cantava molto ubriaco e improvvisando un nuovo testo, quindi è anche una canzone divertente da sentire’’. La canzone nella versione "ufficiale" è stata pubblicata nell'album di cover 'Rock' N' Roll' del 1975.
L'interpretazione messa in vendita risale invece al "weekend perduto": i famosi 18 mesi dopo la rottura del cantante con Yoko Ono, quando si trasferì in California con la segretaria di Yoko, May Pang. Il catalogo descrive il brano come "una musicassetta standard di colore arancione con un audio di Lennon dell’autunno del 1973 che canta 'Just Because' di Lloyd Price".

(fonte: quotidianonet.ilsole24ore.com)

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L'Hard Rock Cafe approda a Venezia                                                       clicca qui

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Video : Bob Dylan  - Lonesome Death of Hattie Carroll                         clicca qui

 

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Martedi 13 Gennaio 2009

Zimmerman's Circus : appuntamento domani sera al teatro Nibada di Milano

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TTS : Everything is broken - la traduzione in italiano                             clicca qui

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Bob Dylan cancella se stesso

Ora che gli hanno assegnato il Pulitzer, a Stoccolma avranno tirato un sospiro di sollievo. Il suo premio Bob Dylan l'ha avuto e l'Accademia svedese potrà continuare a regalare Nobel alla Jelinek e a Saramago, a Dario Fo e a Doris Lessing, facendo finta che uno dei più grandi poeti del '900 sia solo una rockstar con molto talento e notevole immaginazione.

Non è dato sapere se Dylan abbia gradito il Pulitzer, né si conoscono i suoi sentimenti nei confronti dei parrucconi scandinavi. Probabilmente, il signor Robert Zimmerman (questo il suo vero nome) di tutto ciò se ne infischia. Ma non è detto: anche i grandissimi hanno le loro vanità e i loro risentimenti, come insegna la vicenda di Philip Roth, un mostro sacro della letteratura che a ogni Nobel sfumato non risponde al telefono per un mese.

Roth e Dylan, è noto, hanno entrambi un brutto carattere. Sappiamo poi come Dylan sia un tipo piuttosto vendicativo. Nel 1965 scrisse una canzone in cui derideva acidamente l'ex amico Izzy Young, reo di avergli rimproverato l'abbandono del folk per il rock: "Vorrei che anche solo per una volta tu potessi metterti nei miei panni, così potresti comprendere quanto è tragico guardarti".

Bob Dylan, in realtà, è un mistero. Per chi non ha provato a scandagliare a fondo gli abissi della sua imprevedibilità, è un'icona incorruttibile. Nella memoria collettiva e più superficiale rimane cristallizzato nella figura di un giovane e impertinente menestrello folk con la faccia imbronciata e i riccioli ribelli che schitarrava canzoni di protesta come Masters Of War e The Times They Are A-changin' all'alba della guerra in Vietnam, sul solco tracciato vent'anni prima da Woody Guthrie (il cantautore che aveva girato gli Stati Uniti con una chitarra su cui stava scritto: "Questa è una macchina ammazza-fascisti").

(fonte: menstyle.it)

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Un commento su tre canzoni d’amore di Dylan

January 2nd, 2009

L’ho postato anche su Sophie Ladder. E’ un commento su tre canzoni d’amore di Dylan . Penso possa esere istruttivo anche per i nostri rapporti con Dio. Vi invito a leggere i testi ed ascoltare le canzoni. Come saprete , pensate al vostro rapporto con Dio e come c’è similitudine fra un rapporto fra uomo e donna.
Le romantiche canzoni d’amore di Dylan sono cronache della fede , ma il percorso dell’amore è sempre un campo minato.

GIRL OF THE NORTH COUNTRY
Dylan dice di lei “ una volta era il mio vero amore. Era sincero visto che ora si sono separati ?
La situazione , nauiralmente si può applicare a tutti noi. Cos’ ha a che fare il nostro tempo con le nostre scelte e la nostra integrità ? Lui e lei una volta avevano a cuore un’altra parsona , lei era importante tempo fa per la sua vita , lui si preoccupava di lei e state sicuri che era una cosa calda , lei non era una semplice conoscenza , ora per chi scalderà il suo cuore ?
Lui si ricorda ancora di lei e si preoccupa , così sembra. Lui si chiede se bisogna pagare un pedaggio per le devastazioni del tempo , come diceva Shakespeare , i suoi capelli sono ancora lunghi e scendono sul suo seno ?
Che tipo di mondo è quello in cui viviamo se lei non si ricorda più di lui ? Non è la nostra memoria , sono le nostre priorità , il nostro amore che possono incagliarsi nelle sabbie del tempo. L’amore può fallire allora ? No , questa è la speranza , lei può aver dimenticato , ma Dylan no. Deve essere in questo modo se l’amore era reale.

TO RAMONA
Ramona piangeva . Si è illusa pensando che ci sono vincitori e vinti , ingannata dai fiori della città che sembrano essere il respiro della vita , ma realmente trasmettono la morte. Dylan spesso cerca una scappatoia da quello che sembra volerlo imprigionare , ma qui è in grado di offrire conforto ad una donna impigliata nella trappola della vincita.
E’ un mondo che onestamente non esiste , una illusione , un trappola preparata per bene.
La sua mente è confusa come quella dei cani randagi che girano per la città , illusa che ci sia un obbiettivo che si possa realizzare , che ci si possa provare una volta , una volta per tutte. No , non ci sono cose di questo genere. L’unica cosa che può realmente sconfiggerci sono i nostri pensieri e qualche volta non siamo capaci di soffocarli.

I DON’T BELIEVE YOU (SHE ACTS LIKE WE NEVER HAVE MET)                                                                                    Oltre il tentativo del mondo di distruggere l’amore con gli inganni , c’è l’incostanza dele persone che possono rovinare un storia d’ amore ancora prima di iniziarla. Con questa canzone , cominciamo a capire che l’amore è un campo minato da attraversare , e chi ce la fa è veramente degno di tutti gli onori. Non è questa una cosa parallela a Dio ? Non ci sono mille insidie ? le canzoni di Dylan sono la cronaca della fede.
Le passioni sono intorno a noi nelle notti pazze e selvagge , ora lei si comporta come non si fossero mai incontrati. Lei sembra non essere mai più la stessa persona. Ora c’è solo il silenzio , perchè lei dovrebbe parlare?
Ci permettiamo cose che ci separano da Dio , per una qualsiasi ragione , e dopo dobbiamo affrontare la nostra separazione. Ci ritroviamo aggrovigliati nelle illusioni dimenticando la vera natura Divina , seguiamo falsi idoli , a volte sinceramente. E qualche volta ,   è Dio che si nascone a noi , in silenzio osserva , aspettando che ritorniamo a Lui , o forse siamo noi che lo mettiamo in stand-by.

( by Masha )

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Uccise donna nera e scontò solo 6 mesi                                                          clicca qui
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Tom Petty ?                                                                                                       clicca qui

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Fabrizio De Andrè, la poesia (e la speranza) delle minoranze                      clicca qui

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John Lennon ex baronetto: ritrovata la medaglia che restituì alla regina

di Roberto Bertinetti

ROMA (6 gennaio) - La medaglia a forma di croce, ricevuta nel 1965, venne restituita da John Lennon alla regina Elisabetta nel novembre 1969, accompagnata da una lettera nella quale il leader dei Beatles scriveva tra l’altro: «Vostra Maestà, le restituisco l’insegna del MBE per protestare contro il coinvolgimento inglese nel conflitto africano tra Biafra e Nigeria e il supporto offerto agli americani in Vietnam. Con amore, John Lennon». Per molto tempo si è pensato che la medaglia, simbolo del più alto riconoscimento nazionale britannico (il Most Excellent Order of the British Empire), fosse andata perduta, magari perché utilizzata di nuovo in seguito per un altro baronetto. Il Times rivela invece oggi che per quasi quarant’anni è rimasta in un cassetto della Cancelleria centrale degli ordini cavallereschi del palazzo di St James insieme alla celebre lettera.

Secondo quanto dichiarato da un portavoce di Buckingham Palace, «prima di decidere se la medaglia possa essere messa in mostra da un museo occorre stabilire a chi spetta la sua proprietà». Che, ha aggiunto, dovrebbe essere di Yoko Ono, vedova di Lennon e sua esecutrice testamentaria. Documenti scoperti di recente hanno rivelato che John Lennon inizialmente non voleva accettare la nomina a baronetto, ma venne convinto da Brian Epstein, manager del gruppo.

L’idea di inserire i “Fab Four” nel 1965 ristretto elenco degli inglesi illustri da premiare “per aver dato lustro alla patria” fu del premier laburista Harold Wilson, che era da poco arrivato a Downing Street e aveva bisogno di rafforzare la sua immagine nei confronti degli elettori più giovani mostrandosi in sintonia con il “sound” del momento. Wilson durante la campagna elettorale del 1964 aveva promesso la rinascita della nazione dopo un lungo periodo di supremazia conservatrice e i Beatles gli apparvero un simbolo della nuova era che si stava aprendo. Un punto di vista evidentemente condiviso a corte, visto che Elisabetta non si oppose alla nomina.
Nel corso degli ultimi sessant’anni, precisa il Times sono stati oltre trecento i sudditi che hanno restituito o rifiutato la medaglia che segnala l’appartenenza al ristretto club dei baronetti. Tra essi, aggiunge il quotidiano, ci sono lo scrittore James Ballard, il cantante David Bowie e l’attore Albert Finney. Nel 2007 lo stilista Joseph Corre decise a sorpresa di non accettare il Most Excellent Order of the British Empire pochi giorni dopo aver ricevuto la comunicazione ufficiale della nomina in segno di protesta contro le scelte del premier Tony Blair, definito in una lettera “politicamente corrotto”.

(fonte: ilmessaggero.it)

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McCartney: "Il pacifista dei Beatles? Altro che John Lennon, ero io..."

Il baronetto, noto come l'anima 'commerciale' dei Fab Four, rivendica la politicizzazione del gruppo e la fa risalire a un incontro avuto con Bertrand Russell, allora novantenne.

Roma, 14 diccembre 2008 - Il più pacifista dei Beatles? Non era John Lennon. E neppure il più politicizzato. A rivelarlo, in un’intervista all’autorevole rivista britannica Prospect, è nientemeno che Paul McCartney, che si autoptoclama il pacifista del gruppo .
La notizia, che ha fatto il giro dei domenicali del Regno, stride decisamente con la tradizione che ha sempre dato Paul come l’anima commerciale dei Fab Four, a comporre azzeccati motivi tipo ‘Ob-La-Di, Ob-La-Da’, mentre Lennon era quello delle canzoni impegnate genere ‘Revolution’.
McCartney oggi rivela che la sua coscienza politica risale a un incontro con Bertrand Russell, allora novantenne, nella sua casa londinese a metà degli anni Sessanta. Il filosofo era uno degli esponenti più autorevoli del movimento pacifista ed era stato in carcere durante la Prima guerra mondiale perché si oppose alla partecipazione dell’Inghilterra.
All’ex beatle, Russell raccontò del ruolo degli Usa nella guerra in Vietnam di cui il musicista sapeva allora molto poco. Quando McCartney rientrò negli storici Abbey Road studios, sostiene di aver raccontato “ai ragazzi, a John in particolare, di questo colloquio e come quella fosse una guerra sbagliata”. Il musicista spiega che il suo gruppo appoggiò sempre il movimento e le cause pacifiste.
La versione del baronetto di Liverpool contrasta con quella di altri testimoni dell’epoca, come scrive il Sunday Times che ha sentito, nel merito, l’ex leader del Gruppo Marxista Internazionale che organizzava le manifestazioni di piazza: “Mi suona del tutto nuovo - commenta l’oggi celebre intellettuale Tariq Ali - Non abbiamo mai sentito opinioni di Paul in quel periodo. Era John Lennon quello preoccupato per la guerra. Non ha mai menzionato McCartney e per questo non ho mai pensato di chiedergli di unirsi a noi”. Quanto a Paul, lui ritiene di aver ormai passato il testimone a star della contestazione più giovani come Bob Geldof e Bono degli U2.
 

(fonte: diggita.it)
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Intervista a Ari Folman, regista del sorprendente "Valzer con Bashir"     clicca qui

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The Killers: raggiungeremo le vette degli U2                                                 clicca qui

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Video :  The Beards - Girl from North Country                                             clicca qui

 

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Lunedi 12 Gennaio 2009

Talking Bob Dylan Blues - Parte 440                clicca qui

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Bob Dylan in vacanza a Picton?

The Marlborough Express | Friday, 09 January 2009

Voci di spiaggia : Il cantante e scrittore Bob Dylan è riportato essere in vacanza nelle Marlborough Sounds.

Le Marlborough Sounds sono belle , non sarebbe grande cercare di condividerle con le celebrità in vacanze orivate ? Beh , può essere il caso.
Alcune voci suggeriscono che Bob Dylan e Shania Twain stanno passando separatamente alcuni giorni di vacanza nelle Sounds.
Il gossip dice che il grande super-yatch blu che è ancorato nella Onahau Bay vicino a Picton ospiterebbe Bob Dylan , ma gli operatori degli scafi-taxi e i visitatori al Lochmara Lodge dicono di non aver individuato il musicista , nemeno hanno sentito nulla al riguardo della sua visita.
Tuttavia , la notte scorsa , la vigilanza-Bob è stata intensificata , quando una limousine si è fermata davanti alla The Crow Tavern in Nelson Square a Picton e due uomini , che sembravano “animatori” , sono scesi entrando nella taverna.
Il nome di Dylan era di nuovo sulle labbra di tutti.
Il proprietario della taverna Noddy Robertson dice i frequentatori del pub hanno detto che Bob era stato li e che lui aveva parlato con loro , lasciando il posto alle 8 p.m. “ Non l’ho visto , ma lo avrei desiderato”.
Un residente di Picton , Jess Looms , era seduto davanti alla finestra in Nelson Square è ha visto il fatto.
La signora Looms dice che ha guardato fuori dalla finestra ed ha visto un uomo coi capelli lunghi ed una maglietta blu entrare nella limousine. Lei pensa che era l’autore ed il cantante di Forever Young.
La band locale Freight Train stava suonando quella sera ed aveva annunciato che Dylan sarebbe venuto li.
Il cantante e chitarrista dei Freight Train , dave St John , è stato cauto nel parlare con la stampa dicendo che sperava che Dylan avrebbe fatto una apparizione.
Una piccola folla è rimasta ad aspettare , ma Dylan non si è fatto vedere.
La limousine è stata vista più tardi parcheggiata davanti ad una casa sull’angolo fra Waikawa Rd e Suffolk St. I reporters sono rimasti in attesa tutta la notte , tuttavia questa mattina , si è scoperto che la limousine apparteneva ad un veterinario che viveva ad Hastings.

(fonte: stuff.co.nz/)

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Morto l'assassino di Hattie Carroll che ispirò la canzone di Bob Dylan     clicca qui

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Alessandro Carrera su rock e poesia                                                               clicca qui

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Le Dylan tribute band italiane : Dylan Dogs                                                

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Il ricordo di «Bocca di rosa» alla stazione di Sant’Ilario                                clicca qui

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“It’s been a long time coming, but tonight, change has come to America”    clicca qui

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John Lennon rivive in uno spot                                                                           clicca qui

A 28 anni dalla morte John Lennon è il protagonista di un videoclip in cui invita gli americani a sostenere la campagna "Un laptop       per bambino", che mira a far arrivare computer portatili a energia solare all'infanzia del Terzo Mondo.

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Video : Tom Petty - Southern accents                                                                  clicca qui

 

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Domenica 11 Gennaio 2009

 

NEW TROLLS

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Sabato 10 Gennaio 2009

Morto William Zanzinger , il presunto assassino di Hattie Carrol

Il fatto :

(The Telegraph - traduzione di Michele Murino)

In breve segnalo che viene confermato che Zanzinger aveva con sè un bastone di legno con il quale imitava Fred Astaire, durante la serata all'Emerson Hotel di Baltimora (una serata di beneficenza) quell'8 febbraio del 1963.
Tra l'altro viene riportato che Zanzinger dopo aver infastidito un'altra cameriera, Ethel Hill, colpendola con il bastone e ferendola ad un braccio, avesse colpito sulla testa con una scarpa anche sua moglie. E poco dopo aveva colpito anche un altro ospite della festa che aveva tentato di calmarlo.
Una curiosità: la Carroll aveva 11 figli mentre Dylan gliene attribuisce dieci forse per ragioni metriche.
Nell'articolo viene riportato che soffriva di ipertensione arteriosa e aveva problemi alle coronarie.
Quando Zanzinger le chiede di versargli da bere lei gli dice di aspettare perchè è occupata e lui la insulta e la colpisce con il bastone sulla testa e sulle spalle. La Carroll chiede aiuto ed accorre un compagno di lavoro al quale ella biascica poche parole in stato confusionale e poi sviene. Poco dopo viene chiamata un'ambulanza e la polizia. La Carroll viene portata all'ospedale (Baltimore Mercy Hospital) e Zanzinger viene arrestato dalla polizia per aggressione e mentre viene condotto nella centrale di Pine Street egli aggredisce i poliziotti ferendone uno alle gambe (tale Warren Todd) e ricevendo in cambio un occhio nero.
L'imputazione che gli viene ascritta è "aggressione con un bastone di legno nei confronti di Ethel Hill e Hattie Carroll".
Alle 9.15 di quella mattina Hattie Carroll muore in ospedale per sospetta emorragia cerebrale senza aver mai ripreso conoscenza. L'articolo riporta che la notizia della morte non era giunta alla Corte quando Zanzinger viene rilasciato dietro cauzione di 600 dollari. Quando la polizia apprende della morte di Hattie va ad arrestare Zanzinger con l'accusa di omicidio. Era tra l'altro la prima volta nella storia del Maryland che un uomo bianco veniva accusato dell'omicidio di una donna di colore.
Zanzinger chiese tramite i suoi avvocati difensori che il processo non avesse luogo a Baltimora dove gli anti-segregazionisti erano alquanto attivi ma nel "terreno neutrale" di Hagerstown.
La difesa di Zanzinger fu semplice, basata esclusivamente sul fatto che egli era ubriaco e nemmeno ricordava di aver colpito sua moglie, un poliziotto ed una cameriera. La difesa sostenne che Hattie Carroll era una donna grassa che aveva problemi di pressione e che avrebbe potuto subire un infarto in qualsiasi momento. Il fatto che l'avesse avuto dopo i colpi di bastone di Zanzinger era solo una coincidenza.
I tre giudici tuttavia ritennero Zanzinger ugualmente colpevole anche se non di omicidio di primo grado bensì di secondo grado e lo condannarono a sei mesi di prigione.


Per approfondire la storia leggi i seguenti commenti :

Zanginger (molto probabilmente ) non ha ucciso Hattie Carrol - di Alessandro Carrera  clicca qui

William Zanziger non ha ucciso Hattie Carrol - di Paolo Vites                                         clicca qui  

Aggiornamenti e commenti sulla vicenda                                                                          clicca qui

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Murino Michele - Bob Dylan. Percorsi                                                                        clicca qui

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DORI GHEZZI RACCONTA IL "SUO" FABRIZIO DE ANDRÉ                           clicca qui

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De André, un mito ancora vivo                                                                                      clicca qui

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"Ho amato la sua sensibilità , Fabrizio vedeva più avanti"                                        clicca qui

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Ranieri e Muniz: «Il 'nostro' De Andrè»                                                                      clicca qui

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Video : BOB DYLAN DRUMMER MICKEY JONES                                               clicca qui

 

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Venerdi 9 Gennaio 2009

Girando per il Village

Eravamo sul posto e Terre Grilli portò una fotocopia per paragonare la scena ai giorni attuali. “Una cosa che ho notato sono gli alberi” disse lei “ Non c’erano alberi nel quartiere nel 1963”. E al posto del pulmino VW blue sulla destra c’era un SUV con i vetri neri oscurati.

Era una giornata di neve quel giorno di febbraio del 1963 , nel cuore del Greenwich Village , New York City. Il fotografo , Don Hunstein , preparò tutto sulla West 4th Street poi venne giù della Jones Street , mentre Bob Dylan e la sua ragazza , Suze Rotolo , camminavano in mezzo alla strada in fronte alla macchina fotografica. Bob aveva le mani affondate nelle tasche dei jeans , Suze era attaccata al suo braccio , ed il risultato fu una delle più famose copertine di un album.
Il fotografo della copertina del secondo LP di Dylan , The Freewheliin’ Bob Dylan , ha fermato il tempo in quel luogo.
Per un periodo di quasi mezzo secolo questo reticolo di strade , un paio di chilometri quadrati in tutto , ha generato un sacco di energia che ha forgiato la sensibilità artistica di Dylan. “L’aria era maledettamente fredda , intorno agli zero gradi , ma il fuoco nella mia mente ardeva sempre “ ha scritto Bob nelle sue memorie , “Chronicles”.

Il Greenwich Village , o anche solo il Village , è un posto diverso oggi e Dylan se n’è andato all’ovest molto tempo fa. Ma il mix architettonico delle classiche case di ringhiera , stile-federale delle case è ancora immutato. E lo spirito dell’”originale vagabondo” che arrivò e visse qui nel gennaio del 1961 , le canzoni e le parole del quale mostrarono un nuovo modo di guardare il mondo moderno , è ancora aggrappato alle scale anti-incendio , ai ciotoli delle viuzze ed a moltri altri caratteri delle strade.
Terre Grilli , una 52enne entusiasta per la musica Folk , fa la guida turistica nel Village incarnando quello spirito.
I Tours sono organizzati privatamente e sono impostati come ai tempi andati , con molto dello spirito “Freewheelin’” di quei giorni degli anni 60’. “ E’ un tipo di lavoro che amo” dice lei “ Non faccio pubblicità , è una cosa solo per i fans”.

Ci siamo incontrati fra la Hudson St. E la West 11th , vicino alla strada della taverna “White Horse”. Questo tuffo nei vecchi “longhorsemen” (il fiume Hudson è solo a tre isolati ad ovest) ha un impeccabile pedigree bohemian : nel 1950 Dylan Thomas , prima che il suo nome fosse usato da un piccolo ragazzo venuto dal Minnesota di nome Robert Zimmerman , ha bevuto il suo ultimo bicchiere in questo bar pochi giorni prima di morire , Norman Mailer ha creato il giornale “Village voice” proprio qui , ed era anche il ritrovo dei poeti beat. E’ stato qui che Dylan ha sentito i “Clancy Brothers” cantare “Rousing rebel songs that would lift the roof”.

Il White Horse è ancora soddisfacentemente grungy , le sue pareti sono coperte di fotografie che ritraggono Dylan Thomas nei suoi “momenti”. Un paio di porte più in là , un negozio vende borse di Dolce & Gabbana per diverse migliaia di dollari , mentre un agente immobiliare , dalla finestra sull’altro lato dell’Hudson , un appartamento (“Mi spiace per le condizioni ante-guerra“ dice) , per oltre un milione di dollari. Il basso costo degli affitti che aveva attratto giovani sognatori come Bob dylan è scomparso molto tempo fa.
E’ stata la sua ex-amante , Joan Baez , a chiamarlo vagabondo. La parola esprime il modo col quale lui girava per la “città che avrebbe dato forma al mio destino” , con un notevole numero di storie riguardanti se stesso , e , per sua stessa affermazione , “una mente che catturava tutto come una trappola”.
“E’ venuto in città senza un posto dove andare ed è finito a dormire sul pavimento” dice Terre portandomi in giro, in Perry St., “ Non aveva soldi per un appartamento”. Al 129 di Perry , vecchi mattoni sudici , scale antincendio pitturate di verde , ha dormito sul pavimento di Carla Rotolo , la sorella maggiore di Suze. E’ qui che ha incontrato Suze , mentre saccheggiava la vasta collezzione di dischi folk di Carla per trarre alcune idee per il suo primo disco , Carla è stata una grande sorella per lui.

Il folk singer Dave Van Ronk , che Dylan ha descritto come “il re della strada” , viveva alcuni isolati a nord-est , in Waverly Place. Terre indica il numero 190 , un palazzo grigio con le finestre arancioni , “ Bob dormiva sul divano qui” dice Terre , “ Tom Paxton era solito venire qui , ma chi si ricorda di queste cose ?” Terre punta il pollice dietro le spalle , “ Dietro di noi , al 191 , abitava il giornalista Bob Shelton , lui era il reporter del New York Times che ha scritto la recensione che ha catapultato Bob nel mondo della musica”. Apre la sua borsa , ed ecco una copia del giornale con le foto di Bob che suona al sul palco del famoso Gerde’s Folk , nel settembre del 1961 – un cantante di 20 anni è il nuovo volto luminoso del Village – dice la didascalia.

Il Gerde’s non esiste più da tempo , ha chiuso nel 1987 , ma come facevano molti dei locali dell’epoca , aveva un cestino sui tavoli dove la gente metteva i soldi per gli artisti che si esibivano sul piccolo palco , oppure gli artisti passavano col cappello in mano. I locali principali erano il Cafè Wha? , in Macdougal St. , dove Dylan si diresse appena arrivato a New York. Qui suonava l’armonica per Freddy Neil , che più tardi scrisse “Everybody’s Talkin’” , resa popolare dal film “ Midnight Cowboy”, per un pubblico di segretarie in pausa pranzo , marinai e turisti.
“Devi sapere , che tutta Macdougal St. era un susseguirsi di queste coffehouses “ dice Terre , “ Al 116 , nella cantina , c’era il Gaslight , che adesso si chiama Alibi. “ Dura da credere ma questo era il primo posto per suonare”. Il Gaslight non aveva la licenza per servire bevande , così dopo , andavano tutti insieme nel locale di fianco , il Kettle of Fish , che ora si chiama Esperanto Cafe”.
“ E’ stato al Gaslight che Bob ha suonato per la prima volta A hard rain’s a.gonna fall ”.
Il tour di Terre è esauriente ed affascinante – l’ex-Commons coffeehouse in Minetta St. Dove scrisse Blowin’ in the wind , l’ex-Hotel Earle dove visse per un pò , e del quale Joan Baez , nella sua amara canzone d’amore su Dylan , Diamond and Rust , raccontava di questo “ lurido Hotel vicino a Washington Square”, il punto magico sulla West 4th dove lui e Suze Rotolo hanno fatto la foto nella neve per Freewheelin’”.
Dodici mesi dopo che la foto per la copertina dell’album era stata scattata , Dylan ruppe con Suze , che gli aveva ispirato Tomorrow is a long time. “ I giorni delle mitiche coffeehouses se ne sono andati ormai” dice Terre.
“ Lui non ha lasciato nessun segno tangibile al Village , niente placche , niente statue o negozi di memorabilia , ma questo è in armonia con lui - tutto è sempre nuovo , sempre in cambiamento - ha scritto in Chronicles , non c’è mai la stessa gente per le strade”.

By Nigel Richardson

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Ciao a tutti,
In attesa della puntata speciale di "Che tempo che fa" che domenica 11 sarà dedicata al Grandissimo Fabrizio, vi riporto uno stralcio di un'intervista a Dori Ghezzi pubblicata nei giorni scorsi sull'Unità (3 gennaio).
GIORNALISTA: Che musica ascolti oggi?
DORI GHEZZI: Ascolto molto Bob Dylan, non mi stanca mai.
G: Lo ascoltavi anche con Fabrizio?
DG: .... Lui amava Dylan, ma non più di Leonard Cohen o dei francesi, Brel e Brassens. Ha inciso due cover di Dylan, ma furono prima De Gregori e poi Bubola a convincerlo.

Marco

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Valzer con Bashir: Memorie del Massacro tra Bach e Dylan    clicca qui

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Un Valzer di pace                                                                            clicca qui

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The Weight – The Band                                                                  clicca qui

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Video : Bob Dylan - Jim Jones                                                       clicca qui           

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Video : Bob Dylan - Delia "live"                                                    clicca qui
 

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Giovedi 8 Gennaio 2009

C'era una volta un sogno. E c'è ancora    clicca qui

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Il tempo sta cambiando, e non e' solo un piu' "alto pensiero" di Bob Dylan     clicca qui

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Tutti dilettanti per Bob Dylan

Il "menestrello" del rock se la prende con le band in classifica: «Non sanno dove sia la musica»

WASHINGTON - Ancora oggi il menestrello della folk-song fa parlare di sé. Lui da sempre personaggio schivo e scontroso, saltuariamente acconsente a progetti in contrasto con la sua persona. Solo un anno fa il "menestrello" di Duluth ha stupito fan e critici accettando di apparire in uno spot di una notissima marca di intimo femminile americana: sulle note di un remix della sua "Love slick" il poeta rock a stelle e strisce si presentato circondato da seducenti modelle vestite solo di biancheria intima. Tra i fan lo sconcerto fu grande: «Non posso crederci, roba da farsi saltare le cervella», commentò John Baky, direttore del Museo Dylan di Philadelphia.
Oggi, l'autore della canzone più bella di tutti i tempi ("Like a rolling stone" secondo la rivista Rolling Stone) parla delle rock-band contemporanee affermando: «Sono tutti dilettanti». Il mitico cantautore americano, pronto a ripartire in tournee , sostiene che «ci sono complessi che si trovano in testa alle classifiche e che vengono presentati come i redentori del rock'n'roll, ma sono veri dilettanti. Non sanno da dove viene la musica».
Dylan sostiene che avrebbe fatto un altro mestiere se fosse nato 40 anni dopo: «Non ci avrei pensato neanche un attimo a diventare musicista in questi tempi... Mi sarei occupato di matematica, mi interessa. Anche l'architettura mi piace, o altre cose di questo tipo».
Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan, nasce a Duluth, nel Minnesota, il 24 maggio 1941 e presto inizia a suonare pianoforte e chitarra. Dopo un'adolescenza trascorsa suonando a Minneapolis, dove frequenta l'Università e i circoli dei giovani intellettuali della New Left, Dylan dopo aver letto la biografia di Woody Guthrie si trasferisce a vivere a New York, dove approda nel 1961. Il contratto discografico con la Columbia arriva quasi subito e nel 1962 Bob Dylan pubblica il suo primo album. Il successo arriva nel 1963 con "The Freewheelin' Bob Dylan", che comunica al mondo la nascita di un nuovo eroe della folk-song di protesta e di una personalità di riferimento nell'allora nascente movimento beat, entrambi ruoli che Dylan conserva ancora oggi nell'immaginario collettivo prima ancora che nella tematica delle canzoni, fattesi con il trascorrere degli anni sempre più personali. Il resto è storia.

(fonte: magazine.libero.it)

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MY CHEMICAL VS DYLAN                                                       clicca qui

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Bob Dylan e la tradizione musicale Americana                           clicca qui

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Village walking tour                                                                       clicca qui

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Video : Don't think twice it's all right - The Blackstones            clicca qui

 

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Mercoledi 7 Gennaio 2009

BOB DYLAN – MICHELE MURINO                       clicca qui
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Bob Dylan, il via alla caccia ai biglietti                      clicca qui _______________________________________________________________________________________________________________

"Million Dollar Bash" racconta la rockstar americana

Sid Griffin, uno dei più quotati giornalisti rock al mondo, ha scritto un libro rivelatorio su Bob Dylan, dall’incidente motociclistico alla pubblicazione di John Westley Harding, soffermandosi soprattutto sul perchè ad un certo punto il    cantante avesse dato un alt decisivo alla sua carriera.

di Ernesto De Pascale

Musicista, già leader dei The Long Ryders, uno dei gruppi base del movimento Paisley Undergorund americano degli ottanta, Sid Griffin, senza aver mai smesso di fare musica, è oggi uno dei più quotati giornalisti rock al mondo. Con base a Londra il lavoro di Sid, dopo essersi rivolto a tutti gli aspetti della vita di Gram Parsons, è da qualche anno virato decisamente verso quelli meno conosciuti dell’attività e della vita di Bob Dylan. Lo abbiamo incontrato in una caffetteria alla moda di King’s Road per una lunga chiacchierata intorno al suo ultimo libro “Million Dollar Bash” (edizioni Backbeat, che sarà presentato domenica 16 dicembre al Cinema Alfieri di Firenze, nell’ambito di una due giorni dedicata all’artista), un volume rivelatorio sull’anno sabbatico passato da Bob Dylan a Woodstock che l’artista impegnò nella registrazioni di nuove straordinarie canzoni, collezionate come The Basement Tapes. Anche se le cose, ci spiega Sid, non andarono esattamente solo così.

Ovunque al mondo è il momento di Dylan. Gli anni dei Basement Tapes rimangono come un oscuro ma intenso periodo delle vita di Bob Dylan. Cosa ti ha mosso ad andare in profondità ?
Nessuno sa cosa stesse pensando Dylan durante i Basement Tapes. Il libro di Geil Marcus, per quante bellissimo, trattava le registrazioni poi pubblicate illegalmente e dava una visione politica e sociale dell’America di quel periodo. Greil fece un ottimo lavoro. Il mio libro tratta esclusivamente la figura di Bob, dall’incidente motociclistico alla pubblicazione di John Westley Harding. Nel 1967 Dylan passò più tempo in studio che in ogni altro anno della sua lunga carriera ( lo studio era la casa dove viveva!), scrisse più canzoni di quante ne abbia mai scritte, scrisse più belle canzoni in un solo anno che in ogni altro anno della sua carriera e, comunque, non pubblicò alcun disco. Rimase in incognito. Chi si era mai comportato prima così ? Forse Elvis nei primi anni sessanta ? Lennon nel 1975 ma cosa sappiamo di Dylan ? Pochissimo. Il mio libro racconta quei 18 mesi. La verità è finalmente rivelata!

Quanto tempo hai impiegato a realizzare il volume ?
Dopo i preparativi iniziali, iniziate le interviste ho trascorso 13 mesi di lavoro continuativo sul progetto. Certo mi sono anche dedicato alla mia band, Coal Porters e a registrare con loro un novo album che esce a gennaio 2008 con la partecipazione di Chris Hillman ma, soprattutto, gli ultimi 6 mesi sono stati duri. Ho passato interi giorni a rifinire e a verificare.

Quale è stata la finalità principale della tua ricerca ?
Le mie due finalità principali erano scoprire perché Dylan avesse fermato il suo tour mondiale del 1966, perché avesse fermato il progetto Tarantula, perchè avesse smesso di editare il documentario della ABC TV Eat The Document, perché più in generale avesse dato un alt così decisivo alla sua carriera. Dovevo perciò contattare artisti come Robbie Robertson che erano lì con lui all’poca a dargli una mano. La mia seconda finalità era perciò convincere Robertson a parlare. Molti libri su Dylan usano frasi da altri libri su Dylan e molti esprimono solo l’opinione dell’autore mentre io volevo che le persone presenti in quei giorni raccontassero la storia. E loro lo hanno fatto!

E la tua scoperta più importante ?
La mia più importante scoperta è che i Basement Tapes iniziarono non perché Dylan voleva fare musica ma perché chiamò i ragazzi in The Hawks, poi The Band, di venire a Woodstock per essere con lui NON per la musica ma per partecipare a un film che lui stava girando. Un po’ come avrebbe fatto in anni successivi con Renaldo & Clara, Dylan usava i suoi amici come attori per improvvisare le scene: Robie Robertson si trovava già a Woodstock dove persone come il mio amico Bob Neuwirth e Howard Alk, adesso deceduto, stavano aiutando Bob a diventare un filmmaker mentre gli altri musicisti vennero chiamati per il motivo che ti ho appena detto. E naturalmente nessuno ha mai visto un metro di quel materiale girato. Secondo un sistema caro a Dylan da sempre!!!!!

E’ stato facile mettersi in contatto con i protagonisti di quella beve stagione della vita di Dylan ?
No, non è stato facile incontrare Robbie Robertson, il produttore della Band John Simon, il tecnico Rob Fraboni e molti molti altri che aprissero al memoria e scavassero il passato: All’inizio erano tutti riluttanti Tutti sono immersi nel presente non volevano tornare sui propri passi.. Inoltre alcuni non ricordavano molto di quegli eventi di 40 anni fa …

Chi hai più esattamente intervistato per Million Dollar Bash ?
Ho incontrato Robbie Robertson molte volte, John Simon, Rob Fraboni, il manager e produttore dei Fairport Convention Joe Boyd, Roger McGuinn, Chris Hillmand, Manfred Mann, Tom McGuinness, l’archivista di Dylan e dei CSNY Joel Bernstein. Ho potuto usare un’intervista inedita a Rick Danko, realizzata dal mio amico e collega Barney Hoskins un anno prima della scomparsa del grande Rick. Inoltre il filmmaker Barry Feinstein e il pubblicista della CBS Billy James. Le voci del coro sono state insomma molteplici

Chi ha declinato l’offerta di partecipare al libro ?
Ho espressamente fatta richiesta all’ufficio di Bob Dylan per avere una sua testimonianza ma lui ha declinato l’invito. Bob Neuwirth nonostante sia un caro amico e un fantastico artista grafico si è rifiutato pure lui. Ma va bene così. Amo entrambi!!!

Le persone che hai intervistato ti hanno dato l’impressione di essere consce dell’importanza di quel periodo della vita di Dylan e della musica realizzata ?
Gli artisti che hanno poi inciso le canzoni che Dylan compose durante i Basement Tapes sono ancora tutti perfettamente consci dell’importanza di quelle sessions! Per quanto riguarda Dylan e amici non penso che fossero consci di quanto importanti, influenti, senza tempo potessero rivelarsi essere The Basement Tapes e questo è un peccato

Sid, ritieni che l’anno che Bob passò a Woodstock fu uno stop necessario ma in qualche modo consigliato dal manager Albert Grossman per ridiscutere contratti, royalties e durate ? ( dal 1968 la percentuale di Bob dylan sale al 16 % una cifra che nessuno aveva mai contrattualizzato all’epoca per un contratto artistico ndr)
No, non credo. Dylan si ritirò - questo è vero - reduce dall’incidente motociclistico che era davvero un ragazzino. Albert Grossman era un innovatore nel su campo ma sarebbe stato pazzo a interrompere una carriera così ricca di successi per suggerirgli di smettere di incidere, fare tournee, di tornare in studio a NYC o a Nashville, di finire il film per la ABC-TV. Dylan era alle costole dei Beatles in quel momento della sua carriera e se avesse continuato in quel modo li avrebbe forse sorpassati in popolarità ed influenza. Dopotutto non dimenticare che il primo concerto che Bob avrebbe dovuto fare, se non fosse sopravvenuto l’incidente motociclistico, sarebbe stato allo Shea Stadium di NY, proprio come i Beatles

Da una prospettiva odierna che significato ebbero quelle registrazioni per Dylan ?
Da una prospettiva odierna, prospettiva immaginativa visto che lui non si mai è espresso direttamente a proposito di esse, ritengo che The Basement Tapes abbiano avuto per lui una funzione rilassante. Certo, le composizioni furono un moo per continuare a far affluire soldi nei conti di Grossa e in quelli di Dylan senza dover stare on the road ma non vedo altra risposta

E per te ?
Personalmente ritengo The Basement Tapes il miglior lavoro di Dylan in assoluto, e senz’altro un momento chiave nella nascita di quel genere che oggi definiamo Alt.Country o Americana. Immagina un artista che scrive nello stesso anno This Wheel’s On Fire, I Shall Be Released, You Ain’t Goin’ Nowhere, I’m Not There (1956), Tears Of Rage, The Mighty Quinn, Down In The Flood, Nothing Was Delivered e All Along The Watchtower. Per certi artisti solo queste composizioni sarebbero bastate a fare un’intera carriera! E per Dylan parliamo di un solo anno, con tanti capolavori già scritti alle spalle e tanti ancora a venire

Viste dall’esterno si ha l’impressione - anche leggendo Marcus - che le sessions di Woodstock non unirono molto The Band e Bob sul piano personale e le due parti non si esibirono insieme per diversi anni a venire. Forse Dyalna un certo unto della permanenza voleva solo andarsene a Nashville o altrove ? Tipico di Dylan, no ?
Posso solo risponderti sui motivi per cui Dylan non avrebbe usato più The Band/The Hawks per un bel po’! Il gruppo era già una forza integra a quel punto. Sally Grossman, la moglie di Albert se ne era innamorata e stava spingendo il marito affinché trovasse loro un contratto discografico indipendente. Addirittura rifiutarono l’offerta di Dylan che si propose come cantante e pianista nel loro album d’esordio perchè ritennero che la connection fra loro sarebbe andata troppo oltre per una carriera appena agli inizi. Volevano liberarsi dell’ombra di Dylan e questo è comprensibile. Ciò che è curioso è il perché Bob non li volle più usare. Quando tornarono con lui per “Planet Waves” fu un evento sonicamente speciale. Probabilmente lui stava andando in una direzione più country & western, più acustica e non riteneva aver bisogno di una band di Ryhm & blues ma di sicuro quando ascoltò l’album “Music form The Big Pink” completato deve aver pensato”bey, questa è la miglior band al mondo che possa accompagnarmi!”. Ma la carriera di The Band era oramai partita e ci volle qualche anno prima che tornassero a lavorare insieme …

Credi che Dylan stesse deliberatamente gli altri musicisti a fare del proprio meglio per registrare del buon materiale o pensi che nella sua testa ci fossero altri progetti per queste canzoni ?
Dylan probabilmente era alla ricerca della sua musa ispiratrice, cercare di scrivere delle belle canzoni, a casa, senza l’uso di stimolanti o senza l’eccitazione e la pressione di vivere sulla strada. Era solito giocare e dire “questa canzone è per Ferlin Husky” oppure “questa canzone è per The Everly Brothers” ma io credo che lui registrò The Basement Tapes in uno stato di ricerca interiore. Altrettanto Albert Grossman desiderava che i migliori artisti suonassero queste canzoni che Bob Dylan stava componendo a Woostock in quel momento e si dette un gran da fare in prima persona affinché queste canzoni andassero a finire nella mani giuste, di gente come Fairport Convention, Manfred Mann, The Byrds

Ci sono eventi a noi sconosciuti fino ad oggi che, grazie al tuo lavoro, ci possono permettono di vedere l’anno a Woodstock sotto una prospettiva differente ?
The Hawks, o per meglio dire The Crackers come si fecero annunciare, erano annunciati come gruppo supporto di Allen Ginsberg alla Carnagie Hall nel settembre 1967. Robbie giura che il gruppo non partecipò a quel concerto …. Chissà, forse uno dei vostri lettori era lì … la cosa mi ha molto colpito!

Mi hai accennato a un ulteriore libro che hai in preparazione dedicato alla Rolling Thunder Revue. Ce ne puoi parlare ?
Mi è stato chiesto di scriver un altro libro su Dylan e nei primi mesi del 2008 inizierò questo volume sulla Rolling Thunder Revue. Quello fu un momento in cui Bob si comportò in maniera simile a come si era comportato a Woodstock nel 1966 e 1967; suonava un nuovo genere di musica con i suoi amici e suonava in situazioni molto informali. Stava girando ed editando un film, preparando un TV Show(Hard Rain) per un network americano … le similitudini sono molte. Non esiste inoltre un libro che valuti per intero questo periodo della carriera di Bob e credo che sul mercato manchi un volume simile
Ci sono punti di contatto fra The Basement Tapes e The Rolling Thunder Revue ?. Dieci anni sono una infinito, soprattutto per chi come Dylan non si è mai fermato….
Bob Neuwirth fu coinvolto in entrambi i progetti. Lui e Bob sono buoni amici sin da quando si incontrarono all’Indian Neck Folk Festival del 1961. E ancora sono ottimi amici. E? Bob Neuwirth la persona che ha portato Bob nel mondo del cinema, o meglio, della cinematografia. Voglio ricordare a quanti non lo sanno che l’operatore di D.A.Pennabaker che girò la sequenza di Jimi Hendrix a Monterey Pop fu proprio Bob Neuwirth. Era lui che se ne stava lì davanti a Jimi, in piedi su una scatola di legno a girare la storia del rock!!! Perciò, per tornare a ciò che unisce The Basament Tapes e La Rolling Thunder revue diciamo che il punto in comune è proprio Bob Neuwirth.

(fonte: quotidianonet.ilsole24ore.com)
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Dicono di Bob.....

Come si fa a scrivere "un commento" su Bob? Quanti mondi ci vogliono? Dopo di Lui "nessuno". Nobel o non Nobel, fra 200 anni si parlerà ancora di Bob Dylan e si ascolterà la Sua musica, o meglio, le sue poesie..perchè Bob non è un cantante, lo sappiamo, ma un Poeta..lo scorso giugno è stato qui a Trento..l'avevo già visto e sentito..ma è sempre un'emozione. Ciao a tutti fans di Bob. Ivano

(fonte: dada.it)
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Zack Snyder a Los Angeles per girare il video di Desolation Row         clicca qui _______________________________________________________________________________________________________________

"Semper Faber"                                                                                           clicca qui _______________________________________________________________________________________________________________

Robert Crumb in musica                                                                             clicca qui
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Giovedì 8 gennaio Stanley Brinks al Jarmusch Club                                clicca qui _______________________________________________________________________________________________________________

Beatlejuice , la scheda                                                                                  clicca qui
 

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Martedi 6 Gennaio 2009

In vendita la casa di Jakob Dylan

I fans di Bob Dylan potranno adesso possedere una parte dei beni immoboliari di famiglia , il figlio Jakob ha messo in vendita la sua casa di Los Angeles.
La casa in del frontman del Wallflowers in Brentwood è sul mercato al prezzo di 11 milioni di dollari.
La proprietà comprende la casa principale con 5 camere da letto e due fabbricati minori per gli ospiti , al momento una di questi è usato come studio di registrazione.
Il Los Angeles Times segnala inoltre che ci sono 8 bagni , sette caminetti e una piscina con stazione termale.

(fonte: contactmusic.com)
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Quale Dylan ? Bob Dylan o il coniglio spaziale Dylan ?

I nomi più scelti per i nuovi nati , ancora una volta, mostrano la deprimente influenza dalla cultura delle celebrità.
Un sondaggio fra i nuovi nati del 2008 , trova che nomi come Connie e Ruby sono tornati popolari , e per i maschi Zac e Dylan.    Connie e Ruby hannno un sapore piacevolmente Edoardiano , ma probabilmente sono stati scelti perchè Connie Fisher ha vinto una gara televisiva per nuovi talenti e Ruby è il nome che Charlottte Church ha dato alla sua piccolina. Zac viene da Zac Efron che ha recitato in “High School Musical”. Il nome di molte celebrità televisive è il più scelto dalle nuove aspiranti mamme.
E Dylan ? Nel 1965 una canzone satirica di Paul Simon parlava di un uomo “ così sconosciuto che quando dicevi Dylan parlavi di Dylan Thomas , chiunque sua stato”. Oggi , un bambino , dovrebbe essere grato a Bob Dylan di essere stato chiamato col suo nome , o anche al coniglio spaziale Dylan , ispirato a Bob , della trasmissione televisiva per bambini “The magic tournaround” , piuttosto che con quello di momentanee celebrità televisive.

(fonte: telegraph.co.uk)

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I risultati finali del sondaggio di Expectingrain sui 75 miglior concerti di Bob Dylan

In breve: The Top 10 Dylan Concerts

October, 1962 – Gaslight Café, New York, NY
May 16, 1976 – Tarrant County Convention Center Arena, Fort Worth, TX
November 16, 1979 – Fox Warfield Theater, San Francisco, CA
April 20, 1980 – Massey Hall, Toronto, CA
June 30, 1988 – Jones Beach Music Theater, Wantaugh, PA
November 16-17, 1993 (both) – The Supper Club, New York, NY
March 11, 1995 – Congress Hall, Prague, Czech Republic
March 31, 1995 – Brixton Academy, London, England
October 7, 2002 – Tehama County Fairgrounds, Red Bluff, CA
November 24, 2003 – Hammersmith Apollo, London, England

Questi i concerti che hanno ricevuti più di 10 voti ognuno , ovviamente la lista completa :

The Final List: The Top 75 Dylan Concerts
November 4, 1961 – Carnegie Chapter Hall, New York, NY
July 2, 1962 – Finjan Club, Montreal, Quebec
October, 1962 – Gaslight Café, New York, NY
April 12, 1963 – Town Hall, New York, NY
October 26, 1963 – Carnegie Hall, New York, NY
May 7, 1965 – Free Trade Hall, Manchester, England
July 25, 1965 – Newport Folk Festival, Newport, RI
September 3, 1965 – Hollywood Bowl, Los Angeles, CA
December 4, 1965 – Berkeley Community Theater, Berkeley, CA
April 12, 1966 – Sydney Stadium, Sydney, Australia
May 16, 1966 – Gaumont Theatre, Sheffield, England
May 17, 1966 – Free Trade Hall, Manchester, England
January 20, 1968 – Woody Guthrie Memorial Concert, New York, NY
August 31, 1969 – Isle of Wight, England
February 14, 1974 (afternoon) – The Forum, Los Angeles, CA
October 31, 1975 – War Memorial Auditorium, Plymouth, MA
November 11, 1975 – Palace Theater, Waterbury, CT
November 21, 1975 (evening) – Boston Music Hall, Boston, MA
December 1, 1975 – Maple Leaf Gardens, Toronto, Ontario
December 8, 1975 – Madison Square Garden, New York, NY
May 3,1976 - The Warehouse New Orleans, Louisiana
May 16, 1976 – Tarrant County Convention Center Arena, Fort Worth, TX
May 23, 1976 – Colorado State University, Fort Collins, CO
July 6, 1978 – Pavillon de Paris, Paris, France
December 10, 1978 – Charlotte Coliseum, Charlotte, NC
November 16, 1979 – Fox Warfield Theater, San Francisco, CA
April 20, 1980 – Massey Hall, Toronto, CA
November 15, 1980 – Fox Warfield Theater, San Francisco, CA
June 29, 1981 – Earls Court, London, England
July 25, 1981 – Palace des Sports, Avignon, France
November 10, 1981 – Saenger Performing Arts Center, New Orleans, LA
November 12, 1981 – The Summit, Houston, TX
June 28, 1984 – Minestadio, Barcelona, Spain
February 24, 1986 – Entertainment Centre, Sydney, Australia
September 12, 1987 – Autodroma, Modena, Italy
June 10, 1988 – The Greek Theater, Berkeley, CA
June 30, 1988 – Jones Beach Music Theater, Wantaugh, PA
October 19, 1988 – Radio City Music Hall, New York, NY
February 8, 1990 – Hammersmith Odeon, London, England
May 9, 1992 – State University, San Jose, CA
September 12, 1993 – Greet Woods Performing Arts Center, Mansfield, MA
November 16, 1993 (both) – The Supper Club, New York, NY
November 17, 1993 (both) – The Supper Club, New York, NY
August 14, 1994 – Woodstock ’94, West Saugerties, NY
October 8, 1994 – Orpheum Theater, Boston, MA
March 11, 1995 – Congress Hall, Prague, Czech Republic
March 30, 1995 – Brixton Academy, London, England
March 31, 1995 – Brixton Academy, London, England
June 17, 1996 – Tempodrome, Berlin, Germany
December 8, 1997 – Irving Plaza, New York, NY
December 19, 1997 – El Rey Theater, Los Angeles, CA
May 19, 1998 – San Jose Arena, San Jose, CA
June 9, 1998 – Globe Arena, Stockholm, Sweden
April 28, 1999 – Hala Tivoli, Ljubljana, Slovenia
June 14, 1999 – University of Oregon, Eugene, OR
November 14, 1999 – Centrum Arena, Worcester, MA
March 10, 2000 (late) – Sun Theatre, Anaheim, CA
March 15, 2000 – Civic Auditorium, Santa Cruz, CA
March 16, 2000 – Civic Auditorium, Santa Cruz, CA
September 24, 2000 – Guildhall, Portsmouth, England
September 25, 2000 – Guildhall, Portsmouth, England
October 1, 2000 – Halle Muensterland, Muenster, Germany
October 6, 2000 – Wembley Arena, London, England
October 5, 2001 – Spokane Arena, Spokane, WA
February 9, 2002 – Phillips Arena, Atlanta, GA
October 7, 2002 – Tehama County Fairgrounds, Red Bluff, CA
November 13, 2002 – Madison Square Garden, New York, NY
November 23, 2003 – Shepherds Bush Empire, London, England
November 24, 2003 – Hammersmith Apollo, London, England
November 25, 2003 – Brixton Academy, London, England
July 10, 2004 – Estadia Municipal Escribano Castilla, Motril, Spain
November 13, 2004 – Rochester Institute of Technology, Rochester, NY
November 27, 2005 – The Point Theatre, Dublin, Ireland
November 12, 2006 – Agganis Arena, Boston, MA
November 20, 2006 – New York City Center, New York, NY

(fonte: expectingrain.com)
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Faber : Caro amico fragile , bisogna ripartire dalla tua «passione libertaria»     clicca qui

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Ron Wood, vivo in una prigione dorata                                                                      clicca qui

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Rock d'autore, i concerti del 2009                                                                              clicca qui

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Il grande sogno di Bruce nell'anno degli U2                                                              clicca qui

 

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Lunedi 5 Gennaio 2009

Talking Bob Dylan Blues - Parte 439                clicca qui

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L'oroscopo dylaniano 2009     clicca qui

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Bob Dylan Tell Tale Signs: The Bootleg Series Vol 8

Una della tante cose che amo si Bob Dylan scrittore è che non ha mai eretto una barriera protettiva tra le sue emozioni e gli ascoltatori.
"Every step of the way, we walk the line/Your days are numbered, so are mine/Time is pilin' up, we struggle and we scrape/We're all boxed in, nowhere to escape," canta in “Mississsippi” , e noi capiamo esattamente cosa sta provando. La sua leggendaria voce vi arriva come se fossi fuori dagli altoparlanti , come un fantasma nel vostro passato. Un profeta itinerante di una sbiadita tradizione della coscienza sociale , Bob è la voce di tutti gli Americani.
Bruce Springsteen una volta ha descritto l’entrata di Like a rolling stone come “ un colpo di rullante che suona come se qualcuno avesse dato un calcio alla porta della vostra mente”. Con Tell Tell Signs , Npn continua a scalciare. Speriamo che il 67enne vecchio ragazzo di Hibbing , Minnesota , abbia un’altro grande album dentro di se prima che debba scendere dalla montagna per la valle delle ombre.
Rullo di tamburi in attesa dei due concerti irlandesi in Maggio.

By BARRY EGAN

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YouTube - Bob Dylan Tribute
Dedicato a Dylan, a chi ama Dylan ed a quelli che amano chi ama Dylan.

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DYLAN E MCCARTNEY INSIEME ?

Una collaborazione da favola potrebbe presto realizzarsi tra due icone del rock. Stiamo parlando di Bob Dylan e di Paul McCartney,    ex Beatles, che sono fra gli artisti che parteciperanno a un nuovo album a scopo benefico, assime ad latre stelle come Brian Wilson dei Beach Boys. L'album conterrà delle cover e i proventi delle vendite saranno devoluti all'associazione "War Child". Si tratta del secondo progetto musicale di questo genere. La prima uscita avvenne infatti nel 1995 con il titolo di "Help Album". Secondo il magazine inglese Sun, ogni artista realizzerà la cover di un pezzo famoso.

(fonte: festivalbar.it)

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Jovanotti: "Dylan è tutto"                      clicca qui

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Settimane astrali - di Paolo Vites

Ho lasciato l'ufficio l'anti vigilia di Natale con una copia del nuovo disco di Van Morrison, Astral Weeks Live at Hollywood Bowl, che uscirà a metà di febbraio 2009. E' la documentazione dei due concerti tenuti dall'irlandese lo scorso novembre per ricordare il quarantennale di uno dei dischi più affascinanti e misteriosi di tutti i tempi, Astral Weeks appunto.
Il risultato, tenuto conto che in vent'anni circa non sono mai riuscito a vedere un concerto di Morrison degno del suo nome - e ne ho visti tanti -, dell'età dell'artista e della difficoltà dell'esecuzione di un disco così particolare, è sopra ogni aspettativa. Formidabile. Da sottolineare - anche se non c'entra niente con Astral Weeks - uno dei due bis finali, una versione di Common One da brivido, degna di quel capolavoro assoluto che fu uno dei più grandi dischi di tutti i tempi, It's too late to stop now, da cui in questi giorni sto ascoltando a ripetizione un estratto di Astral Weeks lì presente, la pazzesca e mozzafiato esecuzione della bellissima Cyprus Avenue. Che termina appunto nell'urlo rauco e possente: "ITS TOO LATE TO STOP NOW!". Quando la musica faceva paura.
Così, affascinato da queste musiche, ho recuperato anche un bel dvd, Van Morrison a Montreux nel 1980, che presenta una sua performance di altissimo livello. In particolare una It Stoned Me a tempo accelerato davvero esaltante.

(fonte: gamblin-ramblin.blogspot.com)

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I grandi concerti del 2009                                                    clicca qui

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Scrivevano......

Bob Dylan, il vecchio maestro che odia il passato e le nostalgie

Repubblica — 26 aprile 2007 pagina 15 sezione: MILANO

Il rito di Bob Dylan in concerto sembra consumarsi uguale ed enigmatico come sempre, ogni volta che l' eroe con la chitarra e le parole affilate come lame si ripresenta sul palco. Domani è di nuovo ad Assago: seimila biglietti già venduti, se ne trovano ancora nei due ordini di posti, forse non sarà tutto esaurito, ma non è male per un sessantaseienne (il 24 maggio) un po' provato dalla turbolenta esistenza. Anche perché esibizioni come queste, nel suo caso, si ripetono una o due volte all' anno negli ultimi tempi. Ma ritrovare il vecchio Bob, maestro carismatico di tutti i folksinger dagli anni '60 ad oggi, è come scrutarsi allo specchio e capire come siamo diventati noi, dentro. Non è solo ammirazione per l' antico paladino della canzone di protesta, poi ripudiata e corretta nelle intenzioni, dando la colpa agli altri che non avevano capito. è una guerra sottile dei nervi, mai dichiarata, tra chi si professa fedele per sempre al passato, età dell' oro e della gioventù, e chi senza ripudiarlo, cerca con forza qualche bagliore nuovo all' orizzonte. Bob Dylan è stato un artista enorme, ha scritto canzoni superbe, interpretate con voce premeditata e vetrosa che faceva fremere anche i più duri di cuore, ma non è più quello di un tempo. Ogni tanto fa un buon disco come l' ultimo "Modern times", ma è sempre più straziante, a volte crudele e autolesionista nella spasmodica volontà di non alimentare la nostalgia e non adagiarsi sul mito. A volte sorprende con una prova degna del suo calibro, ma più spesso snocciola pallide e indecifrabili caricature dei successi memorabili. E allora perché tanta morbosa curiosità e attesa ogni volta che Mr. Tambourine torna in città? Il desiderio di restare giovani non spiega tutto. Anche perché è lo stesso Dylan a scoraggiare l' illusione. Cupo, impenetrabile, neanche una parola o, se gliene scappa qualcuna, è un brontolio indistinto. Il canto è sempre più sgraziato e le canzoni vengono maltrattate fino a renderle irriconoscibili. Eppure il suo pubblico è attento a carpire le parole per riafferrare i fili di una leggenda mai tradita. E quasi ogni performance dell' idolo si trasforma in una prova di resistenza, una battaglia a distanza tra ieri ed oggi, tra l' età dell' oro e l' era dei cloni belli, bravi e senza fantasia che durano una stagione. E alla fine, molti se ne tornano a casa frastornati e un po' delusi, ma anche convinti di avere vissuto lo spettacolo autentico di un ex grande che non ce la fa a mollare ed è disposto anche a rischiare i fischi pur di continuare la missione di menestrello acido e antiretorico. Per reazione gli inconsolabili potranno consolarsi con le chicche storiche che l' editoria continua a ripescare dell' eroe stanco. La Feltrinelli ha ristampato "Tarantula", il visionario libro di poemi che Dylan pubblicò nel 1971. Un doppio dvd restaura il classico "Don' t look back", il film-documentario di D.A.Pennebacker girato durante il tour inglese del 1965. Senza contare i continui omaggi a Dylan da parte di colleghi famosi. Tra i più recenti un cd intero di Bryan Ferry, "Dylanesque", e Patti Smith che canta Changing of the guards nel suo disco di cover "Twelve". Nello show di stasera al Forum il palco è aperto a giro su un pavimento con al centro una rosa dei venti gialla e nera. Dylan alla chitarra e tastiere, accompagnato da Denny Freeman e Stu Kimball alla chitarra, Tony Garnier al basso, Donnie Herron al mandolino e chitarra slide, dovrebbe suonare (condizionale d' obbligo) tra l' altro: Tweedle dee and tweedle dum, It ain' t me, babe, Just like Tom thumb blues, It' s alright Ma (I' m only bleeding), When the deal goes down e Spirit on the water da "Modern times", Stuck inside of mobile with the Memphis blues again, John Brown, Rollin and tumblin, Tangled up in blue, Nettie Moore, Summer days e l' indimenticabile Like a rolling stone. Domani al DatchForum di Assago, ore 21, biglietti da 40 e 34 euro più prevendita.                                                

GIACOMO PELLICCIOTTI

(fonte: repubblica.it)

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Video : Bob Dylan What Was It You Wanted?                  clicca qui

 

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Domenica 4 Gennaio 2009

JAMES TAYLOR

clicca qui

 

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Sabato 3 Gennaio 2009

I fantaracconti dylaniani.....

Lo strano desiderio di Spock   -  di A man with no name             clicca qui

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ARE TIMES A-CHANGIN'?...

La recensione del concerto di Mestre - di Laura Maccarone     clicca qui

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Un tempo immemorabile. A Seattle

di Paolo Vites

The phone don't ring
And the sun refused to shine
Never thought I'd have to pay so dearly
For what was already mine
For such a long, long time
We made mad love
Shadow love
Random love
And abandoned love
Accidentally like a martyr

The hurt gets worse and the heart gets harder
The days slide by
Should have done, should have done, we all sigh
Never thought I'd ever be so lonely
After such a long, long time
Time out of mind

Nell’autunno del 2002 Bob Dylan si apprestava a riprendere la strada per una nuova serie di concerti. Non era niente di nuovo, apparentemente, solo una nuova tappa del Never Ending Tour che questa volta sarebbe cominciata da Seattle, nord California.
Niente di nuovo, ma in realtà molto di nuovo. Quella serie di concerti avrebbe segnato un nuovo, ma drammatico, cambiamento, nell’approccio live del cantautore americano. Niente di nuovo neanche qui, visto che era tutta la vita che Dylan lo faceva. Per alcuni (probabilmente solo io) l’inizio della sua parabola discendente.
La sera del 4 ottobre, a Seattle, quando sul palco si notò la presenza di un pianoforte elettrico modello Casio, tutti si chiesero se Dylan avesse assoldato un tastierista. Invece sarebbe stato lui a mettersi dietro alle tastiere. Non lo avrebbe fatto per tutta la serata, ma ben presto sì, quello sarebbe diventato il suo strumento preferito, e addio alla chitarra. Il che dura tutt’oggi, anche se nel tempo Dylan ha imparato a conoscere i vari tasti che la caratterizzano, adesso preferendo la sonorità “organo” a quella “pianoforte”. Con un solo problema: Bob Dylan non sa suonare né il pianoforte né l’organo. Il suo, quella sera, era un “plink plonk” scoordinato e fuori tempo, il più delle volte tenuto saggiamente nascosto nel mixeraggio complessivo degli strumenti dal palco.

Non era solo lo strumento del cantautore che cambiava, ma anche la voce. Nulla di nuovo ancora una volta: in quarant’anni di carriera Bob ylan aveva più volte cambiato la voce di quante volte io abbia cambiato automobile in vent’anni (e ne ho cambiate parecchie). Ogni volta, però, era una sfumatura, un approccio, un qualcosa di diverso, ma che fondamentalmente lasciava intatta la voce. Che non è mai stata bella, per gli standard di Tin Pan Alley, ma affascinante, inquietante, tagliente, sardonica, con quel fraseggio unico che nessuna ha mai avuto nel campo della musica popolare. Adesso invece era solo una voce affaticata. Che mostrava, sera dopo sera, gli inevitabili segni di un deterioramento impossibile a fermarsi. Qualche spiritoso gli affibbiò un nuovo (niente di nuovo…) soprannome: The wolfman, l’uomo lupo. A volte gli mancava il respiro, altre quella voce un tempo orgogliosa e sprezzante crollava a terra in un rantolo doloroso.

E se vi sembra abbastanza, no, non lo è ancora. Non era finita qua. Quella sera a Seattle avrebbe mostrato altro ancora. Dopo una iniziale, rara, ma suonata recentemente anche in Europa, Solid Rock, il quarto pezzo in scaletta lasciò il pubblico a domandarsi se stesse ascoltando un inedito di Dylan. Solo quelli, là in mezzo, che conoscevano uno dei più grandi songwriter americani di sempre (a volte mi viene da pensare, il più grande – dopo Dylan naturalmente) ebbero un sussulto. Erano le note, seppur affaticate nella versione di Dylan, della straordinaria Accidentally like a Martyr. L’autore? Mister Warren Zevon.
Non sarebbe finita lì, perché nel corso della stessa serata di Zevon avrebbe eseguito anche la violenta Boom Boom Mancini e la dolcissima, tristissima Mutineer.

Che sta succedendo qui, mister Jones? Il mondo dei fan si sarebbe scatenato a cercare la risposta su Internet, per scoprire che Bob Dylan aveva deciso di omaggiare un amico morente. Warren Zevon era stato dichiarato malato terminale: il tumore che lo aveva colpito gli lasciava pochi mesi di vita. Per tutto quel tour autunnale Dyan avrebbe continuato ad omaggiarlo, senza mai perdersi in banali discorsetti dal palco sul perché e percome avesse deciso di cantare quelle canzoni: era la musica che parlava, non c’era bisogno di aggiungere altro. Come dire: queste canzoni sono troppo belle perché vadano dimenticate e se adesso il suo autore non può più cantarle, allora lo farò io, un'ultima volta. E poi, le sere dopo,inserendo altri pezzi di Zevon in scaletta, ad esempio Lawyers, Guns and Money. Mai, nella storia del rock, si era assistito a una cosa del genere. Di solito, i tributi si fanno quando l’amico è già nella cassa. Interrogato (Zevon si sarebbe recato a vederlo quando il cantautore avrebbe suonato a Los Angeles, qualche sera dopo), Warren avrebbe detto che queste esecuzioni di sue canzoni da parte di Bob Dylan erano il punto più alto della sua carriera.
Se Mutineer la si può ascoltare nel tributo su cd Enjoy Every Sandwich, fu Accidentally like a Martyr il momento più commovente di questo evento. Ogni sera Bob Dylan, cercando di recuperare ciò che restava della sua voce, avrebbe lasciato srotolare la splendida e maestosa melodia del brano, fino al punto in cui la canzone dice “time out of miiiiiiind”. Già, proprio come il titolo del suo disco di qualche anno prima, Time out of Mind. Un tempo immemorabile, dove risiedono la pietà, la bellezza, il sogno e la speranza. Della vita che non muore. Dove esiste quella “tower of song” di cui canta Leonard Cohen, Dove i poeti, i santi e i peccatori si ritrovano. In un tempo immemorabile. Dove ogni sera trovava rifugio, nel cantarla, il cuore addolorato di Bob Dylan.
Che si può ascoltare qua: http://www.box.net/shared/static/t5sjjbdc3i.mp3

Quel tour avrebbe visto Dylan, sin dalla serata di Seattle, affrontare altre cover: una sorprendente, esplosiva e virulenta Brown Sugar degli Stones; Old Man di Neil Young (che sembrava cucita apposta per lui visto l’argomento toccato…) e finanche una incredibile End of the Innocence, del cantante degli yuppie per eccellenza, Don Henley. Che nella versione di Bob Dylan diventava magnificente.

Era diventato il “cover tour”, il tour delle cover, e in modo sorprendente erano proprio questi brani altrui che Dylan eseguiva nel modo migliore, lasciando noia e routine alle sole sue canzoni. Per quando il tour avrebbe raggiunto New York, per le sue ultime date, era morto un altro grande amico, George Harrison. Nella sera del 13 novembre una nuova cover sarebbe stata aggiunta, per una sola e  unica volta: Something.
Warren Zevon, invece, sarebbe morto undici mesi dopo quella sera di Seattle, il 3 settembre 2003. Nel suo ultimo disco, registrato durante la malattia e pubblicato postumo, ringraziava Bob Dylan cantando la canzone di chi si appresta al grande e ultimo viaggio, Knockin’ on Heaven’s Door.

(fonte: gamblin-ramblin.blogspot.com)

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Venerdi 2 Gennaio 2009

2009 : Cosa aspettarci da Bob ?

La domanda è questa , come sarà il Bob-2009 ?
Cambierà qualcosa ? Rimarrà tutto uguale ? Difficile poter rispondere , anzi , impossibile. Razionalmente qualcosa dovrebbe cambiare nell’attività live , lo show di Bob sicuramente non è all’altezza della fama e del nome , su questo non ci piove più da lungo tempo ormai. Mancano troppo cose per lo spettacolo del più Grande , manca la presenza scenica di Bob che ti inchioda sulla sedia con la forza delle sue parole , della sua musica . Si , manca Bob Dylan , quello vero , al quale eravamo abituati , questo è ancora leggermente indigesto  , al suo posto una curiosa ed indefinibile figura vestita da Hidalgo spagnolo , nascosto dietro una stupida tastiera , difficilmente visibile per gli sèettatori. Manca Dylan con la sua voce , con le sue canzoni , con la sua caratteristica musica , col suo particolare modo di suonarla , col suo tipico suono. Non è più un mistero che la voce se ne sia andata in fanteria da un bel pezzo , il tempo fa il suo lavoro senza risparmiare nessuno , nemmeno sua Bobbità ha potuto sottrarsi a questa legge , ma non è questo il problema più importante. Possiamo tenerci la voce di Bob così com’è , e farcela anche piacere , apprezzarla nel suo declino , strana era da giovane ma ti dava una scossa indimenticabile , un perpetuo elettroshock dal quale non ne uscivi più. Per assurdo quell’incredibile voce che era tutto meno che la voce di un cantante è diventata quasi normale per un non cantante , per uno storyteller quale è Dylan oggi.
Superato questo ostacolo ne rimangono altri .
Usare schermi giganti in modo che la gente lo possa vedere ed apprezzare meglio ? Non lo sò , c’è chi dice si e chi dice no , Bob sicuramente , conoscendo la sua avversione per cineprese e reporters sul palco , sarà contrario , ma il pubblico rumoreggia da troppo tempo. Sarebbe una soluzione non male , gli schermi non sono dispersivi , a volte riescono a tenere fissa l’attenzione perchè ti offrono qualcosa da guardare , da vedere da vicino , per vivere il momento più profondamente. Ricordo a Pistoia , in fondo alla piazza non vedevo niente, Bob era una cosa minuscola confusa e nascosta su un palco scialbo ( l’ho visto solo per qualche minuto grazie ad un binocolo prestatomi da un cortese turista inglese ) , unica concessione oltre il niente , il “mindeye” logo gigante alle sue spalle. Oggi lo spettacolo di una vera icona come è Dylan non può reggersi su poche cose e su formule antiche , le luci da sole non bastano a rendere uno spettacolo godibile , serve altro.
Serve anche la musica , soprattutto , e qui si entra nel campo minato da puristi , dotti , medici e sapienti , che magnificano qualunque cosa faccia il nostro Faro di Alessandia.
Massacrare sistematicamente le canzoni come sta facendo Dylan non è la cosa più simpatica , a meno che non sia voluta , o necessaria per qualche oscura ragione , vero che la prima caratteristica positiva di un artista è la sua libertà di espressione , ma anche qui ci sono  dei paletti , oltre i quali si sconfina nell' errore.
Ho sentito arrangiamenti delle canzoni più famose assolutamente irriconoscibili , di difficile decriptazione anche da parte di tutti , anche per i più incalliti. Praticamente si va al concerto per sentire delle canzoni e se ne sentono delle altre completamente sconosciute ed a volte anche “buttate là” nel peggiore dei modi. Tutta colpa di Dylan ? Non saprei dire , certo la logica dice che una buona parte ce l’ha anche lui in questo impietoso massacro della sua opera , visto , che piaccia o meno , che sul palco c'è lui e la presentazione e per il Columbia Recording Artist......di his band non si parla nemmeno.
E a questo proposito , l’impersonalità ( intesa come mancanza di charisma personale ) dei musicisti che ha scelto per fare da background alla sua musica è quanto di più noioso e monotono si possa ascoltare oggi su un palco. Dove sono finiti i Musicisti con M maiuscola , quelli che hanno prestato il loro nome ed il loro suono migliore alla musica di Dylan contribuendo a renderla immortale ? Non faccio nomi perchè non è necessario , certo gli attuali sono sul gradino più basso della storia musicale dylaniana.
Ora mettiamo tutto assieme , l’età , la voce notevolmente deperita , gracchiante e la maggior parte delle volte un borbottio solo a tratti comprensibile , il palco scarno , quell’orribile pianola dietro alla quale sta nascosto , i musicisti di serie B , allora mi chiedo , tutto questo è Bob ? La mia risposta è no , e spero che dei ritocchi siano fatti all’impianto dello show , diminuendo il numero dei concerti e migliorandone la qualità.
Questo è quello che spero io , ma non solo il solo . Molti fans come me vorrebbero Dylan ancora al centro di uno show formidabile , del quale andare fieri ed orgogliosi , qualunque sia la voce , Bob non può perdere il confronto , e i numeri delle presenze parlano chiaro , con Neil Young o Leonard Cohen , o Springsteen , o chiunque altro sia stato in qualche modo suo discepolo , lui è stato il Maestro e     l' ispiratore.
Ma per saperlo dovremo aspettare il prossimo tour per gioire o per spargerci ancora una volta la cenere sul capo , per constatare le capacità di rinascita di Bobby o la sua resa al lento ed inesorabile declino.
Diceva giustamente Cicerone : De gustibus non disputandum est , e con questo intendo sottolineare come i gusti non si discutano , essendo assolutamente personali e riferibili perciò alla sensibilità propria di ciascuno.
Per i fondamentalisti dylaniani , aggiungo - Credo quia absurdum - la frase di Tertulliano secondo il quale certe cose vanno sostenute con convinzione tanto maggiore quanto meno sono comprensibili alla ragione
.

Mr.Tambourine

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Faber e la sua musica, dieci anni dopo

Due serate per ricordare un amico

Il 10 gennaio allo Spazio Gloria e il 17 a Cantù l'omaggio di tanti artisti locali e non.
Un'immagine d'archivio di Fabrizio De Andre'.... morto la scorsa notte a Milano. È specialmente in gennaio che ritornano le voci. È specialmente in gennaio che ci allagano i ricordi. È specialmente in gennaio che mi manchi un po’ di più. Specialmente in gennaio porto il tuo giaccone blu».
Parole, anzi, liriche di Massimo Bubola, composte qualche anno fa per ricordare l’amico, collaboratore, maestro e mentore Fabrizio De André che tutti ricordano, specialmente in gennaio, in questo gennaio imminente dove si commemoreranno i dieci anni della scomparsa inattesa e dolorosa del più amato poeta della canzone. Si moltiplicano le iniziative, da sottolineare quella dello stesso Bubola che ha ripreso i brani composti a quattro mani nel disco <Dall’altra parte del vento>, e anche il circolo Arci Xanadù non poteva essere da meno visto che, già in passato, aveva scelto di dedicare sempre un’occasione ai brani del genovese, fin dal giorno dell’apertura che salvò dall’oblio una gloriosa sala cinematografica trasformandola nel centro multifunzionale che è oggi. Ancora prima, al circolo di Mirabello, non era stato reso omaggio solo all’artista ma anche alla ricca tradizione culinaria ligure (quella, per intendersi, che viene snocciolata in un gustoso verso di <Creuza de mä>). Entrambe le iniziative torneranno alla fine di questo primo decennio senza De André, senza nuovi dischi, né quello dedicato agli autori brasiliani, né quello che avrebbe dovuto coinvolgere ben quattro compositori (tra cui Luigi Nono), né le altre cose lasciate a metà di cui si è vociferato in tutto questo tempo. Sabato 10 gennaio (dopo la mezzanotte scade la data fatidica, che è l’11 gennaio quando in tanti ci svegliammo, accendendo distrattamente la televisione, assistendo al raro spettacolo di un Vincenzo Mollica in lacrime con il faccione di Fabrizio alle sue spalle, abbastanza per capire che era successo l’irreparabile) sarà lo Spazio Gloria di via Varesina a presentare <...dai diamanti non nasce niente>. Parteciperanno artisti locali e non: i Sulutumana, Luca Ghielmetti, la bella promessa Lelecomplici, gli Atarassia Grôp in versione acustica, poi ancora Giovanni <Cigno>Ardemagni, Andrea Sigona, Bricchi, Gorri & Lambricchi e Renato Franchi & l’Orchestrina del Suonatore Jones che, da tempo, conducono una particolare rivisitazione del repertorio. Nel corso dell’evento sarà anche proiettato <Faber nostro>, il primo “corto” dedicato a De André, diretto da Lino Pinna (ingresso a 10 euro, tesserati Arci a 7 euro, info e prenotazioni allo 031/44.91.080). Secondo appuntamento la settimana dopo, sabato 17 gennaio a partire dalle 20, all’Arci Mirabello di via Tiziano 5, Mirabello di Cantù: <Cose da beive, cose da mangià>, come ricordato, non è solo un’occasione musicale ma anche enogastronomica: note innaffiate dal Vermentino, profumi genovesi e, sul palco alcuni dei protagonisti già ricordati e anche Massimo Morselli da Modena, Arienti & Folli, da Milano, Pippo Urso da Varese, Beans, Bacon & Gravy da Busto Arsizio, Sopralenote da Milano, Lele Ravera Band, proprio da Genova mentre giocano in casa i canturini Dasinkhanè (ingresso, tessera e cena 12 euro, per prenotazioni, a partire dal 2 gennaio, Arci Como tel. 031.264921 e-mail como@arci.it).

Alessio Brunialti

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Il mito Dylan torna in Italia ad aprile      clicca qui

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E' morto Delaney Bramlett

Clapton , Bonnie , Delaney and Harrison

Los Angeles, CA (AP) --

Cantante , scrittore di canzoni , produttore , Delaney Bramlett che ha scritto classici del rock come “Let it rain” e ha lavorato con musicisti come George Harrison ed Eric Clapton ( Clapton fu la sua chitarra solista nel gruppo Delaney & Bonnye ) è morto , aveva 69 anni. Bramlett è morto sabato poco dopo le 5 a.m. all’ UCLA Ronald Reagan Medical center di Los Angeles in seguito a complicazioni dopo un’operazione alla vesica , ha detto sua moglie Susan Lanier-Bramlett.
Nato in Mississippi , Bramlett cominciò la sua carriera musicale che durava da oltre 50 anni.
Era tra l’altro famoso per aver scritto famosi standard come “Superstar” scitto con Leon Russel , che fu inciso da Uscher , Luther Vandross , Bette Midler , The Carpenters e più recentemente Sonic Youth in una versione eseguita ai Grammy-nominated per la colonna sonora del film “Juno”.
Inoltre scrisse “Let it Rain” con Eric Clapton , che la incise , e “Never ending song of love” che fu registrata da più di 100 artisti , inclusi Ray Charles , George Jones , Tammy Wynette , Patty Loveless e Dwight Yoakam.
Durante la sua carriera , ha suonato , scritto o registrato con star del calibro di Jimi Hendrix , Janis Joplin , John Lennon , Dave Mason , Billy Preston , The Everly Brothers e Marc Davis, inoltre ha prodotto numerosi artisti tra i quali Etta James ed Alvin Bishop.
Recentemente aveva pubblicato l’album “ A new kind of blues” , con l’etichetta indipendente Magnolia Gold Records.
Lascia la moglie , le tre figlie Michelle , Suzanne e Bekka , Il figlio Dylan Thomas e il fratello John.

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Video : Delaney, Bonnie & Friends - Comin' Home                                                  clicca qui

Delaney & Bonnie with the future Derek and the Dominos (Eric Clapton, Jim Gordon, Carl Radle, Bobby Whitlook) plus George Harrison playing the classic   song "Comin' Home" live
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Video : Delaney & Bonnie with Eric Clapton - I don't know why                            clicca qui

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Video : DEREK AND THE DOMINOES  with Carl Perkins and Johnny Cash     clicca qui

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I GRUPPI MITICI.....

The Poco - Keep on Tryin'                        clicca qui

 

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